N. 305 ORDINANZA 12 - 25 luglio 2001

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo   civile   -  Revocazione  delle  sentenze  della  Corte  di
  cassazione   -   Sentenza  dichiarativa  dell'inammissibilita'  del
  ricorso  - Inesperibilita' del ricorso per revocazione, nel caso di
  successivo  rinvenimento  di  documento  decisivo,  la  cui mancata
  produzione,  per causa non imputabile alla parte interessata, abbia
  impedito  la  pronuncia  sul  merito dell'impugnativa - Prospettata
  violazione  del diritto alla tutela giurisdizionale e del principio
  della  parita'  di trattamento tra le parti - Limiti all'intervento
  manipolativo   richiesto   -   Manifesta   inammissibilita'   della
  questione.
- Cod. proc. civ., artt. 391-bis e 395, numero 3.
- Costituzione, artt. 3 e 24.
(GU n.30 del 1-8-2001 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Massimo VARI;
  Giudici:  Riccardo  CHIEPPA,  Gustavo  ZAGREBELSKY,  Valerio ONIDA,
Carlo  MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto
CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE,Giovanni Maria FLICK;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale degli articoli 391-bis e
395, numero 3, del codice di procedura civile, promosso con ordinanza
emessa il 30 marzo 1999 dalla Corte di cassazione, iscritta al n. 278
del  registro  ordinanze  2000  e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 23, 1a serie speciale, dell'anno 2000.
    Visti  l'atto di costituzione della parte ricorrente nel giudizio
principale, nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio
dei ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 3 luglio 2001 il giudice relatore
Carlo Mezzanotte;
    Uditi l'avvocato Gregorio Iannotta per il ricorrente nel giudizio
principale  e  l'Avvocato  dello  Stato  Gabriella  Palmieri  per  il
Presidente del Consiglio dei ministri.
    Ritenuto che la Corte di cassazione, investita della richiesta di
revocazione  della  sentenza  in data 29 gennaio 1997, n. 897, con la
quale  la  medesima  Corte aveva dichiarato la inammissibilita' di un
ricorso  per  cassazione  non  avendo  il  ricorrente  provveduto  ad
integrare  il  contraddittorio  nei  confronti  di  un  litisconsorte
necessario  residente  in Germania, ha sollevato, in riferimento agli
articoli 3   e  24  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'
costituzionale  degli articoli 391-bis e 395, numero 3, del codice di
procedura  civile,  nella  parte in cui non consentono la revocazione
della  sentenza  di cassazione dichiarativa dell'inammissibilita' del
ricorso,  quando  successivamente  sia  stato  rinvenuto un documento
decisivo  relativo agli atti interni del giudizio di legittimita', la
cui  mancata  produzione  abbia  impedito  la  pronuncia  sul  merito
dell'impugnativa,  e  che la parte interessata, per causa ad essa non
imputabile, non abbia potuto tempestivamente produrre;
        che  la  Corte remittente premette in fatto che il ricorrente
ha  chiesto  la revocazione della citata sentenza sul presupposto che
il mancato deposito del ricorso notificato ai fini della integrazione
del contraddittorio non poteva essergli imputato, in quanto l'ufficio
notifiche  gli aveva consegnato l'atto, tempestivamente notificato il
4 maggio 1995, solo il 23 luglio 1997, giustificando il ritardo nella
restituzione con il fatto che il consolato d'Italia in Germania aveva
erroneamente indicato il nominativo di una parte estranea al processo
anziche' il destinatario dell'atto stesso;
        che,  quanto alla non manifesta infondatezza della questione,
eccepita  dal  ricorrente e sostenuta anche dal procuratore generale,
la  Corte  di  cassazione  rileva  che  l'art. 391-bis  del codice di
procedura  civile ammette la domanda di revocazione delle sentenze di
