N. 156 SENTENZA 10 - 21 maggio 2001

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Istituzione  dell'imposta  sulle  attivita' produttive - Questione di
  legittimita'  costituzionale - Denuncia dell'intero corpo normativo
  in materia - Inammissibilita'.
- D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446.
Imposta  regionale  sulle  attivita'  produttive - Indeducibilita' ai
  fini  delle  imposte  sui  redditi  -  Difetto  di  rilevanza della
  questione - Inammissibilita'.
- D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 1.
- Costituzione, artt. 3 e 53.
Imposta  regionale  sulle attivita' produttive - Acconto di imposta -
  Riduzione - Determinazione ministeriale degli ammontari del maggior
  carico  impositivo rispetto a quello derivante da tributi soppressi
  - Difetto di rilevanza della questione - Inammissibilita'.
- D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 45, comma 3.
- Costituzione, art. 23.
Imposta   regionale   sulle   attivita'   produttive   -  Rimborsi  -
  Legittimazione passiva nel giudizio a quo - Motivazione sufficiente
  sul punto - Eccezione di irrilevanza della questione - Reiezione.
Imposta   regionale   sulle   attivita'   produttive   -  Presupposto
  dell'imposta  e  base imponibile - Assunto contrasto con i principî
  di  eguaglianza  e di capacita' contributiva - Non fondatezza delle
  questioni.
- D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, artt. 2, 4, 8 e 11.
- Costituzione, artt. 3 e 53.
Imposta  regionale  sulle  attivita'  produttive - Soggetti passivi -
  Assoggettamento  all'imposta dei lavoratori autonomi esercenti arti
  e  professioni - Asserita violazione del criterio direttivo fissato
  con la legge delega - Non fondatezza delle questioni.
- D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 3, comma 1, lettera c).
- Costituzione,  art.  76,  in relazione all'art. 3, comma 143, della
  legge 23 dicembre 1996, n. 662.
Imposta  regionale  sulle  attivita'  produttive - Soggetti passivi -
  Ritenuta  equiparazione,  priva  di giustificazione, tra redditi di
  lavoro  autonomo  e  redditi  di impresa - Lamentata violazione dei
  principî  di eguaglianza, di capacita' contributiva e di tutela del
  lavoro - Non fondatezza delle questioni.
- D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, artt. 2, 3, 4, 8 e 11.
- Costituzione, artt. 3, 35 e 53.
Imposta  regionale  sulle  attivita'  produttive - Soggetti passivi -
  Lamentata,  ingiustificata,  disparita' di trattamento in danno dei
  lavoratori   autonomi   rispetto  ai  lavoratori  subordinati  (non
  assoggettati all'imposta) - Non fondatezza delle questioni.
- D.Lgs.  15  dicembre  1997, n. 446, artt. 2, 3, comma 1, lettera c)
  (in combinato disposto).
- Costituzione, art. 3.
Imposta  regionale  sulle  attivita'  produttive - Soggetti passivi -
  Individuazione  dei  soli  esercenti  arti  e professioni, e non di
  altri  lavoratori  autonomi - Lamentata violazione del principio di
  eguaglianza - Non fondatezza delle questioni.
- D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 3.
- Costituzione, art. 3.
Imposta  regionale  sulle  attivita'  produttive  -  Istituzione, con
  contestuale  soppressione  dei  previgenti contributi - Conseguente
  imposizione,  a  carico  di  alcune  categorie di contribuenti, del
  finanziamento  del  Servizio  sanitario  nazionale - Non fondatezza
  delle questioni.
- D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, artt. 3 e 36.
- Costituzione, art. 3.
(GU n.1000 del 25-5-2001 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Fernando SANTOSUOSSO;
  Giudici:  Massimo  VARI,  Riccardo  CHIEPPA,  Gustavo  ZAGREBELSKY,
Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA,
Piero  Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI,Franco BILE, Giovanni Maria
FLICK;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei  giudizi  di  legittimita' costituzionale del decreto legislativo
15 dicembre  1997,  n. 446  (Istituzione dell'imposta regionale sulle
attivita'  produttive,  revisione  degli  scaglioni, delle aliquote e
delle   detrazioni   dell'Irpef  e  istituzione  di  una  addizionale
regionale  a  tale  imposta,  nonche'  riordino  della disciplina dei
tributi  locali),  promossi  con  ordinanze  emesse il 6 ottobre 1999
dalla  commissione  tributaria  provinciale  di Torino, il 18 ottobre
1999   dalla   commissione   tributaria   provinciale   di  Como,  il
23 settembre   1999   (2   ordinanze)  dalla  commissione  tributaria
provinciale   di   Torino,   il  27 ottobre  1999  dalla  commissione
tributaria  provinciale di Milano, il 21 marzo 2000 dalla commissione
tributaria  provinciale  di Parma, il 23 marzo 2000 dalla commissione
tributaria  provinciale  di Como, il 19 giugno 2000 dalla commissione
tributaria  provinciale di Trapani, il 10 maggio 2000 ed il 26 maggio
2000  (2  ordinanze)  dalla  commissione tributaria di primo grado di
Bolzano, il 3 luglio 2000 dalla commissione tributaria provinciale di
Genova,  il 27 marzo 2000 dalla commissione tributaria provinciale di
Lecco,  il  5 giugno 2000 dalla commissione tributaria provinciale di
Reggio  Emilia  ed  il  29 febbraio 2000 dalla commissione tributaria
provinciale  di  Piacenza,  rispettivamente iscritte ai nn. 707 e 725
del registro ordinanze 1999 ed ai nn. 23, 24, 53, 289, 330, 554, 571,
576,  577,  637,  642,  684  e  694  del  registro  ordinanze  2000 e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 52 - 1a serie
speciale - dell'anno 1999 e nn. 3, 6, 9, 23, 25, 41, 42, 43, 45, 46 e
48 - 1a serie speciale, dell'anno 2000.
    Visti gli atti di costituzione dello Studio "Verna", dello Studio
"Rosina  &  Associati",  della  Regione  Liguria  nonche' gli atti di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 23 gennaio 2001 e nella camera di
consiglio del 24 gennaio 2001 il giudice relatore Annibale Marini;
    Uditi  l'avvocato  Francesco  Tesauro  per  lo  Studio  "Verna" e
l'Avvocato  dello  Stato  Giancarlo  Mando'  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Con  ordinanza  emessa  il  6 ottobre  1999 la commissione
tributaria  provinciale  di  Torino ha sollevato, in riferimento agli
artt. 3,  23,  53  e 76 della Costituzione, questione di legittimita'
costituzionale  del  decreto  legislativo  15 dicembre  1997,  n. 446
(Istituzione   dell'imposta  regionale  sulle  attivita'  produttive,
revisione   degli   scaglioni,  delle  aliquote  e  delle  detrazioni
dell'Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta,
nonche' riordino della disciplina dei tributi locali).
    Premesso,  quanto alla rilevanza della questione, che il giudizio
a  quo ha ad oggetto il ricorso, proposto da un contribuente, avverso
il  silenzio-rifiuto  dell'Amministrazione  su un'istanza di rimborso
del  primo  acconto dell'imposta regionale sulle attivita' produttive
(IRAP)  per  l'anno  1998,  il  rimettente  espone  che  il  medesimo
ricorrente  ha  eccepito l'illegittimita' costituzionale del predetto
decreto legislativo sotto diversi profili e precisamente:
        a) per  contrasto  con  l'art. 3  Cost.,  in  quanto parifica
l'esercizio   di  arti  e  professioni  all'attivita'  di  impresa  e
discrimina il lavoro autonomo rispetto a quello dipendente;
        b) ancora  per  contrasto  con  l'art. 3 Cost., avendo l'IRAP
assorbito il contributo al Servizio sanitario nazionale (S.S.N.), che
prima  era  pagato  da  tutti i contribuenti, ponendolo in tal modo a
carico soltanto di alcune categorie di cittadini;
        c) per  contrasto  con  l'art. 53  Cost.,  in quanto la nuova
imposta  assume  quale  indice  di capacita' contributiva il semplice
esercizio  di un'attivita' organizzata per la produzione di beni e di
servizi;
        d) ancora  per  contrasto  con  l'art. 53  Cost.,  in  quanto
l'I.R.A.P., per la sua indeducibilita' dall'imposta sui redditi delle
persone  fisiche  (I.R.P.E.F.), potrebbe incidere su contribuenti che
non hanno prodotto alcun reddito imponibile;
        e) per   contrasto   con   l'art. 76  Cost.,  non  avendo  il
legislatore  delegato  rispettato  i  principî  e  criteri  direttivi
stabiliti  dall'art. 3,  comma  143,  della  legge  23 dicembre 1996,
n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica);
        f) per  contrasto,  infine,  con  l'art. 23  Cost., in quanto
l'ammontare   dell'acconto   I.R.A.P.   da  versare,  determinato  in
applicazione  della c.d. clausola di salvaguardia di cui all'art. 45,
comma  3,  del  decreto  legislativo  n. 446  del  1997, verrebbe "in
concreto  a  dipendere  dal  limite  di incremento in valore assoluto
risultante  dalla  tabella A) allegata al decreto del Ministero delle
finanze del 5 maggio 1998".
    Le   argomentazioni   del   ricorrente   e   dell'Amministrazione
resistente  sollevano  -  ad  avviso  del  giudice  a  quo  - "grosse
problematiche  giuridico-fiscali,  che  non  appaiono  manifestamente
infondate".
    1.1. - E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, per mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, concludendo
per   la   declaratoria  di  inammissibilita'  o  infondatezza  della
questione.
    Osserva  la  parte  pubblica, preliminarmente, che l'ordinanza di
rimessione  e'  sostanzialmente  priva  di autonoma motivazione sulla
rilevanza  e  sulla  non  manifesta infondatezza della questione, che
oltretutto  investe  l'intera  legge,  cosi'  da  rendere impossibile
l'individuazione  delle specifiche disposizioni della cui conformita'
ai parametri costituzionali il rimettente dubita.
    Nel  merito  -  premesso  che  il  presupposto  dell'I.R.A.P.  e'
l'esercizio   abituale   di  un'attivita'  autonomamente  organizzata
diretta   alla   produzione  e  allo  scambio  di  beni  ovvero  alla
prestazione  di  servizi,  che  essa  si  applica,  con  carattere di
realita',  sul valore della produzione netta derivante dall'attivita'
esercitata  nel  territorio  della  regione e che della medesima sono
soggetti  passivi  coloro  che  esercitano  la  predetta  attivita' -
l'Avvocatura rileva:
        a) quanto al parametro di cui all'art. 53 Cost., che la nuova
imposta  troverebbe il suo ragionevole fondamento nel fatto oggettivo
che l'attivita' avente rilevanza economica, organizzata attraverso la
combinazione  dei  vari  fattori della produzione, crea di per se' un
valore  aggiunto  di  produzione;  la  giustificazione  dell'I.R.A.P.
consisterebbe,   quindi,  nella  formazione  oggettiva  di  ricchezza
(ripartita  in  profitti,  retribuzioni ed interessi) presso l'unita'
produttiva,  salva  possibile traslazione del relativo onere su terzi
dipendenti  o  finanziatori:  coerentemente  il  tributo  colpisce il
valore  della produzione netta (valore aggiunto) quale espresso dalla
differenza tra i ricavi ed i costi per beni e servizi;
        b) quanto   all'art. 3  Cost.,  che  nessuna  discriminazione
sussisterebbe  tra  lavoro  autonomo  e lavoro dipendente, proprio in
quanto  l'I.R.A.P.  non  colpisce  il reddito prodotto in capo al suo
percettore,   bensi'   il  valore  aggiunto  prodotto  nell'esercizio
dell'autonoma  organizzazione  produttiva  diretta  alla produzione o
allo  scambio  di beni o alla prestazione di servizi. Il principio di
eguaglianza  non  sarebbe  d'altro  canto  violato  nemmeno  sotto il
profilo che l'I.R.A.P., pur avendo assorbito il contributo al S.S.N.,
che  precedentemente  era  pagato  da  tutti  i  contribuenti,  grava
soltanto su alcune categorie di contribuenti, in quanto rientra nella
discrezionalita'  del  legislatore ridistribuire la pressione fiscale
complessiva in modo diverso, a parita' di gettito, nel rispetto della
ragionevolezza;
        c) quanto  ancora  all'art. 53  Cost.,  che l'indeducibilita'
dell'I.R.A.P.  ai  fini  delle  imposte  sui redditi, oltre ad essere
irrilevante nella fattispecie dedotta nel giudizio a quo, costituisce
espressione di ragionevole discrezionalita' legislativa;
        d) quanto  all'art. 76  Cost.,  che  il  decreto  legislativo
n. 446  del  1997 e successive modificazioni e' pienamente rispettoso
dei  criteri  e  dei principî enunciati nell'art. 3, comma 143, della
legge delega n. 662 del 1996;
        e) da  ultimo,  quanto al parametro di cui all'art. 23 Cost.,
con   specifico   riferimento   all'art. 45,  comma  3,  del  decreto
legislativo  n. 446  del 1997, riguardante la cosiddetta "clausola di
salvaguardia",  che  il  decreto  ministeriale  previsto  dalla norma
impugnata  e'  chiamato  a  disciplinare  solo aspetti secondari e di
dettaglio attinenti alle modalita' applicative del tributo, cosicche'
il   principio   della  riserva  relativa  di  legge  deve  ritenersi
pienamente rispettato.
