N. 677 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 aprile 2001
Ordinanza emessa l'11 aprile 2001 dal tribunale amministrativo regionale del Veneto sui ricorsi riuniti proposti da comune di Cittadella contro Provincia di Padova e da Consorzio operatori Grand'Affi shopping center ed altri contro Provincia di Verona. Commercio - Regione Veneto - Esercizi di vendita al dettaglio - Obbligo di chiusura domenicale e festiva e di mezza giornata di chiusura infrasettimanale - Deroghe per i comuni ad economia prevalentemente turistica e perle "citta'" d'arte stabilite con il d.lgs. n. 114/1998 - Qualificazione con legge regionale di dette localita',in relazione al numero dei posti letto in strutture alberghiere e simili e alla posizione in "territorio montano, litoraneo, lacuale e termale" - Irragionevolezza - Incidenza sui principi di imparzialita' e buon andamento della pubblica amministrazione - Non consentita legiferazione nella materia del commercio riservata allo Stato. - Legge Regione Veneto 28 dicembre 1999, n. 62, art. 2 e 3. - Costituzione, artt. 3, 97 e 117.(GU n.37 del 26-9-2001 )
IL TRIBUNALE amministrativo regionale Ha pronunziato la seguente ordinanza sui ricorsi: 1) n. 2431/2000, proposto dal comune di Cittadella, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Alberto Cartia, con domicilio presso la segreteria di questo tribunale amministrativo, ai sensi dell'art. 35 del regio decreto 26 giugno 1924 n. 1054, come da delibera di autorizzazione a stare in giudizio della Giunta municipale n. 265 del 24 luglio 2000 e mandato a margine del ricorso; Contro la Provincia di Padova, in persona del presidente della giunta provinciale pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Francesco Pata, Cecilia Ambrogi e Patrizia Carbone, con domicilio presso la segreteria di questo tribunale amministrativo, ai sensi dell'art. 35 del regio decreto 26 giugno 1924 n. 1054, come da procura ad litem a margine del controricorso, per l'annullamento: della determinazione dirigenziale prot. n. 44145 del 30 giugno 2000, di non accoglimento dell'istanza di riconoscimento quale "citta' d'arte" ai fini della deroga agli orari di vendita al dettaglio; di ogni altro atto connesso, segnatamente la delibera della giunta provinciale n. 51 del 2 marzo 2000, recante i criteri per l'applicazione della deroga, ai sensi dell'art. 2 della legge regionale n. 62/1999; 2) n. 3612/2000 e n. 3619/2000, proposti, rispettivamente, dal Consorzio operatori Grand'Affi shopping center, in persona dell'amministratore unico, da SAR International S.r.l., da Milleidee a Millelire di Turato Roberta, da Magie d'Oriente S.r.1., da Baci di Ferrari Alba, da Pellicano di Morando Margherita e C. s.n.c., da AMB Italia S.r.l., da Lavasecco Azzurro e C. s.n.c. di Burato Laura, da Sabbia S.r.l., da Anti S.n.c. di Tiberio Veronesi e C., da Vediamoci di Senese Lidia, da Le Follie S.n.c. di Bersan Marcello, da Intimamente S.n.c. di Beghini Monica e Ambrosi Orietta, da 3A dei F.lli Anonini, da Holding dei Giochi S.r.l. in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, tutti rappresentati e difesi dagli avv. Riccardo Ruffo e Franco Zambelli, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Venezia-Mestre, via Cavallotti, 22, e dai comuni di Affi, Castelnuovo del Garda, Cavaion Veronese, Costermano, Pastrengo e Rivoli Veronese, in persona dei rispettivi sindaci pro tempore, tutti autorizzati ad agire con singole delibere delle G.m., rappresentati e difesi dall'avv. Giovanni Sala e domiciliati presso l'avv. Franco Zambelli; Contro la Provincia di Verona in persona del presidente della giunta provinciale pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Giancarlo Biancardi e Michele Miguidi, come da delibera di autorizzazione a stare in giudizio della giunta provinciale n. 23/598 del 14 dicembre 2000, e procura a.1., a margine dei controricorsi, per l'annullamento della determinazione dirigenziale n. 1579 del 3 ottobre 2000 recante diniego di individuazione quali comuni a prevalente economia turistica, ai fini della deroga agli orari di vendita; nonche' della delibera della giunta provinciale n. 12/246 del 25 febbraio 2000, recante fissazione dei criteri per l'applicazione delle deroghe agli orari di vendita per i comuni a economia prevalentemente turistica e citta' d'arte; 3) n. 3680/2000, proposto dal comune di Soave in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Marco Mase' e Wanda Falciani, con domicilio eletto presso la seconda in Venezia, S. Marco - Calle del Pestrin, n. 3472, come da procura a.l. a margine del ricorso; Contro la Provincia di Verona in persona del presidente della giunta provinciale in carica, rappresentato e difeso dagli avv. Giancarlo Biancardi e Antonio Sartori, con domicilio eletto presso quest'ultimo, in Venezia-Mestre, Calle del Sale, n. 33, come da delibera di autorizzazione a resistere n. 55 del 15 marzo 2001, e procura a.l. a margine del controricorso, per l'annullamento della determinazione dirigenziale n. 1579 del 3 ottobre 2000, nella parte in cui nega all'amministrazione comunale il riconoscimento di "citta' d'arte", ai fini della deroga agli orari di vendita. Visti i ricorsi, notificati, rispettivamente, il 1 agosto 2000, il 30 novembre 2000, il 30 novembre 2000 e il 7 dicembre 2000 e depositati presso la segreteria rispettivamente, il 7 agosto 2000 e il 7 dicembre 2000, il 7 dicembre 2000 e il 14 dicembre 2000, con i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Padova e della Provincia di Verona, depositati, rispettivamente, il 1 settembre 2000, il 19 dicembre 2000 e il 21 marzo 2001; Visti gli atti tutti delle cause; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Uditi alla pubblica udienza dell'11 aprile 2001, relatore il Presidente f.f., Consigliere Italo