cassazione  nella  sola  ipotesi  di  cui all'art. 395, numero 4, del
medesimo codice, e cioe' per errore di fatto risultante dagli atti di
causa,   mentre   l'art. 395,   numero 3,  consentirebbe  il  rimedio
straordinario  della  revocazione  per il caso del ritrovamento di un
documento relativo a fatti costituenti l'oggetto della controversia e
non  anche di un documento decisivo per l'ammissibilita' del ricorso,
la  cui  mancata  produzione  abbia  in precedenza indotto la Corte a
negare l'esame sul merito e ad emettere una pronunzia sul processo;
        che, prosegue il giudice a quo, si sarebbe in presenza di una
limitazione della tutela giudiziale che, alla luce degli artt. 3 e 24
della   Costituzione,   risulterebbe   priva   di   una   ragionevole
giustificazione  allorche', come nel caso di specie, non si tratti di
porre  ulteriormente  in discussione un ragionamento opinabile, ma di
eliminare  un  vizio  esterno ad esso, assolutamente non imputabile a
chi  abbia  adito  l'autorita'  giudiziaria  per  ottenere  tutela e,
quindi, una pronuncia sul merito della controversia;
        che  si  e'  costituito  il  ricorrente  nel  giudizio a quo,
chiedendo  che  la  Corte  dichiari  la illegittimita' costituzionale
delle disposizioni censurate;
        che,  osserva  la  difesa  della parte privata, la disciplina
della   revocazione   delle   sentenze   di   cassazione,  introdotta
dall'art. 391-bis  del  codice  di  procedura  civile, sarebbe frutto
dell'invito  rivolto  al  legislatore  da questa Corte nella sentenza
n. 17  del  1986,  con la quale e' stata dichiarata la illegittimita'
costituzionale  dell'art. 395, numero 4, cod. proc. civ., nella parte
in  cui  non prevedeva la revocazione di sentenze rese dalla Corte di
cassazione  su  ricorsi  basati sull'art. 360, numero 4, del medesimo
codice ed affette dall'errore di cui all'art. 395, numero 4;
        che, con l'introduzione dell'art. 391-bis, prosegue la difesa
privata,  il legislatore si sarebbe limitato a recepire quanto deciso
da questa Corte e non avrebbe dato seguito alle indicazioni contenute
nella  citata  pronuncia,  la  quale, ancorche' limitata alla ipotesi
degli  errori  in procedendo, l'unica rilevante nel giudizio definito
con quella sentenza, conteneva un invito a rivedere l'intero art. 395
cod.  proc.  civ.  alla  luce  del  principio di inviolabilita' della
difesa in ogni stato e grado del procedimento;
        che la soluzione legislativa, soggiunge la parte, sarebbe del
tutto  inappagante,  giacche'  le  peculiarita'  del  magistero della
Cassazione  non  rileverebbero  nelle ipotesi in cui questa operi una
valutazione  di  fatto,  in quanto in tal caso l'indagine non sarebbe
diversa  da  quella  del giudice di merito in sede di scrutinio della
ritualita' degli atti del processo sottoposti al suo esame;
        che,  ad  avviso della parte privata, se non puo' contestarsi
che l'esaurimento dei mezzi di impugnazione costituisce uno strumento
necessario  per far si' che una decisione non possa piu' essere messa
in  discussione,  siffatta giustificazione non potrebbe valere quando
non  si tratta di sottoporre a nuovo esame un ragionamento opinabile,
quanto  piuttosto  di  eliminare  un  vizio esterno alla valutazione,
vizio   che   potrebbe   consistere  non  solo  nell'errore  previsto
dall'art. 395,  numero  4,  ma  anche nel fatto che il giudice non ha
potuto  esaminare  un  documento preesistente, la cui produzione, non
avvenuta   per   causa  di  forza maggiore,  avrebbe  portato  a  una
diversadecisione;
        che   l'esclusione   di  un  vizio  siffatto  da  quelli  che
legittimano  il  ricorso alla revocazione, conclude la parte privata,
determinerebbe    la   violazione   non   solo   dell'art. 24   della
Costituzione,  ma  anche  del  principio della parita' di trattamento
