N. 347 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 gennaio 2001

Ordinanza  emessa  il 12 gennaio 2001 dal tribunale di Milano su atti
relativi a Haka Landi

Straniero - Espulsione amministrativa - Provvedimento del questore di
  trattenimento   presso   il   centro  di  permanenza  temporanea  e
  assistenza piu' vicino, per impossibilita' di eseguire l'espulsione
  con   immediatezza   -   Procedimento   di   convalida   da   parte
  dell'autorita'  giudiziaria  - Applicazione della disciplina di cui
  agli  artt.  737  e  seguenti cod. proc. civ. - Inidoneita' di tale
  procedura   ad   assicurare   la  pienezza  del  contraddittorio  e
  dell'esplicazione  delle  difese  -  Violazione  del  principio  di
  ragionevolezza  -  Lesione del diritto di difesa - Contrasto con il
  principio di inviolabilita' della liberta' personale.
- D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 4.
- Costituzione, artt. 3, 10, 13 e 24.
Straniero - Espulsione amministrativa - Provvedimento del questore di
  trattenimento   presso   il   centro  di  permanenza  temporanea  e
  assistenza piu' vicino, per impossibilita' di eseguire l'espulsione
  con   immediatezza   -   Procedimento   di   convalida   da   parte
  dell'autorita'  giudiziaria  -  Accertamento  concreto da parte del
  giudice    della   sussistenza   dell'impossibilita'   di   attuare
  l'accompagnamento  immediato  -  Esclusione  - Incidenza sui poteri
  d'indagine del giudice.
- D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 4.
- Costituzione, artt. 3, 10 e 111.
Straniero - Espulsione amministrativa - Provvedimento del questore di
  trattenimento   presso   il   centro  di  permanenza  temporanea  e
  assistenza piu' vicino, per impossibilita' di eseguire l'espulsione
  con   immediatezza   -   Procedimento   di   convalida   da   parte
  dell'autorita'  giudiziaria  -  Accertamento  da  parte del giudice
  sulle   allegate   ragioni  idonee  a  configurare  il  divieto  di
  espulsione e conseguentemente sulla mancanza del presupposto per il
  trattenimento - Incidenza sui poteri di indagine del giudice.
- D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 4.
- Costituzione, artt. 3, 10 e 111.
Straniero - Espulsione amministrativa - Provvedimento del questore di
  trattenimento   presso   il   centro  di  permanenza  temporanea  e
  assistenza piu' vicino, per impossibilita' di eseguire l'espulsione
  con  immediatezza - Obbligo di dare avviso al difensore d'ufficio o
  di   fiducia,   contestualmente   alla   comunicazione  al  giudice
  dall'inizio  del  trattenimento  - Mancata previsione - Lesione del
  diritto di difesa.
- D.Lgs.  25  luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 3; D.P.R. 31 agosto
  1999, n. 394, art. 20.
- Costituzione, artt. 3, 10 e 24.
Straniero - Espulsione amministrativa - Provvedimento del questore di
  trattenimento   presso   il   centro  di  permanenza  temporanea  e
  assistenza piu' vicino, per impossibilita' di eseguire l'espulsione
  con  immediatezza - Convalida da parte dell'autorita' giudiziaria -
  Mancata previsione di limite massimo anche per il cumulo successivo
  di  vari  periodi  di trattenimento fondati sul medesimo decreto di
  espulsione - Conseguente impedimento per il giudice di accertare il
  superamento   di   tale   limite   -   Lesione   del  principio  di
  ragionevolezza e di parita' di trattamento di situazioni identiche.
- D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5.
- Costituzione, artt. 3, 10 e 13.
Straniero - Espulsione amministrativa - Provvedimento del questore di
  trattenimento   presso   il   centro  di  permanenza  temporanea  e
  assistenza piu' vicino, per impossibilita' di eseguire l'espulsione
  con   immediatezza   -   Procedimento   di   convalida   da   parte
  dell'autorita'  giudiziaria  - Obbligo di provvedere alla convalida
  con  un unico contestuale atto - Conseguente sottrazione al giudice
  del  potere  di  determinare  il  ragionevole termine massimo anche
  cumulato   del   trattenimento   -   Lesione   del   principio   di
  ragionevolezza   e   di   parita'   di  trattamento  di  situazioni
  identiche - Lesione del principio di riserva di giurisdizione.
- D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 4.
- Costituzione, artt. 3, 10, 13 e 111.
(GU n.20 del 23-5-2001 )
                            IL TRIBUNALE

    Nel  procedimento n. 544/2000 e, in esito all'udienza di giovedi'
9 novembre 2000, ha pronunciato la seguente ordinanza.

                              F a t t o

    Con  decreto pronunciato a sensi dell'art. 13 d.lgs. n. 286/1998,
il  prefetto  di Piacenza disponeva l'espulsione, con accompagnamento
alla frontiera, nei confronti dello straniero (o straniera? il genere
della  persona  non  risulta univocamente desumibile dagli atti) Haka
Landi ("nato/a" a Kruje - Albania - il giorno 5 giugno 1977).
    Tale   decreto   prefettizio   veniva   notificato  alla  persona
interessata in data 20 settembre 1999.
