N. 155 SENTENZA 10 - 21 maggio 2001

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Imposte  sui  redditi - Imposizione straordinaria - Redditi di lavoro
  dipendente  -  Trattamenti  di fine rapporto - Obbligo tributario a
  carico  del  datore  di  lavoro,  sostituto d'imposta, di versare a
  titolo  di  acconto  delle  imposte  dovute un importo ragguagliato
  all'ammontare   dei   trattamenti  di  fine  rapporto  maturati  al
  31 dicembre  1996 e 1997 - Assunta irragionevolezza con lesione dei
  principî   di   capacita'  contributiva  e  di  eguaglianza  -  Non
  fondatezza delle questioni.
- Legge  23  dicembre  1996,  n. 662,  art.  3, commi 211 e 213, come
  sostituiti  dall'art.  2,  comma  1,  deld.l.  28 marzo 1997, n. 79
  (convertito, con modificazioni, in legge 28 maggio 1997, n. 140).
- Costituzione, artt. 3 e 53.
(GU n.1000 del 25-5-2001 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Fernando SANTOSUOSSO;
  Giudici:  Massimo  VARI,  Riccardo  CHIEPPA,  Gustavo  ZAGREBELSKY,
Valerio  ONIDA,Carlo  MEZZANOTTE,  Guido  NEPPI MODONA, Piero Alberto
CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei  giudizi  di  legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 211,
della  legge  23 dicembre  1996, n. 662, (Misure di razionalizzazione
della  finanza  pubblica)  come  sostituito dall'art. 2, comma 1, del
d.l.  28 marzo  1997, n. 79 (Misure urgenti per il riequilibrio della
finanza  pubblica), convertito, con modificazioni, in legge 28 maggio
1997,  n. 140, e dell'art. 3, comma 213, della legge n. 662 del 1996,
come  sostituito dal citato art. 2, comma 1, del d.l. n. 79 del 1997,
promossi  con  ordinanze  emesse il 28 ottobre 1998 dalla Commissione
tributaria  di  Forli',  il  3 novembre  1999  (n. 2 ordinanze) dalla
Commissione  tributaria  provinciale  di  Chieti, il 15 novembre 1999
dalla  Commissione  tributaria provinciale di Torino e il 30 novembre
1999   dalla   Commissione   tributaria   provinciale  di  Benevento,
rispettivamente  iscritte  al n. 136 del registro ordinanze 1999 e ai
nn. 84,  85, 158 e 434 del registro ordinanze 2000 e pubblicate nella
Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n. 11  -  1a serie speciale -
dell'anno  1999  e  nn. 10,  16  e 30 - 1a serie speciale - dell'anno
2000.
    Visti l'atto di costituzione della Silcea s.r.l. nonche' gli atti
di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  28 novembre  2000  il giudice
relatore Riccardo Chieppa;
    Uditi   l'avvocato   Ignazio  Manzoni  per  la  Silcea  s.r.l.  e
l'Avvocato   dello  Stato  Giorgio  D'Amato  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.   -   Nel   corso   di  un  giudizio,  avente  ad  oggetto  il
silenzio-rifiuto  in ordine alla richiesta di rimborso del versamento
di ritenute effettuato quale sostituto d'imposta sugli accantonamenti
per  il  trattamento  di fine rapporto (T.F.R.) dei propri dipendenti
promosso  dalla  Societa'  Silcea  s.r.l.,  la commissione tributaria
provinciale  di  Forli', con ordinanza emessa in data 28 ottobre 1999
(r.o.  n. 136  del  1999),  ha  sollevato  questione  di legittimita'
costituzionale  dell'art. 3, comma 211, della legge 23 dicembre 1996,
n. 662  (Misure  di  razionalizzazione  della finanza pubblica), come
sostituito  dall'art. 2,  comma  1,  del  d.l.  28 marzo  1997, n. 79
(Misure   urgenti   per  il  riequilibrio  della  finanza  pubblica),
convertito, con modificazioni, in legge 28 maggio 1997, n. 140.