delle  parti  che  si  trovino in tale situazione rispetto alle altre
parti  che  possono  richiedere  la  revocazione  delle  sentenze  di
cassazione  ai  sensi degli artt. 391-bis e 395, numero 4, del codice
di procedura civile;
        che  e'  intervenuto  nel presente giudizio il Presidente del
Consiglio   dei  ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale  dello  Stato,  per chiedere che la questione sia dichiarata
inammissibile o infondata;
        che, osserva l'Avvocatura, la questione sollevata dalla Corte
di cassazione presenterebbe una duplice proiezione: l'una, volta alla
censura  dell'art. 391-bis,  tenderebbe  a  far  ricomprendere  anche
l'ipotesi  di  cui  al  successivo  art. 395, numero 3, fra i casi di
ammissibilita'  della  revocazione  delle  sentenze  della  Corte  di
cassazione;  l'altra mirerebbe ad estendere la portata dell'art. 395,
numero  3,  per  includervi  anche  il  caso  del  rinvenimento di un
documento decisivo per l'ammissibilita' del ricorso;
        che,  ad  avviso  della difesa erariale, la questione sarebbe
inammissibile innanzitutto per la genericita' delle censure, le quali
non   risulterebbero   specificate,   con   riguardo   ai   parametri
costituzionali  evocati, in relazione alle distinte norme denunziate,
una  delle quali attualmente dettata per tutte le sentenze di appello
o in unico grado;
        che  sarebbe poi inadeguato il giudizio di rilevanza, poiche'
sarebbe  consolidato l'orientamento secondo il quale ricadrebbe sulla
parte  notificante il ritardo con cui l'originale notificato le viene
restituito   e   non   potrebbe  farsi  rientrare  nella  nozione  di
forza maggiore, cui si riferisce il numero 3 dell'art. 395 cod. proc.
civ.,   la  negligenza  dell'ufficiale  giudiziario  e  degli  uffici
pubblici   che   con   questo   si   coordinano   per  l'espletamento
dellanotifica;
        che, ad avviso dell'Avvocatura, poiche' il profilo di censura
relativo  all'art. 395, numero 3, cod. proc. civ. sarebbe logicamente
pregiudiziale  a  quello  relativo  all'art. 391-bis, ogni ragione di
inammissibilita'  del  primo,  derivante  da  una carente valutazione
della  rilevanza,  dovrebbe ripercuotersi sul secondo, rendendo cosi'
inammissibile l'intera questione;
        che,  prosegue  la  difesa  erariale,  la  questione  sarebbe
inammissibile  anche  per  l'evidente  carattere  manipolativo  della
pronuncia  richiesta  alla Corte: spetterebbe infatti al legislatore,
in  materia processuale, ogni valutazione inerente al contemperamento
degli  interessi contrapposti che realizzi un equilibrio tra esigenze
di   ampliamento   dei   mezzi   di   impugnazione   e  di  controllo
endoprocessuale,  da  un  lato,  e,  dall'altro,  di salvaguardia del
principio  fondamentale  di  certezza delle situazioni giuridiche, di
natura  sostanziale,  che  impone una previsione di irretrattabilita'
delle  sentenze  della  Corte di cassazione, idonea ad assorbire ogni
vizio,  anche  se  inerente  alla  fase del giudizio che si e' svolta
davanti ad essa;
        che,   nel  merito,  secondo  l'Avvocatura  dello  Stato,  la
questione  sarebbe  comunque  infondata  per  un  duplice  ordine  di
ragioni.  In primo luogo, il diritto alla difesa, in quanto garantito
all'interno  del  procedimento,  non  sembra ricomprendere il diritto
all'impugnazione:  la  garanzia  del  diritto  di  difesa  opererebbe
infatti  nel  processo  finche' questo e' in corso di svolgimento, ma
non  postulerebbe  anche  che esso rimanga indefinitamente aperto. In
secondo  luogo, la scelta del legislatore di limitare la possibilita'
dei  casi  di  revocazione  delle  sentenze della Corte di cassazione
all'errore   di   fatto   del   giudicante   sarebbe  tutt'altro  che
irragionevole   in  relazione  all'insieme  delle  esigenze  e  degli
interessi che vengono in rilievo.