    2.  -  Con  ordinanza  emessa  il  18 ottobre 1999 la commissione
tributaria provinciale di Como, in sede di impugnativa proposta da un
contribuente  avverso  il  silenzio-rifiuto  dell'Amministrazione  su
un'istanza  di rimborso dell'I.R.A.P. versata a titolo di acconto per
l'anno  1998,  ha  sollevato questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 3,  comma  1, lettera c) del decreto legislativo n. 446 del
1997,  in  riferimento  agli  artt. 3 e 35 Cost.; dell'intero decreto
legislativo, in riferimento agli artt. 3, 32 e 76 Cost.; dell'art. 45
del medesimo decreto, in riferimento all'art. 23 della Costituzione.
    Ad  avviso  del  rimettente,  l'art. 3,  comma  1, lettera c) del
decreto  legislativo  sarebbe  in  primo  luogo  in contrasto con gli
artt. 3  e  35  della  Costituzione  in  quanto porrebbe sullo stesso
piano,  ai  fini dell'imposta, il reddito di lavoro autonomo e quello
di impresa.
    La medesima norma sarebbe ulteriormente in contrasto con l'art. 3
della  Costituzione  sia in quanto, tra i redditi di lavoro autonomo,
assoggetta  all'imposta solamente quelli indicati nell'art. 49, comma
1,  del  d.P.R.  n. 917  del  1986,  vale  a  dire  quelli  derivanti
dall'esercizio   di   arti   e  professioni  con  caratteristiche  di
abitualita',  con esclusione degli altri, sia perche' assoggetta alla
contribuzione    al    Servizio    sanitario    nazionale    (essendo
confluitonell'I.R.A.P.  anche  il  relativo  contributo)  solamente i
soggetti percettori di reddito di impresa e di lavoro autonomo.
    Sempre   con   riferimento   all'assorbimento  nell'I.R.A.P.  del
contributo  al  Servizio  sanitario nazionale, il carattere regionale
dell'imposta  comporterebbe  poi  -  ad  avviso  del  rimettente - la
violazione  degli  artt. 3  e  32  Cost., non essendo prevista alcuna
forma  di  redistribuzione  del  gettito  di  imposta  a favore delle
regioni  meno ricche, al fine di garantire la tutela del diritto alla
salute di tutti i cittadini.
    L'intero  decreto  legislativo n. 446 del 1997 violerebbe inoltre
l'art. 76  della  Costituzione  in  quanto  il  legislatore  delegato
avrebbe  disatteso  il  principio  direttivo,  contenuto nell'art. 3,
comma 143, della legge n. 662 del 1996, rappresentato dalla riduzione
del prelievo complessivo gravante sui redditi da lavoro autonomo e di
impresa  minore, essendo al contrario aumentato, per tali redditi, il
carico fiscale, in difetto di particolari agevolazioni o riduzioni di
imposta.
    L'art. 45   del  decreto  legislativo,  infine,  si  porrebbe  in
contrasto con l'art. 23 della Costituzione nella parte in cui demanda
non   alla   legge   ma   ad  atti  amministrativi  la  misura  e  la
determinazione dell'acconto di imposta dovuto.
    2.1. - E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  per  mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, eccependo
preliminarmente  l'inammissibilita'  della  questione  per difetto di
motivazione  sulla  rilevanza,  in riferimento ai diversi profili nei
quali  la  questione  stessa  si articola, e concludendo comunque nel
merito per la declaratoria di infondatezza.
    In particolare, quanto alle censure relative all'art. 3, comma 1,
lettera  c),  del  decreto  legislativo, la parte pubblica osserva in
primo   luogo   che   il   presupposto  dell'I.R.A.P.  e'  costituito
dall'esercizio  abituale  di  un'attivita'  in  quanto  autonomamente
organizzata,  diretta  a  produrre  o  a  scambiare beni o a prestare
servizi,   cosicche'   l'ambito   applicativo   dell'imposta  risulta
delimitato  dalla  necessaria autonoma organizzazione di mezzi per lo
svolgimento  dell'abituale attivita' produttiva. Risulta pertanto del
tutto coerente con detto presupposto l'assoggettamento all'imposta di
quelli soltanto, tra i titolari di reddito di lavoro autonomo, la cui
attivita'    sia    caratterizzata   da   abitualita'   ed   autonoma
organizzazione  di  mezzi, mentre d'altro canto la sottoposizione dei
redditi  di  lavoro  autonomo  e di quelli di impresa ad una medesima
aliquota   appare   frutto   di   una  non  certamente  irragionevole
valutazione discrezionale del legislatore.
    Circa il profilo riferito all'asserito assorbimento nell'I.R.A.P.
del  contributo al Servizio sanitario nazionale, l'Avvocatura osserva
che,   seppure  l'I.R.A.P.  e'  stata  introdotta  con  contemporanea
abolizione  di  una  serie  di altri e differenziati tributi, tra cui
appunto  il  contributo  al  Servizio  sanitario  nazionale, cio' non
toglie  tuttavia  che si tratti di una nuova imposta, la quale non ha
necessariamente  la  stessa  natura  dei  tributi  soppressi. Nessuna
necessaria  identita'  e'  richiesta,  d'altro  canto, tra i soggetti
passivi  di  una  imposta e i possibili destinatari o beneficiari del
servizio  pubblico  a  finanziare  il quale sia, in tutto o in parte,
destinato il gettito tributario.
    Tanto  meno  sussisterebbe  -  sempre  con riferimento al preteso
assorbimento  nell'I.R.A.P.  del  contributo  al  Servizio  sanitario
nazionale   -   la  dedotta  violazione  degli  artt. 3  e  32  della
Costituzione.  A  prescindere  dall'inammissibilita' della questione,
sia  per  il difetto di motivazione in ordine alla rilevanza, sia per
la   mancata  indicazione  delle  specifiche  disposizioni  di  legge
asseritamente   lesive  degli  indicati  precetti  costituzionali,  i
meccanismi  compensativi  previsti  dagli  artt. 38  e  seguenti  del
decreto  legislativo  (ed  in  particolare dall'art. 42) porterebbero
comunque  ad  escludere  -  ad  avviso dell'Avvocatura - l'ipotizzata
irrazionalita'  nella  distribuzione  del  gettito complessivo tra le
varie regioni.
    Quanto  alla  dedotta  violazione  dell'art. 76  Cost.,  la parte
pubblica  rileva  che  la riduzione del prelievo complessivo gravante
sui  redditi  di  lavoro  autonomo e di impresa minore costituiva uno
degli  obiettivi da perseguirsi dal complesso delle varie riforme del
sistema  tributario  indicate  nel  medesimo art. 3, comma 143, della
legge   n. 662   del   1996.   Tra   queste,  oltre  all'introduzione
dell'I.R.A.P.,  vi  erano  l'istituzione  dell'addizionale  regionale
I.R.P.E.F.,  la  revisione  degli  scaglioni,  delle aliquote e delle
detrazioni  I.R.P.E.F., la revisione dei tributi locali, la revisione
dell'imposta   di   registro   per  alcuni  atti.  A  parte,  dunque,
l'arbitrarieta'    dell'affermazione   secondo   cui   l'introduzione
dell'I.R.A.P.  avrebbe  comportato un aggravio del carico fiscale nei
confronti  degli  esercenti  arti e professioni, non potrebbe in ogni
caso configurarsi, per tale profilo, la violazione della legge delega
in riferimento al solo decreto legislativo istitutivo dell'I.R.A.P.
    Per  quanto  riguarda,  da  ultimo,  la questione di legittimita'
costituzionale  dell'art. 45  del decreto legislativo, in riferimento
all'art. 23  Cost.,  premessa  anche  in  questo  caso la mancanza di
motivazione  in  punto di rilevanza, l'Avvocatura rileva che le norme
primarie   definiscono   con   determinatezza   tutti   gli  elementi
fondamentali  dell'imposta mentre il decreto ministeriale previsto al
comma  3 dell'art. 45 si limita a disciplinare aspetti secondari e di
dettaglio attinenti alle modalita' applicative del tributo, cosicche'
il  principio  della  riserva  relativa  di  legge risulta pienamente
rispettato.
    3.   -   Con   due  ordinanze  di  analogo  contenuto  emesse  il
23 settembre  1999,  la commissione tributaria provinciale di Torino,
nel  corso  di  giudizi  promossi  da  contribuenti  per  il rimborso
dell'acconto  I.R.A.P.  relativo  all'anno  1998,  ha  sollevato,  in
riferimento  agli  artt. 3  e  53  Cost.,  questione  di legittimita'
costituzionale  degli  artt. 2 e 4 del decreto legislativo n. 446 del
1997.
    Premesso   che   l'art. 2   pone  come  presupposto  dell'imposta
l'esercizio  abituale  di  una  attivita'  autonomamente  organizzata
diretta  alla produzione o allo scambio di beni o alla prestazione di
servizi,  e  che  tale  presupposto non ricorre nel caso di attivita'
professionale, il rimettente - come risulta con chiarezza dalla parte
motiva   dell'ordinanza   -  dubita  in  realta'  della  legittimita'
costituzionale  non  del predetto art. 2 bensi' dell'art. 3, comma 1,
lettera c), del decreto, in quanto ricomprende tra i soggetti passivi
dell'I.R.A.P.  gli  esercenti  arti e professioni di cui all'art. 49,
comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi (T.U.I.R.).
    Detta norma contrasterebbe infatti, in primo luogo, con l'art. 53
della  Costituzione  "in  quanto  diretta  a  colpire  una  forma  di
capacita'     contributiva    che,    ravvisabile    nella    realta'
imprenditoriale,  certamente  non  e' riscontrabile nello svolgimento
delle professioni liberali". Sarebbe altresi' lesiva del principio di
eguaglianza, di cui all'art. 3 Cost., in quanto discriminerebbe, agli
effetti impositivi, il lavoro autonomo rispetto a quello dipendente.
    L'art. 4  del  decreto  legislativo,  stabilendo che l'imposta si
applica  sul  valore  della produzione netta derivante dall'attivita'
esercitata  nel  territorio  della  regione,  sarebbe  a sua volta in
contrasto  con  l'art. 53  Cost.,  in  quanto  assume  come indice di
capacita'  contributiva  non  il reddito ma l'attivita' produttiva in
se',  e  cioe'  una  mera  potenzialita'  di  capacita' contributiva,
oltretutto senza assicurare al soggetto passivo la possibilita' certa
di traslazione del tributo.
    3.1.  -  E'  intervenuta  in  entrambi  i giudizi, con memorie di
identico  contenuto,  l'Avvocatura generale dello Stato per conto del
Presidente    del    Consiglio    dei   ministri,   concludendo   per
l'inammissibilita' e l'infondatezza della questione.
    L'Avvocatura,  eccepito preliminarmente il difetto di motivazione
sulla  rilevanza, richiama, nel merito, le argomentazioni gia' svolte
nei  giudizi  precedentemente  instaurati,  ribadendo in particolare,
quanto    alle   censure   riferite   all'art. 53   Cost.,   che   la
giustificazione  dell'I.R.A.P.,  quale  imposta reale, consiste nella
formazione   oggettiva   di  ricchezza  presso  l'unita'  produttiva,
correttamente   assunta   a   fondamento   dell'imposta   in   quanto
manifestazione di potenzialita' economica.