    Con  decreto  del  questore  di  Milano,  poi, veniva disposto il
"trattenimento"  di tale persona nel centro di via Corelli in Milano,
poiche'  il  questore  (barrando  la casella apposita) aveva ritenuto
sussistente  il  presupposto  di  mancanza di vettore. Questo secondo
decreto veniva notificato in data 7 novembre 2000.
    Gli   atti   relativi   alla   notifica   dei   sopra  menzionati
provvedimenti  amministrativi  venivano  infine  depositati presso la
Cancelleria del Tribunale in data 8 novembre 2000 alle ore 12.
    A  questo  giudice,  a  norma  dell'art. 14 d.lgs. citato, e' ora
demandato  di  convalidare  il provvedimento di "trattenimento". Cio'
dovrebbe avvenire in esito a un'udienza camerale, trattata secondo il
rito  disciplinato  dagli  articoli 737  e  ss.  cpc.  (espressamente
richiamati dall'art. d.lgs. n. 286/1998).
    Con  tale  atto  giudiziario  di  "convalida", oggi, sulla scorta
della  sola  documentazione amministrativa fornita dal prefetto e dal
questore  (o meglio, sulla scorta dei due soli decreti sopra indicati
e  delle  relative  notificazioni),  senza  alcun  potere istruttorio
ufficiale, si dovrebbe pertanto:
      -   verificare   che  il  fascicolo  amministrativo  sia  stato
depositato  in  Cancelleria  entro  quarantotto ore dal momento della
notifica  del  provvedimento questorile (momento che si deve ritenere
coincidente con quello di inizio del "trattenimento");
      -  verificare  che  nel  modulo prestampato, che costituisce il
decreto  di  "trattenimento",  sia  stata  barrata  almeno  una delle
caselle  poste  a  fianco  delle  frasi  che  riproducono il disposto
normativo circa i presupposti del medesimo "trattenimento";
      -  verificare  che, dal momento del deposito in Cancelleria del
fascicolo amministrativo a quello dell'inizio della presente udienza,
non siano trascorse piu' di quarantotto ore;
      -  sentire  la  persona trattenuta, alla presenza del difensore
avvisato dalla Cancelleria dopo il deposito degli atti.
    Qualora  il  "controllo"  in questione dia esito positivo, questo
giudice dovrebbe infine procedere alla convalida.
    Al  momento  fissato  per l'audizione della persona "trattenuta",
tuttavia,  la  stessa era gia' stata allontanata da via Corelli (cfr.
verbale  dell'udienza  9 novembre 2000 ore 11,45), sicche' il giudice
non  ha  potuto  procedere al suo interrogatorio e si e' riservato di
decidere successivamente.
    Invero,   la   legge   (e  prima  ancora  la  Costituzione  della
Repubblica)  prevede che il giudizio di convalida del "trattenimento"
debba   aver   luogo  indipendentemente  dall'eventuale  sopravvenuto
accompagnamento  alla  frontiera,  sicche'  non  pare  legittima  ne'
sufficiente  una mera pronuncia di "non liquet", dovendosi per contro
esaminare anche in questo caso la legittimita' del trattenimento come
sopra disposto e materialmente attuato.
    Si devono pertanto svolgere le seguenti osservazioni in:

                            D i r i t t o

    Ritiene  il  remittente opportuno premettere che, in questa sede,
dovendosi   unicamente   confrontare  l'astratta  corrispondenza  del
provvedimento  amministrativo  che  dispone  il  trattenimento con la
previsione  di  legge,  non  ci  si potra' soffermare sui presupposti
dell'espulsione,   ne'   sulle  sue  finalita'  ne'  sulle  modalita'
esecutive dell'accompagnamento.
    Pertanto   va   subito   sottolineato   che   i  dubbi  investono
direttamente,  tutti  e  solo,  la  disciplina della presente udienza
camerale.
    D'altro  canto il remittente non ignora le precedenti pronunce di
codesta  Onorevole  Corte,  in  particolare  la sentenza 3-7 febbraio
2000,   n. 31   (che,   per   gli   obblighi  derivanti  da  trattati
internazionali,   ha   dichiarato   inammissibile   la  richiesta  di
referendum  volto  ad  abrogare l'intero testo unico di cui al d.lgs.
25 luglio  1998,  n. 286)  e  prima ancora la sentenza 13-21 novembre
1997,  n. 353  (che,  per  l'impossibilita' di eludere da parte dello
Stato l'obbligo di presidiare le proprie frontiere, ha dichiarato non
fondato  un  dubbio  di  legittimita'  sollevato non dal tribunale di
Milano,  bensi'  dal  tribunale  amministrativo  regionale del Lazio,
circa la negazione di tutela delle persone straniere anche per i casi
umani piu' dolorosi).
    In  altri  termini,  lo scrivente non puo' non prendere atto che,
come   osservato  appunto  nella  sentenza  n. 353/1997,  "le  regole
stabilite   in   funzione   d'un  ordinato  flusso  migratorio  e  di
un'adeguata accoglienza vanno... rispettate".
