N. 677 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 aprile 2001

Ordinanza  emessa  l'11  aprile  2001  dal  tribunale  amministrativo
regionale  del  Veneto  sui  ricorsi  riuniti  proposti  da comune di
Cittadella  contro  Provincia  di  Padova  e  da  Consorzio operatori
Grand'Affi shopping center ed altri contro Provincia di Verona.

Commercio  -  Regione  Veneto  -  Esercizi  di vendita al dettaglio -
  Obbligo  di  chiusura  domenicale  e festiva e di mezza giornata di
  chiusura  infrasettimanale  -  Deroghe  per  i  comuni  ad economia
  prevalentemente  turistica e perle "citta'" d'arte stabilite con il
  d.lgs.  n. 114/1998  -  Qualificazione con legge regionale di dette
  localita',in  relazione  al  numero  dei  posti  letto in strutture
  alberghiere  e  simili  e  alla  posizione  in "territorio montano,
  litoraneo,  lacuale  e  termale" - Irragionevolezza - Incidenza sui
  principi   di   imparzialita'   e  buon  andamento  della  pubblica
  amministrazione  -  Non  consentita legiferazione nella materia del
  commercio riservata allo Stato.
- Legge Regione Veneto 28 dicembre 1999, n. 62, art. 2 e 3.
- Costituzione, artt. 3, 97 e 117.
(GU n.37 del 26-9-2001 )
                IL TRIBUNALE amministrativo regionale

    Ha pronunziato la seguente ordinanza sui ricorsi:
    1)  n. 2431/2000,  proposto  dal comune di Cittadella, in persona
del  sindaco  pro  tempore,  rappresentato e difeso dall'avv. Alberto
Cartia,  con  domicilio  presso  la  segreteria  di  questo tribunale
amministrativo,  ai  sensi  dell'art. 35  del regio decreto 26 giugno
1924  n. 1054, come da delibera di autorizzazione a stare in giudizio
della Giunta municipale n. 265 del 24 luglio 2000 e mandato a margine
del ricorso;
    Contro  la  Provincia  di Padova, in persona del presidente della
giunta provinciale pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati
Francesco  Pata,  Cecilia  Ambrogi  e Patrizia Carbone, con domicilio
presso  la  segreteria  di  questo tribunale amministrativo, ai sensi
dell'art. 35  del  regio  decreto  26  giugno  1924  n. 1054, come da
procura ad litem a margine del controricorso, per l'annullamento:
        della  determinazione  dirigenziale  prot.  n. 44145  del  30
giugno 2000, di non accoglimento dell'istanza di riconoscimento quale
"citta'  d'arte"  ai  fini  della  deroga  agli  orari  di vendita al
dettaglio;
        di  ogni  altro atto connesso, segnatamente la delibera della
giunta  provinciale  n. 51  del  2  marzo 2000, recante i criteri per
l'applicazione   della  deroga,  ai  sensi  dell'art. 2  della  legge
regionale n. 62/1999;
    2)  n. 3612/2000  e  n. 3619/2000, proposti, rispettivamente, dal
Consorzio   operatori   Grand'Affi   shopping   center,   in  persona
dell'amministratore  unico, da SAR International S.r.l., da Milleidee
a  Millelire di Turato Roberta, da Magie d'Oriente S.r.1., da Baci di
Ferrari  Alba, da Pellicano di Morando Margherita e C. s.n.c., da AMB
Italia  S.r.l.,  da Lavasecco Azzurro e C. s.n.c. di Burato Laura, da
Sabbia  S.r.l., da Anti S.n.c. di Tiberio Veronesi e C., da Vediamoci
di  Senese  Lidia,  da  Le  Follie  S.n.c.  di  Bersan  Marcello,  da
Intimamente  S.n.c.  di  Beghini  Monica e Ambrosi Orietta, da 3A dei
F.lli Anonini, da Holding dei Giochi S.r.l. in persona dei rispettivi
legali rappresentanti pro tempore, tutti rappresentati e difesi dagli
avv. Riccardo Ruffo e Franco Zambelli, con domicilio eletto presso lo
studio  del  secondo  in  Venezia-Mestre,  via  Cavallotti, 22, e dai
comuni  di Affi, Castelnuovo del Garda, Cavaion Veronese, Costermano,
Pastrengo  e  Rivoli  Veronese, in persona dei rispettivi sindaci pro
tempore,  tutti autorizzati ad agire con singole delibere delle G.m.,
rappresentati  e  difesi dall'avv. Giovanni Sala e domiciliati presso
l'avv. Franco Zambelli;
    Contro  la  Provincia  di  Verona in persona del presidente della
giunta  provinciale  pro  tempore,  rappresentato e difeso dagli avv.
Giancarlo   Biancardi   e   Michele  Miguidi,  come  da  delibera  di
autorizzazione a stare in giudizio della giunta provinciale n. 23/598
del  14  dicembre  2000, e procura a.1., a margine dei controricorsi,
per  l'annullamento  della  determinazione dirigenziale n. 1579 del 3
ottobre  2000  recante  diniego  di  individuazione  quali  comuni  a
prevalente  economia  turistica,  ai  fini della deroga agli orari di
vendita;  nonche'  della  delibera della giunta provinciale n. 12/246
del   25   febbraio   2000,   recante   fissazione  dei  criteri  per
l'applicazione  delle  deroghe  agli  orari di vendita per i comuni a
economia prevalentemente turistica e citta' d'arte;
    3)  n. 3680/2000,  proposto  dal  comune  di Soave in persona del
Sindaco  pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Marco Mase' e
Wanda Falciani, con domicilio eletto presso la seconda in Venezia, S.
Marco  -  Calle  del Pestrin, n. 3472, come da procura a.l. a margine
del ricorso;
    Contro  la  Provincia  di  Verona in persona del presidente della
giunta  provinciale  in  carica,  rappresentato  e  difeso dagli avv.
Giancarlo  Biancardi  e  Antonio Sartori, con domicilio eletto presso
quest'ultimo,  in  Venezia-Mestre,  Calle  del  Sale,  n. 33, come da
delibera  di  autorizzazione  a  resistere n. 55 del 15 marzo 2001, e
procura  a.l.  a  margine del controricorso, per l'annullamento della
determinazione  dirigenziale  n. 1579 del 3 ottobre 2000, nella parte
in cui nega all'amministrazione comunale il riconoscimento di "citta'
d'arte", ai fini della deroga agli orari di vendita.
