N. 666 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 maggio 2001

Ordinanza emessa l'11 maggio 2001 dalla Corte d'Assise di Messina nel
procedimento penale a carico di Micale Salvatore ed altri

Processo  penale  -  Prove  -  Testimonianza  indiretta  - Divieto di
  testimonianza  degli  ufficiali ed agenti di poliziagiudiziaria sul
  contenuto   delle  dichiarazioni  acquisite  da  testimoni  con  le
  modalita' di cui agli artt. 351 e 357, comma 2, lett. a) e b), cod.
  proc.  pen. - Irragionevolezza - Disparita' di trattamento rispetto
  ai testimoni comuni e agli investigatori privati autorizzati.
- Codice di procedura penale, art. 195, comma 4, aggiunto dall'art. 4
  della legge 1 marzo 2001, n. 63.
- Costituzione, art. 3.
(GU n.37 del 26-9-2001 )
                           CORTE DI ASSISE

    All'udienza dibattimentale del giorno 11 maggio 2001 ha emesso la
seguente  ordinanza  nel  procedimento  a carico di Micale Salvatore,
Calderone   Antonino,   Rossitto  Fortunato,  imputati  dell'omicidio
aggravato  di  La  Rocca Francesco e Nicosia Giuseppe, e del connesso
reato  in  materia  di  armi, commessi in Meri' o in Barcellona P. G.
(Messina) il 4 novembre 1996.
    Iniziata   l'assunzione   delle   prove  richieste  dal  pubblico
ministero,   nel   corso   di   questa  udienza  durante  l'audizione
dell'ispettore della Polizia di Stato Giuliante Nicoletta, chiamata a
deponrre, tra l'altro, "sulle indagini effettuate", i difensori degli
imputati  si  sono  opposti  a che il testimone riferisse in merito a
circostanze  apprese  nel  corso  delle  indagini  da  persone le cui
dichiarazioni  erano  gia'  state  oggetto  di verbalizzazione, e che
peraltro dovrebbero essere assunte come testimoni nel corso di questo
dibattimento.
    L'opposizione   e'   evidentemente   ispirata   dal  nuovo  testo
dell'art. 195,  comma  4,  c.p.p.,  cosi' come introdotto dall'art. 4
della  legge  1  marzo  2001,  n. 63 (Gazzetta Ufficiale n. 68 del 22
marzo  2001),  che  ha  sostituito  il  precedente  testo del comma 4
dichiarato  illegittimo dalla Corte costituzionale con sentenza n. 24
del  31  gennaio  1992. Dispone la norma, cosi' come novellata da una
legge  diretta  ad introdurre "Modifiche al codice penale e al codice
di  procedura  penale  in  materia  di formazione e valutazione della
prova  in  attuazione della legge costituzionale di riforma dell'art.
111  della  Costituzione", che "gli ufficiali e gli agenti di polizia
giudiziaria  non  possono  deporre  sul contenuto delle dichiarazioni
acquisite  da  testimoni con le modalita' di cui agli art. 351 e 357,
comma  2,  lettere  a)  e  b)",  aggiungendo che "negli altri casi si
applicano  le disposizioni dei commi 1, 2 e 3" dello stesso art. 195,
rimasti immutati anche dopo la piu' recente riforma.
    Il   pubblico  ministero,  preannunciando  che  la  questione  e'
destinata  a  hproporsi  in questo dibattimento anche con riferimento
alla  testimonianza  di  altri appartenenti alla Polizia di Stato, ha
eccepito la illegittimita' costituzionale della nuova disposizione ai
sensi  degli  artt. 2,  3, 24, 25 e 101 della Costituzione, rilevando
che  la  medesima  riproduce  il contenuto di altra disposizione gia'
espunta  dall'ordinamento per effetto di una precedente dichiarazione
di   illegittimita'   costituzionale,   e   che,  malgrado  la  nuova
formulazione   dell'artt. 111  Cost.,  il  divieto  di  testimonianza
indiretta  ripropone  una irragionevole disparita' di trattamento tra
il teste qualificato ed il teste comune.