Franco, gli avv.De Martin in sostituzione di Cartia per il comune di Cittadella, Pata per la Provincia di Padova, Ruffo per la parte ricorrente nel ricorsi n. 3612/2000, Sala per i comuni ricorrenti nel ricorso n. 3619/2000, Sartori per la Provincia di Verona, Mase' per il comune di Soave; Ritenuto in fatto e considerato e in diritto quanto segue: F a t t o Consta in data 19 aprile 2000 il comune di Cittadella chiedeva alla provincia di Padova - ente competente in virtu' della delega conferitale dalla regione con legge regionale 28 dicembre 1999 n. 62 quanto all'individuazione dei comuni ad economia prevalentemente turistica e delle citta' d'arte ai fini della deroga circa l'osservanza dell'orario di apertura e di chiusura degli esercizi commerciali nei giorni domenicali e festivi - il riconoscimento di citta' d'arte, sulla base dei criteri fissati dall'art. 3 della legge regionale citata. La provincia - che gia', con delibera della giunta provinciale n. 51 del 2 marzo 2000, aveva definito i criteri per l'applicazione delle deroghe agli orari, in detti comuni - respingeva l'istanza, con determinazione a firma del dirigente preposto alle attivita' economiche prot. n. 44145 del 30 giugno 2000, adducendo che il comune di Cittadella non possiede i requisiti previsti, poiche' il numero dei posti letto in strutture alberghiere ed extralberghiere nell'ambito del territorio comunale e' inferiore al numero minimo di 600. Contro tale provvedimento - come pure contro la presupposta delibera della giunta provinciale - insorge il comune interessato con il ricorso rubricato al n. 2431/2000 deducendo, con il primo motivo, violazione dell'art. 3 della legge regionale n. 62/1999. Posto che la delibera della giunta provinciale prevede che un comune, per essere dichiarato "citta' d'arte", deve possedere almeno quattro degli indicatori elencati all'art. 3, comma 2 della legge regionale citata, sostiene parte ricorrente: di essere in possesso di tali requisiti, dal momento che il centro storico e' sito in zona A1 e A2 (all'esterno della cinta muraria); vi sono almeno cinque immobili soggetti a tutela ex legge n. 1089/1939, ecc., e che la provincia e' incorsa in palese violazione della norma invocata, dove non si prescrive che il menzionato numero minimo di 600 posti-letto debba essere situato nell'ambito del territorio comunale. Non si comprende, invero, perche' non debbano considerarsi anche i posti-letto situati nei comuni limitrofi al fine del raggiungimento di detto limite, tanto piu' che la qualifica di "citta' d'arte" non dovrebbe farsi dipendere da detto parametro, bensi' dalla valutazione delle potenzialita' culturali presenti. Con il secondo mezzo si deduce eccesso di potere per falsa rappresentazione della realta', incompletezza e difetto di istruttoria; difetto di motivazione di cui all'art. 3 della legge n. 241/1990, sul rilievo che il numero dei posti-letto, come si evince dall'istanza nonche' dalla planimetria allegata, e' ben superiore a 600. L'istruttoria e' stata, dunque, quanto meno superficiale, ne' in motivazione si da' conto della verifica di tale dato. Si e' costituita la provincia, eccependo che appare soggettiva e arbitraria la tesi secondo cui andrebbero conteggiati anche i posti-letto non compresi nel territorio comunale (laddove nel diniego impugnato e' stato correttamente applicato l'art. 3.1 della legge regionale n. 62/1999, ove il requisito del numero di posti-letto appare primario e irrinunciabile), e che, nell'istanza del comune, figura un evidente errore di calcolo, risultando la somma dei posti-letto indicati pari a 592 e non - come ivi indicato - 612, laddove da una verifica dell'11 agosto 2000, il numero effettivo di tali posti risulta ancora inferiore (498). Nella memoria conclusionale si ribadiscono ulteriormente le tesi difensive, ricordando che dell'errore di calcolo si e' preso atto nell'ordinanza cautelare di questa sezione. Conclude anche parte ricorrente, che, oltre a ribadire gli argomenti gia' svolti, prospetta l'incostituzionalita' dell'art. 3 della legge regionale n. 62/1999 per irragionevolezza e disparita' di trattamento, con riferimento ad un costante indirizzo della Corte costituzionale nel censurare l'arbitrarieta' dell'esercizio della funzione legislativa concorrente delle regioni, soggiungendo che la pronuncia d'incostituzionalita' determinerebbe la caducazione del provvedimento impugnato. Con separato ricorso, rubricato al n. 3612/2000, viene impugnato, da parte di titolari di esercizi commerciali (i piu' raggruppati in due centri commerciali ubicati nel comune di Affi) - congiuntamente alla delibera n. 12/646 del 25 maggio 2000, con la quale la giunta provinciale di Verona aveva definito i criteri per l'individuazione dei comuni a prevalente economia turistica e delle "citta' d'arte" ai fini della deroga agli orari di vendita e all'obbligo di chiusura domenicale e festivo degli esercizi commerciali - la determinazione dirigenziale prot. n. 26907 del 3 ottobre 2000 recante, fra l'altro, diniego di riconoscimento di "comuni a prevalente economia turistica" del territorio dei comuni convenzionati di Affi, Cavaion Veronese, Castelnuovo del Garda, Costermano, Pastrengo e Rivoli Veronese, "perche' non presenta le caratteristiche di cui all'art. 2 comma 5 legge regionale 62/1999" (conforme il parere dell'ufficio legale della provincia e della regione). Premettono gli esercenti commerciali ricorrenti di far parte di due centri commerciali ("Grand'Affi" e"Iperaffi"), di svolgere la loro attivita' in comune di Affi, situato a meno di 5 Km. dal Lago di Garda e ad esso ben collegato, tanto da essere divenuto punto di passaggio obbligato per grandi masse di turisti, provenienti specialmente dal Trentino Alto Adige e dalla Germania e diretti sia nel comprensorio del