    Visti  i  ricorsi, notificati, rispettivamente, il 1 agosto 2000,
il  30  novembre  2000,  il  30  novembre 2000 e il 7 dicembre 2000 e
depositati  presso  la segreteria rispettivamente, il 7 agosto 2000 e
il  7  dicembre 2000, il 7 dicembre 2000 e il 14 dicembre 2000, con i
relativi allegati;
    Visti  gli  atti  di  costituzione in giudizio della Provincia di
Padova e della Provincia di Verona, depositati, rispettivamente, il 1
settembre 2000, il 19 dicembre 2000 e il 21 marzo 2001;
    Visti gli atti tutti delle cause;
    Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
difese;
    Uditi  alla  pubblica  udienza  dell'11  aprile 2001, relatore il
Presidente  f.f.,  Consigliere  Italo  Franco,  gli  avv.De Martin in
sostituzione  di  Cartia  per  il  comune  di Cittadella, Pata per la
Provincia  di  Padova,  Ruffo  per  la  parte  ricorrente nel ricorsi
n. 3612/2000,  Sala per i comuni ricorrenti nel ricorso n. 3619/2000,
Sartori per la Provincia di Verona, Mase' per il comune di Soave;
    Ritenuto in fatto e considerato e in diritto quanto segue:
                              F a t t o
    Consta  in  data  19 aprile 2000 il comune di Cittadella chiedeva
alla  provincia  di  Padova  - ente competente in virtu' della delega
conferitale  dalla regione con legge regionale 28 dicembre 1999 n. 62
quanto  all'individuazione  dei  comuni  ad  economia prevalentemente
turistica   e   delle  citta'  d'arte  ai  fini  della  deroga  circa
l'osservanza  dell'orario  di  apertura  e di chiusura degli esercizi
commerciali  nei  giorni  domenicali e festivi - il riconoscimento di
citta' d'arte, sulla base dei criteri fissati dall'art. 3 della legge
regionale  citata. La provincia - che gia', con delibera della giunta
provinciale  n. 51  del  2  marzo  2000, aveva definito i criteri per
l'applicazione delle deroghe agli orari, in detti comuni - respingeva
l'istanza,  con  determinazione  a  firma del dirigente preposto alle
attivita' economiche prot. n. 44145 del 30 giugno 2000, adducendo che
il comune di Cittadella non possiede i requisiti previsti, poiche' il
numero  dei  posti  letto in strutture alberghiere ed extralberghiere
nell'ambito  del territorio comunale e' inferiore al numero minimo di
600.
    Contro  tale  provvedimento  -  come  pure  contro la presupposta
delibera della giunta provinciale - insorge il comune interessato con
il  ricorso rubricato al n. 2431/2000 deducendo, con il primo motivo,
violazione dell'art. 3 della legge regionale n. 62/1999.
    Posto  che  la  delibera  della giunta provinciale prevede che un
comune,  per essere dichiarato "citta' d'arte", deve possedere almeno
quattro  degli  indicatori  elencati  all'art. 3, comma 2 della legge
regionale citata, sostiene parte ricorrente: di essere in possesso di
tali  requisiti, dal momento che il centro storico e' sito in zona A1
e  A2  (all'esterno  della  cinta  muraria);  vi  sono  almeno cinque
immobili  soggetti  a  tutela  ex  legge n. 1089/1939, ecc., e che la
provincia  e' incorsa in palese violazione della norma invocata, dove
non  si  prescrive che il menzionato numero minimo di 600 posti-letto
debba  essere  situato  nell'ambito  del  territorio comunale. Non si
comprende,   invero,   perche'   non  debbano  considerarsi  anche  i
posti-letto  situati  nei comuni limitrofi al fine del raggiungimento
di  detto  limite, tanto piu' che la qualifica di "citta' d'arte" non
dovrebbe farsi dipendere da detto parametro, bensi' dalla valutazione
delle potenzialita' culturali presenti.
    Con  il  secondo  mezzo  si  deduce  eccesso  di potere per falsa
rappresentazione   della   realta',   incompletezza   e   difetto  di
istruttoria;  difetto  di  motivazione  di cui all'art. 3 della legge
n. 241/1990,  sul  rilievo  che  il  numero  dei posti-letto, come si
evince  dall'istanza  nonche'  dalla  planimetria  allegata,  e'  ben
superiore   a  600.  L'istruttoria  e'  stata,  dunque,  quanto  meno
superficiale,  ne' in motivazione si da' conto della verifica di tale
dato.
    Si  e' costituita la provincia, eccependo che appare soggettiva e
arbitraria  la  tesi  secondo  cui  andrebbero  conteggiati  anche  i
posti-letto non compresi nel territorio comunale (laddove nel diniego
impugnato  e'  stato  correttamente  applicato l'art. 3.1 della legge
regionale  n. 62/1999,  ove  il  requisito  del numero di posti-letto
appare  primario  e  irrinunciabile), e che, nell'istanza del comune,
figura  un  evidente  errore  di  calcolo,  risultando  la  somma dei
posti-letto  indicati  pari  a  592  e non - come ivi indicato - 612,
laddove  da  una verifica dell'11 agosto 2000, il numero effettivo di
tali   posti   risulta   ancora   inferiore   (498).   Nella  memoria
conclusionale   si   ribadiscono  ulteriormente  le  tesi  difensive,
ricordando che dell'errore di calcolo si e' preso atto nell'ordinanza
cautelare di questa sezione.
    Conclude  anche  parte  ricorrente,  che,  oltre  a  ribadire gli
argomenti  gia'  svolti,  prospetta l'incostituzionalita' dell'art. 3
della legge regionale n. 62/1999 per irragionevolezza e disparita' di
trattamento,  con  riferimento  ad  un costante indirizzo della Corte
costituzionale  nel  censurare  l'arbitrarieta'  dell'esercizio della
funzione  legislativa  concorrente delle regioni, soggiungendo che la
pronuncia  d'incostituzionalita'  determinerebbe  la  caducazione del
provvedimento impugnato.
    Con separato ricorso, rubricato al n. 3612/2000, viene impugnato,
da  parte  di titolari di esercizi commerciali (i piu' raggruppati in
due  centri  commerciali ubicati nel comune di Affi) - congiuntamente
alla  delibera  n. 12/646  del 25 maggio 2000, con la quale la giunta
provinciale  di  Verona aveva definito i criteri per l'individuazione
dei comuni a prevalente economia turistica e delle "citta' d'arte" ai
fini  della  deroga  agli  orari di vendita e all'obbligo di chiusura
domenicale  e  festivo degli esercizi commerciali - la determinazione
dirigenziale  prot. n. 26907 del 3 ottobre 2000 recante, fra l'altro,
diniego di riconoscimento di "comuni a prevalente economia turistica"
del  territorio  dei  comuni convenzionati di Affi, Cavaion Veronese,
Castelnuovo  del  Garda,  Costermano,  Pastrengo  e  Rivoli Veronese,
"perche'  non  presenta  le caratteristiche di cui all'art. 2 comma 5
legge  regionale  62/1999"  (conforme  il  parere dell'ufficio legale
della provincia e della regione).