    Le predette norme impongono ai sostituti d'imposta per redditi di
lavoro dipendente l'obbligo di versare al fisco un acconto (variabile
a   seconda  della  base  occupazionale)  delle  imposte  dovute  dai
dipendenti sui trattamenti di fine rapporto maturati a fine 1996 ed a
fine 1997.
    Il  giudice a quo, riconosciuta la legittimazione del sostituto a
sollevare  l'eccezione  di  incostituzionalita',  atteso che la norma
denunciata  impone  a  quest'ultimo  un comportamento suscettibile di
recargli    danno,    rileva    che   la   disposizione   denunciata,
sostanzialmente,  imporrebbe  al  datore  di lavoro la corresponsione
anticipata  di  una  quota  del  trattamento  che  sarebbe  dovuta al
lavoratore  soltanto  al  termine  del  rapporto  di  lavoro,  con la
conseguenza  che  l'imposta  inciderebbe sul patrimonio del datore di
lavoro   e   non   su  quello  del  contribuente,  rappresentato  dal
lavoratore.
    Infine,  l'imposta  non  sarebbe commisurata alla reale capacita'
contributiva del lavoratore, il quale non avrebbe ancora percepito il
reddito tassato.
    Per  quanto sopra verrebbero violati l'art. 3 della Costituzione,
che impone l'uguaglianza tributaria dei cittadini, tenuto anche conto
che  l'obbligo non e' a carico di tutti, ma soltanto di coloro che si
trovano  in  determinate  condizioni  (aziende  che  occupano piu' di
cinque  o  di  quindici  dipendenti  alla  data del 30 ottobre 1996),
nonche' l'art. 53 della Costituzione, in quanto l'imposta non sarebbe
correlata   ad  alcuna  concreta  capacita'  contributiva,  la  quale
dovrebbe presupporre un reddito reale e non virtuale.
    2.  - Avanti a questa Corte si e' costituita la parte privata del
giudizio   a   quo,   la   quale  ha  richiesto  la  declaratoria  di
illegittimita'   costituzionale   delle  norme  impugnate,  svolgendo
argomentazioni   adesive   a   quelle   riferite,  sottolineando,  in
particolare,  come  caratteristica  comune  a  tutte  le  ipotesi  di
sostituzione,  previste  dall'attuale normativa in materia di imposte
dirette,  quella  secondo  cui la ritenuta dovrebbe essere effettuata
dal  sostituto  all'atto  del  pagamento  dei  corrispettivi, quando,
cioe',  sia  sorto  l'obbligo  di  corrispondere  i  compensi,  e  il
conseguente  versamento  dell'imposta dovrebbe avvenire in un momento
successivo.
    Da   tale  sistema  non  conseguirebbe,  quindi,  alcun  fenomeno
impositivo di carattere formale o sostanziale.
    Di   contro,   l'obbligo  di  versare  le  ritenute  sulle  somme
accantonate  per il T.F.R. opera - in base alla normativa impugnata -
prima  che si sia perfezionato l'obbligo del pagamento delle somme su
cui le ritenute stesse dovrebbero operare.
    Tanto   meno,   il   prelievo   in  discussione  potrebbe  essere
considerato  alla stregua di una imposta patrimoniale, atteso che gli
accantonamenti su cui dovrebbe incidere costituiscono un debito e non
un'attivita'  o  un  prestito  forzoso,  come  tale  rientrante nelle
prestazioni  patrimoniali  di  cui all'art. 23 della Costituzione, in
quanto  mancherebbe la previsione di un interesse sulle pretese somme
incassate a prestito.
    Aggiunge, infine, che in realta' l'anticipazione di versamento di
ritenute  si  tradurrebbe  in  una  ingiustificata  forma  occulta di
prelievo  fiscale,  ricadente  solo  su  una  categoria  di  soggetti
(imprenditori),  al  di fuori delle garanzie di cui all'art. 53 della
Costituzione.