Garda che a Verona (di cui costituiscono il retroterra naturale), e che tutti i comuni ora convenzionati erano, in base alla previgente disciplina, riconosciuti "localita' ad economia turistica" (con D.P.G.R. n. 677 del 31 marzo 1983). Di conseguenza essi, nel periodo dal 15 marzo al 4 novembre, avevano facolta' di tenere aperti gli esercizi anche nei giorni domenicali e festivi, dal che traevano grande vantaggio, considerato che in tale periodo gli incassi del fine settimana rappresentavano una grossa percentuale di quelli realizzati nell'intera settimana. Legati da convenzione stipulata a tal fine, i comuni su nominati, contestualmente criticando i criteri irragionevolmente restrittivi di cui alla norma regionale, nonche' i criteri ulteriori fissati dalla provincia, avevano chiesto il riconoscimento del carattere prevalentemente turistico dell'economia di tutto il territorio dei sei comuni, affermando di possedere i requisiti all'uopo previsti tanto dall'art. 2.1 della legge regionale n. 62/1999 quanto dalla delibera della giunta provinciale n. 12/646 del 25 maggio 2000 (con ampio corredo di dati), ricevendone il diniego su menzionato. A sostegno del gravame i ricorrenti deducono, con il primo motivo, eccesso di potere per illogicita' e carenza di motivazione, sul rilievo che, se in passato i comuni ora convenzionati erano classificati "localita' ad economia turistica" - circostanza immotivatamente ignorata -, a maggior ragione dovrebbero essere riconosciuti ora, sulla base della piu' favorevole nuova normativa, comuni ad economia prevalentemente turistica, tanto piu' che solo dopo il menzionato riconoscimento si sono installati ad Affi i due centri commerciali su richiamati, e che tutta l'economia di tali comuni ruota intorno al turismo del Garda. Con il secondo mezzo si deduce violazione dell'art. 3 della legge n. 241/1990; eccesso di potere per insufficienza ed incongruita' della motivazione, sul rilievo che, nel diniego avversato, non si disconosce l'esistenza dei requisiti, ma si motiva adducendo l'assenza delle caratteristiche previste in una disposizione (il quinto comma dell'art. 2) affatto estraneo alla fattispecie, e non invocato dai comuni convenzionati, i quali chiedevano il riconoscimento sulla base delle regole ordinarie (commi 1 e 2 del medesimo art. 2). Con il terzo motivo si deduce eccesso di potere per difetto di istruttoria e insufficienza della motivazione, sul rilievo che non sono state prese in considerazione le ampie argomentazioni svolte nell'istanza, e non si e' dato rilievo ai pareri espressi dalle organizzazioni maggiormente rappresentative dei settori commercio e turismo, ne' si da' conto del perche' tali pareri sono stati disattesi. Con il quarto motivo si deduce violazione dell'art. 12 del d.lgs. n. 114/1998 e degli art. l e 2 della legge regionale n. 62/1999, anche in relazione agli art. 24 e 26 della legge n. 142/1990, sul rilievo che deve ritenersi ammissibile (per quanto nulla si dica al riguardo sul punto) la possibilita' che anche piu' comuni associati possano chiedere il riconoscimento de quo (non menzionato ma nemmeno escluso dalle norme citate), avuto anche riguardo al favor manifestato nella legislazione sullo svolgimento di funzioni in forma associata. Con il quinto mezzo si deduce violazione dell'art. 12, comma 30 del d.lgs. n. 114/1998, e degli art. 2 e 6 della legge regionale n. 62/1999, sull'assunto che, anche ove volessero ritenersi, piu' comuni convenzionati, non legittimatati a chiedere tale riconoscimento, la pubblica amministrazione doveva verificare d'ufficio se i requisiti sussistessero in capo ai singoli comuni richiedenti. Con il sesto motivo si lamenta violazione dell'art. 12.3 del d.lgs. n. 114/1998 e dell'art. l della legge regionale n. 62/1999, nonche' del regolamento approvato dalla giunta provinciale con delibera n. 12/246 del 25 maggio 2000, punto 5, sul rilievo che, mentre quivi si prevede che "il periodo di deroga potra' durare tutto l'anno", nel diniego si esclude la deroga per 365 giorni, senza verificare se potessero assentirsi deroghe per periodi di tempi piu' limitati (come accadeva in precedenza per il comune di Affi). Con il settimo mezzo si deduce violazione degli artt. 32 e 35 della legge n. 142/1990 e incompetenza, assumendosi che la giunta provinciale e' competente ad emettere regolamenti soltanto in ordine all'organizzazione degli uffici e dei servizi, dal che la conclusione che il regolamento in questione era di competenza consiliare, e soggiungendosi che, ove non volesse ritenersi di natura regolamentare la deliberazione della giunta provinciale, la competenza al riguardo spetterebbe al dirigente. Con l'ottavo mezzo si lamenta eccesso di potere per manifesta illogicita', rilevandosi, in relazione ai criteri definiti dalla giunta provinciale, l'illogicita', in particolare, di quello con il quale si prevede che il rapporto tra popolazione residente e presenze in esercizi alberghieri ed extralberghieri debba essere maggiore o uguale a 35/100, rapporto che avvantaggia, paradossalmente, i comuni con minori presenze (a meno che non si voglia ritenere che si tratti di un errore materiale). Inoltre, non risulta possibile determinare il rapporto fra imprese del settore turistico e tutte le altre (non rinvenendosi un simile criterio ufficiale di classificazione), ne' puo' ritenersi ragionevole il parametro, all'uopo richiesto, di 70 su 100. Con il nono motivo si deduce violazione degli art. 12.3 del d.lgs. n. 114/1998 e 1.1 della legge regionale n. 62/1999; eccesso di potere per difetto di istruttoria e carenza di motivazione, sul rilievo che, mentre le norme invocate ammettono riconoscimenti anche per periodi limitati, e' stata affatto ignorata detta possibilita', che consentirebbe di soddisfare l'interesse di comuni