    Con riferimento al parametro di cui all'art. 3 della Costituzione
la   parte  pubblica  osserva  che  il  presupposto  dell'imposta  e'
l'esercizio  abituale  di  attivita'  autonomamente organizzata e che
pertanto  non  e' irragionevole la scelta legislativa di ricondurre a
detto  presupposto  anche  l'esercizio di arti e professioni, purche'
caratterizzato  dall'esistenza  di una autonoma organizzazione, cosi'
come  quella di escludere dall'applicazione dell'imposta i lavoratori
dipendenti  ed  i  titolari  di  redditi  di  lavoro  autonomo di cui
all'art. 49, comma 2, del testo unico n. 917 del 1986.
    4.  -  Con  ordinanza  emessa  il  27 ottobre 1999 la commissione
tributaria  provinciale  di  Milano ha sollevato, in riferimento agli
artt. 3  e  53  Cost., questione di legittimita' costituzionale degli
artt. 1,  2,  3,  4,  8 e 11 del decreto legislativo n. 446 del 1997,
come  modificato  dal  decreto  legislativo  10 aprile  1998,  n. 137
(Disposizioni  correttive  del  decreto legislativo 15 dicembre 1997,
n. 446,   concernente   l'istituzione  dell'imposta  regionale  sulle
attivita'  produttive, la revisione degli scaglioni, delle aliquote e
delle  detrazioni  dell'I.R.P.E.F.  e l'istituzione di un'addizionale
regionale  a  tale  imposta, nonche' il riordino della disciplina dei
tributi  locali),  e dal decreto legislativo 19 novembre 1998, n. 422
(Disposizioni   integrative  e  correttive  dei  decreti  legislativi
9 luglio  1997, n. 237 e n. 241, 4 dicembre 1997, n. 460, 15 dicembre
1997, n. 446, e 18 dicembre 1997, n. 472), "nella parte in cui:
        non  consentono  di  dedurre  dalla  base imponibile le spese
sostenute  per  i  dipendenti  e  per  i  collaboratori  e quelle per
interessi passivi;
        non  discriminano i lavoratori autonomi dagli imprenditori, e
viceversa   discriminano   i   lavoratori   autonomi  dai  lavoratori
dipendenti;
        discriminano  i  lavoratori  autonomi  di  cui al primo comma
dell'art. 49  T.U.I.R.  dagli  altri  lavoratori autonomi di cui alle
altre ipotesi dello stesso art. 49 cit.;
        non  consentono  di  dedurre l'I.R.A.P. ai fini delle imposte
sui redditi".
    Motivata   la   rilevanza   della   questione  sulla  base  della
"necessita'  di  decidere  se  il  contribuente  ha diritto o meno al
rimborso   dell'I.R.A.P.,  come  richiesto  col  ricorso  avverso  il
silenzio-rifiuto,  trascorsi  inutilmente  90 giorni dalla istanza di
rimborso", il rimettente individua un primo profilo di illegittimita'
costituzionale dell'imposta nel fatto che questa colpisca non gia' il
risultato finale dell'attivita' professionale o di impresa, bensi' un
valore intermedio del tutto svincolato dal risultato finale.
    L'imposta  sarebbe  altresi'  in  contrasto  con  il principio di
capacita'  contributiva  di  cui  all'art. 53  della  Costituzione in
quanto  la base imponibile, per i lavoratori autonomi, e' determinata
assumendo  come  dato  di partenza il valore complessivo dei compensi
percepiti  nel  periodo  di imposta, detratte le spese, ad esclusione
pero'  di  quelle  sostenute per i dipendenti ed i collaboratori e di
quelle  per  interessi  passivi. In tal modo il contribuente verrebbe
tassato  -  secondo  il  rimettente  - non in base alla sua effettiva
disponibilita'  economica  ma  ad una redditivita' che potrebbe anche
rivelarsi   fittizia,  se  i  costi  integralmente  intesi  dovessero
superare i ricavi.
    Ulteriore   profilo   di   incostituzionalita'   della  normativa
denunciata si rinverrebbe inoltre - ad avviso sempre del rimettente -
"nella  violazione  del  principio della coerenza interna alla legge,
nel  senso  che le molteplici ipotesi di tassazione contemplate dalla
legge  tributaria  siano  coerenti col presupposto". Il giudice a quo
ricorda,  a  tale  proposito,  la  sentenza di questa Corte n. 42 del
1980,  con  la quale venne dichiarata l'illegittimita' costituzionale
delle  norme  relative  all'imposta  locale sui redditi (I.L.O.R.) in
quanto prevedevano, per i lavoratori autonomi, un trattamento fiscale
uguale  a  quello  degli  imprenditori  e  differente  da  quello dei
lavoratori   dipendenti.  Il  decreto  legislativo  n. 446  del  1997
discriminerebbe  inoltre  anche  nell'ambito dei lavoratori autonomi,
assoggettando  a  tassazione  solo  i  lavoratori di cui all'art. 49,
comma  1,  del testo unico delle imposte sui redditi ed escludendo le
altre categorie di lavoratori autonomi indicate nello stesso art. 49.
    L'art. 1  della  legge  istitutiva  dell'I.R.A.P.  sarebbe infine
costituzionalmente    illegittimo,    sotto    il    profilo    della
ragionevolezza,  nella parte in cui dichiara l'imposta non deducibile
ai fini delle imposte sui redditi.
    4.1.  -  Si  e' costituito in giudizio lo "Studio Verna di Franco
Formenti  e  Giuseppe  Verna  dottori commercialisti e della dott.ssa
Laura   Restelli   ragioniere",   ricorrente   nel  giudizio  a  quo,
concludendo   per   l'accoglimento   della   proposta   questione  di
legittimita' costituzionale.
    La  parte  privata  argomenta  ampiamente,  in primo luogo, sulla
illegittimita' costituzionale dell'imposta in generale, per contrasto
con  l'art. 53  Cost.,  in  quanto,  avendo  come presupposto il mero
svolgimento  di  un'attivita' produttiva, a prescindere dai risultati
di tale attivita', non colpirebbe alcun fatto espressivo di capacita'
contributiva.  Sottopone in particolare a critica la tesi secondo cui
il  fondamento costituzionale dell'imposta stessa dovrebbe rinvenirsi
in   una   nozione   oggettiva   e  non  soggettiva  della  capacita'
contributiva,   riferibile   cioe'   all'organizzazione   che  svolge
attivita'  di impresa e non alla persona fisica dell'imprenditore. La
nozione   di   capacita'  contributiva,  alla  luce  del  consolidato
orientamento    di   questa   Corte,   sarebbe   infatti   riferibile
esclusivamente   alle   persone   fisiche  (e,  forse,  alle  persone
giuridiche)   e   non  certo  ad  una  organizzazione  oggettivamente
considerata.
    I  vizi di costituzionalita' sarebbero, secondo la medesima parte
privata,   ancor   piu'   evidenti  con  specifico  riferimento  alla
tassazione  dei  lavoratori  autonomi.  Se,  infatti,  il  fondamento
giustificativo  dell'imposta  viene  individuato  nel  "dominio"  dei
fattori  della  produzione,  tale  giustificazione puo' eventualmente
valere  per l'organizzazione dell'impresa ma non certo per quella dei
professionisti  e degli studi professionali, in quanto la prestazione
professionale  non  e'  frutto  dell'organizzazione  di studio bensi'
della  mens  del professionista. Per i professionisti, in definitiva,
non  sarebbe  prospettabile  alcuna  capacita'  contributiva  reale o
oggettiva,  espressa  dallo  studio  professionale  in se', disgiunta
dalla    capacita'    contributiva   personale   o   soggettiva   del
professionista.
    Ulteriore     violazione    dell'art. 53    della    Costituzione
discenderebbe  altresi' dalla non deducibilita' delle spese sostenute
per  le  retribuzioni  dei dipendenti e dei collaboratori e di quelle
per   interessi,  in  conseguenza  della  quale  la  base  imponibile
dell'I.R.A.P.  verrebbe  a  configurarsi come espressione fittizia di
capacita' contributiva.
    L'art. 3,   comma   1,   lettera   c)   della  legge  istitutiva,
assoggettando  all'imposta  in egual modo i lavoratori autonomi e gli
imprenditori,  sarebbe  poi  lesivo  sotto  un  duplice  profilo  del
principio  di  eguaglianza.  Da  un  lato  perche' non differenzia il
trattamento  di redditi di diversa natura, in tal modo contrastando i
principî  enunciati  nella  sentenza  di questa Corte n. 42 del 1980,
dall'altro  perche'  discrimina  situazioni contributivamente uguali,
quali   sono   quelle   dei  lavoratori  autonomi  e  dei  lavoratori
dipendenti.
    Il  principio di eguaglianza sarebbe infine ulteriormente violato
per  l'inclusione  tra  i  soggetti  passivi  dell'imposta  dei  soli
lavoratori   autonomi  indicati  all'art. 49,  comma  1,  del  d.P.R.
22 dicembre  1986, n. 917, con esclusione di quelli indicati al comma
2,  considerato  che  non  sussiste  alcuna differenza, in termini di
attitudine  alla  contribuzione,  tra  le attivita' delle due diverse
categorie di lavoratori autonomi.
    4.2. - E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  per  mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, eccependo
preliminarmente l'inammissibilita' di tutte le questioni, per difetto
di  motivazione  in  ordine  alla  specifica rilevanza di ciascuna di
esse;  l'inammissibilita' delle questioni riguardanti gli artt. 2 e 4
del  decreto legislativo n. 446 del 1997, perche' estranei ai profili
indicati  nel  dispositivo  dell'ordinanza;  l'inammissibilita' della
questione  riferita  all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo, in
quanto  la  non  deducibilita'  dell'IRAP  in  sede di determinazione
dell'imponibile   I.R.P.E.F.  e'  evidentemente  irrilevante  in  una
controversia    avente    ad    oggetto    un    rimborso   I.R.A.P.;
l'inammissibilita',  infine,  della  questione  relativa alla mancata
inclusione  nell'ambito  di  applicazione  dell'I.R.A.P. dei soggetti
passivi  indicati  all'art. 49, comma 2, del d.P.R. 22 dicembre 1986,
n. 917, per la mancata indicazione di motivi a sostegno del dubbio di
legittimita' costituzionale.
    Nel  merito, con riferimento alle residue questioni, l'Avvocatura
ha concluso per la declaratoria di infondatezza.
    L'I.R.A.P.  -  secondo  la  parte  pubblica  -  non  e',  come il
rimettente  mostra  di  ritenere, un'imposta sul reddito analoga alla
soppressa I.L.O.R., bensi' un'imposta regionale a se' stante che mira
a  colpire  le  remunerazioni  dei fattori della produzione e quindi,
oltre  ai  profitti  o  guadagni dell'organizzatore della produzione,
anche gli interessi ed i salari, che sono pertanto indeducibili dalla
base imponibile.
    La  nuova imposta sarebbe sostanzialmente ispirata ad una duplice
finalita':  quella  di  colpire  una  particolare  ed  incontestabile
capacita'   contributiva,   da   un   lato,   e   di  semplificare  e
razionalizzare   gli   adempimenti   dei   contribuenti  mediante  la
sostituzione  di  una  pluralita'  di  contributi,  con invarianza di
gettito, dall'altro.
    Le  questioni  riferite alla asserita violazione del principio di
eguaglianza   sarebbero   pertanto   infondate   in   quanto   basate
sull'erronea equiparazione dell'I.R.A.P. ad una imposta sul reddito.
    5.   -  La  commissione  tributaria  provinciale  di  Parma,  con
ordinanza  emessa il 21 marzo 2000, ha sollevato, in riferimento agli
artt. 3  e  53  Cost., questione di legittimita' costituzionale degli
artt. 1, 2, 3, 4, 8 e 11 del decreto legislativo n. 446 del 1997.
    Motivata  anche  in  tal  caso la rilevanza della questione sulla
considerazione  che  il  giudizio  a  quo  ha  ad  oggetto il ricorso
proposto    da    un   contribuente   avverso   il   silenzio-rifiuto
dell'Amministrazione  su  un'istanza di rimborso di acconto I.R.A.P.,
il  rimettente  assume che gli artt. 2 e 3 sarebbero in contrasto con
il  principio di eguaglianza in quanto parificano l'esercizio di arti
e  professioni  all'attivita'  di  impresa  e  discriminano il lavoro
autonomo rispetto a quello subordinato.