    3.  -  E'  altresi'  intervenuto  il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,   che   ha  concluso  per  la  infondatezza  della  questione,
osservando  che  la  norma  impugnata  rientrerebbe nel piu' generale
istituto del sostituto d'imposta, che risponderebbe a meri criteri di
tecnica tributaria, finalizzati alla agevolazione dell'accertamento e
della riscossione dei tributi.
    Tale  disciplina,  peraltro,  non  violerebbe  il principio della
commisurazione  del  tributo alla capacita' contributiva, giacche' e'
sufficiente  che  un  reddito  presenti  una concreta possibilita' di
essere  prodotto,  come, peraltro, l'acconto d'imposta e' commisurato
al trattamento gia' maturato.
    4.  -  La  commissione  tributaria  provinciale  di  Chieti,  con
ordinanze  emesse  il 3 novembre 1999 (r.o. nn. 84 e 85 del 2000), ha
sollevato  la medesima questione, svolgendo argomentazioni analoghe a
quelle sopra riferite.
    Anche  nel  giudizio  introdotto  con l'ordinanza sopra citata ha
spiegato  intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, con il
patrocinio  dell'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per
la infondatezza dellaquestione.
    5.  -  La  commissione  tributaria  provinciale  di  Torino,  con
ordinanza  emessa  il  15 novembre  1999  (r.o.  n. 158 del 2000), ha
sollevato  la medesima questione, svolgendo argomentazioni analoghe a
quelle gia' riferite.
    L'Avvocatura  generale  dello  Stato,  intervenuta  anche in tale
giudizio  in rappresentanza e difesa del Presidente del Consiglio dei
ministri, ha concluso per la infondatezza della questione.
    6.  -  La  commissione  tributaria  provinciale di Benevento, con
ordinanza  emessa  il  30 novembre  1999(r.o.  n. 434  del  2000), ha
denunciato,  in  riferimento  ai  medesimi  parametri costituzionali,
oltre  alla norma gia' indicata, anche il comma 213 dell'art. 3 della
legge 23 dicembre 1996, n. 662, come sostituito dall'art. 2, comma 1,
del  d.l. n. 79 del 1997, aggiungendo ai rilievi gia' riferiti che la
onerosita'  dell'acconto  in  questione  verrebbe  riconosciuta dallo
stesso  legislatore,  avendo  questi  previsto  l'accesso al fondo di
garanzia  di  cui  all'art. 2 della legge n. 297 del 1982, al fine di
consentire  al  datore di lavoro di procurarsi le risorse finanziarie
necessarie per far fronte agli obblighi di legge.
    Anche in tale giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio
dei ministri, con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato,
che ha concluso per la infondatezza della questione.
    7.  -  Nell'imminenza  della  data fissata per l'udienza pubblica
relativa al giudizio introdotto con l'ordinanza r.o. n. 136 del 1999,
la  Societa'  Silcea,  parte privata nel giudizio a quo ha depositato
una  memoria, con la quale ribadisce le proprie conclusioni in ordine
alla illegittimita' costituzionale della norma impugnata.
    In  particolare,  ha  sottolineato,  confutando le argomentazioni
addotte  dalla difesa erariale, che il diritto al trattamento di fine
rapporto  ed  il  diritto al pagamento della relativa indennita' sono
momenti diversi. Infatti, il diritto a percepire il T.F.R. e, quindi,
il  diritto  al pagamento della relativa indennita', sorge unicamente
al  momento  della  cessazione  del rapporto di lavoro. Prima di tale
momento,  il  lavoratore  vanta  un  diritto  di  credito  non ancora
esigibile.
    Ne  consegue che l'obbligo imposto dalla norma impugnata, essendo
destinato  ad  operare  anche  molti  anni prima della cessazione del
rapporto  di  lavoro,  comporta,  a  carico del datore di lavoro, una
anticipazione  a  tempi lunghi, con effetti finanziari certamente non
comparabili  con  quelli  che  si verificano nella normale ipotesi di
sostituzione.
    8.  -  Anche  l'Avvocatura generale dello Stato ha presentato una
memoria, con la quale ha ribadito le conclusioni gia' rassegnate.