    Lo  scrivente, peraltro, neppure puo' trascurare di osservare che
proprio  la  legge  in  tema  di  immigrazione  e di condizione delle
persone   straniere,   per  esempio  all'art.  13,  comma  8,  d.lgs.
n. 286/1998, sancisce solennemente che la persona straniera "comunque
presente...  nel  territorio  dello  Stato"  (e quindi anche a chi vi
soggiorni  in  modo non conforme alle leggi) gode tuttavia di tutti i
diritti  fondamentali dell'essere umano, come espressamente stabilito
anche  dall'art. 2,  comma 1, del d.lgs. n. 286/1998; "allo straniero
comunque  presente  alla  frontiera o nel territorio dello Stato sono
riconosciuti  i  diritti  fondamentali  della  persona umana previsti
dalle  norme  di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in
vigore   e   dai  principi  di  diritto  internazionale  generalmente
riconosciuti".
    Tale  osservazione, d'altra parte, risulta confortata anche dalla
recente  sentenza  8-16 giugno  2000,  n. 198,  di  codesta Onorevole
Corte.
    Orbene,  poiche'  appare  difficile  credere  che  il legislatore
nazionale   si   sia  voluto  limitare  a  enunciare,  sia  pure  con
altisonanza,  il  principio della pari dignita' del cittadino e della
persona   straniera,  senza  poi  riconoscergliela  nelle  situazioni
concrete;  poiche' insomma pare difficile supporre che il legislatore
nazionale  abbia  davvero  inteso  sterilizzare  a  priori ogni seria
possibilita' di difesa, di azione e di tutela dello straniero, quanto
meno nella presente fase, appare allora doveroso svolgere le seguenti
osservazioni.
    Muovendo   dalla   condizione  giuridica  dello  straniero  anche
irregolarmente  soggiornante nel territorio italiano, considerando la
natura   reale   del   "trattenimento",   esaminando   poi  le  norme
costituzionali   rilevanti  in  materia,  si  potranno  forse  meglio
delineare  i dubbi di legittimita' costituzionale della normativa che
dovrebbe essere oggi applicata dallo scrivente.
               I diritti costiuzionali dello straniero
    L'approccio  interpretativo  prevalente  in dottrina e' nel senso
che i diritti inviolabili ineriscono alla persona in quanto tale, si'
che  essi devono essere pienamente riconosciuti anche in favore degli
stranieri,  compresi  quelli  che si trovino in posizione formalmente
irregolare.
    Quanto  alla  giurisprudenza costituzionale, anch'essa, sin dalla
sentenza  n. 120  del 1967, ha affermato che "se e' vero che l'art. 3
si  riferisce  espressamente ai soli cittadini, e' anche certo che il
principio  di  uguaglianza vale pure per lo straniero quando trattasi
di rispettare [...] diritti fondamentali".
    Per  questo  anche  a  tutti  gli stranieri e' stata riconosciuta
un'ampia  serie  di  diritti  fondamentali:  il diritto alla liberta'
personale,  il diritto di difesa, la presunzione di non colpevolezza,
il diritto alla tutela giurisdizionale, la liberta' di manifestazione
del pensiero, la liberta' di associazione, il diritto alla segretezza
della  corrispondenza,  la  liberta'  di  religione,  il diritto alla
salute, i diritti di famiglia.
    Proprio   in  tema  di  diritto  di  famiglia,  di  recente  tale
riconoscimento  e'  avvenuto  con  varie  pronunce  che hanno accolto
altrettante eccezioni di illegittimita' costituzionale:
        la   sentenza   12-27  luglio  2000,  n. 376,  ha  dichiarato
illegittimo  l'art. 17,  comma  2,  lettera d, della legge 6 febbraio
1998,  n. 40,  poi  trasfusa  nell'art. 19,  comma  2, lettera d, del
d.lgs.  n. 286/1998, in quanto non estendeva il divieto di espulsione
anche  al  marito convivente della donna in stato di gravidanza o nei
sei mesi successivi alla nascita del figlio, in quanto tale omissione
risultava  ledere  i principi di protezione dell'unita' familiare e i
diritti  umani  fondamentali  inerenti  la comune responsabilita' dei
genitori  nell'educazione dei figli; la Corte ha infatti ritenuto che
la legge ordinaria avesse violato in quel caso gli articoli 2, 3, 10,
29 e 30 della Costituzione, nonche' la Convenzione europea 4 novembre
1950  per  i diritti dell'uomo e le liberta' fondamentali, ratificata
dall'Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848;
        la  sentenza  17-26 giugno 1997, n. 203, richiamando la n. 28
del  1995,  ha affermato che "la garanzia della convivenza del nucleo
familiare   si  radica  nelle  norme  costituzionali  che  assicurano
protezione  alla famiglia e in particolare, nell'ambito di questa, ai
figli  minori; e che il diritto e il dovere di mantenere, istruire ed
educare i figli, e percio' tenerli con se', e il diritto dei genitori
e  dei  figli  minori  ad una vita comune nel segno dell'unita' della
famiglia,  sono  (...) diritti fondamentali della persona che percio'
spettano in via di principio anche agli stranieri";
    la  sentenza 6-13 febbraio 1995, n. 34, ha dichiarato illegittimo
l'art. 7-bis  del  d.l.  30 dicembre  1989,  n. 416, convertito nella
legge  n. 39/1990,  nella  parte  in  cui  prevedeva  il  reato dello
straniero  che  non  si fosse "adoperato" per ottenere dall'autorita'
diplomatica  o consolare il necessario documento di viaggio; la Corte
ha  infatti  ritenuto  che  una definizione normativa cosi' generica,
priva  di  un  referente  naturalistico  concreto, violasse l'art. 25
della  Costituzione  siccome  non  era  rispettosa  del  principio di
tassativita'  della  fattispecie  contenuta nella riserva assoluta di
legge  in  materia  penale, principio consacrato appunto nell'art. 25
della  Costituzione  e  dunque  valido  anche  per  tutte  le persone
straniere.