    L'art. 4  del decreto legislativo sarebbe invece in contrasto con
l'art. 53 della Costituzione in quanto non consente di dedurre, dalla
base  imponibile, le spese sostenute per dipendenti e collaboratori e
quelle per interessi passivi.
    La   normativa   denunciata   violerebbe   poi  il  principio  di
eguaglianza anche sotto un diverso profilo, e cioe' in quanto, avendo
l'I.R.A.P.  assorbito  il contributo al Servizio sanitario nazionale,
il  relativo  onere  sarebbe  ora  posto  a carico soltanto di talune
categorie di contribuenti.
    Ulteriore     violazione    dell'art. 53    della    Costituzione
discenderebbe  infine  dalla indeducibilita' dell'I.R.A.P. dalla base
imponibile ai fini I.R.P.E.F.
    5.1. - E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  per  mezzo  dell'Avvocatura generale dello Stato, mediante
atto  di  contenuto  sostanzialmente  analogo a quelli depositati nei
giudizi gia' instaurati.

    6.  -  Nel  corso  di  altro giudizio promosso da un contribuente
avverso  il  silenzio-rifiuto  dell'amministrazione  su un'istanza di
rimborso  dell'I.R.A.P.,  la  commissione  tributaria  provinciale di
Como,  con  ordinanza emessa il 23 marzo 2000, ha sollevato questione
di legittimita' costituzionale degli artt. 3, comma 1, lettera c) 4 e
8  del  decreto  legislativo  n. 446  del  1997,  in riferimento agli
artt. 3  e  53  Cost; dell'intero decreto legislativo, in riferimento
all'art. 53  Cost.;  dell'art. 3, comma 1, lettera c), in riferimento
all'art. 76 della Costituzione.
    La  non  manifesta infondatezza della questione e' motivata sulla
scorta  di  considerazioni  del  tutto  analoghe  a quelle svolte, in
riferimento ai medesimi parametri, dagli altri rimettenti.
    6.1.  -  L'Avvocatura  generale  dello  Stato  e'  intervenuta in
giudizio,  concludendo  per  l'infondatezza della questione, mediante
atto di contenuto simile ai precedenti.
    7.  - La commissione tributaria provinciale di Trapani, nel corso
di  un  giudizio avente ad oggetto l'impugnativa del provvedimento di
reiezione  di  un'istanza  di rimborso dell'acconto I.R.A.P. relativo
all'anno  1998,  con ordinanza emessa il 19 giugno 2000 ha sollevato,
in riferimento agli artt. 3, 35 e 53 Cost., questione di legittimita'
costituzionale degli artt. 2, 3, comma 1, lettera c), e 8 del decreto
legislativo   n. 446  del  1997,  nelle  parti  in  cui  sottopongono
all'I.R.A.P. l'attivita' professionale di lavoro autonomo.
    La  non manifesta infondatezza della questione e' ravvisata nella
disparita'  di  trattamento che la normativa denunciata realizzerebbe
attraverso  l'assoggettamento  alla  medesima  imposta  di  attivita'
diverse,   quanto   al   livello   di  organizzazione,  quali  quella
imprenditoriale e quella professionale.
    7.1.  -  L'Avvocatura  generale  dello  Stato,  costituendosi  in
giudizio  per  conto  del  Presidente  del Consiglio dei ministri, ha
concluso  anche  in  tal  caso per l'infondatezza della questione, in
base alla considerazione che l'ambito applicativo dell'imposta e' non
irragionevolmente    delimitato    dall'esistenza    di   un'autonoma
organizzazione  di  mezzi  per lo svolgimento dell'abituale attivita'
produttiva.
    8.  -  La  commissione  tributaria di primo grado di Bolzano, con
ordinanza  emessa  il  10 maggio  2000  nel  corso  di un giudizio di
impugnazione  del silenzio-rifiuto dell'amministrazione su istanza di
rimborso  di  acconto  I.R.A.P.,  ha  sollevato,  in riferimento agli
artt. 3,  23, 53 e 76 Cost., questione di legittimita' costituzionale
degli  artt. 1, 2, 3, 4, 8, 11 e 45, comma 3, del decreto legislativo
n. 446 del 1997, "precipuamente nelle parti in cui:
        non  consentono  di  dedurre  dalla  base imponibile le spese
sostenute  per i dipendenti e per i collaboratori e per gli interessi
passivi;
        non  discriminano  i lavoratori autonomi dagli imprenditori e
viceversa   (discriminano)   i  lavoratori  autonomi  dai  lavoratori
dipendenti;
        discriminano  i  lavoratori  autonomi  di  cui al primo comma
dell'art. 49  T.U.I.R.  dagli  altri  lavoratori autonomi di cui alle
altre ipotesi del citato articolo;
        non  consentono  di  dedurre l'I.R.A.P. ai fini delle imposte
sui redditi".
    Con altre due ordinanze emesse, in analoghi giudizi, il 26 maggio
2000, la medesima commissione tributaria di primo grado di Bolzano ha
sollevato,  in  riferimento agli artt. 3, 53 e 76 Cost., questione di
legittimita'  costituzionale  delle  medesime  norme, "nella parte in
cui, disciplinando la tassazione dei lavoratori autonomi:
        assumono   quale   indice  rilevatore  della  loro  capacita'
contributiva il semplice esercizio dell'attivita' esercitata;
         non discriminano i lavoratori autonomi dagli imprenditori e,
viceversa, discriminano i lavoratori autonomi tra di loro;
        non  ammettono  la deducibilita' delle spese sostenute per il
personale  e  quelle  per  gli  interessi,  dichiarano non deducibile
l'I.R.A.P. ai fini delle imposte sui redditi;
        dichiarano  non  deducibile  l'I.R.A.P. ai fini delle imposte
sui redditi;
        violano   il   contenuto   della   legge  delega  n. 662  del
23 dicembre  1996,  disattendendo  l'obbligo  di ridurre il costo del
lavoro ed il prelievo complessivo che grava sui redditi".
    8.1.  -  L'Avvocatura generale dello Stato e' intervenuta nei tre
giudizi,  con atti di contenuto non difforme da quelli depositati nei
giudizi  precedentemente  instaurati, concludendo per la declaratoria
di inammissibilita' o comunque di infondatezza delle questioni.
    9.   -  La  commissione  tributaria  provinciale  di  Lecco,  con
ordinanza  emessa  il 27 marzo 2000, nel corso di analogo giudizio di
impugnazione  del silenzio-rifiuto dell'amministrazione su un'istanza
di  rimborso  di  acconto I.R.A.P., ha sollevato, in riferimento agli
artt. 3,  23, 53 e 76 Cost., questione di legittimita' costituzionale
del   decreto   legislativo   n. 446   del   1997,  sulla  scorta  di
argomentazioni  sostanzialmente  coincidenti con quelle gia' proposte
dagli altri rimettenti.
    9.1.   -  L'Avvocatura  generale  dello  Stato,  intervenendo  in
giudizio  per  conto  del  Presidente  del Consiglio dei ministri, ha
concluso  per  l'inammissibilita'  o  l'infondatezza della questione,
riportandosi ai propri precedenti atti di intervento.
    10.  -  La  commissione  tributaria  provinciale  di  Genova, con
ordinanza emessa il 3 luglio 2000, nel corso di un giudizio avente ad
oggetto  il  ricorso  proposto da un contribuente nei confronti della
Regione  Liguria, avverso il provvedimento di reiezione di un'istanza
di  rimborso  di  acconto I.R.A.P., ha sollevato, in riferimento agli
artt. 3  e  53  Cost., questione di legittimita' costituzionale degli
artt. 1,  8 e 11, primo comma, lettera c), numeri 1), 2), 3) e 4) del
decreto legislativo n. 446 del 1997.
    Il rimettente, in punto di rilevanza, osserva preliminarmente che
la   Regione   Liguria   -   unica  convenuta  -  dovrebbe  ritenersi
passivamente  legittimata  nel  giudizio  a  quo  per avere rigettato
l'istanza   di   rimborso   proposta   in   via   amministrativa  dal
contribuente,  con  cio'  implicitamente  riconoscendosi competente a
provvedere  sull'istanza  stessa,  nonche' per essere la destinataria
del pagamento effettuato dal contribuente medesimo.
    Quanto  alla  non  manifesta  infondatezza  della  questione,  il
medesimo  rimettente  assume  in  primo luogo che le norme denunciate
sarebbero  lesive  del  principio  di  eguaglianza e del principio di
capacita'  contributiva  in  quanto, includendo nella base imponibile
taluni costi sicuramente significativi, quali gli interessi passivi e
le  spese  per  il  personale, assoggetterebbero al medesimo prelievo
fiscale  soggetti  aventi  una  differente  capacita' contributiva in
conseguenza della diversa entita' di detti costi.
    L'indeducibilita' dell'I.R.A.P. dalle imposte sui redditi sarebbe
poi in contrasto con il principio espresso dall'art. 75, comma 5, del
d.P.R.  22 dicembre  1986,  n. 917, secondo cui "le spese e gli altri
componenti negativi (...) sono deducibili se e nella misura in cui si
riferiscono  ad  attivita'  o  beni  da  cui  derivano ricavi o altri
proventi  che concorrono a formare il reddito". Principio che, seppur
non  costituzionalizzato,  esprimerebbe  una  linea  di  tendenza del
legislatore.
    L'orientamento  della stessa Corte costituzionale, d'altro canto,
sarebbe  -  secondo  il  rimettente  -  nel  senso di ritenere che la
detraibilita'   dei   tributi   vada   stabilita  e  commisurata  dal
legislatore  ordinario secondo un criterio che concili, sulla base di
valutazioni    politico-economiche    incensurabili    purche'    non
manifestamente irragionevoli, le esigenze finanziarie dello Stato con
quelle  del  cittadino  chiamato  a contribuire ai bisogni della vita
collettiva.
    10.1.  -  Si  e'  costituita  in  giudizio  la  Regione  Liguria,
resistente   nel   giudizio  a  quo,  eccependo  in  via  preliminare
l'irrilevanza  della  questione  in  ragione  del  proprio difetto di
legittimazione passiva.
    Ad  avviso  della  Regione,  l'I.R.A.P. non e' infatti un tributo
regionale,  espressione  di  autonomia finanziaria, bensi' un tributo
erariale devoluto alle regioni dalla legge statale. Si tratta infatti
di  un'imposta  introdotta  inderogabilmente per tutte le regioni con
una  legge statale, che ne disciplina interamente la struttura, e che
va  versata  allo  Stato,  il  quale  provvede  poi a riversarla alle
regioni,  trattenendone  una  quota.  Nel senso della natura erariale
dell'imposta  si  sarebbe  del  resto  pronunciata  la  stessa  Corte
costituzionale nella sentenza n. 138 del 1999.
    L'istanza  di  rimborso,  conseguentemente,  non  avrebbe  dovuto
essere   presentata   alla  regione  bensi'  all'ufficio  finanziario
competente ed il ricorso al giudice tributario avrebbe dovuto percio'
essere  proposto  nei  confronti  dell'Ufficio delle entrate, se gia'
istituito,  ovvero  nei  confronti  dell'Ufficio  distrettuale  delle
imposte dirette.
    La  questione,  secondo  la  Regione  Liguria,  sarebbe  comunque
infondata nel merito.
    La circostanza che l'I.R.A.P. colpisca, in luogo dei tradizionali
indici di capacita' contributiva, un nuovo indice di forza economica,
rappresentato  dal  valore  aggiunto  della produzione, e cioe' dalla
ricchezza    generata    dall'organizzazione    dell'attivita',   non
costituirebbe affatto lesione del principio di cui all'art. 53 Cost.,
atteso  che  la norma costituzionale non contiene un elenco tassativo
degli   indici   di   capacita'  contributiva  ma  richiede  soltanto
l'esistenza  di  un  effettivo collegamento del presupposto d'imposta
con fatti e situazioni espressivi di potenzialita' economica.
    La  stessa  Corte,  d'altro  canto, ha sempre ritenuto che il suo
sindacato   non  possa  entrare  nel  merito  della  discrezionalita'
politica  del  legislatore,  a meno che il suo esercizio non comporti
irrazionali  ed  arbitrarie  discriminazioni,  non  ravvisabili nella
fattispecie.
    L'indeducibilita'  di  taluni  costi,  quali quelli sostenuti per
stipendi  o compensi e per interessi passivi, sarebbe quindi coerente
con  la  natura dell'imposta, atteso che detti costi rappresentano in
realta' componenti della produzione netta o del valore aggiunto.