    Considerato che l'articolo 391-bis del codice di procedura civile
dispone  che,  se la sentenza della Corte di cassazione e' affetta da
errore   di   fatto  ai  sensi  dell'art. 395,  numero  4,  la  parte
interessata  puo'  chiederne  la  revocazione con il ricorso previsto
dagli artt. 365 e seguenti del medesimo codice;
        che  l'art. 395,  numero  3,  cod. proc. civ. consente, a sua
volta,   la  revocazione  delle  sentenze  di  appello  e  di  quelle
pronunciate in unico grado se dopo la sentenza sono stati trovati uno
o  piu'  documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in
giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario;
        che  la  Corte  di  cassazione,  adita  con  un  ricorso  per
revocazione   di   una   propria   sentenza  per  il  motivo  di  cui
all'art. 395,  numero  3,  del  codice  di procedura civile, chiede a
questa  Corte  di  dichiarare  la illegittimita' costituzionale degli
artt. 391-bis  e 395, numero 3, del codice di procedura civile, nella
parte  in  cui  non  consentono  la  revocazione  della  sentenza  di
cassazione  dichiarativa  dell'inammissibilita'  del  ricorso, quando
successivamente  sia  stato  rinvenuto un documento decisivo relativo
agli  atti  interni  del  giudizio  di  legittimita',  la cui mancata
produzione abbia impedito la pronuncia sul merito dell'impugnativa, e
che  la parte interessata non abbia potuto tempestivamente depositare
per causa che non le era in alcun modo imputabile;
        che,  in  sostanza,  il giudice a quo sollecita una pronuncia
che,   incidendo,   da   un   lato,   sull'ambito   di   operativita'
dell'art. 395,  numero 3, e, dall'altro, su quello dell'art. 391-bis,
dovrebbe consentire l'esperibilita' del ricorso per revocazione anche
nel  caso  di  una  sentenza  della  Corte  di  cassazione  che abbia
pronunciato  la  inammissibilita'  del  ricorso a causa della mancata
produzione  nel  termine  perentorio,  stabilito  dalla  legge  o dal
giudice,  di  un  atto  comprovante  l'adempimento dell'onere posto a
carico della parte;
        che la questione e' inammissibile sotto molteplici profili;
        che   deve   essere   innanzitutto  dichiarata  l'estraneita'
all'ambito  della  giustizia  costituzionale  di una pronuncia, quale
sarebbe  quella  prefigurata dal remittente, che fosse caratterizzata
da un grado di manipolativita' tanto elevato da investire non singole
disposizioni  o  il congiunto operare di alcune di esse, ma un intero
sistema   di  norme  -  quello  relativo  ai  mezzi  straordinari  di
impugnazione  -  cosi'  da  coinvolgere, accanto al regime di normale
irretrattabilita'  delle sentenze della Corte di cassazione, le quali
diverrebbero   suscettibili  di  revocazione  al  di  la'  di  quanto
specificamente   previsto   dall'art. 391-bis,   anche  quello  delle
sentenze pronunciate in grado di appello o in unico grado, poiche' e'
a  queste  che  fanno  riferimento  tutte  le  ipotesi di revocazione
regolate  dall'art. 395  cod. proc. civ., incluse quelle disciplinate
nel censurato art. 395, numero 3;
        che  una  simile  pronuncia,  oltre  a coinvolgere insieme il
regime  delle  sentenze  di  cassazione  e di quelle rese in grado di
appello  o in unico grado, dovrebbe anche investire nozioni rilevanti
nel  giudizio  di  revocazione,  quali  quelle di forza maggiore e di
decisivita'  di  un documento, imprimendo ad esse significati nuovi e
piu' ampi;
        che,  infatti,  quanto  alla  forza maggiore,  che,  ai sensi
dell'art. 395,  numero 3, puo' costituire motivo di revocazione delle
sentenze pronunciate in grado di appello o in unico grado nei casi in
cui  determina la mancata produzione di un documento, questa Corte e'
