N. 578 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 aprile 2001

Ordinanza  emessa  il  5  aprile  2001  dal  tribunale  di  Roma  nel
procedimento penale a carico di Sforza Roberto

Processo   penale   -   Giudizio  abbreviato  -  Richiesta  da  parte
  dell'imputato  subordinata ad integrazione probatoria - Diritto del
  pubblico  ministero di interloquire, esprimendo consenso o dissenso
  motivato,  nonche' di esercitare pienamente il diritto alla prova e
  di  espletare  ulteriori  indagini - Mancata previsione - Contrasto
  con  il  principio  di  imparzialita'  e  di  buon  andamento della
  pubblica    amministrazione    -    Lesione   del   principio   del
  contraddittorio tra le parti.
- Cod. proc. pen., art. 438, comma 5.
- Costituzione, artt. 97 e 111.
(GU n.33 del 29-8-2001 )
                            IL TRIBUNALE

    Sulla  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 438
c.p.p.,  per  violazione  degli artt. 3, 97 e 111 della Costituzione,
sollevata dal p.m.; sentito il difensore:

                            O s s e r v a

    Fattispecie concreta.
    All'udienza  del  6  marzo 2001 la difesa chiedeva la definizione
del procedimento nelle forme del giudizio abbreviato subordinato alla
produzione   documentale   (sentenza   di   assoluzione   in   favore
dell'imputato  passata  in  giudicato il 31 ottobre 2000, sentenza di
assoluzione  del g.i.p. del tribunale di Velletri, memoria difensiva)
nonche'  alla  audizione  del  consulente  medico legale; il pubblico
ministero  sollevava  questione  di  legittimita'  costituzionale per
violazione  del  principio  del contraddittorio e della parita' delle
parti,  sia  relativamente  alla  impossibilita'  di  interloquire in
merito  alle  richieste,  sia  relativamente  alla  impossibilita' di
effettuare  ulteriori  indagini  eventualmente  necessarie  all'esito
della attivita' introdotta dalla difesa.
    Quadro normativo.
    E'  quello  del  quinto comma dell'art. 438, quinto comma, c.p.p.
che    testualmente    recita:   "L'imputato,   ferma   restando   la
utilizzabilita'   ai   fini   della   prova   degli   atti   indicati
nell'art. 442,  comma  1-bis,  puo'  subordinare  la richiesta ad una
integrazione  probatoria  necessaria  ai  fini  della  decisione.  Il
giudice  dispone  il giudizio abbreviato se l'integrazione probatoria
richiesta  risulta necessaria ai fini della decisione compatibile con
le finalita' di economia processuale proprie del procedimento, tenuto
conto  degli  atti  gia'  acquisiti  ed  utilizzabili. In tal caso il
pubblico  ministero  puo'  chiedere  l'ammissione di prova contraria.
Resta salva l'applicabilita' dell'art. 423".
    Nell'ambito di tale norma dunque si registra:
        a)   la  esclusione  l'esigenza  del  consenso  del  pubblico
ministero;
        b)  la scomparsa del rigore della caratteristica del giudizio
abbreviato  come  "giudizio allo stato degli atti" perche' l'imputato
puo' disporre una contenuta integrazione probatoria.
    In   altri  termini  il  giudizio  abbreviato  ha  perso  le  sue
caratteristiche di giudizio a prova contratta per acquisire, nel caso
di  richiesta condizionata ammessa (ma anche di richiesta pura, se il
giudice   esercita   i   poteri   officiosi),  la  fisionomia  di  un
dibattimento  minimo,  nell'ambito del quale e' possibile l'esercizio
del  diritto alla prova da parte dell'imputato ed alla controprova da
parte del pubblico ministero.
    Indubbiamente  l'ambito dei poteri del pubblico ministero risulta
notevolmente  ridotto  a causa dell'eliminazione del suo consenso per
l'accesso al rito, con le seguenti conseguenze "non volute":
        a)  diritto  solo  alla  controprova  (se  vi e' integrazione
probatoria  a  seguito  di richiesta condizionata) ovvero facolta' di
sollecitazione per l'esercizio dei poteri officiosi del giudice;
        b) limitazione all'impugnazione del pubblico ministero per le
sentenze  di condanna, tranne che vi sia stata la modifica del titolo
di reato;
        c)  limitazione  dei  poteri  di  contestazione  del pubblico
ministero, titolare esclusivo dell'azione penale, ai soli casi in cui
la  diversita'  o  la  novita'  del  fatto  emerga dalle integrazioni
probatorie.  Quindi  il  pubblico  ministero  non  potra' procedere a
contestazioni suppletive se il quadro probatorio resta immutato, tale
e quale era al momento della ammissione del rito.
    Non   convincendo   l'argomento  di  considerare  tale  riduzione
nell'ambito di un equilibrio generale del processo in relazione anche
ai c.d. "contrappesi interni" al rito tanto da ritenere che l'eccesso
di  potere attribuito all'imputato in tale segmento processuale possa
costituire in realta' fattore di riequilibrio in termini sistematici,
in  tale  quadro  normativo  il giudicante rileva numerosi profili di
incostituzionalita'.
    Il contrasto con l'art. 111 della Costituzione.
    Prevede   il   medesimo   art. 111   della  Costituzione  che  la
giurisdizione  si  attua  mediante  il giusto processo regolato dalla