    In  particolare,  la  difesa  erariale  ha  sottolineato  come il
fenomeno  impositivo  previsto  dalle  disposizioni  censurate  debba
essere ricostruito in termini diversi, tenendo conto:
        a)    della   parametrazione   dell'obbligo   di   versamento
all'ammontare  complessivo  dei trattamenti di fine rapporto maturati
al  31 dicembre,  rispettivamente, dell'anno 1996 e 1997, del quale i
datori  di  lavoro hanno la disponibilita' finanziaria, fruendo della
relativa liquidita';
        b)  della  determinazione  della  misura  dei  versamenti  in
percentuale  fissa,  inferiore  all'aliquota  minima  individuale dei
singoli lavoratori;
        c)  del riferimento alle caratteristiche del datore di lavoro
per  stabilire  le  agevolazioni ed esenzioni soggettive dall'obbligo
del versamento;
        d)   dell'utilizzabilita'  del  "credito  d'imposta"  per  il
versamento  delle ritenute applicate sui trattamenti di fine rapporto
corrisposti  a  decorrere  dal  1o gennaio  2000;  la misura di detta
utilizzabilita'   varia,   inoltre,  in  relazione  al  rapporto  tra
ammontare   del   credito   d'imposta  ed  ammontare  del  monte  dei
trattamenti di fine rapporto al 1o gennaio 2000.
    Nella  memoria si segnala, altresi', che nella specie trattasi di
una  imposizione  straordinaria una tantum, con un meccanismo consono
alla qualita' del contribuente, finalizzata all'adeguamento dei conti
pubblici  ai  parametri  previsti  dal Trattato di Maastricht al pari
dell'istituzione del c.d. contributo straordinario per l'Europa.
    Anche  relativamente  ai  giudizi  introdotti  con  le  ordinanze
nn. 84,  85,  158  e  434  del  2000  sono  state  depositate memorie
nell'interesse  dell'Autorita'  interveniente,  con  cui  sono  state
svolte argomentazioni analoghe a quelle da ultimo riferite.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Le  questioni  sottoposte  all'esame  della  Corte  in via
incidentale,  con  le  cinque  ordinanze  di  rimessione  indicate in
epigrafe,  riguardano  la  legge  23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di
razionalizzazione  della finanza pubblica), limitatamente all'art. 3,
comma  211,  sostituito dall'art. 2, comma 1, del d.l. 28 marzo 1997,
n. 79  (Misure  urgenti  per il riequilibrio della finanza pubblica),
convertito,  con  modificazioni, in legge 28 maggio 1997, n. 140, cui
la  commissione  tributaria  provinciale  di Benevento ha aggiunto la
impugnazione  del  comma  213  dello  stesso  articolo  3,  anch'esso
sostituito dall'art. 2, comma 1, del d.l. n. 79 del 1997.
    2.  -  In  via  preliminare, va disposta la riunione dei giudizi,
promossi  con  le  indicate  ordinanze,  che  sollevano  la  medesima
questione, in riferimento agli stessi parametri costituzionali.
    3.  -  Le  norme  impugnate, nel testo risultante dalle modifiche
indicate,  prevedono a carico dei sostituti di imposta per redditi di
lavoro  dipendente  un obbligo tributario di versamento di un importo
pari - a seconda della base occupazionale dell'azienda - al 2, 5,89 e
3,89  per cento (nel testo originario unico versamento al 2 per cento
per  il 1996), ragguagliato all'ammontare complessivo dei trattamenti
di fine rapporto (in seguito T.F.R.), di cui all'art. 2120 del codice
civile,  maturati  al  31 dicembre  rispettivamente, dell'anno 1996 e
1997,  a  titolo  di acconto delle imposte dovute su tali trattamenti
dai  dipendenti.  Viene  previsto  a  favore  del datore di lavoro un
meccanismo,  a  cominciare  dal  1o gennaio  2000, di utilizzazione a
percentuale  dell'acconto  come "credito di imposta" per i versamenti
delle   ritenute   sui  T.F.R.  corrisposti  e  con  possibilita'  di
utilizzazione  anticipata  in  relazione  al  rapporto tra credito di
imposta e trattamenti residui.