    I  difensori hanno sostenuto la manifesta infondatezza ed in ogni
caso  la  non  rilevanza  della  questione, assumendo, sotto il primo
profilo,  che  la  norma sarebbe una diretta derivazione dei principi
del  c.d.  giusto  processo,  costituzionalizzati attraverso il nuovo
art. 111  della Carta fondamentale, ed evidenziando, sotto il secondo
profilo,  che sarebbe stato sufficiente circoscrivere l'oggetto della
testimonianza  in  maniera  da evitare di entrare in contrasto con il
limite normativo.
    Ritiene   la  Corte  che  la  questione  sia  non  manifestamente
infondata e sicuramente rilevante.
    Sotto il secondo profilo e' sufficiente mettere in evidenza che i
difensori  si  sono immediatamente opposti allorche' per il testimone
si e' posto il problema della indicazione delle fonti relativamente a
circostanze  apprese  nel  corso  delle  indagini da altri testimoni,
richiamandosi   esplicitamente  al  divieto  introdotto  dalla  nuova
disciplina.  L'ipotesi  rientra  tra  quelle per le quali la legge in
seguito  alla riforma pone il divieto di deposizione, dal momento che
la circostanza a cui si riferiva l'appartenente alla Polizia di Stato
in  corso  di  audizione  sarebbe  stata  riferita (come ha precisato
incidentalmente  il  pubblico ministero che aveva posto la domanda in
merito alle indagini espletate) da Bilardo Lucia, sentita formalmente
nel  corso  delle  indagini  preliminari  ed  indicata  infatti  come
testimone  tanto  dal  pubblico  ministero  che  dai  difensori degli
imputati.
    Piu'  articolate  considerazioni  sorreggono,  a parere di questa
Corte,   l'affermazione   della   non  manifesta  infondatezza  della
questione.
    Che la norma introduca una palese differenziazione di trattamento
tra  la  testimonianza  indiretta  del  teste  comune  e quella degli
ufficiali   ed   agenti  di  polizia  giudiziaria  e'  implicitamente
riconosciuto dallo stesso difensore che, intervenendo per contrastare
l'eccezione  del  pubblico ministero, ha evidenziato che non andrebbe
adeguata  a quella del teste comune la disciplina della testimonianza
indiretta  del  teste  qualificato,  sotto il profilo dei limiti, ma,
piuttosto,  questi  ultimi  andrebbero  estesi  alla testimonianza de
relato  del  teste  comune,  con la conseguente eliminazione di fatto
della  testimonianza indiretta, perche' contrastante con il principio
del   contraddittorie   recepito   dal   nuovo   articolo  111  della
Costituzione.
    Va   immediatamente   rilevato,  con  riferimento  al  precedente
intervento  della  Corte  costituzionale,  che  lo  stesso  e'  stato
ispirato dalla considerazione che il metodo orale ed il principio del
contraddittorio  non  sono  messi  in discussione dalla testimonianza
indiretta  in  quanto  tale,  e  "il  diritto  di  difesa e' comunque
tutelato     attraverso     l'interrogatorio     diretto     ed    il
controinterrogatorio  del testimone" (Corte costituzionale 31 gennaio
1992,    n. 24),sicche'    il    divieto    generalizzato    previsto
originariamente dal codice in conformita' ad una specifica previsione
della  legge  delega  e'  apparso  del tutto privo di una ragionevole
giustificazione   ed   in   contrasto   con   l'art. 3   della  Carta
fondamentale.