    Ma pure altre recenti pronunce, pur dichiarando la non fondatezza
dei  dubbi  prospettati  in  quanto  alle lamentate lacune si sarebbe
dovuto sopperire con una diversa interpretazione da parte dei giudici
di merito, hanno riaffermato che anche in capo alla persona straniera
comunque  presente  sul  territorio  italiano  vanno  riconosciuti  i
diritti  fondamentali della persona umana, e in particolare quello di
difesa ex art. 24 della Costituzione:
        la  sentenza  8-22  giugno  2000, n. 227, ha affermato che la
persona  straniera ha sempre diritto a conoscere, nella sua lingua, i
provvedimenti coercitivi o comunque pregiudizievoli adottati nei suoi
confronti  (nella  specie, il provvedimento prefettizio di espulsione
trattandosi   fra   l'altro   di  un  diritto  garantito,  oltre  che
implicitamente dall'art. 24 della Costituzione, anche dall'art. 1 del
protocollo  n. 7  alla  convenzione  per  la salvaguardia dei diritti
dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali, adottato a Strasburgo il
22 novembre  1984,  ratificato  e  reso  esecutivo dall'Italia con la
legge  9 aprile  1990,  n. 98;  dall'art. 13 del patto internazionale
relativo   ai  diritti  civili  e  politici,  fatto  a  New  York  il
19 dicembre 1966, ratificato con la legge 25 ottobre 1977, n. 881);
        la  sentenza  8-16 giugno 2000, n. 198, aveva precedentemente
enunciato   affermazioni   analoghe,   fornendo  una  interpretazione
adeguatrice   dell'art.  13,  comma  8,  del  d.lgs.  n. 286/1998,  e
rinnovando  espressamente  l'affermazione  che  "lo  straniero (anche
irregolarmente  soggiornante)  gode  di  tutti i diritti fondamentali
della  persona  umana, fra i quali quello di difesa, il cui esercizio
effettivo implica che il destinatario di un provvedimento, variamente
restrittivo  della liberta' di autodeterminazione, sia messo in grado
di comprenderne il contenuto e ilsignificato";
        analogamente  aveva  stabilito codesta Onorevole Corte con la
sentenza  12-19  gennaio  1993,  n. 10,  respingendo l'eccezione gia'
allora  sollevata  dall'Avvocatura  di Stato, secondo cui il rispetto
del  principio  di  uguaglianza  non impone una assoluta identita' di
trattamento normativo per situazioni oggettivamente diversificate; in
tale  occasione  la  Corte  aveva  anche  ricordato  che  "il diritto
dell'imputato  ad  essere immediatamente e dettagliatamente informato
nella   lingua   da   lui   conosciuta  della  natura  e  dei  motivi
dell'imputazione   contestatagli  dev'esser  considerato  un  diritto
soggettivo perfetto, direttamente azionabile", ricordando altresi' il
principio  della effettiva partecipazione dell'imputato allo sviluppo
della   sequenza  procedimentale  come  intrinsecamente  connesso  al
diritto   di   difesa  di  cui  all'art.  24  della  Costituzione,  e
sottolineando  che  tale  principio  va  riferito a tutte le fasi del
processo.
    Da  un  simile  quadro  giurisprudenziale,  emerge dunque in modo
assolutamente  inconfutabile  che  qualunque  essere  umano, e dunque
anche  ogni  persona  straniera,  comunque  presente  nel  territorio
italiano,  come  ha espressamente proclamato codesta Onorevole Corte,
"gode di tutti i diritti fondamentali della persona umana".
                    La detenzione amministrativa
    Il "trattenimento" nei "centri di permanenza temporanea" e' stato
istituito  dalla  legge n. 40/1998 e poi trasfuso nell'art. 14 d.lgs.
n. 286/1998.  Esso  ha  il  dichiarato  scopo  di  superare  i limiti
ravvisati  circa  la  cosiddetta  legge  Martelli,  costruita intorno
all'istituto  dell'intimazione  ad  abbandonare  il  territorio dello
Stato,  cui  l'accompagnamento coatto alla frontiera seguiva solo nei
casi di inottemperanza, nonche' i limiti del successivo decreto Conso
(d.l.  n. 107/1993),  leggi  sulle  cui  ceneri  e' poi nata la legge
n. 40/1998  (Napolitano  -  Turco),  ora  raccolta in testo unico nel
d.lgs. n. 286/1998.