legge, e che ogni processo si svolge in contraddittorio tra le parti,
in  condizione di parita', davanti ad un giudice terzo ed imparziale.
Tale  disposizione,  a  parere  del tribunale, non puo' che riuardare
qualsiasi   fase  processuale,  in  quanto  le  norme  contenute  nei
successivi  commi 4 e 5 regolano, piu' specificamente, l'applicazione
del principio del contraddittorio alle sole fasi in cui viene assunta
la  prova.  Tale distinzione, evidente alla mera lettura della norma,
implica  che  i  principi  del  rispetto  del contraddittorio e della
parita' delle parti nel processo operano sin dall'inizio del processo
medesimo  e  che, quindi, non vi e' alcuna fase svincolata dalla loro
applicazione concreta. E' quindi consequenziale ritenere che non puo'
verificarsi  nel  processo  penale  alcuna  situazione  giuridica che
consenta il suo regolare svolgimento senza che a ciascuna delle parti
sia  riconosciuto  il  diritto ad interloquire. Tale diritto non puo'
ovviamente essere inteso come mera facolta' formale ad esprimersi, ma
deve manifestarsi in modo tale che ad esso possa conseguire efficacia
giuridica.  In caso contrario il diritto a contraddire e il principio
della  parita'  delle parti resterebbero vuoti di contenuti giuridici
concreti,  con  la  conseguenza che la norma dell'art. 111 resterebbe
del tutto disattesa e quindi priva di efficacia precettiva.
    Nel  caso in questione, non appare conforme alla Costituzione non
solo  privare  il  pubblico  ministero  del  diritto a contraddire le
richieste  dell'imputato  in  tema di giudizio abbreviato. L'impianto
normativo  in  vigore  evidenzia  quindi chiari dubbi di legittimita'
costituzionale,  perche'  impedisce  sia  il  pieno  dispiegarsi  del
contraddittorio anche nella attuale fase processuale, sia il rispetto
del  principio  della  parita'  delle  parti, con ovvia e conseguente
rilevanza nel processo in corso.
    Il contrasto con l'art. 97 della Costituzione.
    I presupposti logico-giuridici del rito abbreviato si rinvengono,
come  emerge  chiaramente  anche nei lavori preparatori del codice di
procedura  vigente,  nella  abbreviazione  dei  tempi  processuali in
conseguenza del mancato svolgimento della istruttoria dibattimentale,
o  dell'intera  fase  dibattimentale: e' proprio alfine di realizzare
tale  esigenza  che il legislatore ha riconosciuto uno sconto di pena
al  soggetto  richiedente. Secondo la normativa attuale, invece, tale
rito  rimane  del tutto svincolato dai presupposti sopra indicati, in
quanto,  qualora  il  giudice  ritenga  necessario  procedere  ad una
qualche  integrazione  probatoria, ha comunque l'obbligo di applicare
la diminuente del rito, malgrado risultino evidentemente disattese le
ragioni  di  speditezza  ed  economia  alla base dell'istituto. Sulla
scorta  di  tali  ultime  osservazioni, deve ritenersi che la attuale
normativa  sul giudizio abbreviato viola anche il principio enunciato
dall'art. 97  della  Costituzione,  della  imparzialita'  e  del buon
andamento della pubblica amministrazione (nella quale deve ovviamente
ricomprendersi   anche   quella  giudiziaria),  poiche'  comporta  la
attribuzione   agli   imputati   di   vantaggio   significativi,   ma
ingiustificati,  in  quanto non sempre conseguenti alla realizzazione
dei fini ai quali dovrebbero essere preordinati.
    Un  ulteriore  argomento  inteso  a  rafforzare  le  tesi sin qui
esposte    si   rinviene   nell'insegnamento   della   stessa   Corte
costituzionale,  contenuto  nella  ordinanza  26 febbraio 1998 n. 33,
secondo cui la possibilita' di adottare il rito abbreviato sulla base
delle  sole  richieste  dell'imputato  in funzione dei suoi legittimi
interessi  di difesa, violerebbe i principi fondamentali che regolano
il  processo  penale,  intesi  essenzialmente  alla realizzazione dei
superiori interessi della giustizia.
                              P. Q. M.
    Vista la legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Ritenutane la rilevanza nel presente processo;
    Dichiara   non   manifestamente   infondata   la   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 438, quinto comma, c.p.p. nella
parte  in  cui  non prevede il diritto del p.m. di interloquire sulla
scelta  del  rito  abbreviato  condizionato  formulata dall'imputato,
esprimendo  consenso  o  dissenso  motivato,  nonche'  di  esercitare
pienamente il diritto alla prova e di espletare ulteriori indagini da
tale scelta derivanti.
    Sospende   il  giudizio  in  corso  nei  confronti  dell'imputato
indicato   nella   epigrafe   della   presente   ordinanza  e  ordina
trasmettersi gli atti alla Corte costituzionale di Roma.
    Manda  alla cancelleria per gli adempimenti conseguenti, relativi
alla  notifica  della  presente ordinanza al Presidente del Consiglio
dei ministri ed ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
        Roma, addi' 5 aprile 2001.
                                             Il Presidente: Almerighi
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