N. 703 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 giugno 2001

Ordinanza  emessa  il  27  giugno  2001  dal tribunale di Taranto nel
procedimento  civile  vertente  tra Scialpi Stefano e Banca Nazionale
del Lavoro S.p.a.

Obbligazioni   pecuniarie  -  Interessi  nei  contratti  di  mutuo  -
  Interessi usurari - Qualificazione come tali dei soli interessi che
  superano  il  limite  stabilito dalla legge nel momento in cui sono
  promessi    o    comunque    convenuti,    a    qualunque   titolo,
  indipendentemente   dal  momento  del  loro  pagamento  -  Ritenuta
  abrogazione  di una delle due fattispecie incriminate dall'art. 644
  cod.  pen.,  consistente  nella  ricezione di interessi lecitamente
  pattuiti ma successivamente divenuti usurari - Denunciata efficacia
  retroattiva  di  tale  abolitio  criminis  sui  rapporti  civili  -
  Contrasto  con  il  principio  di  ragionevolezza  -  Disparita' di
  trattamento,   sotto  piu'  profili,  nel  settore  del  credito  -
  Violazione   del   diritto   di   azione   e   di  difesa,  nonche'
  dell'affidamento  del  cittadino  e della certezza dell'ordinamento
  giuridico.
- D.L.  29  dicembre 2000, n. 394 (convertito nella legge 28 febbraio
  2001, n. 24), art. 1, comma 1.
- Costituzione, artt. 3, primo comma, e 24, primo e secondo comma.
(GU n.38 del 3-10-2001 )
                            IL TRIBUNALE

    Sciolta  la riserva formulata all'udienza del 4 aprile 2001 nella
causa civile n. 3096 del r.g. 1999, osserva quanto segue.
                              In  fatto
    In  forza  del  contratto  di  mutuo  ipotecario di cui agli atti
stipulati  il  9  luglio 1991 ed il 31 luglio 1991 la Banca Nazionale
del  Lavoro  ha  promosso  pignoramento  immobiliare nei confronti di
Scialpi  Stefano, mutuatario inadempiente al pagamento di alcune rate
scadute.
    Scialpi    Stefano   ha   proposto   opposizione   all'esecuzione
immobiliare anzidetta ritenendo di non dovere corrispondere parte del
credito  vantato  dalla banca opposta, segnatamente la parte relativa
agli interessi applicati, che, come a suo dire emergente dagli avvisi
di  scadenza  inviatigli  dalla  banca  medesima  (ed allegati al suo
fascicolo),  nel  periodo  andante dal 1 marzo 1997 al 31 agosto 1999
erano  stati  superiori  al  tasso  soglia fissato ex lege n. 108 del
1996.  Ha  chiesto,  in via principale, l'accertamento della nullita'
del contratto stipulato e, comunque, delle clausole di determinazione
del   tasso   ultralegale,   oltre  al  risarcimento  dei  danni  per
L. 80.000.000.
    Nel  costituirsi,  la  banca opposta ha evidenziato: che il mutuo
era  stato  erogato non in lire italiane, ma in franchi svizzeri, per
cui  l'opponente  era  ben  a  conoscenza  dell'alea  (collegata alla
variazione   del   cambio)   insita   nel  contratto  stipulato;  che
l'inadempimento  al pagamento delle rate di mutuo s'era verificato al
momento  in  cui  la  legge  n. 108  del  1996  non era neppure stata
promulgata;  che  l'art. 1815, comma 2 c.c., riferendosi ad interessi
"convenuti"  come  usurari, non era applicabile al caso di specie, in
cui  al momento della conclusione della convenzione gli interessi non
erano  certamente  usurari; che inapplicabile era la legge n. 108 del
1996,  poiche'  successiva  alla  nascita  del  rapporto negoziale in
questione;  che,  al  piu',  data  l'inapplicabilita' dell'art. 1815,
comma  2,  c.c.,  l'opponente  avrebbe potuto, anche a voler ritenere
illecita la richiesta di interessi cosi' come formulata, in base alla
legge  n. 108  del  1996,  chiedere  la riduzione al tasso soglia dei
detti  interessi;  che il tasso di interesse richiesto, come indicato
dalla  stessa  parte  opponente,  era stato praticamente sempre al di
sotto  del  tasso soglia fissato ex art. 2, legge n. 108 del 1996. Ha
concluso per il rigetto dell'opposizione.
    La  causa,  istruita mediante produzione documentale, all'udienza
del   4  apirle  2001  e'  stata  riservata  per  la  decisione,  con
concessione  di  termini  per il deposito di comparse conclusionali e
repliche.