interessati ai flussi turistici in determinati periodi dell'anno, come quello di Affi. Con il decimo motivo si lamenta violazione dell'art. 2.3 della legge regionale 28 dicembre 1999 n. 62, assumendosi che, mentre svariati potevano essere gli indicatori, quelli definiti dalla giunta provinciale sono eccessivamente rigidi, specialmente quando si prevede che ne debbano essere posseduti almeno quattro. Con l'undicesimo mezzo si deduce illegittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge regionale 28 dicembre 1999 n. 62, sul rilievo che lo stesso si pone in contrasto con i principi posti nell'art. 12 (vincolanti ai sensi dell'art. 117 Cost.) del d.lgs. n. 114/1998, il quale assegna alle regioni solamente il compito di individuare i comuni a prevalente economia turistica, il che esclude che le regioni possano introdurre ulteriori requisiti restrittivi, come ha fatto la legge regionale n. 62/1999 quando prevede che possano ottenere detto riconoscimento solo i comuni che abbiano almeno 1500 posti-letto (criterio manifestamente incongruo ed eccessivamente rigido). Ma l'art. 2 cit. si pone in contrasto con i principi della legislazione statale anche la' dove ammette al riconoscimento i "soli comuni situati in territorio montano, litoraneo, lacuale, termale", laddove l'art. 12 consente la deroga in discussione indipendentemente dalla collocazione geografica dei comuni. La norma, inoltre, si pone in contrasto anche con i principi di ragionevolezza e uguaglianza sanciti dall'art. 3 della Costituzione; infatti, in tal modo la legge regionale esclude arbitrariamente la deroga per gli esercizi commerciali in numerosi comuni caratterizzati da economia prevalentemente turistica, ma non in possesso dei criteri ulteriori fissati da detta norma, contrapponendosi, cosi', anche all'esperienza e alla normativa anteriori, quando tale qualifica e' stata pacificamente riconosciuta al comune di Affi e agli altri convenzionati con esso. Si e' costituita la provincia, eccependo preliminarmente l'inammissibilita' del ricorso in quanto non notificato ai soggetti che avevano espresso il parere sfavorevole (Confersercenti, Confcommercio, Fisascat), da considerare controinteressati. Nel merito se ne eccepisce l'infondatezza, assumendosi che per mero errore materiale non figura nel provvedimento la vera motivazione (che si desume dai pareri forniti dall'ufficio legale della provincia e dalla regione, ed e' conosciuta dai ricorrenti), concernente il fatto che soltanto comuni singoli possono richiedere il riconoscimento in questione, come si desume dal sistema, altrimenti le norme si presterebbero ad un facile aggiramento, venendo cosi' svuotate. Con il ricorso rubricato al n. 3619/2000, i sei comuni convenzionati impugnano a loro volta il diniego e la delibera della giunta provinciale n. 12/246/2000. A sostegno del gravame essi deducono, con qualche variazione marginale, tutti i motivi di impugnazione di cui al ricorso precedente, tranne il primo. La provincia si e' costituita anche in questo giudizio, aggiungendo alle eccezioni gia' formulate quella di irricevibilita' del ricorso nei riguardi della disciplina regionale e provinciale - certamente gia' conosciuta alla data di sottoscrizione dell'istanza (31 luglio 2000) -, e di inammissibilita' per difetto di interesse, asserendo che si tratta, nel caso, di interesse diffuso (dei commercianti), non tutelato espressamente da nessuna norma di legge, e negato da dottrina e giurisprudenza per gli enti esponenziali della comunita' amministrata (quali sono i comuni). A tali eccezioni replica con memoria conclusionale il patrocinio ricorrente. La medesima determinazione dirigenziale n. 100 del 3 ottobre 2000 viene impugnata, altresi, con ricorso rubricato al n. 3680/2000 dal comune di Soave, cui con tale provvedimento si negava la qualifica di "citta' d'arte", ai medesimi fini derogatori circa l'osservanza dell'orario e all'obbligo di chiusura domenicale e festiva, "per la mancanza dei requisiti di cui al punto 2 della D.G.P. n. 12/246 del 25 maggio 2000 (... comuni con almeno 600 posti-letto) e la mancanza del requisito di cui alla lattera c) dello stesso punto (operativita' nei giorni festivi di enti o strutture museali ...)". A sostegno del gravame si deduce, con il primo motivo, violazione dell'art. 3 della legge 7 agosto 1990 n. 241, sul rilievo che non e' dato ravvisare, nel diniego, nemmeno una motivazione ob relationem, non fornendo la provincia "gli elementi e i criteri logici con i quali ha ritenuto che il comune di Soave non disponga di 600 posti-letto e non abbia in funzione, la domenica e i festivi, attivita'... di enti e strutture museali, artistici e culturali, edifici di culto o religiosi, atti ad attirare rilevanti flussi di visitatori, per la cui visita o illustrazione e' richiesta specifica professionalita' di guide turistiche specializzate e riconosciute dalla normativa vigente". Con il secondo mezzo si deduce eccesso di potere per travisamento ed erronea valutazione dei fatti; violazione dell'art. 3.2, lett. c) della legge regionale n. 62/1999 - art. 2 lett. c) della delibera della giunta provinciale n. 12/246 del 25 maggio 2000, illustrandosi, con richiami storici, l'indubbia qualita' di citta' d'arte di esso comune (non solo ai fini della legge regionale n. 62/1999), per la presenza di numerosi monumenti quali palazzi, mura merlate, castelli, chiese, di notevole importanza storica, conosciuti nel mondo, nonche' la presenza di manifestazioni legate anche ai famosi vini del luogo. A cio' si aggiunge che l'afflusso turistico che interessa Soave e' di breve durata media, sicche' non richiede la presenza di strutture alberghiere con molti posti-letto. La provincia si e' costituita anche in quest'ultimo giudizio, formulando l'eccezione di difetto di