    Premettono  gli  esercenti commerciali ricorrenti di far parte di
due  centri  commerciali  ("Grand'Affi"  e"Iperaffi"), di svolgere la
loro attivita' in comune di Affi, situato a meno di 5 Km. dal Lago di
Garda  e  ad  esso  ben  collegato, tanto da essere divenuto punto di
passaggio   obbligato   per  grandi  masse  di  turisti,  provenienti
specialmente  dal  Trentino Alto Adige e dalla Germania e diretti sia
nel  comprensorio  del  Garda  che  a Verona (di cui costituiscono il
retroterra  naturale),  e che tutti i comuni ora convenzionati erano,
in  base  alla  previgente  disciplina,  riconosciuti  "localita'  ad
economia  turistica"  (con  D.P.G.R.  n. 677  del  31 marzo 1983). Di
conseguenza  essi,  nel  periodo  dal 15 marzo al 4 novembre, avevano
facolta'  di tenere aperti gli esercizi anche nei giorni domenicali e
festivi,  dal  che traevano grande vantaggio, considerato che in tale
periodo  gli  incassi  del  fine settimana rappresentavano una grossa
percentuale di quelli realizzati nell'intera settimana.
    Legati da convenzione stipulata a tal fine, i comuni su nominati,
contestualmente criticando i criteri irragionevolmente restrittivi di
cui  alla  norma regionale, nonche' i criteri ulteriori fissati dalla
provincia,   avevano   chiesto   il   riconoscimento   del  carattere
prevalentemente  turistico  dell'economia  di tutto il territorio dei
sei  comuni,  affermando  di  possedere i requisiti all'uopo previsti
tanto  dall'art. 2.1  della  legge  regionale n. 62/1999 quanto dalla
delibera  della  giunta provinciale n. 12/646 del 25 maggio 2000 (con
ampio corredo di dati), ricevendone il diniego su menzionato.
    A  sostegno  del  gravame  i  ricorrenti  deducono,  con il primo
motivo,  eccesso  di potere per illogicita' e carenza di motivazione,
sul  rilievo  che,  se  in  passato  i comuni ora convenzionati erano
classificati   "localita'   ad   economia  turistica"  -  circostanza
immotivatamente  ignorata  -,  a  maggior  ragione  dovrebbero essere
riconosciuti  ora,  sulla base della piu' favorevole nuova normativa,
comuni  ad  economia  prevalentemente  turistica, tanto piu' che solo
dopo  il  menzionato  riconoscimento si sono installati ad Affi i due
centri  commerciali  su  richiamati,  e  che tutta l'economia di tali
comuni ruota intorno al turismo del Garda.
    Con il secondo mezzo si deduce violazione dell'art. 3 della legge
n. 241/1990;  eccesso  di  potere  per  insufficienza ed incongruita'
della  motivazione,  sul  rilievo  che, nel diniego avversato, non si
disconosce   l'esistenza   dei  requisiti,  ma  si  motiva  adducendo
l'assenza  delle  caratteristiche  previste  in  una disposizione (il
quinto  comma  dell'art. 2)  affatto estraneo alla fattispecie, e non
invocato   dai   comuni   convenzionati,   i   quali   chiedevano  il
riconoscimento  sulla  base  delle  regole ordinarie (commi 1 e 2 del
medesimo art. 2).
    Con  il  terzo  motivo si deduce eccesso di potere per difetto di
istruttoria  e  insufficienza  della motivazione, sul rilievo che non
sono  state  prese  in  considerazione le ampie argomentazioni svolte
nell'istanza,  e  non  si  e'  dato  rilievo ai pareri espressi dalle
organizzazioni  maggiormente  rappresentative dei settori commercio e
turismo,  ne'  si  da'  conto  del  perche'  tali  pareri  sono stati
disattesi.
    Con il quarto motivo si deduce violazione dell'art. 12 del d.lgs.
n. 114/1998  e  degli  art. l  e  2 della legge regionale n. 62/1999,
anche  in  relazione  agli  art. 24 e 26 della legge n. 142/1990, sul
rilievo  che  deve ritenersi ammissibile (per quanto nulla si dica al
riguardo  sul  punto) la possibilita' che anche piu' comuni associati
possano  chiedere il riconoscimento de quo (non menzionato ma nemmeno
escluso   dalle   norme   citate),  avuto  anche  riguardo  al  favor
manifestato nella legislazione sullo svolgimento di funzioni in forma
associata.
    Con  il  quinto mezzo si deduce violazione dell'art. 12, comma 30
del  d.lgs.  n. 114/1998,  e  degli  art. 2 e 6 della legge regionale
n. 62/1999,  sull'assunto  che,  anche  ove volessero ritenersi, piu'
comuni    convenzionati,    non   legittimatati   a   chiedere   tale
riconoscimento,   la   pubblica   amministrazione  doveva  verificare
d'ufficio  se  i  requisiti  sussistessero  in capo ai singoli comuni
richiedenti.
    Con  il  sesto  motivo  si  lamenta violazione dell'art. 12.3 del
d.lgs.  n. 114/1998  e  dell'art. l della legge regionale n. 62/1999,
nonche'  del  regolamento  approvato  dalla  giunta  provinciale  con
delibera  n. 12/246  del  25  maggio  2000, punto 5, sul rilievo che,
mentre quivi si prevede che "il periodo di deroga potra' durare tutto
l'anno",  nel  diniego  si  esclude  la  deroga per 365 giorni, senza
verificare  se potessero assentirsi deroghe per periodi di tempi piu'
limitati (come accadeva in precedenza per il comune di Affi).
    Con  il  settimo  mezzo  si deduce violazione degli artt. 32 e 35
della  legge  n. 142/1990  e  incompetenza, assumendosi che la giunta
provinciale  e' competente ad emettere regolamenti soltanto in ordine
all'organizzazione degli uffici e dei servizi, dal che la conclusione
che  il  regolamento  in  questione  era  di competenza consiliare, e
soggiungendosi che, ove non volesse ritenersi di natura regolamentare
la  deliberazione della giunta provinciale, la competenza al riguardo
spetterebbe al dirigente.
    Con  l'ottavo  mezzo  si  lamenta eccesso di potere per manifesta
illogicita',  rilevandosi,  in  relazione  ai  criteri definiti dalla
giunta  provinciale,  l'illogicita', in particolare, di quello con il
quale si prevede che il rapporto tra popolazione residente e presenze
in  esercizi  alberghieri  ed extralberghieri debba essere maggiore o
uguale  a 35/100, rapporto che avvantaggia, paradossalmente, i comuni
con  minori presenze (a meno che non si voglia ritenere che si tratti
di  un  errore materiale). Inoltre, non risulta possibile determinare
il  rapporto  fra imprese del settore turistico e tutte le altre (non
rinvenendosi  un  simile  criterio ufficiale di classificazione), ne'
puo' ritenersi ragionevole il parametro, all'uopo richiesto, di 70 su
100.