    I  giudici  rimettenti  denunciano  la  violazione degli artt. 3,
sotto  il profilo del principio di uguaglianza tributaria, e 53 della
Costituzione,  in  quanto il prelievo non sarebbe correlato ad alcuna
capacita' contributiva.
    4. - La questione e' priva di fondamento.
    Preliminarmente  deve  essere chiarito che trattasi di previsione
di  imposizione  tributaria, con aliquote (in ogni caso di gran lunga
inferiori  alla  tassazione dei T.F.R.) differenziate a seconda della
base  occupazionale (numero dei dipendenti) limitata a due annualita'
(con  versamenti  in  due  rate  per  ciascuna  annualita),  riferite
all'ammontare  complessivo  del  T.F.R.  maturato  rispettivamente al
31 dicembre  del  1996  e  del  1997, con determinazione dei soggetti
tenuti  attraverso  il  richiamo  all'art. 23 del d.P.R. 29 settembre
1973,   n. 600   (sostituti  di  imposta  per  i  redditi  di  lavoro
dipendente).
    I  versamenti  posti a carico dei predetti soggetti sono indicati
dal  legislatore  come  effettuati "a titolo di acconto delle imposte
dovute su tali trattamenti", con un sistema di recupero attraverso il
metodo  di  "crediti  di imposta" a percentuale. E' previsto che tale
sistema  venga utilizzato, in via ordinaria, a partire dal 1o gennaio
2000:   cio'   fino  a  concorrenza  del  9,78  per  cento  di  detti
trattamenti,    ovvero,   se   superiore,   fino   alla   percentuale
corrispondente al rapporto tra crediti di imposta residui a tale data
e T.F.R. residui risultanti alla stessa data. E' altresi' previsto il
recupero  tramite  il  credito  di imposta anche prima di tale ultima
data  -  fin  dal 1o gennaio 1997 per l'anticipo calcolato sul T.F.R.
maturato  al  31 dicembre  1996  e dal 1o gennaio 1998 per l'anticipo
successivo - purche' il credito di imposta superi il 12 per cento dei
trattamenti residui.
    5.   -   La  verifica  della  legittimita'  costituzionale  della
normativa denunciata sotto il profilo della violazione degli articoli
3  e  53  della Costituzione deve partire dalla considerazione che il
"contribuente"  nella  fase dell'anticipazione (cio' che interessa in
questa sede, trattandosi di controversia originata dalla richiesta di
rimborso  da  parte  di  datore di lavoro) deve essere considerato il
datore   di   lavoro.  Il  riferimento  al  sostituto  di  imposta  e
all'ammontare  dei T.F.R. "maturati" ad una certa data serve solo per
individuare i soggetti tenuti al pagamento dell'imposta straordinaria
ed a determinarne l'importo in relazione agli stessi T.F.R. maturati,
nonche'  a  garantire  il  sistema  del  recupero dell'imposta con un
meccanismo  che  entra  a  regime  attraverso i crediti di imposta da
utilizzarsi  all'atto  della  effettiva  corresponsione  dei T.F.R. a
cominciare  dal 1o gennaio 2000 (salvo talune eccezioni con anticipo,
rispetto a tale data).
    In   realta'   si  tratta  di  una  previsione  di  contribuzione
tributaria  straordinaria, con esclusione di ogni carattere periodico
o  continuativo  (per una volta soltanto: ripartita negli anni 1996 e
1997),  che,  dal  punto  di  vista  giuridico  ed  economico,  grava
esclusivamente  sul  datore  di  lavoro,  essendo denaro dello stesso
imprenditore accantonato a fronte di futuri oneri.
    Infatti,  la  capacita'  contributiva  non presuppone l'esistenza
necessariamente   di  un  reddito  o  di  un  reddito  nuovo,  ma  e'
sufficiente  che  vi  sia  un  collegamento tra prestazione imposta e
presupposti  economici presi in considerazione, in termini di forza e
consistenza  economica  dei  contribuenti  o  di  loro disponibilita'
monetarie  attuali,  quali  indici  concreti  di situazione economica
degli stessi contribuenti. Le quote di accantonamento del T.F.R. (sia
meramente  contabili,  come  passivo  iscritto  in bilancio, o reali)
rappresentano,  comunque, una disponibilita' per il datore di lavoro,
come    forma   di   autofinanziamento,   indicativo   di   capacita'
contributiva.