interesse, analoga a quella gia' riferita in relazione ai due precedenti gravami, sostenendo la legittimita' del diniego sulla base del disposto normativo circa il numero minimo di posti-letto, e soggiungendo che nessun riferimento al numero dei posti- letto era riportato nella richiesta del comune ricorrente, donde l'inconfigurabilita' di un onere istruttorio a carico di essa Provincia. All'udienza i patroni comparsi hanno svolto la discussione, confermando le rispettive conclusioni, dopo avere dichiarato che l'intervenuta individuazione del comune di Castelnuovo Garda quale comune ad economia prevalentemente turistica non fa venir meno l'interesse del medesimo alla decisione. Indi le cause sono state spedite in decisione. D i r i t t o 1. - Con contestuale sentenza parziale il Col1egio ha disposto la riunione dei giudizi e la decisione sulle eccezioni sollevate in rito, rigettandole e dichiarando ammissibili i ricorsi. Con separata ordinanza, inoltre, e' stata definita la domanda di misure cautelari in relazione ai ricorsi n. 3612/2000 e 3619/2000 - che era stata rinviata al merito nella camera di consiglio del 19 dicembre 2000 - accogliendola per entrambi i ricorsi, fino alla pronuncia della Corte costituzionale sulla questione di costituzionalita' di cui alla presente ordinanza. 2. - Dopo la conclusione di ammissibilita' dei ricorsi riuniti, si puo' passare all'esame del merito delle controversie, principiando dai due ricorsi cui si riferivano le ordinanze cautelari, per ragioni che risulteranno chiare da quanto si andra' dicendo. Come si evince dalla narrativa in fatto che precede, e' stata posta la questione di legittimita' costituzionale delle disposizioni della legge regionale 28 dicembre 1999 n. 62, che vanno applicate alla fattispecie, relativamente ai ricorsi n. 3612/2000 e n. 3619/2000. Al riguardo il Collegio ritiene che la questione di costituzionalita' si ponga non soltanto in relazione alle controversie or ora menzionate, peraltro ancora prima sotto un profilo piu' rilevante (per il suo carattere assorbente, come si dira), ma anche in relazione alle due rimanenti controversie (originate dai ricorsi n. 2431/2000 e 3680/2000). Quanto alle norme sospettate di incostituzionalita', si tratta degli artt. 2 e 3 della legge regionale n. 62/1999, recanti, rispettivamente: "criteri per l'individuazione dei comuni ad economia prevalentemente turistica", e "criteri per l'individuazione delle citta' d'arte". La questione di costituzionalita' di tali norme e' rilevante ai fini del decidere per tutti i giudizi riuniti, e al tempo stesso non manifestamente infondata. 3.1. - Quanto alla rilevanza della questione ai fini del decidere, si osserva, con riferimento ai ricorsi n. 3612/2000 e n. 3619/2000, che l'art. 2 della menzionata legge regionale n. 62/1999 e' decisivo a tale riguardo. Ed invero, va detto brevemente (e, in questa sede, in via incidentale) che, dei numerosi motivi formulati dalle parti ricorrenti, taluni potrebbero ritenersi fondati, ma tuttavia sarebbero non determinanti, nel senso di condurre all'accoglimento dei ricorsi, nemmeno se considerati congiuntamente. In verita', fra questi ce n'e' uno (il secondo mezzo formulato nel primo dei ricorsi teste' richiamati, coincidente con il primo nel successivo ricorso) che, per il suo carattere "formale", sarebbe sufficiente per l'accoglimento di entrambi. Con esso si invoca, con la violazione dell'art. 3 della legge n. 241/1990, il difetto e l'incongruita' della motivazione, dal momento che, alla determinazione dirigenziale impugnata, si adduce a motivo del diniego la non ricorrenza dei presupposti per l'applicazione del comma 5 dell'art. 2 (testualmente riferito ai comuni "totalmente situati in zona montana, con altitudine superiore a seicento metri sul livello del mare" per i quali si richiede un numero inferiore di posti-letto, rispetto agli altri che presentano i requisiti "ordinari"). Ed infatti, non avendo i comuni ricorrenti invocato l'applicazione di tale ulteriore deroga nella loro richiesta (basata, invece, sui criteri ordinari per il riconoscimento di comuni ad economia prevalentemente turistica, di cui ai commi l e 2 dell'art. 2), la censura, se giudicata fondata, condurrebbe all'accoglimento dei ricorsi sotto tale profilo, rendendo superflua la proposizione della questione di costituzionalita'. Senonche' la difesa della provincia ha invocato al riguardo l'errore materiale, facendo riferimento all'istruttoria intercorsa, dalla quale emerge che la vera ragione del diniego va ricercata nell'asserita improponibilita' della richiesta di riconoscimento della qualita' di comuni ad economia prevalentemente turistica da parte di comuni associati o convenzionati (come nella fattispecie), ritenendo legittimati ad avanzare una simile richiesta soltanto i comuni singoli. Ora, poiche' un simile assunto risulta basato, effettivamente, sui pareri forniti dal servizio legale della provincia e della Regione Veneto (a tali pareri - cfr. doc. n. 9 e 10 della produzione della p.a. resistente - si fa, testualmente, riferimento nel provvedimento impugnato, sia pure con dicitura criptica), e poiche' sicuramente i ricorrenti erano a conoscenza di tale posizione preclusiva assunta dalla p.a. resistente - tanto che ne fanno un motivo di ricorso, come si evince dalla narrativa che precede - e' quanto meno dubbia la fondatezza di una simile censura. In ordine all'appena menzionata questione - circa la possibilita', o meno, di comuni convenzionati o associati, di proporre istanza in luogo di comuni singoli - si deve dire che detto profilo impinge su un aspetto del contenuto della norma che suscita sospetto di incostituzionalita', in specie sotto il profilo dell'irragionevolezza e/o irrazionalita' (come si vedra' piu' avanti). In conclusione, la definizione di entrambe le controversie deve passare, obbligatoriamente, attraverso l'applicazione dell'art. 2 della legge regionale n. 62/1999. In particolare, ove si ritenga che detta norma sia incostituzionale, da detta incostituzionalita' discenderebbe la caducazione del provvedimento impugnato (su essa norma precipuamente basato), nella parte in cui si pone come lesiva nei confronti dei ricorrenti, e l'accoglimento dei ricorsi. Viceversa, ove la medesima norma dovesse ritenersi conforme al dettato costituzionale, il provvedimento impugnato (nella parte in cui dispone il diniego del riconoscimento in questione), verosimilmente dovrebbe ritenersi legittimo, con la conseguenza che i medesimi ricorsi andrebbero respinti. Dunque, la questione di costituzionalita' dell'art. 2 della legge regionale n. 62/1999 e' rilevante ai fini della decisione. 