    Con  il  nono  motivo  si  deduce  violazione degli art. 12.3 del
d.lgs. n. 114/1998 e 1.1 della legge regionale n. 62/1999; eccesso di
potere  per  difetto  di  istruttoria  e  carenza di motivazione, sul
rilievo  che, mentre le norme invocate ammettono riconoscimenti anche
per  periodi  limitati, e' stata affatto ignorata detta possibilita',
che  consentirebbe di soddisfare l'interesse di comuni interessati ai
flussi  turistici  in  determinati  periodi dell'anno, come quello di
Affi.
    Con  il  decimo  motivo si lamenta violazione dell'art. 2.3 della
legge  regionale  28  dicembre  1999  n. 62,  assumendosi che, mentre
svariati potevano essere gli indicatori, quelli definiti dalla giunta
provinciale   sono  eccessivamente  rigidi,  specialmente  quando  si
prevede che ne debbano essere posseduti almeno quattro.
    Con  l'undicesimo  mezzo  si deduce illegittimita' costituzionale
dell'art. 2 della legge regionale 28 dicembre 1999 n. 62, sul rilievo
che  lo stesso si pone in contrasto con i principi posti nell'art. 12
(vincolanti  ai sensi dell'art. 117 Cost.) del d.lgs. n. 114/1998, il
quale  assegna  alle  regioni  solamente  il compito di individuare i
comuni a prevalente economia turistica, il che esclude che le regioni
possano  introdurre ulteriori requisiti restrittivi, come ha fatto la
legge  regionale n. 62/1999 quando prevede che possano ottenere detto
riconoscimento  solo  i  comuni  che  abbiano almeno 1500 posti-letto
(criterio  manifestamente  incongruo  ed  eccessivamente  rigido). Ma
l'art. 2  cit. si pone in contrasto con i principi della legislazione
statale  anche  la'  dove  ammette  al  riconoscimento i "soli comuni
situati  in territorio montano, litoraneo, lacuale, termale", laddove
l'art. 12  consente  la deroga in discussione indipendentemente dalla
collocazione  geografica  dei  comuni.  La norma, inoltre, si pone in
contrasto  anche  con  i  principi  di  ragionevolezza  e uguaglianza
sanciti dall'art. 3 della Costituzione; infatti, in tal modo la legge
regionale   esclude   arbitrariamente  la  deroga  per  gli  esercizi
commerciali   in   numerosi   comuni   caratterizzati   da   economia
prevalentemente  turistica,  ma non in possesso dei criteri ulteriori
fissati da detta norma, contrapponendosi, cosi', anche all'esperienza
e   alla   normativa   anteriori,  quando  tale  qualifica  e'  stata
pacificamente   riconosciuta   al   comune   di  Affi  e  agli  altri
convenzionati con esso.
    Si   e'   costituita   la  provincia,  eccependo  preliminarmente
l'inammissibilita'  del  ricorso in quanto non notificato ai soggetti
che   avevano   espresso   il   parere  sfavorevole  (Confersercenti,
Confcommercio,   Fisascat),  da  considerare  controinteressati.  Nel
merito  se  ne  eccepisce  l'infondatezza,  assumendosi  che per mero
errore  materiale  non  figura  nel provvedimento la vera motivazione
(che si desume dai pareri forniti dall'ufficio legale della provincia
e  dalla  regione,  ed  e' conosciuta dai ricorrenti), concernente il
fatto   che   soltanto   comuni   singoli   possono   richiedere   il
riconoscimento  in  questione, come si desume dal sistema, altrimenti
le  norme  si  presterebbero  ad un facile aggiramento, venendo cosi'
svuotate.
    Con   il   ricorso   rubricato  al  n. 3619/2000,  i  sei  comuni
convenzionati  impugnano  a loro volta il diniego e la delibera della
giunta  provinciale  n. 12/246/2000.  A  sostegno  del  gravame  essi
deducono,  con  qualche  variazione  marginale,  tutti  i  motivi  di
impugnazione di cui al ricorso precedente, tranne il primo.
    La   provincia   si  e'  costituita  anche  in  questo  giudizio,
aggiungendo  alle  eccezioni gia' formulate quella di irricevibilita'
del  ricorso  nei riguardi della disciplina regionale e provinciale -
certamente  gia'  conosciuta alla data di sottoscrizione dell'istanza
(31  luglio  2000) -, e di inammissibilita' per difetto di interesse,
asserendo  che  si  tratta,  nel  caso,  di  interesse  diffuso  (dei
commercianti),  non tutelato espressamente da nessuna norma di legge,
e negato da dottrina e giurisprudenza per gli enti esponenziali della
comunita' amministrata (quali sono i comuni).
    A  tali eccezioni replica con memoria conclusionale il patrocinio
ricorrente.
    La medesima determinazione dirigenziale n. 100 del 3 ottobre 2000
viene  impugnata,  altresi, con ricorso rubricato al n. 3680/2000 dal
comune di Soave, cui con tale provvedimento si negava la qualifica di
"citta'  d'arte",  ai  medesimi  fini  derogatori  circa l'osservanza
dell'orario  e  all'obbligo di chiusura domenicale e festiva, "per la
mancanza  dei  requisiti di cui al punto 2 della D.G.P. n. 12/246 del
25  maggio 2000 (... comuni con almeno 600 posti-letto) e la mancanza
del requisito di cui alla lattera c) dello stesso punto (operativita'
nei giorni festivi di enti o strutture museali ...)".
    A sostegno del gravame si deduce, con il primo motivo, violazione
dell'art. 3  della legge 7 agosto 1990 n. 241, sul rilievo che non e'
dato  ravvisare,  nel diniego, nemmeno una motivazione ob relationem,
non  fornendo  la  provincia  "gli  elementi e i criteri logici con i
quali  ha  ritenuto  che  il  comune  di  Soave  non  disponga di 600
posti-letto  e  non  abbia  in  funzione,  la  domenica  e i festivi,
attivita'...  di  enti  e  strutture  museali, artistici e culturali,
edifici  di  culto  o religiosi, atti ad attirare rilevanti flussi di
visitatori,  per la cui visita o illustrazione e' richiesta specifica
professionalita'  di  guide  turistiche  specializzate e riconosciute
dalla normativa vigente".
    Con il secondo mezzo si deduce eccesso di potere per travisamento
ed  erronea valutazione dei fatti; violazione dell'art. 3.2, lett. c)
della  legge  regionale  n. 62/1999  - art. 2 lett. c) della delibera
della giunta provinciale n. 12/246 del 25 maggio 2000, illustrandosi,
con  richiami  storici,  l'indubbia qualita' di citta' d'arte di esso
comune  (non  solo  ai fini della legge regionale n. 62/1999), per la
presenza di numerosi monumenti quali palazzi, mura merlate, castelli,
chiese, di notevole importanza storica, conosciuti nel mondo, nonche'
la  presenza di manifestazioni legate anche ai famosi vini del luogo.
A cio' si aggiunge che l'afflusso turistico che interessa Soave e' di
breve  durata  media,  sicche'  non richiede la presenza di strutture
alberghiere con molti posti-letto.