    Che  tale "trattenimento" abbia introdotto nel nostro ordinamento
la detenzione amministrativa, risulta innegabile sol che si consideri
che esso si connota:
        come  una restrizione della liberta' personale per un periodo
di   venti   giorni   (prorogabili   a   trenta),   periodo  peraltro
indefinitamente   e   discrezionalmente  reiterabile  fino  a  quando
l'espulsione  non  sia  eseguita  (cio'  che  ben  puo'  dipendere da
elementi    sottratti    alla    volonta'   dello   straniero,   come
l'indisponibilita'  del vettore o la mancanza di collaborazione delle
autorita' consolari estere per la sua identificazione);
        come  una  sanzione, benche' senza reato da espiare, disposta
con un atto amministrativo sostanzialmente discrezionale anziche' con
atto  dell'autorita'  giudiziaria  motivato  (sia sui presupposti sia
sulla durata);
        come    atto   amministrativo   soggetto   a   un   controllo
giurisdizionale  che,  se  non altro a causa della procedura camerale
prescelta,  risulta  decisamente  attenuato  nel  suo contenuto e per
l'effettivita' del contraddittorio che lo precede;
        come  condizione  avverso la quale la persona che vi si trova
e' sostanzialmente neutralizzata nell'esercizio dei diritti effettivi
di difesa;
        come  un  istituto  per  la  tutela della cui effettivita' la
legge  attribuisce  notevoli  poteri  all'autorita'  di  polizia (per
esempio  il  potere  ex  art. 13,  comma  7,  d.lgs.  n. 286/1998  di
ripristinare  senza  ritardo  la  "misura"  qualora  essa  sia  stata
violata);
        come  una  misura  destinata  ad  incidere  notevolmente, per
l'intensita'  e la durata di compressione della liberta' fisica dello
straniero   da   espellere,   sul   diritto   fondamentale   tutelato
dall'art. 13 della costituzione.
    In    questo    modo,   al   sottosistema   strettamente   penale
(tendenzialmente    improntato    al    rispetto    delle    garanzie
costituzionali)  e  al  sottosistema  di polizia e di ordine pubblico
(motivato da istanze di difesa sociale e quindi disancorato da quelle
garanzie),  si  e' deciso di affiancare una sorta di diritto speciale
dello  straniero. Tale diritto speciale si distingue per il fatto che
crea una condizione che sottopone l'immigrato a continui controlli di
polizia,  a  cagione  della  ritenuta  natura  perpetua dell'illecito
amministrativo  che  gli  si  imputa  ossia l'ingresso irregolare nel
nostro  paese),  e  che  neppure  una  condotta  virtuosa, per quanto
protratta  nel  tempo,  potra'  mai  valere a sanare, a differenza di
quanto  accade  per  i  delitti  grazie  a istituti sia ordinari (per
esempio  la  sospensone  condizionale della pena e la riabilitazione)
sia   straordinari   (come  l'amnistia)  che  il  nostro  ordinamento
appronta.
    Trattandosi  di  misura notevolmente afflittiva, il cui contenuto
e'   assolutamente  comparabile  alla  custodia  in  carcere,  appare
evidente  che  anche  alla  detenzione amministrativa, definita dalla
legge  "trattenimento in un centro di accoglienza", devono applicarsi
le garanzie previste dai diritti fondamentali della persona umana.
    Dunque,  dovendosi  riconoscere per gli argomenti innanzi svolti,
che  il  principio di eguaglianza vale anche per tutti gli stranieri,
e'  inevitabile  individuare  nel  regime  penalistico,  per  esempio
dell'arresto,   il  tertium  comparationis  necessario  ai  fini  del
controllo di ragionevolezza e di uguaglianza, in relazione all'art. 3
della Costituzione.
               I dubbi di legittimita' costituzionale
    Il  remittente,  astretto  da una disciplina palesemente intesa a
consentire  al  giudice  solo  un  burocratico  controllo  astratto e
formale,  una  disciplina  che appare solo formalmente ossequiosa del
precetto  costituzionale,  sottopone  pertanto  al  vaglio di codesta
Onorevole Corte i seguenti dubbi.
    L'art.  14, comma 4 t.u. n. 286/1998 dispone che il giudice debba
osservare  per  la  convalida la procedura di cui agli articoli 737 e
ss.  c.p.c..  Tale  procedura  si  applica  normalmente, e per la sua
stessa  natura,  a  oggetti sostanziali che non incidono su diritti o
non  incidono  in  posizione  di  contrasto, tanto che e' destinata a
concludersi con provvedimenti strutturalmente revocabili modificabili
e  quindi  inidonei  a  passare  in giudicato. Queste caratteristiche
strutturali   danno  origine  a  procedimenti  camerali  semplificati
rispetto  ai  quali  risulta  ragionevole la forte attenuazione delle
garanzie    del    contraddittorio   e   delle   prove   cosi'   come
l'impugnabilita'  attraverso  semplice reclamo. Ebbene, in tale parte
il  menzionato  art. 14,  comma  4  pare  essere in contrasto con gli
articoli  3,  10,  13 e 24 della Costituzione, poiche' deve dubitarsi
che una simile procedura "leggera" possa consentire, in modo efficace
e concreto, il riconoscimento della dignita' della persona trattenuta
(anche  se  straniera  e  la  esplicazione  dei suoi diritti di piena
difesa,  diritti  previsti anche dalla Convenzione europea 4 novembre
1950  per  i diritti dell'uomo e le liberta' fondamentali, ratificata
dall'Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848, oltre che dal protocollo
n. 7  alla  convenzione  per  la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle  liberta'  fondamentali  (adottato  a Strasburgo il 22 novembre
1984,  ratificato  e reso esecutivo dall'Italia con la legge 9 aprile
1990,  n. 98) e dal patto internazionale relativo ai diritti civili e
politici,  fatto  a  New York il 19 dicembre 1966, (ratificato con la
legge   25 ottobre  1977,  n. 881),  e  dunque  oggetto  di  doverosa
applicazione  in forza dell'art. 10 della Costituzione. D'altro canto
gli  articoli  3  e  13 vengono in considerazione per il fatto che la
Costituzione  impone  che  la  convalida  (di  atti restrittivi della
liberta'   personale)  da  parte  dell'autorita'  giudiziaria  assuma
ragionevoli   forme  procedimentali  al  fine  di  rendere  effettiva
l'inviolabita' della medesima liberta' al di fuori dei tassativi casi
di legge.