3.2. - D'altra parte e' del pari rilevante la questione di costituzionalita' del successivo art. 3 della stessa legge, ai fini del decidere le due rimanenti controversie, ove si contesta, da parte dei comuni ricorrenti, il diniego di riconoscimento della qualita' di "citta' d'arte", pure ai fini della deroga agli orari e all'obbligo di chiusura nei giorni domenicali e festivi degli esercizi di vendita al dettaglio. Detta norma, vale la pena di sottolineare, ha una struttura ed una ratio pressoche' parallela a quella dell'art. 2, anche perche', come questa, trae la sua legittimazione dalla medesima norma di legge statale (art. 12 del d.lgs. n. 114/1998). In verita', i ricorsi introduttivi di tali controversie hanno strumentazione piu' semplice, diverse sono le censure, e solo in uno di essi (ricorso n. 2431/2000) si pone una questione di costituzionalita' (nella memoria conclusionale). Tuttavia, sembra evidente che un'eventuale dichiarazione di incostituzionalita' anche qui travolgerebbe i provvedimenti impugnati, rimanendo, dunque, rilevante ai fini del decidere. Pertanto, stante il sottolineato parallelismo e l'identita' di ratio, la questione di costituzionalita' di detto art. 3 viene sollevata d'ufficio dal Collegio. 4. - D'altra parte, la questione di costituzionalita', tanto dell'art. 2 (relativo ai comuni a prevalente economia turistica), quanto dell'art. 3 (relativo alle "citta' d'arte") non appare manifestamente infondata. Ad avviso del Collegio, il primo e piu' rilevante profilo di incostituzionalita' (non rilevato da alcuno dei difensori delle parti in causa) attiene al contrasto delle disposizioni in esame con la norma di legge statale recante i principi sull'esercizio dell'attivita' commerciale e dunque, indirettamente, con l'art. 117 della Costituzione. Anzi, al riguardo va chiarito, preliminarmente, che detta materia (il commercio) non rientra fra quelle per le quali l'art. 117 della Costituzione ha previsto la potesta' legislativa concorrente delle regioni a statuto ordinario (se non per la "sub-materia" "fiere e mercati", qui fuori discussione). Questa asserzione - sia detto per inciso - vale anche alla luce della normativa di recente intervenuta in tema di conferimento di competenze alle regioni, ai sensi della legge 15 marzo 1997 n. 59, la quale (non essendo legge costituzionale, e non potendo, dunque, modificare l'art. 117 Cost.), fin dall'art. 1, nel conferire al Governo la delega ad emanare decreti legislativi intesi a conferire alle regioni e agli enti locali funzioni e compiti amministrativi, chiarisce che tanto viene fatto ai sensi dell'art. 118 della Costituzione (notoriamente riguardante compiti amministrativi delle regioni, e non la potesta' legislativa regionale). Quanto detto vale, a maggior ragione, anche per il decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 112 recante "conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997 n. 59". La conseguenza di quanto fin qui detto e' che la materia del "commercio", non puo' essere disciplinata con legge dalle regioni, in mancanza di esplicita previsione di una legge della Repubblica che ad esse demandino "il potere di emanare norme per la loro attuazione" (dunque, solo sotto il profilo attuativo), ai sensi dell'art. 117 comma 2 della Costituzione. Invece, tornando al caso di specie, si osserva che questo rientra, piuttosto, nello schema dell'art. 118.2 Cost., ove si prevede: "Le Stato puo' con legge delegare alla regione l'esercizio di altre funzioni amministrative" (diverse da quelle correlate alla potesta' legislativa di esse regioni ai sensi dell art. 117, per le quali pacificamente sussiste la competenza amministrativa delle medesime). Orbene, l'assetto normativo inerente alla fattispecie e' affatto coerente con detta impostazione. Infatti, il d.lgs. 31 marzo 1998 n. 114 (recante la riforma del commercio ai sensi dell'art. 4 della legge n. 59/1997), con l'art. 11, detta regole inerenti agli orari da osservare da parte degli esercizi di vendita al dettaglio, prescrivendo, al comma 4, che detti esercizi "osservano la chiusura domenicale e festiva e ... la mezza giornata di chiusura infrasettimanale". Il successivo art. 12 - la cui rubrica suona: "Comuni ad economia prevalentemente turistica e citta' d'arte" -, dopo avere disposto, al comma 1, che gli esercenti, quivi, "determinano liberamente gli orari di apertura e di chiusura e possono derogare all'obbligo di cui all'art. 11, comma 4" al comma 3 prescrive: "... anche su proposta dei comuni interessati e sentite le organizzazioni dei consumatori, delle imprese del commercio e del turismo e dei lavoratori dipendenti, le regioni individuano i comuni ad economia prevalentemente turistica, le citta' d'arte o le zone del territorio dei medesimi e i periodi di maggiore afflusso turistico nei quali gli esercenti possono esercitare la facolta' di cui al comma 1". Come appare evidente, una Legge della repubblica, dopo