    I  principî  costituzionali  evocati dal rimettente non sarebbero
nemmeno  lesi  dalla  normativa denunciata, nella parte in cui questa
inserisce  tra  i  soggetti  passivi  dell'imposta anche i lavoratori
autonomi.  Se,  infatti, l'I.R.A.P. e' un tributo destinato a colpire
la  ricchezza  prodotta  nell'esercizio  di attivita' organizzate, e'
allora   evidente  che  nel  suo  ambito  applicativo  deve  ricadere
qualsiasi   tipo   di   attivita'  caratterizzata  da  un  minimo  di
organizzazione.   Soluzione   questa,   del   resto,   coerente   con
l'orientamento  manifestato  dalla  Corte  allorche',  pronunciandosi
sulla  questione di legittimita' costituzionale del d.P.R. n. 599 del
1973,    istitutivo    dell'I.L.O.R.,    dichiaro'   l'illegittimita'
costituzionale  delle  norme  denunciate,  nella  parte  in  cui  non
escludevano  dall'imposta  i  soli  redditi  di  lavoro  autonomo non
assimilabili ai redditi d'impresa.
    Inammissibile  per  difetto di rilevanza, oltre che infondata nel
merito,  sarebbe  infine  la  questione relativa alla indeducibilita'
dell'I.R.A.P. dalle imposte sul reddito, non avendo il giudizio a quo
ad  oggetto  una  controversia riguardante l'ammontare di imposte sul
reddito.
    Nell'imminenza   dell'udienza  pubblica  la  Regione  Liguria  ha
depositato   una   memoria  illustrativa,  nella  quale  innanzitutto
ribadisce  come  la  base imponibile dell'I.R.A.P. sia costituita non
dal  reddito  personale  netto, come nel caso dell'I.R.P.E.F., bensi'
dal  valore  aggiunto  prodotto,  assunto  dal legislatore come nuovo
indice di capacita' contributiva.
    Si tratterebbe, secondo una autorevole dottrina, di una capacita'
contributiva  autonoma,  impersonale,  di  tipo  reale,  basata sulla
capacita'  produttiva  che  deriva  dalla  combinazione  dei  diversi
fattori  organizzati  dall'imprenditore  o dal professionista, la cui
individuazione  non contrasterebbe con il precetto di cui all'art. 53
Cost.,   stante   l'obiettiva  rilevanza  economica  del  presupposto
impositivo.
    Secondo  altri  autori,  invece, la giustificazione dell'I.R.A.P.
risiederebbe  nel  diretto  rapporto  comunque  configurabile  tra la
ricchezza   chiamata   alla   contribuzione  ed  i  soggetti  passivi
d'imposta,  essendo  indubbio  che  il  valore  aggiunto prodotto sia
normalmente,  pur se indirettamente, rappresentativo della attitudine
alla  contribuzione  del soggetto esercente l'attivita', per il quale
l'imposta  rappresenta,  d'altro  canto,  un costo di produzione che,
tendenzialmente,  sara'  traslato su altri soggetti, non diversamente
da quanto accade - ad esempio - per l'imposta di fabbricazione.
    10.2.  -  Lo  Studio Rosina e Associati - Dottori commercialisti,
ricorrente  nel  giudizio  a  quo,  ha  depositato  fuori termine una
memoria   di   costituzione,  concludendo  per  l'accoglimento  della
questione di legittimita' costituzionale.
    Nell'imminenza  dell'udienza  pubblica  del  23 gennaio  2001, la
medesima parte ha altresi' depositato una ampia memoria illustrativa.
    10.3.  -  L'Avvocatura  generale  dello  Stato,  intervenendo  in
giudizio  per  conto  del  Presidente  del Consiglio dei ministri, ha
concluso  per  l'inammissibilita'  o  l'infondatezza della questione,
riportandosi ai propri precedenti atti di intervento.
    11. - La commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia, con
ordinanza   emessa  il  5 giugno  2000,  ha  sollevato  questione  di
legittimita' costituzionale degli artt. 1, commi 1 e 2, 2, 3, lettera
c),  4,  8,  11, 36 e 45, comma 3, del decreto legislativo n. 446 del
1997,  "per  violazione  degli artt. 3, 23, 35, 53 della Costituzione
anche con riferimento alla legge 23 dicembre 1996 n. 662 (commi 143 e
144 dell'art. 3)".
    Affermata  la  rilevanza della questione, vertendosi anche in tal
caso  in tema di impugnativa delsilenzio-rifiuto dell'amministrazione
su  istanza  di rimborso di acconto I.R.A.P., il rimettente ne motiva
la   non   manifesta  infondatezza,  non  dissimilmente  dagli  altri
rimettenti,  con riguardo alla assimilazione tra redditi di impresa e
redditi  da  lavoro  autonomo;  alla discriminazione tra i lavoratori
autonomi  di  cui  al  primo comma dell'art. 49 del testo unico delle
imposte  sui  redditi  e gli altri lavoratori autonomi indicati nello
stesso  art. 49; alla indeducibilita' degli interessi passivi e delle
spese  per  il  personale  dipendente;  alla mancata ripartizione tra
tutti i contribuenti del costo del Servizio sanitario nazionale; alla
indeducibilita'  dell'I.R.A.P. dalle imposte sui redditi; alla delega
all'autorita'   amministrativa  della  determinazione  dell'ammontare
dell'acconto.
    11.1.  -  L'Avvocatura  generale  dello  Stato,  intervenendo  in
giudizio  per  conto  del  Presidente  del Consiglio dei ministri, ha
concluso  per  l'inammissibilita'  o  l'infondatezza della questione,
riportandosi   anche  in  tal  caso  ai  propri  precedenti  atti  di
intervento.
    12.  -  La  commissione  tributaria  provinciale di Piacenza, con
ordinanza  emessa  il  29 febbraio 2000, ha sollevato, in riferimento
agli   artt. 3,   23,  53  e  76  Cost.,  questione  di  legittimita'
costituzionale   degli  artt. 1,  2,  3,  4,  36  e  45  del  decreto
legislativo n. 446 del 1997, nonche' del medesimo decreto legislativo
nel  suo  complesso,  sotto profili sostanzialmente analoghi a quelli
individuati nelle altre ordinanze di rimessione.
    12.1.  -  E'  intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,   concludendo   in  via  principale  per  la  declaratoria  di
inammissibilita'  della  questione,  per difetto di motivazione sulla
rilevanza  della  questione,  e riportandosi comunque, nel merito, ai
propri precedenti atti di intervento.
    13.  - Nell'imminenza dell'udienza pubblica del 23 gennaio 2001 e
della  camera di consiglio del 24 gennaio 2001, l'Avvocatura generale
dello  Stato  ha  depositato  -  in  tutti i giudizi, ad eccezione di
quello  promosso dalla commissione tributaria provinciale di Piacenza
- memorie illustrative, di contenuto in larga parte coincidente.
    13.1.  -  In  relazione  alle  censure  riguardanti  la  asserita
violazione del principio di capacita' contributiva, la parte pubblica
in primo luogo osserva che la non deducibilita' dalla base imponibile
degli interessi passivi e delle spese per il personale dipendente non
determina  - diversamente da quanto taluni dei rimettenti mostrano di
ritenere  -  la tassazione di salari ed interessi in quanto tali, "ma
solo nella misura in cui gli stessi trovano capienza nel valore della
produzione  netta  (o  valore aggiunto) il quale, siccome "risultato"
dell'attivita' organizzata svolta, costituisce la base imponibile del
tributo e integra in ogni caso il limite dell'imposizione".
    L'Avvocatura  ribadisce  poi che l'I.R.A.P. non e' un'imposta sul
reddito   complessivo   netto  del  soggetto  passivo  ma  e'  bensi'
un'imposta  "che colpisce, con carattere di realita', il valore della
produzione   e  cioe'  incide  sul  valore  aggiunto  netto  prodotto
autonomamente   presso   ciascun   soggetto  passivo"  in  dipendenza
dell'esercizio    dell'attivita'    organizzata   imprenditoriale   o
professionale.
    Ricorda,  al  riguardo,  la parte pubblica che la stessa Corte ha
ripetutamente   affermato  che  rientra  nella  discrezionalita'  del
legislatore,   con   il   solo   limite   della   non  arbitrarieta',
l'individuazione   dei   singoli   fatti   espressivi   di  capacita'
contributiva,  cosicche'  il  giudizio di legittimita' costituzionale
delle   norme   denunciate,  con  riferimento  al  parametro  di  cui
all'art. 53  Cost.,  si  risolve  "nel  verificare,  nei  limiti  del
controllo  della  razionalita' che compete al giudice delle leggi, se
l'I.R.A.P.  sia  dal  legislatore  ricollegata  e  ragguagliata ad un
ragionevole  presupposto  espressivo  di  forza  economica  e  quindi
significativo  di  attitudine  alla  contribuzione  in colui che alla
stessa   e'  chiamato  come  soggetto  passivo  della  corrispondente
obbligazione tributaria".
    Il  risultato di tale verifica non potrebbe - secondo la medesima
parte   pubblica   -  che  essere  positivo.  Sarebbe,  infatti,  non
irragionevole,   in   primo   luogo,   il  collegamento  del  tributo
all'esercizio  abituale  di attivita' di impresa o di lavoro autonomo
che  si  attui  attraverso  la autonoma organizzazione dei fattori di
produzione,  in  quanto espressione reale di potenzialita' economica,
come  del  resto  gia' avviene per altri tributi esistenti nel nostro
sistema, quali le accise e l'I.V.A.
    Sarebbe  altresi'  non irragionevole la determinazione della base
imponibile  mediante  il riferimento al valore della produzione netta
evidenziatosi  in  conseguenza  dell'attivita' organizzata esercitata
dal  soggetto  passivo, e cioe' al valore aggiunto, rappresentante la
ripartizione  su base individuale del prodotto interno netto (P.I.N.)
su  base  nazionale,  destinato  a sua volta a ripartirsi tra salari,
interessi  e  profitti.  Si  tratterebbe,  del  resto,  di una scelta
coerente   con  le  finalita'  di  politica  fiscale  perseguite  dal
legislatore,   consistenti,   da  un  lato,  nell'alleggerimento  del
prelievo  sulla  parte di valore aggiunto destinato alle retribuzioni
e, dall'altro, nella disincentivazione del diffuso indebitamento, con
la conseguente attenuazione del vantaggio fiscale proprio dei redditi
finanziari,  "quale combinato effetto di una imposizione piu' mite di
quella   ordinaria  (per  il  percettore  degli  interessi)  e  della
deduzione  degli  interessi  passivi  (a favore del debitore) ai fini
della imposizione diretta".
    Non  potrebbe,  infine, dirsi irrazionale l'individuazione, quale
soggetto  passivo,  del  solo "gestore" dell'impresa o dell'attivita'
professionale,  proprio  perche'  egli  e' il titolare dell'attivita'
organizzata  che  produce  il valore aggiunto al quale e' commisurata
l'imposta.  Gia'  in  altre  occasioni,  del  resto, la Corte avrebbe
ritenuto  legittime  (ad  esempio  nelle  sentenze  n. 111 del 1997 e
n. 143 del 1995) norme che colpivano determinati soggetti passivi, in
riferimento   a   fatti   indicativi   di  ricchezza  che  non  erano
necessariamente  propri di costoro o ai quali comunque essi potessero
sicuramente attingere per pagare il tributo.
    Il  soggetto  passivo  dell'I.R.A.P.,  in  ogni  caso, avrebbe la
possibilita' di trasferire il peso economico dell'imposta, secondo le
leggi di mercato, sia "all'indietro", sulle retribuzioni del capitale
e  dei  lavoratori,  sia  "in  avanti", sui prezzi dei prodotti e dei
servizi,  a nulla rilevando la mancanza di un'espressa previsione del
diritto di rivalsa.
    13.2.  - I dubbi di legittimita' costituzionale riguardanti - con
riferimento  ai parametri di cui agli artt. 3 e 53 della Costituzione
-  la  sottoposizione  ad  I.R.A.P.  anche  dei  lavoratori  autonomi
(art. 3,  comma  1,  lettera  c),  del decreto legislativo n. 446 del
1997)  sarebbero  poi  frutto, secondo l'Avvocatura, di una imprecisa
lettura  dell'art. 2  del  medesimo  decreto legislativo e di una non
corretta considerazione della natura dell'imposta.