    La  provincia  si  e'  costituita anche in quest'ultimo giudizio,
formulando l'eccezione di difetto di interesse, analoga a quella gia'
riferita  in  relazione  ai  due  precedenti  gravami,  sostenendo la
legittimita'  del  diniego sulla base del disposto normativo circa il
numero  minimo  di posti-letto, e soggiungendo che nessun riferimento
al  numero  dei posti- letto era riportato nella richiesta del comune
ricorrente,  donde  l'inconfigurabilita'  di  un  onere istruttorio a
carico di essa Provincia.
    All'udienza  i  patroni  comparsi  hanno  svolto  la discussione,
confermando  le  rispettive  conclusioni,  dopo  avere dichiarato che
l'intervenuta  individuazione  del  comune di Castelnuovo Garda quale
comune  ad  economia  prevalentemente  turistica  non  fa  venir meno
l'interesse  del  medesimo  alla  decisione. Indi le cause sono state
spedite in decisione.

                            D i r i t t o

    1. - Con contestuale sentenza parziale il Col1egio ha disposto la
riunione  dei  giudizi  e  la  decisione sulle eccezioni sollevate in
rito,  rigettandole e dichiarando ammissibili i ricorsi. Con separata
ordinanza,  inoltre, e' stata definita la domanda di misure cautelari
in  relazione  ai  ricorsi  n. 3612/2000  e 3619/2000 - che era stata
rinviata  al  merito nella camera di consiglio del 19 dicembre 2000 -
accogliendola per entrambi i ricorsi, fino alla pronuncia della Corte
costituzionale  sulla  questione  di  costituzionalita'  di  cui alla
presente ordinanza.
    2.  -  Dopo la conclusione di ammissibilita' dei ricorsi riuniti,
si puo' passare all'esame del merito delle controversie, principiando
dai due ricorsi cui si riferivano le ordinanze cautelari, per ragioni
che risulteranno chiare da quanto si andra' dicendo.
    Come  si  evince  dalla  narrativa in fatto che precede, e' stata
posta  la questione di legittimita' costituzionale delle disposizioni
della  legge  regionale  28  dicembre 1999 n. 62, che vanno applicate
alla   fattispecie,   relativamente   ai   ricorsi   n. 3612/2000   e
n. 3619/2000.  Al  riguardo  il  Collegio ritiene che la questione di
costituzionalita'   si   ponga   non   soltanto   in  relazione  alle
controversie  or  ora  menzionate,  peraltro  ancora  prima  sotto un
profilo  piu'  rilevante  (per  il  suo carattere assorbente, come si
dira),   ma  anche  in  relazione  alle  due  rimanenti  controversie
(originate  dai  ricorsi n. 2431/2000 e 3680/2000). Quanto alle norme
sospettate  di incostituzionalita', si tratta degli artt. 2 e 3 della
legge  regionale  n. 62/1999,  recanti, rispettivamente: "criteri per
l'individuazione dei comuni ad economia prevalentemente turistica", e
"criteri per l'individuazione delle citta' d'arte".
    La  questione  di costituzionalita' di tali norme e' rilevante ai
fini  del decidere per tutti i giudizi riuniti, e al tempo stesso non
manifestamente infondata.
    3.1.  -  Quanto  alla  rilevanza  della  questione  ai  fini  del
decidere,  si  osserva,  con  riferimento  ai  ricorsi n. 3612/2000 e
n. 3619/2000,   che   l'art. 2   della   menzionata  legge  regionale
n. 62/1999   e'  decisivo  a  tale  riguardo.  Ed  invero,  va  detto
brevemente  (e, in questa sede, in via incidentale) che, dei numerosi
motivi  formulati dalle parti ricorrenti, taluni potrebbero ritenersi
fondati,  ma  tuttavia  sarebbero  non  determinanti,  nel  senso  di
condurre   all'accoglimento   dei  ricorsi,  nemmeno  se  considerati
congiuntamente.
    In  verita',  fra  questi ce n'e' uno (il secondo mezzo formulato
nel primo dei ricorsi teste' richiamati, coincidente con il primo nel
successivo  ricorso)  che,  per  il  suo carattere "formale", sarebbe
sufficiente  per  l'accoglimento di entrambi. Con esso si invoca, con
la  violazione  dell'art. 3  della  legge  n. 241/1990,  il difetto e
l'incongruita'    della    motivazione,   dal   momento   che,   alla
determinazione dirigenziale impugnata, si adduce a motivo del diniego
la  non  ricorrenza  dei  presupposti  per l'applicazione del comma 5
dell'art. 2  (testualmente  riferito ai comuni "totalmente situati in
zona  montana,  con altitudine superiore a seicento metri sul livello
del mare" per i quali si richiede un numero inferiore di posti-letto,
rispetto  agli  altri  che  presentano  i  requisiti  "ordinari"). Ed
infatti,  non  avendo  i comuni ricorrenti invocato l'applicazione di
tale  ulteriore  deroga  nella  loro  richiesta  (basata, invece, sui
criteri   ordinari  per  il  riconoscimento  di  comuni  ad  economia
prevalentemente  turistica,  di  cui  ai commi l e 2 dell'art. 2), la
censura,  se  giudicata  fondata,  condurrebbe  all'accoglimento  dei
ricorsi  sotto tale profilo, rendendo superflua la proposizione della
questione di costituzionalita'.
    Senonche'  la  difesa  della  provincia  ha  invocato al riguardo
l'errore  materiale,  facendo riferimento all'istruttoria intercorsa,
dalla  quale  emerge  che  la  vera  ragione del diniego va ricercata
nell'asserita  improponibilita'  della  richiesta  di  riconoscimento
della  qualita'  di  comuni  ad economia prevalentemente turistica da
parte  di  comuni associati o convenzionati (come nella fattispecie),
ritenendo  legittimati  ad  avanzare  una simile richiesta soltanto i
comuni  singoli.  Ora,  poiche'  un  simile  assunto  risulta basato,
effettivamente,   sui   pareri  forniti  dal  servizio  legale  della
provincia e della Regione Veneto (a tali pareri - cfr. doc. n. 9 e 10
della  produzione  della  p.a.  resistente  -  si  fa,  testualmente,
riferimento  nel  provvedimento  impugnato,  sia  pure  con  dicitura
criptica),  e  poiche' sicuramente i ricorrenti erano a conoscenza di
tale  posizione  preclusiva assunta dalla p.a. resistente - tanto che
ne  fanno  un  motivo  di ricorso, come si evince dalla narrativa che
precede - e' quanto meno dubbia la fondatezza di una simile censura.
    In   ordine   all'appena   menzionata   questione   -   circa  la
possibilita',  o  meno,  di  comuni  convenzionati  o  associati,  di
proporre  istanza in luogo di comuni singoli - si deve dire che detto
profilo  impinge  su un aspetto del contenuto della norma che suscita
sospetto   di   incostituzionalita',   in  specie  sotto  il  profilo
dell'irragionevolezza   e/o   irrazionalita'  (come  si  vedra'  piu'
avanti).