avere dettato la disciplina legislativa integrale degli orari e dei giorni di apertura e chiusura degli esercizi di vendita al dettaglio, ha assegnato alle regioni, semplicemente, il compito (amministrativo) di individuare i comuni e i periodi dell'anno - in considerazione degli afflussi turistici - in cui la facolta' di deroga dall'obbligo di chiusura domenicale e festiva (ex art. 11.4) puo' essere legittimamente esercitata dai rivenditori. Tanto si giustifica pienamente, essendo la regione maggiormente vocata a individuare localita' e ambiti territoriali del proprio territorio la cui economia riveste determinate caratteristiche. Per di piu', si evince de plano dal testo della norma di legge statale che nella specie e' stato configurato un vero e proprio procedimento amministrativo, da svolgere - da parte delle regioni - con la partecipazione dei soggetti associativi espressamente individuati, i quali debbono essere obbligatoriamente sentiti. Pertanto, come sembra del tutto evidente, nella materia de qua non c'era margine alcuno - sia sotto il profilo della copertura costituzionale, sia, a maggior ragione, con riguardo, per cosi' dire, alla "natura della cosa" - per ipotizzare ed esercitare una potesta' legislativa da parte delle regioni. Invece la Regione Veneto non soltanto si e' arrogato un potere legislativo che in realta' non aveva, ma - e qui si appuntano, in parte, le censure dei ricorrenti, quando sollevano la questione di costituzionalita', con rilievi peraltro destinati ad essere assorbiti e superati sul piano logico-giuridico dal profilo di incostituzionalita' fin qui esaminato - lo ha fatto con una costruzione assolutamente ridondante, ed irragionevole e irrazionale nei contenuti, per di piu' chiamando in causa anche le province. 5.1. - Dato il rilevato carattere assorbente del primo profilo di incostituzionalita', di questi aspetti si dira' in maniera piu' sintetica. In primo luogo, si osserva che, al cospetto di una previsione unitaria nella norma statale, la regione ha posto in due norme separate (ma parallele, come si e' osservato) la disciplina inerente ai comuni ad economia prevalentemente turistica e alle citta' d'arte. Ma detto aspetto non e' censurabile in se'. Cio' che invece appare censurabile sotto il profilo - si direbbe - di adeguatezza con la materia da disciplinare e con le finalita' perseguite, e' il contenuto di dette discipline parallele, con particolare riguardo alla previsione dei requisiti che si pongono per il riconoscimento in questione. Ed invero, il tutto e' costruito partendo dalla fissazione di quelli che si pongono, e debbono considerarsi, in sede interpretativa, come dei requisiti o presupposti di base, in mancanza dei quali non si pone nemmeno l'applicazione della rimanente disciplina sui requisiti, che pure vengono dettagliatamente configurati. In particolare, l'art. 2 prevede, al comma 1, che possono essere individuati quali comuni ad economia prevalentemente turistica: "solo i comuni situati in territorio montano, litoraneo, lacuale, termale ... con almeno millecinquecento posti-letto in strutture alberghiere ed extra alberghiere". Ora, mentre nel comma 2 si rinvengono le definizioni legali di comune montano, litoraneo, ecc., nel successivo comma si prevede che, ai fini dell'individuazione, i comuni (rientranti nell'ambito definitorio suddetto) interessati corredino, ad ulteriore dimostrazione, la domanda (da inoltrare entro il 31 ottobre di ogni anno) con la documentazione completa e i dati statistici inerenti ad una serie di indicatori ivi elencati (rapporto tra popolazione residente e numero di presenze in esercizi alberghieri; rapporto tra imprese turistiche ed occupati nelle stesse, con il totale delle imprese e occupati di tutte le imprese, ecc.). Le domande vanno, poi, corredate dei pareri dei soggetti associativi cui si e' fatto retro riferimento. Orbene, sia pure nel rispetto per la lata discrezionalita' del legislatore (ove si volesse ritenere che sussistesse, nel caso di specie, la potesta' legislativa regionale, cio' che si e', invece, escluso piu' addietro), gia' ad una prima lettura risalta il difetto di una simile costruzione sotto il profilo della ragionevolezza e della coerenza interna, sembrando palese il suo contrasto con il principio di buon andamento dell'amministrazione di cui all'art. 97 Cost. Ed invero, in primo luogo si osserva che i due requisiti menzionati pongono, in realta', uno sbarramento a' cascade, nel senso che se una localita' non sia montana o lacuale, ecc., ne' abbia almeno 1500 posti-letto nei suoi alberghi e strutture affini, non potra' mai essere individuato quale comune ad economia prevalentemente turistica. Non aiuterebbe, a tal fine, nemmeno la presenza di tutti gli indicatori cui si e' accennato, anche se realizzati a livello ottimale. Cio' significa che la valutazione di detti indicatori funge soltanto da ulteriore filtro tra i comuni richiedenti che presentino i menzionati requisiti di base. Senonche', non sfugge all'interprete (e, ovviamente, agli operatori commerciali e alle comunita' interessate) che piu' congruo e maggiormente ragionevole sarebbe apparso considerare il pre-requisito del numero dei posti-letto alla stregua degli altri indicatori cui si e' accennato, se del caso attribuendogli un "peso" maggiore, in modo da effettuare una valutazione ponderata di una serie di elementi indicativi della caratteristica di economia prevalentemente turistica di un dato territorio. 