    Il  predetto  art. 2,  come  modificato  dall'art. 1  del decreto
legislativo  10 aprile 1998, n. 137, individua infatti il presupposto
dell'I.R.A.P.  nell'esercizio  abituale di un'attivita' autonomamente
organizzata,  diretta  alla  produzione o allo scambio di beni ovvero
alla  prestazione  di  servizi.  L'abitualita'  e  l'esistenza di una
autonoma   organizzazione   costituiscono  dunque  entrambe  elementi
caratterizzanti  di  detto  presupposto, cosicche' rimarrebbero al di
fuori  dell'ambito di applicazione dell'imposta non solo le attivita'
meramente   occasionali   "ma   anche   quelle   che,  pur  potendosi
astrattamente  ricondurre  all'esercizio di impresa (individuale), di
arti  e  professioni,  non  sono  tuttavia  esercitate  mediante  una
organizzazione  autonoma  da  parte  del  soggetto  interessato",  in
conformita'  del  resto  all'interpretazione  sin  qui  seguita dalla
stessa   amministrazione  (ed  esposta  nella  circolare  n. 141  del
4 giugno  1998).  Gli  esercenti arti e professioni di cui al comma 1
dell'art. 49  del  T.U.I.R.  sarebbero  dunque soggetti ad I.R.A.P. -
secondo  tale  interpretazione  -  solo in quanto l'attivita' da essi
svolta sia autonomamente organizzata.
    Cosi'  letti,  gli artt. 2 e 3 del decreto legislativo n. 446 del
1997   si   sottrarrebbero   ai  prospettati  dubbi  di  legittimita'
costituzionale,   non   potendo   certo   ritenersi  irragionevole  e
discriminatoria  -  ad  avviso ancora dell'Avvocatura - la scelta del
legislatore  di  sottoporre ad uguale prelievo il valore aggiunto che
costituisce  il risultato di autonoma organizzazione produttiva tanto
dell'imprenditore  quanto  del  lavoratore  autonomo.  Cosi' come, di
contro,   l'esclusione  dall'area  di  imponibilita'  dei  lavoratori
dipendenti  e  degli  altri  lavoratori  autonomi di cui all'art. 49,
comma  2,  del T.U.I.R. si giustificherebbe proprio in considerazione
della mancanza del requisito dell'autonoma organizzazione.
    Non  pertinente  sarebbe  infine  il  richiamo,  operato da molti
rimettenti,  alla  sentenza  n. 42  del  1980  con  la quale la Corte
dichiaro'  l'illegittimita'  costituzionale  delle  norme  istitutive
dell'I.L.O.R.  in  quanto  non  escludevano dall'imposta i redditi di
lavoro  autonomo  non  assimilabili  ai redditi d'impresa. L'I.R.A.P.
infatti,  diversamente dall'I.L.O.R., non e' un'imposta sul reddito e
non  colpisce  i  redditi  prodotti  dai  soli lavoratori autonomi in
quanto  tali, ma individua quale ragionevole presupposto di capacita'
contributiva l'abituale esercizio di autonoma attivita' organizzata a
fini produttivi.
    13.3.   -   In  merito  alle  censure  riferite  alla  violazione
dell'art. 3   Cost.,  sotto  il  profilo  della  discriminazione  tra
categorie  di contribuenti quanto al concorso alle spese del servizio
sanitario (avendo l'I.R.A.P. sostituito il preesistente contributo al
S.S.N.),     l'Avvocatura     rileva    che    la    contemporaneita'
dell'introduzione  dell'I.R.A.P.  con  la soppressione dei contributi
sanitari  non  comporta  alcuna  "continuita'  giuridica"  tra  i due
tributi,  inquadrandosi  la  nuova imposta - sostitutiva non solo dei
predetti  contributi  sanitari  ma  anche di numerose altre imposte -
nella  fiscalita'  generale  con  natura  e presupposti completamente
diversi da quelli dei tributi soppressi.
    13.4.  -  Quanto  alle  questioni  riferite  al  parametro di cui
all'art. 76  Cost.,  sotto  il profilo dell'inosservanza del criterio
direttivo  rappresentato  dalla riduzione del prelievo sui redditi di
lavoro  autonomo,  la parte pubblica rileva preliminarmente come tale
censura  muova  da  una  premessa  apodittica ed indimostrata, quella
cioe'   secondo   la   quale  l'introduzione  dell'I.R.A.P.,  con  la
contemporanea  abolizione  di  altri tributi precedentemente gravanti
sul  lavoro  autonomo,  avrebbe aumentato il carico tributario per la
categoria degli esercenti arti e professioni.
    La  finalita'  di  riduzione  del  prelievo sui redditi di lavoro
autonomo   e'   comunque   riferita  dalla  legge  delega  -  secondo
l'Avvocatura  -  non  solo  alla  introduzione  dell'I.R.A.P. ed alla
soppressione  dei  previgenti  tributi  e contributi, ma anche ad una
serie  di  altri  interventi  su  imposte diverse, quali la revisione
degli  scaglioni,  delle  aliquote  e  delle  detrazioni  I.R.P.E.F.,
cosicche'  il  giudizio  riguardo al rispetto del menzionato criterio
direttivo  non  potrebbe essere in nessun caso formulato con riguardo
alla sola normativa I.R.A.P.
    13.5.   -   Inammissibile  sarebbe  invece  -  ad  avviso  ancora
dell'Avvocatura   -   la  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 1,  comma 2, del decreto legislativo n. 446 del 1997, nella
parte  in  cui  prevede l'indeducibilita' dell'I.R.A.P. ai fini delle
imposte sui redditi.
    I giudizi nei quali la questione e' stata sollevata hanno infatti
tutti  ad  oggetto controversie in tema di restituzione dell'I.R.A.P.
versata,  mentre  una  siffatta  questione  potrebbe essere rilevante
solamente se si vertesse in materia di imposte sui redditi.
    La  questione  -  secondo  la  parte  pubblica - sarebbe comunque
infondata   nel  merito,  trattandosi  di  materia  rientrante  nella
discrezionalita'  del  legislatore,  con  il  solo  limite  della non
arbitrarieta'.
    13.6.  -  Quanto  alla  questione  di legittimita' costituzionale
dell'art. 8  del  decreto  legislativo,  con  riferimento all'art. 35
Cost., la parte pubblica rileva che l'indeducibilita' delle spese per
il  personale  dipendente  non puo' ritenersi di per se' in contrasto
con  il  principio  costituzionale  di tutela del lavoro - per il suo
preteso  effetto  disincentivante  rispetto  alla  assunzione  ed  al
mantenimento  di lavoratori dipendenti - in quanto detto principio va
comunque   coordinato  con  altri  interessi  aventi  pari  rilevanza
costituzionale, ed in specie con quelli presidiati dall'art. 53 della
Costituzione.
    In    ogni   caso   l'Avvocatura   osserva   che   l'introduzione
dell'I.R.A.P.  e la contemporanea abolizione dei contributi al S.S.N.
e  della  c.d.  tassa  sulla salute hanno in realta' attenuato, e non
aggravato, l'onere fiscale incidente sul lavoro subordinato.
    13.7.  -  Inammissibile e, comunque, priva di fondamento sarebbe,
da  ultimo, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 45,
comma  3,  del  decreto  legislativo  n. 446  del 1997, sollevata con
riferimento al parametro di cui all'art. 23 della Costituzione.
    Incomprensibile  -  secondo  l'Avvocatura  -  sarebbe  infatti la
rilevanza  della  questione  nei  giudizi a quibus, aventi ad oggetto
domande  di  rimborso  dell'acconto versato, considerato che la norma
denunciata prevede l'applicazione della c.d. clausola di salvaguardia
che   consente  al  contribuente,  nella  ricorrenza  di  determinate
condizioni,  di  ridurre  il  versamento in acconto dovuto per l'anno
1998.
    Dovrebbe in ogni caso considerarsi, nel merito, che la riserva di
legge  di  cui  all'art. 23  della  Costituzione  va  intesa in senso
relativo, come obbligo del legislatore di determinare preventivamente
e  sufficientemente  criteri  direttivi  di  base e linee generali di
disciplina   dell'attivita'   amministrativa.   La  norma  denunciata
risulterebbe quindi pienamente rispettosa del dettato costituzionale,
avendo  il  legislatore  rimesso  al  decreto  ministeriale  la  sola
fissazione dell'entita' della riduzione dell'acconto, determinato per
legge, sulla base di criteri predeterminati.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Con  le  ordinanze indicate in epigrafe vengono sollevate,
sotto   profili   e  con  riferimento  a  parametri  in  buona  parte
coincidenti,  questioni  di  legittimita'  costituzionale  di singole
norme  del  decreto  legislativo15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione
dell'imposta  regionale  sulle  attivita' produttive, revisione degli
scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell'Irpef e istituzione
di  una  addizionale regionale a tale imposta, nonche' riordino della
disciplina dei tributi locali), ovvero dell'intero testo normativo.
    I  giudizi, stante l'evidente connessione, vanno pertanto riuniti
per essere unitariamente decisi.
    2.  -  Va  preliminarmente  dichiarata  l'inammissibilita'  delle
questioni  sollevate,  con riferimento all'intero decreto legislativo
n. 446  del 1997, dalla commissione tributaria provinciale di Torino,
con   l'ordinanza   emessa   il  6 ottobre  1999,  dalla  commissione
tributaria  provinciale  di  Como,  con  entrambe le ordinanze, dalla
commissione  tributaria  provinciale  di  Lecco  e  dalla commissione
tributaria  provinciale  di  Piacenza.  E  cio'  in quanto secondo la
costante  giurisprudenza  di  questa  Corte, il rimettente - salvo il
caso  in  cui  specificamente  argomenti  che  il vulnus derivi da un
intero  corpo normativo - e' tenuto ad individuare, a pena appunto di
inammissibilita',  la  norma,  o  la  parte  di essa, la cui presenza
nell'ordinamento    determinerebbe   la   lamentata   lesione   della
Costituzione(cfr.,  ex multis, ordinanze n. 208 del 2000 e n. 185 del
1996).
    3.   -   L'Avvocatura  generale  dello  Stato  eccepisce  inoltre
l'inammissibilita',   per   difetto  di  rilevanza,  delle  questioni
riferite  all'art. 1  del  decreto legislativo n. 446 del 1997, nella
parte  in  cui  dispone  la  non deducibilita' dell'imposta regionale
sulle  attivita'  produttive  (I.R.A.P.)  ai  fini  delle imposte sui
redditi,   sollevate  dalla  commissione  tributaria  provinciale  di
Milano,  dalla  commissione  tributaria  provinciale  di Parma, dalla
commissione  tributaria di primo grado di Bolzano, con tutte e tre le
ordinanze,  dalla commissione tributaria provinciale di Genova, dalla
commissione   tributaria   provinciale   di  Reggio  Emilia  e  dalla
commissione tributaria provinciale di Piacenza.
    L'eccezione   va   accolta.   Quella   prospettata,   in  termini
sostanzialmente  coincidenti,  dai  suddetti  rimettenti  e'  infatti
questione  che  attiene  al regime giuridico ed alla fase applicativa
delle  imposte  sui  redditi, ed e' percio' irrilevante nei giudizi a
quibus,  aventi  tutti  ad  oggetto  controversie in tema di rimborso
dell'acconto  I.R.A.P.  (cfr.  sentenze  n. 111  del 1997 e n. 21 del
1996).
    4.  -  Del  pari  inammissibile  e'  la questione di legittimita'
costituzionale   riguardante   l'art. 45,   comma   3,   del  decreto
legislativo  n. 446  del  1997, sollevata, in riferimento all'art. 23
Cost.,   dalla   commissione  tributaria  provinciale  di  Como,  con
l'ordinanza  emessa  il 18 ottobre 1999, dalla commissione tributaria
di  primo grado di Bolzano, con l'ordinanza emessa il 10 maggio 2000,
dalla  commissione  tributaria  provinciale  di Reggio Emilia e dalla
commissione tributaria provinciale di Piacenza.
    La  norma  denunciata prevede che "con decreto del Ministro delle
finanze  sono  stabiliti  (...)  gli  ammontari  in valore assoluto e
percentuale del maggior carico impositivo rispetto a quello derivante
dai  tributi  e contributi soppressi ai sensi degli articoli 36 e 51,
comma   1,  in  base  ai  quali  fissare  l'entita'  della  riduzione
dell'acconto dovuto ai fini della stessa imposta determinato ai sensi
dell'articolo 31".