    In  conclusione,  la definizione di entrambe le controversie deve
passare,  obbligatoriamente,  attraverso  l'applicazione  dell'art. 2
della  legge regionale n. 62/1999. In particolare, ove si ritenga che
detta   norma  sia  incostituzionale,  da  detta  incostituzionalita'
discenderebbe  la  caducazione  del  provvedimento impugnato (su essa
norma  precipuamente  basato), nella parte in cui si pone come lesiva
nei   confronti   dei   ricorrenti,  e  l'accoglimento  dei  ricorsi.
Viceversa,  ove  la  medesima  norma  dovesse  ritenersi  conforme al
dettato  costituzionale,  il  provvedimento impugnato (nella parte in
cui   dispone   il   diniego   del   riconoscimento   in  questione),
verosimilmente dovrebbe ritenersi legittimo, con la conseguenza che i
medesimi ricorsi andrebbero respinti.
    Dunque, la questione di costituzionalita' dell'art. 2 della legge
regionale n. 62/1999 e' rilevante ai fini della decisione.
    3.2.  -  D'altra  parte  e'  del  pari  rilevante la questione di
costituzionalita'  del  successivo art. 3 della stessa legge, ai fini
del decidere le due rimanenti controversie, ove si contesta, da parte
dei comuni ricorrenti, il diniego di riconoscimento della qualita' di
"citta'  d'arte",  pure ai fini della deroga agli orari e all'obbligo
di chiusura nei giorni domenicali e festivi degli esercizi di vendita
al  dettaglio.  Detta  norma,  vale  la  pena di sottolineare, ha una
struttura  ed  una  ratio  pressoche' parallela a quella dell'art. 2,
anche perche', come questa, trae la sua legittimazione dalla medesima
norma di legge statale (art. 12 del d.lgs. n. 114/1998).
    In  verita',  i  ricorsi  introduttivi di tali controversie hanno
strumentazione  piu' semplice, diverse sono le censure, e solo in uno
di   essi   (ricorso   n. 2431/2000)   si   pone   una  questione  di
costituzionalita'  (nella  memoria  conclusionale).  Tuttavia, sembra
evidente  che un'eventuale dichiarazione di incostituzionalita' anche
qui  travolgerebbe  i  provvedimenti  impugnati,  rimanendo,  dunque,
rilevante  ai  fini  del  decidere.  Pertanto, stante il sottolineato
parallelismo    e    l'identita'    di   ratio,   la   questione   di
costituzionalita'  di  detto  art. 3  viene  sollevata  d'ufficio dal
Collegio.
    4.  -  D'altra  parte,  la  questione di costituzionalita', tanto
dell'art. 2  (relativo  ai  comuni  a prevalente economia turistica),
quanto   dell'art. 3  (relativo  alle  "citta'  d'arte")  non  appare
manifestamente infondata.
    Ad  avviso  del  Collegio,  il  primo e piu' rilevante profilo di
incostituzionalita' (non rilevato da alcuno dei difensori delle parti
in  causa)  attiene  al  contrasto delle disposizioni in esame con la
norma   di   legge   statale   recante   i   principi  sull'esercizio
dell'attivita'  commerciale  e dunque, indirettamente, con l'art. 117
della  Costituzione.  Anzi, al riguardo va chiarito, preliminarmente,
che  detta materia (il commercio) non rientra fra quelle per le quali
l'art. 117  della  Costituzione  ha  previsto la potesta' legislativa
concorrente  delle  regioni  a  statuto  ordinario  (se  non  per  la
"sub-materia" "fiere e mercati", qui fuori discussione).
    Questa  asserzione  - sia detto per inciso - vale anche alla luce
della  normativa  di  recente  intervenuta in tema di conferimento di
competenze alle regioni, ai sensi della legge 15 marzo 1997 n. 59, la
quale  (non  essendo  legge  costituzionale,  e  non potendo, dunque,
modificare  l'art. 117  Cost.),  fin  dall'art. 1,  nel  conferire al
Governo  la  delega ad emanare decreti legislativi intesi a conferire
alle  regioni  e  agli enti locali funzioni e compiti amministrativi,
chiarisce   che  tanto  viene  fatto  ai  sensi  dell'art. 118  della
Costituzione  (notoriamente  riguardante compiti amministrativi delle
regioni, e non la potesta' legislativa regionale). Quanto detto vale,
a  maggior  ragione,  anche  per il decreto legislativo 31 marzo 1998
n. 112  recante  "conferimento  di  funzioni e compiti amministrativi
dello Stato alle regioni ed agli enti locali in attuazione del capo I
della legge 15 marzo 1997 n. 59".
    La  conseguenza  di  quanto  fin  qui detto e' che la materia del
"commercio", non puo' essere disciplinata con legge dalle regioni, in
mancanza di esplicita previsione di una legge della Repubblica che ad
esse  demandino  "il  potere di emanare norme per la loro attuazione"
(dunque,  solo  sotto  il  profilo attuativo), ai sensi dell'art. 117
comma 2  della  Costituzione.  Invece, tornando al caso di specie, si
osserva  che  questo rientra, piuttosto, nello schema dell'art. 118.2
Cost., ove si prevede: "Le Stato puo' con legge delegare alla regione
l'esercizio  di  altre  funzioni  amministrative"  (diverse da quelle
correlate  alla  potesta'  legislativa  di esse regioni ai sensi dell
art. 117,   per   le   quali  pacificamente  sussiste  la  competenza
amministrativa delle medesime).
    Orbene,  l'assetto normativo inerente alla fattispecie e' affatto
coerente  con  detta  impostazione.  Infatti, il d.lgs. 31 marzo 1998
n. 114  (recante  la riforma del commercio ai sensi dell'art. 4 della
legge n. 59/1997), con l'art. 11, detta regole inerenti agli orari da
osservare   da   parte   degli  esercizi  di  vendita  al  dettaglio,
prescrivendo,  al  comma 4, che detti esercizi "osservano la chiusura
domenicale   e   festiva   e   ...  la  mezza  giornata  di  chiusura
infrasettimanale". Il successivo art. 12 - la cui rubrica suona:
        "Comuni   ad  economia  prevalentemente  turistica  e  citta'
d'arte" -, dopo avere disposto, al comma 1, che gli esercenti, quivi,
"determinano  liberamente  gli  orari  di  apertura  e  di chiusura e
possono  derogare all'obbligo di cui all'art. 11, comma 4" al comma 3
prescrive: "... anche su proposta dei comuni interessati e sentite le
organizzazioni  dei  consumatori,  delle  imprese del commercio e del
turismo  e dei lavoratori dipendenti, le regioni individuano i comuni
ad economia prevalentemente turistica, le citta' d'arte o le zone del
territorio  dei  medesimi  e i periodi di maggiore afflusso turistico
nei  quali  gli  esercenti  possono  esercitare la facolta' di cui al
comma 1".