5.2 - Maggiormente irragionevole (o comunque inesplicata) appare, poi, la limitazione dell'individuazione quale comune ad economia prevalentemente turistica dei soli comuni montani, litoranei, lacuali e termali (per incidens, si nota che si prevede la sufficienza, per questi ultimi, della presenza anche di un solo stabilimento termale: cfr. comma 2): in pura teoria, ben potrebbe rinvenirsi una localita' ad economia turistica situata in pianura e lontana dai laghi e dalla costa marina. Da cio' l'incongruenza o l'irrazionalita' di una simile limitazione. Detta limitazione si pone, altresi', in contrasto - per i suoi effetti discriminatori nei confronti dei comuni che si trovano diversamente ubicati, ma che pure possano vantare il carattere prevalentemente turistico delle rispettive economie - con l'art. 3 della Costituzione. 6. - Cio' che si e' detto finora riguardava l'art. 2 della legge regionale n. 62/1999. Ma anche in relazione all'individuazione delle "citta' d'arte" - sempre ai fini della deroga all'obbligo di chiusura nei giorni domenicali e festivi degli esercizi di vendita al dettaglio - deve dirsi che l'art. 3 racchiude una costruzione analoga, ponendo il pre-requisito del numero minimo di posti-letto (che qui debbono essere almeno duecento se si tratti di comuni situati in zona montana, e almeno seicento in tutti gli altri comuni). In verita', qui l'ubicazione in territorio montano si pone non quale sbarramento assoluto, ma (solo) come condizione privilegiata ai fini dell'individuazione quale citta' d'arte. Tuttavia, anche la previsione di detto privilegio appare inesplicata e irrazionale, nessuna correlazione diretta o necessaria potendo istituirsi tra qualita' artistiche di una localita' e sua ubicazione in montagna e nessun'altra finalita' potendosi rinvenire in una siffatta previsione normativa, se non l'intentio legis di favorire l'economia delle zone montane (finalita' da perseguire correttamente, tuttavia, in diversi e piu' ampi contesti). A parte cio', anche incongruo appare lo sbarramento del numero minimo di posti-letto, tanto piu' ove si osservi che il "turismo d'arte" si realizza, verosimilmente, mediante afflussi giornalieri o comunque molto limitati nel tempo (specie dalla stessa regione), cosicche' non si ravvisa l'esigenza di una robusta dotazione alberghiera o para-alberghiera per ospitare i turisti ivi diretti. Per quanto concerne, poi, gli indicatori della condizione di "citta' d'arte" elencati nel comma 2 dell'art. 3 (presenza di centri storici classificati come zona A e/o zona di interesse storico-artistico; provvedimenti di riconoscimento da parte di istituzioni internazionali, nazionali o regionali; operativita' nei giorni festivi di strutture museali, ecc.), valgono osservazioni analoghe a quelle fatte in relazione agli "indicatori" di cui all'art. 2, e alla rispettiva valutazione e comparazione congiuntamente con il numero dei posti-letto. 7. - Infine - e qui si viene ad un'esplicita contestazione formulata nei due gravami concernenti la mancata individuazione quale comuni ad economia prevalentemente turistica, ma che e' rinvenibile, con prospettazione in parte diversa, anche negli scritti difensivi relativi al ricorso n. 2431/2000 concernente il mancato riconoscimento quale citta' d'arte del comune di Cittadella - l'avere privilegiato significativamente il requisito del numero di posti-letto reca in se un'ulteriore incongruenza la' dove si esclude a priori - come sembra evincersi dal tenore e dal dato testuale della norma - che l'esistenza del requisito in questione possa verificarsi con riferimento ad un ambito piu' ampio del territorio di un solo comune, estendendolo, per cosi' dire, ad un territorio piu' ampio. La realta', invero, conosce l'esistenza di veri e propri comprensori turistici, e quello dell'immediato retro-terra del Garda ne potrebbe costituire un esempio. Al riguardo si osserva anche che la deroga in discorso relativamente ai due centri commerciali situati ad Affi in prossimita' dello svincolo autostradale, mentre si presta a servire un consistente afflusso di turisti - compratori, al tempo stesso non potra' non giovare anche agli esercizi di vendita minori presenti nelle medesime localita', e, verosimilmente, potra' impedire un'ipotizzabile tendenza a realizzare altre grosse strutture commerciali (con quel che segue in termini di congestione e spreco del territorio, risorsa a carattere irreversibile) nelle localita' lacuali che godono della "franchigia" dalla chiusura nei giorni domenicali e festivi. 8. - Quale ultima annotazione, non puo' non rilevarsi l'irragionevolezza del disconoscimento, in capo ai comuni ricorrenti, di una qualita' che gia' era loro riconosciuta da tempo, sulla scorta della normativa previgente, il che induceva, oltre ad un ragionevole affidamento in tal senso anche per il futuro (tanto piu' in presenza di una normativa statale molto orientata nel senso della liberalizzazione delle attivita' di commercio), anche a realizzare investimenti calcolati sulla base della possibilita' di apertura anche nei fine-settimana degli esercizi di vendita. 9. - In conclusione, le considerazioni fin qui esposte inducono il Collegio a sollevare la questione di costituzionalita' degli artt. 2 e 3 della legge regionale 28 dicembre 1999 n. 62, per contrasto con gli artt. 117, 3 e 97 della Costituzione. Va disposta, pertanto, la sospensione del giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87, per la pronuncia sulla legittimita' costituzionale delle suindicate norme.
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 2 e 3 della legge regionale 28 dicembre 1999 n. 62, per contrasto con gli artt. 117, 3 e 97 Cost. Dispone la sospensione del giudizio e l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che, a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, al Presidente del Consiglio dei ministri e al Presidente della giunta regionale del Veneto, e che sia comunicata ai Presidenti delle Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Venezia, in camera di consiglio, addi' 11 aprile 2001. Il Presidente f.f. estensore: Franco 01C0897