    L'eventuale caducazione di detta norma, richiesta dai rimettenti,
comporterebbe  il  venir  meno della stessa possibilita' di riduzione
dell'acconto  ma non certo la restituzione dell'acconto gia' versato,
che costituisce l'oggetto dei giudizi a quibus.
    La questione risulta pertanto del tutto irrilevante.
    5.   -   L'Avvocatura   generale  dello  Stato  eccepisce  ancora
l'inammissibilita'   della   questione  sollevata  dalla  commissione
tributaria  provinciale  di  Genova,  in considerazione dell'asserito
difetto  di  legittimazione  passiva  della  Regione  Liguria,  unica
convenuta  nel  giudizio a quo, avente ad oggetto il ricorso proposto
da   un   contribuente  avverso  il  provvedimento  di  reiezione  di
un'istanza di rimborso dell'acconto I.R.A.P. versato.
    L'eccezione va disattesa.
    La  questione riguardante la legittimazione passiva della Regione
Liguria  risulta gia' introdotta, in via di eccezione, nel giudizio a
quo, ed il rimettente motiva specificamente, nell'ordinanza, riguardo
alle  ragioni  per  le  quali egli ritiene invece la regione medesima
passivamente   legittimata  al  giudizio.  Cio'  e'  sufficiente  per
escludere  che questa Corte possa pervenire, sovrapponendo il proprio
giudizio  a  quello  del  giudice  del merito, ad una declaratoria di
inammissibilita'  della questione di costituzionalita' per difetto di
rilevanza,   rimanendo   ovviamente   impregiudicata  ogni  ulteriore
valutazione,  da compiersi nel giudizio a quo, riguardo all'esattezza
delle conclusioni cui il rimettente e' pervenuto sul punto.
    6.  -  Nel  merito,  un  primo  gruppo  di  questioni riguarda la
conformita' ai principî di eguaglianza e capacita' contributiva delle
norme del decreto legislativo relative alla stessa individuazione del
presupposto d'imposta ed alla determinazione della base imponibile.
    Rientrano   in   questo   gruppo  le  questioni  di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 4  del  decreto  legislativo  sollevate, in
riferimento   all'art. 53   Cost.,   dalla   commissione   tributaria
provinciale  di  Torino,  con  le  due ordinanze in data 23 settembre
1999,  e  dalla  commissione  tributaria  provinciale di Piacenza; la
questione di legittimita' costituzionale degli artt. 8 e 11, comma 1,
lettera  c),  numeri  1), 2), 3) e 4), sollevata, in riferimento agli
artt. 3  e  53  Cost.,  dalla  commissione  tributaria provinciale di
Genova; le questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 2, 4,
8  e  11  sollevate,  in  riferimento  agli artt. 3 e 53 Cost., dalla
commissione  tributaria  provinciale  di  Milano e, in riferimento al
solo  art. 53  Cost.,  dalla commissione tributaria di primo grado di
Bolzano,  con  tutte e tre le ordinanze; la questione di legittimita'
costituzionale   degli  artt. 4,  8  e  11  del  decreto  legislativo
sollevata,   in  riferimento  all'art. 53  Cost.,  dalla  commissione
tributaria   provinciale  di  Parma;  la  questione  di  legittimita'
costituzionale   degli   artt. 2,  4  e  8  del  decreto  legislativo
sollevata,   in  riferimento  all'art. 53  Cost.,  dalla  commissione
tributaria provinciale di Reggio Emilia.
    Deducono  in buona sostanza i rimettenti che le norme denunciate,
assumendo  quale  presupposto dell'imposta il mero esercizio abituale
di una attivita' economica organizzata diretta alla produzione o allo
scambio   di  beni  ovvero  alla  prestazione  di  servizi  (art. 2),
indipendentemente  dal  risultato  economico  di  tale  attivita', ed
indicando  quale base imponibile il valore della produzione netta, al
netto  degli  ammortamenti,  costituita dalla differenza tra ricavi e
costi,  esclusi tuttavia gli interessi passivi ed i costi relativi al
personale  (artt. 4,  8  e  11),  si  porrebbero  in contrasto con il
principio  di capacita' contributiva e percio', in definitiva, con il
principio di eguaglianza, in quanto assoggetterebbero il contribuente
ad  un prelievo fiscale basato su una mera potenzialita' di capacita'
contributiva, suscettibile di non tradursi in reddito nel caso in cui
l'ammontare  di  retribuzioni  ed  interessi  passivi  sia  uguale  o
superiore  al valore della suddetta produzione netta, attesa anche la
mancata previsione di qualsivoglia meccanismo di rivalsa.
    6.1. - Le questioni sono infondate.
    6.2.   -   E'  costante  nella  giurisprudenza  di  questa  Corte
l'affermazione  secondo  la  quale rientra nella discrezionalita' del
legislatore,   con   il  solo  limite  della  non  arbitrarieta',  la
determinazione   dei   singoli   fatti   espressivi  della  capacita'
contributiva  che,  quale  idoneita' del soggetto all'obbligazione di
imposta,  puo'  essere desunta da qualsiasi indice che sia rivelatore
di ricchezza e non solamente dal reddito individuale (sentenze n. 111
del 1997, n. 21 del 1996, n. 143 del 1995, n. 159 del 1985).
    Nel  caso  dell'I.R.A.P.  il  legislatore, nell'esercizio di tale
discrezionalita',  ha  individuato  quale  nuovo  indice di capacita'
contributiva,  diverso  da  quelli  utilizzati  ai fini di ogni altra
imposta,  il  valore  aggiunto prodotto dalle attivita' autonomamente
organizzate.
    La   scelta  di  siffatto  indice  -  diversamente  da  quanto  i
rimettenti  assumono  -  non  puo'  dirsi irragionevole, ne' comunque
lesiva  del principio di capacita' contributiva, atteso che il valore
aggiunto  prodotto  altro  non e' che la nuova ricchezza creata dalla
singola   unita'   produttiva,   che   viene,   mediante  l'I.R.A.P.,
assoggettata  ad  imposizione ancor prima che sia distribuita al fine
di  remunerare  i diversi fattori della produzione, trasformandosi in
reddito  per  l'organizzatore  dell'attivita', i suoi finanziatori, i
suoi dipendenti e collaboratori.
    L'imposta  colpisce  percio', con carattere di realita', un fatto
economico,  diverso  dal reddito, comunque espressivo di capacita' di
contribuzione  in capo a chi, in quanto organizzatore dell'attivita',
e'  autore  delle  scelte  dalle  quali  deriva la ripartizione della
ricchezza  prodotta  tra  i  diversi  soggetti  che, in varia misura,
concorrono alla sua creazione.
    Irrilevante,   ai   fini   della  valutazione  della  conformita'
dell'imposta al principio di capacita' contributiva, e' d'altro canto
la  mancata  previsione  del diritto di rivalsa da parte del soggetto
passivo  dell'imposta  stessa  nei  confronti  di  coloro cui pure il
valore  aggiunto  prodotto  e',  pro  quota,  riferibile  (e  cioe' i
lavoratori ed i finanziatori).
    Come  si  verifica  per qualsiasi altro costo (anche di carattere
fiscale)  gravante  sulla  produzione, l'onere economico dell'imposta
potra'  essere  infatti  trasferito  sul  prezzo  dei  beni o servizi
prodotti,  secondo  le  leggi  del  mercato,  o  essere  totalmente o
parzialmente recuperato attraverso opportune scelte organizzative.
    7.  -  Un  secondo  gruppo  di  questioni riguarda specificamente
l'inclusione tra i soggetti passivi dell'imposta degli esercenti arti
e  professioni  di  cui  all'art. 49,  comma 1, del testo unico delle
imposte  sui  redditi  approvato  con  decreto  del  Presidente della
Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.
    8.  - Vengono in primo luogo in considerazione, a tale proposito,
le   questioni   di   legittimita'  costituzionale  -  da  intendersi
evidentemente  riferite  all'art. 3,  comma 1, lettera c) del decreto
legislativo  -  sollevate,  in  riferimento  all'art. 76 Cost., dalla
commissione tributaria provinciale di Como, con l'ordinanza emessa il
23 marzo  2000,  e  dalla  commissione  tributaria  di primo grado di
Bolzano, con tutte e tre le ordinanze.
    Assumono   i  rimettenti  che,  attraverso  l'assoggettamento  ad
I.R.A.P.  dei  lavoratori  autonomi,  si  sarebbe violato il criterio
direttivo  stabilito  dall'art. 3, comma 143, della legge 23 dicembre
1996,  n. 662  (Misure  di razionalizzazione della finanza pubblica),
rappresentato  dalla  riduzione  del  costo del lavoro e del prelievo
complessivo che grava sul lavoro autonomo.
    8.1. - Anche tale censura e' infondata.
    8.2.  - L'assunto da cui i rimettenti muovono - che cioe' l'onere
derivante  dall'I.R.A.P.  sia, per i lavoratori autonomi, maggiore di
quello da cui erano precedentemente gravati per effetto dei tributi e
contributi  soppressi  dall'art. 36  del  decreto  legislativo  -  e'
infatti  apodittico  ed indimostrato. Oltre a cio' va considerato che
il  criterio  direttivo  cui  i medesimi rimettenti fanno riferimento
riguarda  non  solamente l'istituzione dell'I.R.A.P., ma il complesso
delle  riforme  del  sistema tributario indicate nello stesso art. 3,
comma  143,  della  legge  n. 662 del 1996, tra le quali, ad esempio,
figura  anche,  alla  lettera  b) la revisione degli scaglioni, delle
aliquote  e  delle  detrazioni dell'imposta sul reddito delle persone
fisiche.  Con  la  conseguenza  che  la  comparazione andrebbe semmai
effettuata  con riguardo non alla sola I.R.A.P., ma all'intero carico
fiscale gravante sul lavoro autonomo prima e dopo la riforma.
    Da  ultimo  -  ed il rilievo e' di per se' decisivo - va comunque
osservato  che e' la stessa legge delega n. 662 del 1996 a prevedere,
all'art. 3, comma 144, lettera b), che l'istituenda imposta regionale
sulle  attivita' produttive venga applicata anche nei confronti degli
esercenti arti e professioni.
    9.  - Altri rimettenti dubitano della legittimita' costituzionale
della  normativa  istitutiva dell'I.R.A.P., nella parte in cui questa
opererebbe  una ingiustificata equiparazione, ai fini del trattamento
fiscale,  tra  redditi  di  impresa e redditi di lavoro autonomo, con
violazione  vuoi  del principio di eguaglianza, vuoi del principio di
capacita'  contributiva,  vuoi,  infine,  del principio di tutela del
lavoro in tutte le sue forme.
    Vengono  sotto  tale  profilo  in  considerazione le questioni di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 3,  comma  1,  lettera c) del
decreto    legislativo   sollevate   dalla   commissione   tributaria
provinciale  di  Como,  con l'ordinanza emessa il 18 ottobre 1999, in
riferimento  agli  artt. 3  e  35 Cost., dalla commissione tributaria
provinciale  di  Torino,  con le due ordinanze emesse il 23 settembre
1999,  in riferimento all'art. 53 Cost., dalla commissione tributaria
provinciale  di  Milano,  in  riferimento  agli artt. 3 e 53 Cost., e
dalla  commissione  tributaria di primo grado di Bolzano, con tutte e
tre  le  ordinanze,  in  riferimento all'art. 3 Cost; le questioni di
legittimita'  costituzionale  degli  artt. 2 e 3 del medesimo decreto
legislativo  sollevate  dalla  commissione  tributaria provinciale di
Parma,   in   riferimento   all'art. 3  Cost.,  e  dalla  commissione
tributaria  provinciale di Piacenza, in riferimento all'art. 53 Cost;
la  questione  di legittimita' costituzionale degli artt. 3, comma 1,
lettera  c),  4  e 8 del medesimo decreto legislativo sollevata dalla
commissione tributaria provinciale di Como, con l'ordinanza emessa il
23 marzo 2000, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost; la questione di
legittimita'  costituzionale degli artt. 2, 3, comma 1, lettera c), e
8   del  medesimo  decreto  sollevata  dalla  commissione  tributaria
provinciale di Trapani, in riferimento agli artt. 3, 35 e 53 Cost; la
questione  di  legittimita'  costituzionale  degli  artt. 3, comma 1,
lettera  c)  8  e  11 del medesimo decreto legislativosollevata dalla
commissione  tributaria  provinciale  di Reggio Emilia in riferimento
agli artt. 3, 35 e 53 della Costituzione.