    Come  appare  evidente,  una  Legge  della repubblica, dopo avere
dettato  la disciplina legislativa integrale degli orari e dei giorni
di  apertura  e  chiusura  degli esercizi di vendita al dettaglio, ha
assegnato alle regioni, semplicemente, il compito (amministrativo) di
individuare  i comuni e i periodi dell'anno - in considerazione degli
afflussi  turistici  -  in  cui la facolta' di deroga dall'obbligo di
chiusura   domenicale   e   festiva   (ex   art. 11.4)   puo'  essere
legittimamente   esercitata  dai  rivenditori.  Tanto  si  giustifica
pienamente,  essendo  la  regione  maggiormente  vocata a individuare
localita'  e  ambiti  territoriali  del  proprio  territorio  la  cui
economia riveste determinate caratteristiche.
    Per  di  piu',  si evince de plano dal testo della norma di legge
statale  che  nella  specie  e'  stato  configurato un vero e proprio
procedimento  amministrativo,  da svolgere - da parte delle regioni -
con   la   partecipazione   dei  soggetti  associativi  espressamente
individuati,   i  quali  debbono  essere  obbligatoriamente  sentiti.
Pertanto,  come  sembra  del tutto evidente, nella materia de qua non
c'era   margine  alcuno  -  sia  sotto  il  profilo  della  copertura
costituzionale, sia, a maggior ragione, con riguardo, per cosi' dire,
alla  "natura della cosa" - per ipotizzare ed esercitare una potesta'
legislativa da parte delle regioni.
    Invece  la  Regione  Veneto non soltanto si e' arrogato un potere
legislativo  che  in  realta'  non aveva, ma - e qui si appuntano, in
parte,  le  censure  dei ricorrenti, quando sollevano la questione di
costituzionalita', con rilievi peraltro destinati ad essere assorbiti
e    superati    sul    piano   logico-giuridico   dal   profilo   di
incostituzionalita'   fin  qui  esaminato  -  lo  ha  fatto  con  una
costruzione  assolutamente ridondante, ed irragionevole e irrazionale
nei contenuti, per di piu' chiamando in causa anche le province.
    5.1. - Dato il rilevato carattere assorbente del primo profilo di
incostituzionalita',  di  questi  aspetti  si  dira'  in maniera piu'
sintetica.
    In  primo  luogo,  si  osserva che, al cospetto di una previsione
unitaria  nella  norma  statale,  la  regione  ha  posto in due norme
separate  (ma parallele, come si e' osservato) la disciplina inerente
ai comuni ad economia prevalentemente turistica e alle citta' d'arte.
Ma  detto  aspetto  non e' censurabile in se'. Cio' che invece appare
censurabile  sotto  il  profilo  - si direbbe - di adeguatezza con la
materia  da  disciplinare  e  con  le  finalita'  perseguite,  e'  il
contenuto  di  dette  discipline  parallele, con particolare riguardo
alla previsione dei requisiti che si pongono per il riconoscimento in
questione.
    Ed  invero,  il  tutto  e' costruito partendo dalla fissazione di
quelli   che   si   pongono,   e   debbono   considerarsi,   in  sede
interpretativa, come dei requisiti o presupposti di base, in mancanza
dei   quali  non  si  pone  nemmeno  l'applicazione  della  rimanente
disciplina   sui   requisiti,   che   pure  vengono  dettagliatamente
configurati.  In  particolare,  l'art. 2  prevede,  al  comma  1, che
possono  essere  individuati quali comuni ad economia prevalentemente
turistica:  "solo  i comuni situati in territorio montano, litoraneo,
lacuale,  termale  ...  con  almeno  millecinquecento  posti-letto in
strutture  alberghiere ed extra alberghiere". Ora, mentre nel comma 2
si  rinvengono  le  definizioni  legali di comune montano, litoraneo,
ecc.,    nel    successivo    comma   si   prevede   che,   ai   fini
dell'individuazione,  i  comuni  (rientranti  nell'ambito definitorio
suddetto)  interessati  corredino,  ad  ulteriore  dimostrazione,  la
domanda  (da  inoltrare  entro  il  31  ottobre  di ogni anno) con la
documentazione  completa e i dati statistici inerenti ad una serie di
indicatori  ivi elencati (rapporto tra popolazione residente e numero
di  presenze in esercizi alberghieri; rapporto tra imprese turistiche
ed  occupati  nelle stesse, con il totale delle imprese e occupati di
tutte  le imprese, ecc.). Le domande vanno, poi, corredate dei pareri
dei soggetti associativi cui si e' fatto retro riferimento.
    Orbene,  sia  pure  nel rispetto per la lata discrezionalita' del
legislatore  (ove  si  volesse  ritenere che sussistesse, nel caso di
specie,  la  potesta'  legislativa regionale, cio' che si e', invece,
escluso  piu' addietro), gia' ad una prima lettura risalta il difetto
di  una  simile  costruzione  sotto il profilo della ragionevolezza e
della  coerenza  interna,  sembrando  palese  il suo contrasto con il
principio  di  buon andamento dell'amministrazione di cui all'art. 97
Cost.
    Ed  invero,  in  primo  luogo  si  osserva  che  i  due requisiti
menzionati pongono, in realta', uno sbarramento a' cascade, nel senso
che  se  una  localita'  non  sia  montana o lacuale, ecc., ne' abbia
almeno  1500  posti-letto  nei  suoi alberghi e strutture affini, non
potra'    mai   essere   individuato   quale   comune   ad   economia
prevalentemente  turistica.  Non  aiuterebbe,  a tal fine, nemmeno la
presenza  di  tutti  gli  indicatori  cui  si  e' accennato, anche se
realizzati  a  livello ottimale. Cio' significa che la valutazione di
detti  indicatori  funge  soltanto  da  ulteriore filtro tra i comuni
richiedenti che presentino i menzionati requisiti di base. Senonche',
non  sfugge all'interprete (e, ovviamente, agli operatori commerciali
e  alle  comunita'  interessate)  che  piu'  congruo  e  maggiormente
ragionevole  sarebbe  apparso considerare il pre-requisito del numero
dei  posti-letto  alla  stregua  degli  altri  indicatori  cui  si e'
accennato,  se del caso attribuendogli un "peso" maggiore, in modo da
effettuare  una  valutazione  ponderata  di  una  serie  di  elementi
indicativi della caratteristica di economia prevalentemente turistica
di un dato territorio.