    Nella  sua  conclusionale  l'opponente  ha,  tra l'altro, chiesto
fosse  sollevata questione di costituzionalita' dell'art. 1, comma 1,
del  d.l.  n. 394  del  2000,  convertito  in  legge 24 del 2001, nel
contempo   facendo   istanza   di  sospensione  del  procedimento  di
opposizione, da un lato, e dell'esecuzione, dall'altro lato.
                             In  diritto
    In  ordine  alla rilevanza della questione di incostituzionalita'
prospettata dall'opponente va detto quanto segue.
    Tralasciando   di   considerare   gli  interessi  che,  nell'atto
d'opposizione,  alle pagine 5 e 6, l'opponente indica come "interessi
composti  sul  saldo  debitore",  che  configurano  interessi non sul
capitale  iniziale, ma su parte delle rate di mutuo il cui pagamento,
per  successiva  convenzione  del  3 gennaio 1996, i contraenti hanno
pattuito  di differire, e tralasciando di considerare le somme dovute
dall'opponente per il mutamento del cambio tra la lira italiana ed il
franco  svizzero  (di  cui  in  alcun  modo  si  lamenta lo Scialpi),
risulta,  in ogni caso, che il tasso applicato dalla banca opposta e'
certamente  superiore  al tasso soglia fissato ex art. 2 legge n. 108
del  1996. Ed infatti, dai vari avvisi di scadenza emessi dalla banca
opposta e prodotti dall'opponente si rileva:
        che  sino  al  30  giugno  1997 la banca ha chiesto interessi
complessivi  del  16,2%  annuo  (rinvenienti  dalla  somma  del tasso
convenzionale  semestrale  dell'1,875%, che annualmente e' del 3,75%,
nonche'  del  tasso  di mora del 12,45%), a fronte di un tasso soglia
del 15,9%, ex d.m. 22 marzo 1997;
        che  sino  al  31  agosto  1997 la banca ha chiesto interessi
complessivi  del  16,05%  annuo  (rinvenienti  dalla  somma del tasso
convenzionale  semestrale  dell'1,875%, che annualmente e' del 3,75%,
nonche'  del  tasso  di mora del 12,30%), a fronte di un tasso soglia
del 15,42%, ex d.m. 24 giugno 1997;
        che  sino  al  31 dicembre 1997 la banca ha chiesto interessi
complessivi  del  15,9875%  annuo  (rinvenienti dalla somma del tasso
convenzionale   semestrale  dell'1,84375%,  che  annualmente  e'  del
3,6875%,  nonche' del tasso di mora del 12,30%), a fronte di un tasso
soglia del 15,42%, sino al 30 settembre 1997, ex d.m. 24 giugno 1997,
e del 14,085%, sino al 31 dicembre 1997, ex d.m. 25 settembre 1997;
        che  sino  al  28 febbraio 1998 la banca ha chiesto interessi
complessivi  del  14,7875%  annuo  (rinvenienti dalla somma del tasso
convenzionale   semestrale  dell'1,84375%,  che  annualmente  e'  del
3,6875%, nonche' del tasso di mora dell'11,10%), a fronte di un tasso
soglia del 14,22%, ex d.m. 23 dicembre 1997;
        che  sino  al  30  giugno  1998 la banca ha chiesto interessi
complessivi  del  14,225%  annuo  (rinvenienti  dalla somma del tasso
convenzionale semestrale dell'1,5625%, che annualmente e' del 3,125%,
nonche'  del  tasso di mora dell'11,10%), a fronte di un tasso soglia
del  14,22%,  sino  al 31 marzo 1998, ex d.m. 23 dicembre 1997, e del
12,435%, sino al 30 giugno 1998, ex d.m. 23 marzo 1998;
        che  sino  al  31  agosto  1998 la banca ha chiesto interessi
complessivi  del  13,8875%  annuo  (rinvenienti dalla somma del tasso
convenzionale   semestrale  dell'1,84375%,  che  annualmente  e'  del
3,6875%,  nonche' del tasso di mora del 10,20%), a fronte di un tasso
soglia del 11,76%, ex d.m. 24 giugno 1998;
        che  sino  al  31 dicembre 1998 la banca ha chiesto interessi
complessivi  del  14,075%  annuo  (rinvenienti  dalla somma del tasso
convenzionale semestrale dell'1,9375%, che annualmente e' del 3,875%,
nonche'  del  tasso  di mora del 10,20%), a fronte di un tasso soglia
del  11,76%, sino al 30 settembre 1998, ex d.m. 24 giugno 1998, e del
10,995%, sino al 31 dicembre 1998, ex d.m. 22 settembre 1998;
        che  sino  al  28 febbraio 1999 la banca ha chiesto interessi
complessivi  del  13,075%  annuo  (rinvenienti  dalla somma del tasso
convenzionale semestrale dell'1,9375%, che annualmente e' del 3,875%,
nonche'  del  tasso  di  mora del 9,20%), a fronte di un tasso soglia
dell'8,7%, ex d.m. 21 dicembre 1998;
        che  sino  al  30  giugno  1999 la banca ha chiesto interessi
complessivi  del  12,575%  annuo  (rinvenienti  dalla somma del tasso
convenzionale semestrale dell'1,6875%, che annualmente e' del 3,375%,
nonche'  del  tasso  di  mora del 9,20%), a fronte di un tasso soglia
dell'8,7%,  sino  al  31  marzo 1999, ex d.m. 21 dicembre 1998, e del
7,635%, sino al 30 giugno 1999, ex d.m. 26 marzo 1999;
        che  sino  al  31  agosto  1999 la banca ha chiesto interessi
complessivi  del  12,625%  annuo  (rinvenienti  dalla somma del tasso
convenzionale semestrale dell'1,9375%, che annualmente e' del 3,875%,
nonche'  del  tasso  di mora dell'8,75%), a fronte di un tasso soglia
del 7,38%, ex d.m. 19 giugno 1999.