    E'   irrilevante   -  ai  fini  della  presente  questione  -  se
l'accantonamento  del  T.F.R.  sia stato investito o meno e se, a sua
volta,  produca autonomo reddito per l'imprenditore; allo stesso modo
resta  ugualmente  fuori  campo,  in questa fase di anticipazione, la
posizione  del  lavoratore,  in quanto l'anticipo di imposta da parte
del  datore  di lavoro non comporta una corresponsione anticipata del
T.F.R.;  il  lavoratore,  infatti,  rimane  completamente estraneo ed
indifferente rispetto alla suddetta operazione tributaria.
    Del   resto   deve   essere  sottolineata  l'essenzialita'  della
disponibilita'  delle  somme  costituenti  accantonamento  T.F.R., in
quanto  vengono  escluse  dalla  imposizione le somme gia' erogate ai
lavoratori  a  titolo  di anticipazione e quelle destinate alle forme
pensionistiche  complementari, che determinano di fatto una riduzione
dell'autofinanziamento  per  i  datori di lavoro, con eventuali costi
aggiuntivi.
    In   realta',   per   capacita'   contributiva,  deve  intendersi
l'idoneita'  soggettiva  alla obbligazione di imposta, deducibile dal
presupposto economico, al quale la prestazione e' collegata (sentenze
n. 62   del  1977;  n. 92  del  1972),  ossia  l'esistenza  di  causa
giustificativa  del  prelievo  sulla  base  di  indici  concretamente
rivelatori (sentenza n. 201 del 1975).
    Pertanto  non  appare  manifestamente irragionevole la scelta del
legislatore  di  considerare  come  indice di capacita' contributiva,
legata  alla  struttura  della imposta - cio' in relazione anche alla
entita'  delle  aliquote  -  la disponibilita' da parte del datore di
lavoro  delle  somme  corrispondenti  ai T.F.R. maturati ad una certa
data: il collegamento tra imposizione e disponibilita' del T.F.R. non
e' palesemente arbitrario.
    Cio'   -   si   noti  -  ai  fini  di  un'imposizione  tributaria
straordinaria, con aliquote fisse in ogni caso notevolmente inferiori
alla  tassazione  definitiva  dei  T.F.R., con contenuto economico di
mero  anticipo  forzoso  a  carico dei datori di lavoro, destinato ad
essere,   in   un   periodo   relativamente   breve,  recuperato  con
rivalutazione  annuale  (identica  a  quella del T.F.R.). Infatti, e'
previsto  un  minore versamento da parte dei datori di lavoro (questa
volta con piena corrispondenza alla figura tributaria di sostituti di
imposta) per ritenute dovute sui T.F.R. corrisposte ai lavoratori. Il
recupero  delle somme anticipate dai datori di lavoro avviene in base
a  previsione  regolata  findall'inizio  dalla  legge,  attraverso un
meccanismo  di  credito  di  imposta  calcolato,  per  ogni  anno  al
31 dicembre,  fino a concorrenza del 9,78 per cento degli importi dei
detti trattamenti ovvero, se superiore, alla percentuale del rapporto
tra  credito  di  imposta  residuo  e  T.F.R. "risultanti alla stessa
data".
    Deve,   inoltre,   essere   sottolineato,  anche  ai  fini  della
ragionevolezza   della   scelta  del  legislatore,  che  trattasi  di
imposizione  (v.  premesse  e  artt. 1  e 14 del d.l. n. 79 del 1997)
esclusivamente  "finalizzata  all'adeguamento  dei  conti pubblici ai
parametri  previsti  dal Trattato di Maastricht" (v. ordinanza n. 341
del 2000 a proposito del coevo contributo per l'Europa).