    5.2 - Maggiormente irragionevole (o comunque inesplicata) appare,
poi,  la  limitazione  dell'individuazione  quale  comune ad economia
prevalentemente turistica dei soli comuni montani, litoranei, lacuali
e  termali  (per incidens, si nota che si prevede la sufficienza, per
questi  ultimi, della presenza anche di un solo stabilimento termale:
cfr.  comma 2): in pura teoria, ben potrebbe rinvenirsi una localita'
ad  economia turistica situata in pianura e lontana dai laghi e dalla
costa marina. Da cio' l'incongruenza o l'irrazionalita' di una simile
limitazione.  Detta limitazione si pone, altresi', in contrasto - per
i suoi effetti discriminatori nei confronti dei comuni che si trovano
diversamente  ubicati,  ma  che  pure  possano  vantare  il carattere
prevalentemente  turistico  delle  rispettive economie - con l'art. 3
della Costituzione.
    6.  - Cio' che si e' detto finora riguardava l'art. 2 della legge
regionale  n. 62/1999. Ma anche in relazione all'individuazione delle
"citta' d'arte" - sempre ai fini della deroga all'obbligo di chiusura
nei  giorni  domenicali  e  festivi  degli  esercizi  di  vendita  al
dettaglio  -  deve  dirsi  che  l'art. 3  racchiude  una  costruzione
analoga,  ponendo  il  pre-requisito del numero minimo di posti-letto
(che  qui  debbono  essere  almeno  duecento  se  si tratti di comuni
situati  in  zona  montana,  e  almeno  seicento  in  tutti gli altri
comuni).  In  verita', qui l'ubicazione in territorio montano si pone
non   quale   sbarramento   assoluto,   ma   (solo)  come  condizione
privilegiata   ai   fini  dell'individuazione  quale  citta'  d'arte.
Tuttavia,  anche la previsione di detto privilegio appare inesplicata
e  irrazionale,  nessuna  correlazione  diretta  o necessaria potendo
istituirsi  tra qualita' artistiche di una localita' e sua ubicazione
in  montagna  e  nessun'altra  finalita'  potendosi  rinvenire in una
siffatta  previsione  normativa,  se non l'intentio legis di favorire
l'economia delle zone montane (finalita' da perseguire correttamente,
tuttavia,  in  diversi  e  piu'  ampi  contesti). A parte cio', anche
incongruo  appare  lo  sbarramento  del numero minimo di posti-letto,
tanto  piu'  ove  si  osservi  che  il  "turismo d'arte" si realizza,
verosimilmente,   mediante  afflussi  giornalieri  o  comunque  molto
limitati  nel  tempo  (specie dalla stessa regione), cosicche' non si
ravvisa   l'esigenza   di   una   robusta   dotazione  alberghiera  o
para-alberghiera per ospitare i turisti ivi diretti.
    Per  quanto  concerne,  poi,  gli  indicatori della condizione di
"citta'  d'arte" elencati nel comma 2 dell'art. 3 (presenza di centri
storici   classificati   come   zona   A   e/o   zona   di  interesse
storico-artistico;   provvedimenti  di  riconoscimento  da  parte  di
istituzioni  internazionali,  nazionali o regionali; operativita' nei
giorni  festivi  di  strutture  museali,  ecc.), valgono osservazioni
analoghe  a  quelle  fatte  in  relazione  agli  "indicatori"  di cui
all'art.   2,   e   alla   rispettiva   valutazione   e  comparazione
congiuntamente con il numero dei posti-letto.
    7.  -  Infine  -  e  qui  si  viene ad un'esplicita contestazione
formulata nei due gravami concernenti la mancata individuazione quale
comuni  ad economia prevalentemente turistica, ma che e' rinvenibile,
con  prospettazione  in  parte diversa, anche negli scritti difensivi
relativi    al    ricorso   n. 2431/2000   concernente   il   mancato
riconoscimento quale citta' d'arte del comune di Cittadella - l'avere
privilegiato   significativamente   il   requisito   del   numero  di
posti-letto  reca in se un'ulteriore incongruenza la' dove si esclude
a priori - come sembra evincersi dal tenore e dal dato testuale della
norma  - che l'esistenza del requisito in questione possa verificarsi
con  riferimento  ad  un  ambito piu' ampio del territorio di un solo
comune, estendendolo, per cosi' dire, ad un territorio piu' ampio.
    La   realta',  invero,  conosce  l'esistenza  di  veri  e  propri
comprensori  turistici, e quello dell'immediato retro-terra del Garda
ne  potrebbe  costituire un esempio. Al riguardo si osserva anche che
la deroga in discorso relativamente ai due centri commerciali situati
ad  Affi in prossimita' dello svincolo autostradale, mentre si presta
a  servire  un consistente afflusso di turisti - compratori, al tempo
stesso  non  potra' non giovare anche agli esercizi di vendita minori
presenti nelle medesime localita', e, verosimilmente, potra' impedire
un'ipotizzabile   tendenza   a   realizzare  altre  grosse  strutture
commerciali  (con  quel  che segue in termini di congestione e spreco
del  territorio,  risorsa  a carattere irreversibile) nelle localita'
lacuali  che  godono  della  "franchigia"  dalla  chiusura nei giorni
domenicali e festivi.
    8.   -   Quale   ultima   annotazione,  non  puo'  non  rilevarsi
l'irragionevolezza del disconoscimento, in capo ai comuni ricorrenti,
di una qualita' che gia' era loro riconosciuta da tempo, sulla scorta
della  normativa previgente, il che induceva, oltre ad un ragionevole
affidamento  in tal senso anche per il futuro (tanto piu' in presenza
di   una   normativa   statale   molto   orientata  nel  senso  della
liberalizzazione  delle  attivita'  di commercio), anche a realizzare
investimenti  calcolati  sulla  base  della  possibilita' di apertura
anche nei fine-settimana degli esercizi di vendita.
    9.  -  In conclusione, le considerazioni fin qui esposte inducono
il  Collegio  a  sollevare  la  questione  di costituzionalita' degli
artt. 2  e  3  della  legge  regionale  28  dicembre  1999 n. 62, per
contrasto con gli artt. 117, 3 e 97 della Costituzione.
    Va   disposta,   pertanto,  la  sospensione  del  giudizio  e  la
trasmissione   degli   atti   alla  Corte  costituzionale,  ai  sensi
dell'art. 23  della legge 11 marzo 1953 n. 87, per la pronuncia sulla
legittimita' costituzionale delle suindicate norme.
                              P. Q. M.
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale  degli artt. 2 e 3 della legge regionale
28 dicembre 1999 n. 62, per contrasto con gli artt. 117, 3 e 97 Cost.
    Dispone  la  sospensione  del giudizio e l'immediata trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale;
    Ordina  che,  a  cura della segreteria, la presente ordinanza sia
notificata  alle  parti  in  causa,  al  Presidente del Consiglio dei
ministri e al Presidente della giunta regionale del Veneto, e che sia
comunicata ai Presidenti delle Camere del Parlamento.
    Cosi'  deciso in Venezia, in camera di consiglio, addi' 11 aprile
2001.
                Il Presidente f.f. estensore: Franco
01C0897