    9.1.  -  Le  questioni  stesse  sono infondate alla stregua delle
considerazioni che seguono.
    9.2.  - Va innanzitutto ribadito che l'I.R.A.P. non e' un'imposta
sul reddito, bensi' un'imposta di carattere reale che colpisce - come
gia'  si  e'  osservato - il valore aggiunto prodotto dalle attivita'
autonomamenteorganizzate.
    Non  riguardando,  dunque,  la normativa denunciata la tassazione
dei redditi personali, le censure riferite all'asserita equiparazione
del  trattamento  fiscale dei redditi di lavoro autonomo a quello dei
redditi  di  impresa  risultano fondate su un presupposto palesemente
erroneo.
    L'assoggettamento   all'imposta  in  esame  del  valore  aggiunto
prodotto  da  ogni  tipo  di attivita' autonomamente organizzata, sia
essa  di  carattere imprenditoriale o professionale, e' d'altro canto
pienamente  conforme  ai  principi  di  eguaglianza  e  di  capacita'
contributiva - identica essendo, in entrambi i casi, l'idoneita' alla
contribuzione  ricollegabile  alla  nuova  ricchezza  prodotta  - ne'
appare in alcun modo lesivo della garanzia costituzionale del lavoro.
    E'  tuttavia  vero - come taluni rimettenti rilevano - che mentre
l'elemento  organizzativo  e'  connaturato  alla  nozione  stessa  di
impresa,  altrettanto  non puo' dirsi per quanto riguarda l'attivita'
di  lavoro  autonomo,  ancorche' svolta con carattere di abitualita',
nel  senso  che  e'  possibile  ipotizzare un'attivita' professionale
svolta in assenza di organizzazione di capitali o lavoro altrui.
    Ma  e'  evidente  che nel caso di una attivita' professionale che
fosse  svolta  in  assenza  di  elementi  di  organizzazione - il cui
accertamento,  in  mancanza  di  specifiche  disposizioni  normative,
costituisce   questione  di  mero  fatto  -  risultera'  mancante  il
presupposto  stesso  dell'imposta  sulle  attivita'  produttive,  per
l'appunto  rappresentato,  secondo l'art. 2, dall'"esercizio abituale
di  un'attivita'  autonomamente organizzata diretta alla produzione o
allo  scambio  di  beni  ovvero  alla prestazione di servizi", con la
conseguente inapplicabilita' dell'imposta stessa.
    10. - L'art. 3, comma 1, lettera c), del decreto legislativo - in
combinato  disposto,  secondo la prospettazione di taluni rimettenti,
con  l'art. 2  -  e'  ancora fatto oggetto di censura, in riferimento
all'art. 3  Cost., per l'ingiustificata disparita' di trattamento che
ne   deriverebbe   in  danno  dei  lavoratori  autonomi  rispetto  ai
lavoratori subordinati, non assoggettati all'imposta.
    10.1.   -   L'infondatezza  della  questione  -  sollevata  dalla
commissione   tributaria  provinciale  di  Torino,  con  entrambe  le
ordinanze,  dalla commissione tributaria provinciale di Milano, dalla
commissione   tributaria  provinciale  di  Parma,  dalla  commissione
tributaria  di  primo  grado  di  Bolzano,  con l'ordinanza emessa il
10 maggio   2000,  e  dalla  commissione  tributaria  provinciale  di
Piacenza  - risulta evidente sulla base delle medesime considerazioni
sopra svolte riguardo alla natura e all'oggetto dell'imposta.
    Una  volta  chiarito,  infatti,  che  l'I.R.A.P.  non colpisce il
reddito   personale  del  contribuente,  bensi'  il  valore  aggiunto
prodotto   dalle   attivita'   autonomamente   organizzate,   nessuna
ingiustificata   disparita'  di  trattamento  puo'  ravvisarsi  nella
inclusione   tra  i  soggetti  passivi  dell'imposta  dei  lavoratori
autonomi  -  in  quanto  appunto  esercenti  attivita'  autonomamente
organizzate - e non anche dei lavoratori dipendenti, la cui attivita'
e'  per  definizione  priva del connotato rappresentato dall'autonoma
organizzazione.
    11. - La commissione tributaria provinciale di Como, con entrambe
le  ordinanze,  la  commissione  tributaria provinciale di Milano, la
commissione  tributaria di primo grado di Bolzano, con tutte e tre le
ordinanze,  e  la commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia
ritengono,  sotto  altro  aspetto,  in  contrasto con il principio di
eguaglianza  l'inclusione  tra  i soggetti passivi dell'imposta degli
esercenti  arti  e professioni di cui all'art. 49, comma 1, del testo
unico  delle  imposte  sui redditi e non anche degli altri lavoratori
autonomi indicati ai commi 2 e 3 della stessa norma.
    11.1.  -  Anche in tal caso la censura e' priva di fondamento, in
quanto  l'assoggettamento  ad I.R.A.P. dei soli soggetti che svolgono
un'attivita'  di  lavoro autonomo per professione abituale, ancorche'
non  esclusiva, trova fondamento in una non irragionevole presunzione
circa  la  mancanza  del requisito dell'autonoma organizzazione nelle
diverse  ipotesi, previste dai commi 2 e 3 del menzionato art. 49, di
lavoro autonomo occasionale o comunque non abituale.
    12.  -  L'art. 3  del decreto legislativo e' infine ulteriormente
censurato,   in   riferimento  all'art. 3  Cost.,  dalla  commissione
tributaria  provinciale  di  Como,  con  entrambe le ordinanze, dalla
commissione  tributaria  di  primo  grado di Bolzano, con l'ordinanza
emessa  il 10 maggio 2000, e dalla commissione tributaria provinciale
di Parma in quanto porrebbe a carico solamente di alcune categorie di
contribuenti  il  finanziamento  del  Servizio  sanitario  nazionale,
essendo   stati   soppressi  dall'art. 36  del  decreto  legislativo,
contestualmente  all'entrata  in  vigoredell'I.R.A.P.,  i  previgenti
contributi.
    Sotto  il  medesimo profilo la commissione tributaria provinciale
di  Piacenza  solleva invece questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 36   del   decreto   legislativo,   sempre  in  riferimento
all'art. 3  Cost.,  mentre  la  Commissione tributaria provinciale di
Reggio  Emilia  dubita,  in  riferimento allo stesso parametro, della
legittimita' costituzionale sia dell'art. 3 che dell'art. 36.
    12.1. - Le questioni sono prive di fondamento.
    La  circostanza  che  i  contributi  per  il  servizio  sanitario
nazionale  -  unitamente  ad altre imposte e contributi - siano stati
soppressi  a  decorrere  dalla  data di entrata in vigore del decreto
legislativo   n. 446  del  1997  e  che  il  servizio  sanitario  sia
finanziato  anche  dalla  nuova  imposta  non esclude che il prelievo
operato  dall'I.R.A.P.  si  inquadri  nella fiscalita' generale e che
nessuna  identificazione sia percio' richiesta tra i soggetti passivi
dell'imposta   ed   i   beneficiari   dei  servizi  pubblici  al  cui
finanziamento il gettito e', in parte, destinato.
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riuniti i giudizi;
    a)   Dichiara   inammissibili   le   questioni   di  legittimita'
costituzionale  del  decreto  legislativo  15 dicembre  1997,  n. 446
(Istituzione   dell'imposta  regionale  sulle  attivita'  produttive,
revisione   degli   scaglioni,  delle  aliquote  e  delle  detrazioni
dell'Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta,
nonche'  riordino  della  disciplina  dei  tributi locali), sollevate
dalla  commissione  tributaria provinciale di Torino, con l'ordinanza
emessa  il  6 ottobre  1999, in riferimento agli artt. 3, 23, 53 e 76
della Costituzione; dalla commissione tributaria provinciale di Como,
con  l'ordinanza  emessa  il  18 ottobre  1999,  in  riferimento agli
artt. 3,  32  e  76  della  Costituzione, e con l'ordinanza emessa il
23 marzo  2000,  in riferimento all'art. 53 della Costituzione; dalla
commissione  tributaria  provinciale  di  Lecco,  in riferimento agli
artt. 3,  53  e 76 della Costituzione, e dalla commissione tributaria
provinciale   di   Piacenza,   in   riferimento   all'art. 76   della
Costituzione;
    b)   Dichiara   inammissibili   le   questioni   di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 1 del decreto legislativo 15 dicembre 1997,
n.446,  sollevate dalla commissione tributaria provinciale di Milano,
in   riferimento   agli   artt. 3  e  53  della  Costituzione;  dalla
commissione   tributaria   provinciale   di   Parma,  in  riferimento
all'art. 53 della Costituzione; dalla commissione tributaria di primo
grado  di  Bolzano,  con  tutte  e  tre  le ordinanze, in riferimento
all'art. 53   della   Costituzione;   dalla   commissione  tributaria
provinciale  di  Genova,  in  riferimento  agli  artt. 3  e  53 della
Costituzione;  dalla  commissione  tributaria  provinciale  di Reggio
Emilia,  in  riferimento  all'art. 53  della  Costituzione,  e  dalla
commissione   tributaria  provinciale  di  Piacenza,  in  riferimento
all'art. 3 della Costituzione;
    c)   Dichiara   inammissibile   la   questione   di  legittimita'
costituzionale   dell'art. 45,   comma  3,  del  decreto  legislativo
15 dicembre 1997, n. 446, sollevata, in riferimento all'art. 23 della
Costituzione,  dalla  commissione tributaria provinciale di Como, con
l'ordinanza  emessa  il 18 ottobre 1999; dalla commissione tributaria
di  primo grado di Bolzano, con l'ordinanza emessa il 10 maggio 2000;
dalla  commissione  tributaria  provinciale  di Reggio Emilia e dalla
commissione tributaria provinciale di Piacenza;
    d)   Dichiara   non   fondate   le   questioni   di  legittimita'
costituzionale:   dell'art. 3,  comma  1,  lettera  c),  del  decreto
legislativo  15 dicembre 1997, n. 446, sollevata, in riferimento agli
artt. 3   e  35  della  Costituzione,  dalla  commissione  tributaria
provinciale di Como, con l'ordinanza emessa il 18 ottobre 1999; degli
artt. 3,  comma  1,  lettera c), e 4 del medesimo decreto legislativo
sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla
commissione  tributaria  provinciale  di Torino, con le due ordinanze
emesse il 23 settembre 1999; degli artt. 2, 3, 4, 8 e 11 del medesimo
decreto legislativo sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della
Costituzione,  dalla  commissione  tributaria  provinciale di Milano;
degli  artt. 2,  3,  4,  8  e  11  del  medesimo  decreto legislativo
sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla
commissione  tributaria provinciale di Parma; degli artt. 3, comma 1,
lettera  c),  4  e  8  del medesimo decreto legislativo sollevata, in
riferimento   agli   artt. 3,  53  e  76  della  Costituzione,  dalla
commissione tributaria provinciale di Como, con l'ordinanza emessa il
23 marzo  2000;  degli  artt. 2,  3,  comma  1,  lettera  c), e 8 del
medesimo  decreto  legislativo sollevata dalla commissione tributaria
provinciale  di  Trapani,  in riferimento agli artt. 3, 35 e 53 della
Costituzione;  degli  artt. 2,  3,  4,  8  e  11 del medesimo decreto
legislativo  sollevata,  in  riferimento  agli artt. 3, 53 e 76 della
Costituzione, dalla commissione tributaria di primo grado di Bolzano,
con  tutte  e  tre le ordinanze; degli artt. 8 e 11, comma 1, lettera
c),  numeri  1),  2),  3)  e  4),  del  medesimo  decreto legislativo
sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla
commissione tributaria provinciale di Genova; degli artt. 2, 3, comma
1,  lettera c), 4, 8 e 11 del medesimo decreto legislativo sollevata,
in  riferimento  agli  artt. 3,  35  e  53  della Costituzione, dalla
commissione  tributaria  provinciale di Reggio Emilia; degli artt. 2,
3,  4 e 36 del medesimo decreto legislativo sollevata, in riferimento
agli  artt. 3  e  53 della Costituzione, dalla commissione tributaria
provinciale di Piacenza.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 maggio 2001.
                     Il Presidente: Santosuosso
                        Il redattore: Marini
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 21 maggio 2001.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
01C0521