sollecitata  ad ampliarne la portata, cosi' da comprendere in essa il
ritardo o l'errore dell'ufficiale giudiziario nella esecuzione di una
notificazione,  laddove e' risaputo il consolidato orientamento della
giurisprudenza   di  legittimita'  secondo  il  quale  la  negligenza
dell'ufficiale  giudiziario incaricato della notificazione di un atto
di  impugnazione non impedisce la decadenza dall'impugnazione stessa,
potendo  eventualmente  determinare  la  responsabilita' del medesimo
ufficiale giudiziario, da far valere in diversa sede;
        che,  seguendo un ordine di idee non dissimile, questa Corte,
in  riferimento  ad  ipotizzate  violazioni  del  diritto  di  difesa
conseguenti    alla    negligenza    o   comunque   all'inadempimento
dell'ufficiale   giudiziario  nella  notificazione  di  un  atto,  ha
affermato  che  gli  interventi  volti  a  comporre  le  contrapposte
esigenze  di  concedere alla parte ulteriori strumenti di difesa e di
assicurare   al   processo   una  ragionevole  durata  attraverso  la
previsione  di  termini  perentori,  richiedono apprezzamenti rimessi
esclusivamente al legislatore e preclusi nel giudizio di legittimita'
costituzionale   (ordinanza   n. 855  del  1988);  salvo,  beninteso,
l'ipotesi  estrema,  che  qui  non  ricorre,  in  cui  un  intervento
demolitorio  si  renda  necessario  al  fine  di preservare il nucleo
essenziale  della  tutela  giurisdizionale,  nel  qual  caso andrebbe
comunque  lasciato  al legislatore il compito di colmare il vuoto con
una nuova disciplina;
        che anche la nozione di decisivita' del documento verrebbe ad
essere  considerevolmente  ampliata  per  effetto  della  sollecitata
pronuncia    di   accoglimento,   giacche'   e'   noto   che,   nella
interpretazione   giurisprudenziale,   di  decisivita'  si  parla  in
relazione a documenti concernenti il merito della controversia - vale
a  dire a documenti, la cui produzione, non verificatasi per causa di
forza  maggiore  o  per  fatto  dell'avversario,  avrebbe in astratto
potuto  condurre  ad una diversa decisione di diritto sostanziale - e
non  anche  in  relazione a quei documenti la cui acquisizione, lungi
dal  consentire una decisione sul merito diversa da quella gia' resa,
avrebbe  unicamente  l'effetto di rendere possibile il superamento di
una soluzione processuale;
        che  solo  in apparenza, dunque, l'oggetto della questione e'
limitato  all'art. 391-bis,  nella  parte  in  cui  non  consente  la
revocazione  per  i  motivi di cui all'art. 395, numero 3: in realta'
esso  e'  chiaramente  inteso  a  provocare, all'interno dello stesso
art. 395,  numero 3,  un  intervento  manipolativo  che  consenta  di
superare  la  configurazione che hanno assunto nel diritto vivente le
nozioni di forza maggiore e decisivita';
        che  un intervento di simili dimensioni, inteso a coinvolgere
simultaneamente  la disciplina di piu' fasi del giudizio e a rivedere
istituti  e  nozioni che hanno trovato da lungo tempo il loro assetto
stabile  nella  giurisprudenza, e' riservato al legislatore, al quale
soltanto  competerebbe  definire  un  equilibrio  diverso  da  quello
attuale  tra  rimedi  interni alle singole fasi o gradi del giudizio,
mezzi   di   impugnazione   ordinari,  mezzi  straordinari  e  rimedi
risarcitori;
        che   d'altronde   lo   stesso  legislatore,  nel  realizzare
l'attuale  equilibrio,  ha osservato particolare cautela nell'impiego
dei  mezzi  straordinari di impugnazione, nella consapevolezza che un
indiscriminato  accrescimento  di  questi  pregiudicherebbe  il  bene
costituzionale   della   ragionevole  durata  del  processo,  che  e'