    Il  divieto  contenuto nella nuova disposizione invero non assume
apparentemente la stessa portata del precedente, in quanto il limite,
operante  nel  caso  di  dichiarazioni  acquisite  da "testimoni" (da
intendersi in senso atecnico e generico) con le modalita' di cui agli
artt. 351 e 357, comma 2, lettere a) e b), c.p.p., e' destinato a non
agire in tutti gli altri casi in cui riprendono vigore, anche in caso
di  testimonianza indiretta del teste qualificato, le regole generali
di  cui  ai primi tre commi della norma. E, tuttavia, considerato che
la  polizia giudiziaria, di regola, ed in ossequio a precisi obblighi
istituzionali,  acquisisce  formalmente  le  informazioni  utili allo
svolgimento delle indagini, ai sensi del citato art. 357 c. p. p. (la
cui  lettera  c)  richiama  peraltro  proprio  l'art. 351 c.p.p.), e'
apparsa  assai  problematica  agli  stessi  primi  commentatori della
riforma  l'esatta individuazione dei casi esclusi dal divieto, da cui
dipende  inevitabilmente il riconoscimento della pretesa soluzione di
continuita' tra la vecchia e la nuova disciplina.
    A prescindere dalla questione della diversita' o meno della nuova
configurazione  del  divieto  rispetto alla previgente disciplina, si
assume  da  parte della difesa . che il nuovo contesto costituzionale
giustificherebbe  il  divieto, anzi rappresenterebbe l'attuazione dei
principi   posti   dal   nuovo  art. 111,  costituendo  una  naturale
esplicazione  del  principio  del  contraddittorio e del metodo orale
nella   formazione   della   prova,   che  precluderebbe  il  ricorso
surrettizio  a  fonti  di  prova  diverse  da  quelle interessate dal
procedimento di assunzione diretta.
    Sotto  il  profilo illustrato non sarebbe tuttavia in discussione
la   testimonianza   indiretta   del  testimone  qualificato,  ma  la
testimonianza  indiretta  tout  court,  destinata  effettivamente  ad
essere  espunta  dall'ordinamento  perche' contrastante con il canone
costituzionale se fosse corretta l'interpretazione proposta.
    Deve,  invece,  rilevarsi  che  un  tale sbocco esula chiaramente
dagli   obiettivi   della  riforma,  che  ha  conservato  infatti  la
testimonianza  indiretta,  pur intervenendo, tutte le volte in cui si
e'  avvertito  il bisogno di adeguamento, su molteplici aspetti della
disciplina  processuale  e  sullo  stesso art. 195 c. p. p., e che ha
lasciato   in   vita   l'istituto,   la   cui   soppressione  avrebbe
rappresentato  peraltro  la  irragionevole  negazione  di  un dato di
esperienza  comune  secondo  cui le nostre conoscenze sono il frutto,
solo  in  parte  limitata,  di  acquisizione  diretta,  e per lo piu'
costituiscono  il  prodotto  dei  rapporti  e delle relazioni con gli
altri consociati.
    Peraltro,  il  disposto  del  nuovo  art. 111 della Costituzione,
contrariamente  a  quanto assumono i difensori, non autorizza a porre
limiti   alla  testimonianza  indiretta  del  testimone  qualificato,
poiche'  non  vi  si  oppone  il  principio del contraddittorio, gia'
tenuto  nella  dovuta  considerazione  dal  giudice  delle  leggi  in
occasione del precedente intervento del 1992.
    Occorre  infatti  notare  che  il vincolo, posto dal quarto comma
della   norma   costituzionale,   non   determina  un  ostacolo  alla
ammimissibilita'   della  testimonianza.  Ove  poi  si  verifichi  la
sottrazione  del  dichiarante  indicato  dal testimone per sua libera
scelta,  al  confronto  dibattimentale,  il  principio costituzionale
comporta  un  limite  assoluto, ma solo in funzione della prova della
colvevolezza   alla   utilizzabilita'   delle  dichiarazioni  di  cui
eventualmente  il  giudice sia altrimenti venuto a conoscenza (ad es.
anche  attraverso la testimonianza del testimone qualificato), ma non
esclude che, ad altri fini, ed anche in favore dello stesso imputato,
di  tali elementi di prova si possa (e si debba) tenere conto ai fini
della decisione.