    Lo  stesso  art. 14,  comma  4  testo  unico  risulta  inoltre in
contrasto  con  gli  articoli  3,  10  e  111 della Costituzione (per
ragioni  analoghe  a  quelle  gia' illustrate) nella parte in cui non
consente  al  giudice  procedente di svolgere autonomi e approfonditi
accertamenti  sulla  concreta  sussistenza  delle  ragioni  che  sole
giustificano,   a   norma   del  medesimo  art. 14  testo  unico,  il
"trattenimento".  La  assoluta  genericita' delle motivazioni addotte
dal  Questore  mediante  la barratura di riquadri accanto a parafrasi
dell'art. 14,  comma  1  t.u.,  invero,  esclude che il giudice possa
seriamente   valutare  la  fondatezza  e  la  permanente  sussistenza
dell'impossibilita'   di   accompagnamento  immediato.  Per  esempio,
mancando  ogni  elemento  circa  il  vettore concretamente scelto, il
giudice  non  potra' apprezzare se la discrezionalita' amministrativa
abbia  avuto  qualche  ruolo  nella durata della indisponibilita' del
vettore medesimo.
    In  proposito,  mette  conto  sottolineare che, in tema di misure
custodiali,  la giurisprudenza costituzionale ha piu' volte affermato
che  esse devono ancorarsi a una rigorosa gamma di presupposti (gravi
indizi di colpevolezza relativi a delitti puniti con pene superiori a
precisi limiti edittali; solo allora possono aver rilievo le esigenze
cautelari,    comunque   nei   limiti   dettati   dai   principi   di
proporzionalita' e adeguatezza). Gia' con la sentenza n. 39/1970, per
esempio,  codesta  Onorevole  Corte  ha  dichiarato  l'illegittimita'
dell'art. 220  T.U.L.P.S.,  che  prevedeva l'arresto in flagranza per
reati  puniti  con  la  sola  pena  pecuniaria. Anche con la sentenza
n. 1/1980  - pronunciata dunque in anni che poi si sarebbero detti di
piombo -, si sono individuati limiti di contenuto per la legislazione
in  materia  di  coercizione personale, ed e' legittima la sensazione
che la Corte intendesse allora escludere la possibilita' di dar corso
alla  privazione  della  liberta'  personale  in  ambiti  diversi dal
processo penale.
    Nel  caso  del  "trattenimento",  per converso, la fattispecie di
base  (l'illecito amministrativo rappresentato dall'ingresso illegale
in   Italia)  risulta  sicuramente  caratterizzata  da  un  disvalore
giuridico  e  sociale  parecchio minore rispetto a quello dei delitti
che  consentono  l'applicazione di misure coercitive. Risulta percio'
difficile  sussumere nel precetto costituzionale della ragionevolezza
un istituto, come la detenzione amministrativa in esame, che non solo
si fonda su presupposti di gravita' espressamente valutata minore dal
legislatore   (si   tratta,   come   detto,   di   un  mero  illecito
amministrativo)  ma  per  giunta  consente che tali presupposti siano
unicamente  enunciati  in  forma  per  lo  piu'  affatto generica nel
decreto  che  dispone il "trattenimento" medesimo, senza possibilita'
di riscontro da parte del giudice.
    Ancora,  l'art. 14, comma 4 t.u. risulta inoltre in contrasto con
l'art. 3  e  con l'art. 111 della Costituzione nella parte in cui non
consente  al  giudice  procedente  di  svolgere autonomi accertamenti
sulla  concreta  sussistenza di allegate ragioni che legalmente (come
per  esempio  nel caso di una donna in stato iniziale di gravidanza o
nel  caso  di  chi  abbia richiesto la sanatoria), escludono sia pure
temporaneamente   l'espellibilita'   e   dunque   sarebbero  tali  da
travolgere  anche il "trattenimento" che su quel presupposto si fonda
(poiche',  disapplicato  quel  decreto  prefettizio, anche il decreto
questorile risulterebbe caducato).
    L'art.  14,  comma  3 del medesimo t.u., e del pari l'art. 20 del
regolamento  (d.P.R. n. 394/1999) omettono di imporre che il Questore
(contestualmente  alla  trasmissione  degli atti alla Cancelleria del
giudice  della  convalida)  provveda  anche a informare dell'avvenuto
inizio   del  "trattenimento"  (ossia  dell'inizio  della  detenzione
amministrativa)  il difensore di fiducia eventualmente nominato dallo
straniero o quello di ufficio desumibile dagli elenchi appositi. Cio'
pare   in   contrasto  con  l'art.  24  della  Costituzione,  poiche'
l'omissione  del  tempestivo  avviso  nonconsente alla parte afflitta
dalla  misura  di  approntare le opportune difese col suo patrono con
adeguataponderazione.