preordinato  a garantire la stabilita' delle situazioni giuridiche, e
che,  gia'  implicito nell'art. 24 Cost., e' ora oggetto di specifica
enunciazione   nel   nuovo  testo  dell'art. 111  Cost.,  sulla  scia
dell'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali;
        che,   una   volta   appurato   che   rientra  appieno  nella
discrezionalita' del legislatore la scelta circa il mezzo piu' idoneo
per  soddisfare  le  ulteriori  esigenze  di  difesa  di  cui  si  fa
portatrice  l'ordinanza  di rimessione - la scelta, cioe', tra rimedi
interni   al   processo   (qual'e',   ad   esempio,  quello  previsto
dall'art. 184-bis),   mezzi  di  impugnazione  straordinaria,  tutela
risarcitoria,   e   via   discorrendo  -  la  questione  si  appalesa
manifestamente inammissibile anche per l'ulteriore ragione che tra le
situazioni  poste a raffronto nel caso di specie non e' riscontrabile
quella   identita'   di   rationes   normative   che  e'  presupposto
indefettibile   perche'   questa   Corte   possa   intervenire  sulle
disposizioni impugnate per estenderne l'ambito di operativita';
        che, infatti, quanto all'art. 395, numero 3, cod. proc. civ.,
l'obiettivo  perseguito  dal  legislatore, nel prevedere l'ipotesi di
revocazione  per la mancata produzione di un documento decisivo oltre
che  nei casi di forza maggiore, anche quando tale mancata produzione
sia   imputabile   al  fatto  dell'avversario,  e'  stato  quello  di
sanzionare  con  la  possibile  riapertura del processo comportamenti
sleali di una parte ai danni dell'altra;
        che  una  simile  finalita'  non  potrebbe  ravvisarsi in una
disciplina  che  analoga  sanzione  prevedesse  per il fatto di terzi
estranei   al   processo,   quali   indubbiamente   sono  l'ufficiale
giudiziario  e  gli  uffici  consolari  che con esso cooperano per le
notificazioni all'estero;
        che,  contrariamente  a  quanto  il  giudice  a quo mostra di
ritenere, la mancata produzione di un documento necessario al fine di
non  incorrere  nella sanzione processuale della decadenza e l'errore
di  fatto del giudice, contemplato nell'art. 391-bis, non obbediscono
ad  una  medesima  ratio,  solo in quest'ultimo caso, e non anche nel
primo, potendo parlarsi di una sentenza viziata;
        che  non  ricorrono,  quindi,  le  condizioni  perche' questa
Corte,   con  una  pronuncia  additiva,  possa  ampliare,  nel  senso
richiesto  dal remittente, la sfera applicativa degli artt. 391-bis e
395, numero 3, cod. proc. civ;
        che  infatti  una  tale  operazione non si risolverebbe nella
semplice  estensione  di  una  disciplina  ad  ipotesi  in  essa  non
ricomprese  e tuttavia accomunate da identica ratio, ma comporterebbe
l'introduzione di un motivo di revocazione affatto nuovo, che sarebbe
caratterizzato  da  una  ratio  autonoma  e  diversa,  e  che solo il
legislatore    potrebbe    prevedere    nell'esercizio    della   sua
discrezionalita';
        che,  conclusivamente,  la  questione  deve essere dichiarata
manifestamente inammissibile.
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta  inammissibilita'  della  questione  di
legittimita'  costituzionale  degli articoli 391-bis e 395, numero 3,
del  codice  di  procedura  civile,  sollevata,  in  riferimento agli
articoli  3  e  24 della Costituzione, dalla Corte di cassazione, con
l'ordinanza indicata in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 luglio 2001.
                         Il Presidente: Vari
                      Il redattore: Mezzanotte
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 25 luglio 2001.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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