    6. - Quanto alla pretesa violazione del principio di eguaglianza,
in quanto non tutti i datori di lavoro sarebbero tenuti ai versamenti
e'  sufficiente,  ai  fini  della  infondatezza, rilevare che tutti i
soggetti  (aventi  una  determinata  dimensione  occupazionale: oltre
cinque  dipendenti)  che  svolgono attivita' di impresa, compresi gli
enti  pubblici  economici,  nonche'  coloro  che  esercitano  arti  e
professioni, sono tenuti al versamento tributario.
    Sono  invece  escluse,  con  una  scelta  non  irragionevole,  le
amministrazioni   pubbliche   (individuate   dall'art. 1   del   d.l.
3 febbraio   1993,   n. 29)   in   relazione   alle   diversita'   di
configurazione (ancorche' sempre con natura di retribuzione differita
con  funzione  previdenziale)  e di finanziamento della indennita' di
buonuscita  o  di  fine  rapporto  per  i  dipendenti delle anzidette
amministrazioni ed alla finalita' di riequilibrare i bilanci pubblici
e  contenere il disavanzo pubblico, rispetto alla quale sarebbe stata
contraddittoria  ed  illogica  una inclusione degli enti pubblici non
economici.
    Restano   da  considerare  le  differenze  circa  l'ambito  della
imposizione  e  circa  la  percentuale impositiva. In particolare, e'
rispettivamente  prevista  una  fascia  di  esenzione  (fino a cinque
dipendenti)  ed  una  variabilita'  della  percentuale  impositiva in
funzione  del  numero  di  dipendenti: secondo che essi siano piu' di
cinque,  o  di  numero da 16 a 50, con riduzione per gli ultimi dieci
assunti  e con l'effetto di stabilire l'imposta in misura piena per i
datori  di  lavoro con oltre cinquanta dipendenti. E' evidente che la
scelta  legislativa  tiene  conto della diversa influenza e rilevanza
dell'autofinanziamento, in relazione al numero dei dipendenti ed alla
dimensione   dell'impresa   stessa.   Elementi,  questi,  considerati
rilevanti  ai  fini  del  fondamento  e  della coerenza interna della
imposizione, in un quadro complessivo di sistema, in cui la capacita'
contributiva   deve   inserirsi:   sistema  informato  a  criteri  di
progressivita',  come  svolgimento  ulteriore,  nello specifico campo
tributario,  del  principio  di  eguaglianza, collegato al compito di
rimozione  degli  ostacoli  economico-sociali esistenti di fatto alla
liberta'  ed  eguaglianza  dei cittadini-persone umane, in spirito di
solidarieta'  politica,  economica  e  sociale  (artt. 2  e  3  della
Costituzione: ordinanza n. 341 del 2000).
    Pertanto   deve   essere   esclusa,   anche  per  questo  profilo
dell'art. 3  della  Costituzione,  una  manifesta  irragionevolezza o
palese arbitrarieta' della scelta legislativa.
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riuniti i giudizi,
    Dichiara  non fondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 3,  comma 211, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure
di   razionalizzazione   della  finanza  pubblica),  come  sostituito
dall'art. 2,  comma  1, del d.l. 28 marzo 1997, n. 79 (Misure urgenti
per   il   riequilibrio  della  finanza  pubblica),  convertito,  con
modificazioni,   in  legge  28 maggio  1997,  n. 140,  sollevata,  in
riferimento  agli  artt. 3 e 53 della Costituzione, dalle commissioni
tributarie  provinciali  di  Forli',  di  Chieti  e  Torino,  con  le
ordinanze indicate in epigrafe;
    Dichiara  non fondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 3,  commi  211  e  213,  della  legge n. 662 del 1996, come
sostituito  dall'art. 2,  comma  1,  del  citato d.l. n. 79 del 1997,
sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla
commissione  tributaria  provinciale  di  Benevento  con  l'ordinanza
indicata in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 maggio 2001.
                     Il Presidente: Santosuosso
                        Il redattore: Chieppa
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 21 maggio 2001
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
01C0520