    In  proposito,  non e' inutile ricordare che all'iniziale mancata
previsione  di  assistenza  obbligatoria  di  difensore  si  e' posto
rimedio solo col d.P.R. n. 394 del novembre 1999, norme di attuazione
del   testo   unico   sull'immigrazione.   Tuttavia,   l'art. 20  del
regolamento  dispone (diversamente dall'art. 386, comma 2 c.p.p.) che
solo  lo straniero venga avvisato che nell'udienza di convalida sara'
assistito  da  un  difensore  d'ufficio.  Ma  cio'  significa  che il
difensore   d'ufficio   sara'  designato  solo  successivamente,  dal
giudice, e avvisato piu' tardi dalla Cancelleria, all'ultimo momento,
come  pure quello di fiducia. Appare allora evidente che il difensore
non  ha  potuto colloquiare preventivamente con il suo assistito, ne'
ha  potuto  predisporre  un  ricorso  contro l'espulsione che, pur in
presenza   dei   presupposti,  avesse  una  qualche  possibilita'  di
accoglimento.
    Il "trattenuto" vede percio' frustrata l'esperibilita' dell'unico
rimedio  che  abbia  qualche  chance  di  utilita',  ossia appunto il
ricorso  contro  l'espulsione.  Grave  risulta percio' la menomazione
concreta del diritto di difesa sotto il profilo della effettivita'.
    L'art.  14,  comma  5,  del  medesimo t.u. omette di prevedere un
termine  massimo  del "trattenimento" o detenzione amministrativa, in
quanto  esclude  che  il giudice possa accertare se la stessa persona
trattenuta,  in  forza  del  medesimo decreto di esplusione, sia gia'
stata  "trattenuta"  in  precedenza  per  il periodo massimo di venti
giorni,  eventualmente  prorogati.  Cio'  pare violare l'art. 3 della
Costituzione.
    L'art.  14  inoltre impone al giudice di provvedere, con un unico
atto,  a convalidare il "trattenimento" e autorizzare il protrarsi di
tale  detenzione  amministrativa  fino  al  limite  di  venti giorni,
prorogabili  poi  di altri dieci. Cio' rende evidente che al giudice,
in  contrasto  con  gli  articoli  3, 13 e 111 della Costituzione, e'
precluso di apprezzare nel caso concreto quale sia la durata, secondo
una    ragionevole    stima,    dell'allegata    impossibilita'    di
accompagnamento immediato alla frontiera. Reputa invece il remittente
che  una norma rispettosa dei diritti costituzionali fondamentali non
possa   che  devolvere  al  giudice  della  fattispecie  la  relativa
valutazione,  onde  consentire il migliore possibile contemperamento,
nel  caso  concreto,  delle  esigenze di tutela delle frontiere da un
lato,  e  del  sacrificio  della  liberta'  personale  della  persona
"trattenuta"  dall'altro.  Si  osservi in proposito che un periodo di
venti  giorni  di  detenzione amministrativa e' pari al quadruplo del
minimo edittale della (analogamente afflittiva) pena dell'arresto.
    Le questioni sopra sollevate risultano rilevanti per la decisione
sulla convalida del "trattenimento", in quanto:
        l'adozione di una diversa procedura, e segnatamente di quella
prevista   dal   codice   di  procedura  penale  per  l'analogo  caso
dell'arresto, garantirebbe alla persona trattenuta la possibilita' di
svolgere  compiutamente le proprie difese, dopo un approfondito esame
della  situazione  da  parte  della  persona  "trattenuta"  e del suo
difensore; cio' non e' invece attualmente possibile;
        la  piena esplicazione del diritto di difesa, da un lato, e i
poteri istruttori d'ufficio del giudice, consentirebbe a quest'ultimo
di  estendere il proprio controllo a elementi ulteriori rispetto alle
mere  enunciazioni  contenute negli atti amministrativi sottoposti al
suo  vaglio solo formale ed estrinseco nonche' alle allegazioni della
persona "trattenuta"; cio' non e' invece attualmente possibile;
        l'immediato  avviso al difensore avrebbe consentito il previo
incontro  di  costui con la persona "trattenuta" e quindi il libero e
pieno  esercizio  di  ogni  ragionevole  difesa;  cio'  non e' invece
attualmente possibile;
        l'esistenza  di  un limite massimo di cumulo di periodi anche
successivi di "trattenimento" consentirebbe al giudice di verificarne
il   concreto   rispetto  nel  caso  presente;  cio'  non  e'  invece
attualmente possibile;
        il  potere di determinare con prudente apprezzamento il tempo
dell'allegata     impossibilita'    di    accompagnamento    coattivo
consentirebbe  al  giudice di contenere in un termine anche inferiore
ai  venti  giorni  la durata massima del "trattenimento"; cio' non e'
invece attualmente possibile.
    Qualora venisse riconosciuta fondata anche una sola delle censure
qui  illustrate,  sarebbe  allora possibile accertare l'insussistenza
delle  condizioni  necessarie  per la convalida e per il mantenimento
della  detenzione  amministrativa, e nell'ultimo caso sarebbe inoltre
possibile  limitare  il  sacrificio  della  liberta'  personale della
persona "trattenuta".