    Il che significa che il tasso chiesto, per il periodo dal 1 marzo
1997  al 31 agosto 1999, e' stato costantemente al di sopra di quello
soglia: per cui diviene determinante stabilire se detto tasso soglia,
ed  in  genere  la  normativa  antiusura  ex  lege  108 del 1996, sia
applicabile al caso de quo.
    In  ordine  alla rilevanza della questione di incostituzionalita'
prospettata dall'opponente va detto quanto segue.
    L'art.  644,  comma  1,  c.p.,  come sostituito dall'art. 1 della
legge 7 marzo 1996 n. 108, recita: "Chiunque, fuori dei casi previsti
dall'art. 643,  si  fa  dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per
se'  o  per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di
altra  utilita', interessi o altri vantaggi usurari, e' punito con la
reclusione  da  uno  a  sei anni e con la multa da lire sei milioni a
lire trenta milioni".
    Il comma 2 del detto art. 644 c.p. prevede poi: "alla stessa pena
soggiace  chi  fuori  del  caso  di concorso nel delitto previsto dal
primo  comma,  procura a taluno una somma di denaro od altra utilita'
facendo  dare  o  promettere, a se' o ad altri, per la mediazione, un
compenso usurario".
    La  prima parte del comma 3 della stessa norma stabilisce inoltre
che: "La legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono
sempre usurari.
    L'art. 2,  comma  4, della legge n. 108 del 1996 ha disposto che:
"Il  limite  previsto  dal  terzo  comma dell'articolo 644 del codice
penale,  oltre  il  quale  gli  interessi  sono  sempre  usurari,  e'
stabilito   nel   tasso   medio  risultante  dall'ultima  rilevazione
pubblicata   nella   Gazzetta   Ufficiale   ai   sensi  del  comma  1
relativamente  alla  categoria  di  operazioni  in  cui il credito e'
compreso, aumentato della meta'".
    Orbene, in definitiva l'art. 644 c.p. punisce "chiunque ... si fa
dare o promettere ... in corrispettivo di una prestazione di denaro o
di  altra  utilita',  interessi  o  altri  vantaggi  usurari"  ovvero
"procura  a taluno una somma di denaro od altra utilita' facendo dare
o promettere ... per la mediazione, un compenso usurario".
    E'  evidente,  pertanto,  che  la  norma in questione punisce due
tipologie   di  fatti:  il  farsi  promettere  (e  quindi  convenire,
concordare) interessi usurari; il farsi dare interessi usurari.
    E'  altresi' chiaro che allorche' si parli di una convenzione, di
un  accordo  che  debba  essere  vagliato  se  usurario  o meno, tale
valutazione  non  possa  che  essere  effettuata  con  riferimento al
momento  in  cui  lo stesso s'e' concluso: sarebbe impensabile punire
penalmente  un  comportamento  sulla base di fatti (discesa dei tassi
d'interesse  di mercato) e norme (decreti ministeriali di rilevazione
degli   stessi)   successivi  al  comportamento  medesimo,  cio'  che
costituirebbe  violazione  del  principio affermato sia dall'art. 25,
secondo comma, Cost., che dall'art. 2, primo comma, c.p.
    Allorche', invece, si discuta non della conclusione di un accordo
usurario,   ma   del   farsi   dare   interessi  usurari,  potrebbero
prospettarsi, teoricamente, due opzioni interpretative: che interessi
usurari  siano  quelli  che al momento della pattuizione fossero gia'
tali;  che  interessi usurari siano quelli che, pur leciti al momento
della  convenzione, in un periodo di tempo successivo, e precisamente
al  momento  dello scadere dell'obbligazione per interessi, diventino
tali.