    L'irragionevolezza  del limite si manifesta anche ove si rifletta
sulle  conseguenze  pratiche  del  divieto  di  testimonianza, il cui
effetto, in un processo in cui il testimone qualificato sia chiamato,
come  nel  caso  di  specie,  a  riferire sulle indagini condotte, si
traduce  nella  inevitabile  frammentarieta' della deposizione, nella
irrazionale    scompaginazione    della    trama    narrativa   della
testimonianza,  nella  rappresentazione,  da  parte del testimone, di
circostanze  isolate  e  di  difficile, se non impossibile, lettura e
collocazione  logica, inconvenienti che sono accresciuti ed aggravati
dalla   recente   eliminazione  della  esposizione  introduttiva  del
pubblico  ministero  (art. 493  c.p.p.),  e  che comportano solamente
ostacoli  all'accertamento della verita' che continua a costituire lo
scopo fondamentale del processo penale.
    Peraltro,  e la considerazione appare decisiva, a tali sacrifici,
che possono incidere sull'andamento e sull'efficienza del processo ed
anche  sulla  sua  durata  (che  la  norma  costituzionale impone sia
"ragionevole"),  non corrisponde in alcuna misura l'ampliamento delle
garanzie  dell'imputato, e cio' accresce il carattere irrazionale del
limite,  posto  che  sussiste  comunque  l'obbligo  di raccogliere la
testimonianza  del  teste  de  relato,  e  di  verificare, attraverso
l'esame  diretto  della  fonte  nel  contraddittorio  delle parti, il
contenuto  delle  informazioni  riferite,  ed  in ogni caso, ove tale
assunzione  fosse  impedita  dalla  scelta della persona indicata, lo
sbarramento  di  cui al citato art. 111, comma 4, della Costituzione,
impedirebbe   l'affermazione   della  responsabilita'  in  base  alle
dichiarazioni  sottratte al controllo dalle libere determinazioni del
teste di riferimento.
    Pare,  infine,  alla  Corte  che  la  norma  indicata si ponga in
contrasto  con  l'art. 3  della Costituzione sotto un altro residuale
profilo,  in  quanto  alle  limitazioni  alla testimonianza indiretta
della  polizia  giudiziaria  non  corrispondono,  come  e' stato gia'
rilevato  in  sede di primo commento della riforma, limiti di analoga
portata   con  riferimento  agli  investigatori  privati  autorizzati
nell'ambito  delle  indagini  difensive  svolte  ai sensi della legge
7 dicembre 2000, n. 397, salvo gli eventuali casi di incompatibilita'
determinati  dalla  formazione della stessa documentazione difensiva,
che   e'   dotata,   peraltro,   di  potenzialita'  di  utilizzazione
paragonabile  a  quella  degli  atti di accusa (v. artt. 3 e 11 della
citata legge n. 397).
                              P. Q. M.
    Visti  gli  artt. 1  della  legge costituzionale 9 febbraio 1948,
n. 1, e 23 della legge il marzo 1953, n. 87;
    Dichiara  non manifestamente infondata con riferimento all'art. 3
della   Costituzione  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 195,  comma 4,  c.p.p.,  cosi'  come introdotto dall'art. 4
della  legge  1 marzo 2001, n. 63 (nella Gazzetta Ufficiale n. 68 del
22  marzo  2001), nella parte in cui prevede che "gli ufficiali e gli
agenti di polizia giudiziaria non possono deporre sul contenuto dalle
dichiarazioni  acquisite  da  testimoni  con le modalita' di cui agli
articoli 351 e 357, comma 2, lettere a) e b)" dello stesso codice.
    Dispone   l'immediata  trasmissione  degli  atti,  a  cura  della
cancelleria,  alla  Corte  costituzionale  e  sospende il giudizio in
corso.
    Ordina  altresi'  che,  a  cura  della  cancelleria,  la presente
ordinanza  sia  notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e
comunicata ai presidenti delle due Camere del Parlamento.
        Messina, addi' 11 maggio 2001
                        Il Presidente: Arena
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