    Accertata   la  non  manifesta  infondatezza  delle  questioni  e
considerata la loro rilevanza ai fini della decisione, vanno pertanto
adottati i provvedimenti di cui alla parte dispositiva.
                              P. Q. M.
    Letti  ed applicati gli articoli 134 della Costituzione, 11 legge
n. 87/1953;
    Dichiara  non  manifestamente  infondate  rilevanti  ai  fini del
decidere  le  questioni  di  legittimita'  costituzionale del decreto
legislativo n. 286/1998, relativamente all'art. 14 e in particolare:
        art. 14,   comma   4,  laddove  applica  alla  convalida  del
"trattenimento"  la disciplina degli articoli 737 e ss. c.p.c., ossia
una  procedura  manifestamente inidonea ad assicurare la pienezza del
contraddittorio e dell'esplicazione delle difese;
        art. 14,  comma  4,  laddove  esclude  che  il  giudice possa
concretamente accertare la sussistenza dell'assenta impossibilita' di
attuare l'accompagnamento immediato;
        art. 14,  comma  4,  laddove  esclude  che  il  giudice possa
procedere ad accertamenti sulle allegate ragioni idonee a configurare
il   divieto  di  espulsione,  e  conseguentemente  la  mancanza  del
presupposto per il "trattenimento";
        art. 14,   comma 3,   e   art. 20   del   regolamento  d.P.R.
n. 394/1999,  laddove  non  contengono  l'obbligo  di  dare avviso al
difensore, d'ufficio o di fiducia, contestualmente alla comunicazione
al giudice dell'inizio del "trattenimento";
        art. 14, comma 5, laddove non prevede il limite massimo anche
per  il  cumulo successivo di vari periodi di "trattenimento" fondati
sul  medesimo  decreto di espulsione, e conseguentemente impedisce al
giudice di accertare se quel limite sia stato superato;
        art. 14, comma 4, laddove impone al giudice di provvedere con
unico  contestuale  atto  alla  convalida,  e  percio' gli sottrae il
potere  di  determinare il ragionevole termine massimo anche cumulato
del "trattenimento" tenendo conto delle concrete circostanze del caso
e bilanciando i contrapposti interessi della tutela delle frontiere e
quelli di liberta' personale della persona straniera;
    In   riferimento   ai   parametri  costituzionali  rappresentati,
rispettivamente:
        dagli  articoli 3,  10,  13  e  24  della  Costituzione,  che
impongono  la ragionevolezza della discrezionalita' legislativa anche
nella  scelta  della  procedura  da adottarsi per la restrizione e la
convalida della restrizione della liberta' personale, e assicurano il
diritto di difesa anche a tutte le persone;
        dagli  articoli 3, 10 e 111 della Costituzione, che prevedono
l'obbligo  del  giudice  di  espletare  ogni  opportuna  indagine per
accertare  la  verita',  nella  specie relativamente alla sussistenza
dell'impossibilita' di accompagnamento immediato;
        dagli  articoli 3, 10 e 111 della Costituzione, che prevedono
l'obbligo  del  giudice  di  espletare  ogni  opportuna  indagine per
accertare  la verita', nella specie relativamente all'esistenza delle
allegate cause ostative all'espulsione;
        dagli  articoli 3, 10 e 24 della Costituzione, che assicurano
anche a tutte le persone il diritto di piena difesa;
        dagli  articoli 3,  10 e 13 della Costituzione, che impongono
la   ragionevolezza   e  la  parita'  di  trattamento  di  situazioni
identiche,  relativamente  alla  irragionevolezza  della  assenza  di
previsione  di  un  limite  di cumulabilita' di periodi successivi di
coercizione personale;
        dagli  articoli 3,  10 e 13 della Costituzione, che impongono
la   ragionevolezza   e  la  parita'  di  trattamento  di  situazioni
identiche,  relativamente  alla  irragionevolezza  della  assenza  di
previsione  di  un  limite  di cumulabilita' di periodi successivi di
coercizione personale;
        dagli  articoli  3,  10,  13  e  111  della Costituzione, che
impongono la ragionevolezza e la parita' di trattamento di situazioni
identiche,  nonche'  la  devoluzione al giudice della valutazione del
caso concreto, nella specie in relazione agli apprezzamenti di merito
circa   la   durata   massima   prevedibile   dell'impossibilita'  di
accompagnamento immediato;
    Oltre che per gli argomenti meglio illustrati in motivazione;
    Sospende pertanto il procedimento di convalida in corso;
    Dispone  che,  a  cura  della  Cancelleria,  tutti  gli  atti del
presente   giudizio   siano   tempestivamente  trasmessi  alla  Corte
costituzionale;
    Dispone  che, a cura della Cancelleria, la presente ordinanza sia
notificata  al  Presidente del Consiglio dei Ministri, e che ne venga
data  comunicazione  al  Presidente del Senato della Repubblica ed al
Presidente  della  Camera dei Deputati della Repubblica, oltre che al
difensore della persona "trattenuta".
      Milano, addi' il 12 gennaio 2001.
                         Il giudice: Pertile
01C10467