    La  prima  opzione  interpretativa e', peraltro, evidentemente da
scartare:  ed  infatti, se la norma avesse voluto perseguire lo scopo
di  punire  le ricezioni di interessi aventi a monte una convenzione,
un  accordo,  una  promessa  gia'  di  per se' usurari, sarebbe stato
perfettamente  inutile  sanzionare penalmente tale tipologia di fatto
(l'esecuzione  di  un  accordo usurario), gia' rientrante, come tale,
nell'alta   fattispecie  criminosa  colpita  dalla  norma  (l'accordo
usurario).
    Ne'  e'  pensabile  che  la  norma  punisca due volte il medesimo
fatto: farsi promettere la dazione di interessi usurai, da un lato, e
farsi  dare tali interessi, dall'altro lato (in tal senso, seppure in
relazione  alla vecchia formulazione dell'art. 644 c.p., Cass. penale
sez. 2 sent. 06784 del 12 luglio 1997, ud. 07/03/1997).
    Deve,  dunque,  concludersi  che  la  seconda  tipologia di fatto
sanzionata  penalmente  dall'art. 644 c.p. e' quella di chi si faccia
dare  interessi che, seppure non usurari al momento della conclusione
della  convenzione  su  di  essi  (pertanto assolutamente lecita), lo
siano  al  momento  in  cui  vada  a  scadere l'obbligazione del loro
pagamento.
    In  effetti,  in tal senso, s'e' pronunziata la suprema Corte con
le  note  sentenze  nn. 1126,  5286  e  14899  del  2000, sia pur con
motivazioni  solo  in parte coincidenti con quelle sopra espresse. Ed
infatti,  questo  tribunale  non  ritiene  che  un accordo od una sua
parte, una clausola, possano essere ritenuti nulli in virtu' di fatti
sopravvenuti  (la  discesa  dei tassi di interesse sul mercato, per i
contratti  stipulati  nel  vigore  della  legge  n. 108  del  1996) o
addirittura,  com'e'  nel  caso  de quo, in virtu' anche di normative
sopravvenute  (per i contratti stipulati prima dell'entrata in vigore
della  legge  n. 108  del  1996).  Non ritiene che una clausola possa
ritenersi  nulla magari a trimestri alterni, a seconda dell'andamento
dei  tassi  d'interesse  (cio' che accadrebbe seguendo l'orientamento
espresso  dalla  Corte  di  cassazione  laddove  afferma  la nullita'
sopravvenuta della pattuizione di interessi divenuti usurai nel corso
del  rapporto).  Ritiene, pero', che nel momento in cui il farsi dare
interessi   oltre  una  certa  soglia  sia  stato  ritenuto  illecito
penalmente,  detta  dazione  non  sia piu' dovuta, sia inesigibile, e
conseguentemente  che  chi  ne  fosse il beneficiario non possa avere
azione  giudiziale  per  conseguirla, se non entro il limite ritenuto
lecito  dal  legislatore  [in tal senso Cass. civ. 5286 del 22 aprile
2000,   secondo  cui  "quando  anche  non  si  volesse  aderire  alla
configurabilita'  della  nullita'  parziale sopravvenuta (come sembra
preferibile),  tuttavia  non  si  potrebbe comunque continuare a dare
effetto alla pattuizione di interessi superiori alla soglia usuraria,
a  fronte  di  un  principio  introdotto  nell'ordinamento con valore
generale e di un rapporto non ancora esaurito"]. Il che vuol dire che
neppure  possa  farsi  questione circa l'applicazione dell'art. 1815,
comma  2,  c.c.,  come sostituito dall'art. 4, legge n. 108 del 1996,
poiche'  la  pattuizione  relativa  alla corresponsione di interessi,
lecita  al  momento  del  suo  sorgere (e che certamente non potrebbe
essere  penalmente  sanzionata  a  posteriori, altrimenti violandosi,
come  gia'  anzidetto, il principio cardine del nostro ordinamento di
cui  agli  artt. 25,  secondo  comma,  della  Costituzione e 2, primo
comma,  c.p.),  lecita  rimarrebbe  anche  nel  momento  in cui fosse
divenuta illecita la piena esecuzione di quella pattuizione.
    E  significativamente  lo  stesso  art. 1815,  comma  2,  c.c. fa
riferimento  al  caso in cui siano "convenuti interessi usurari", per
cui risulta anche testualmente inapplicabile al caso in questione.
    In questo contesto normativo e giurisprudenziale e' stato emanato
il  d.l.  29  dicembre  2000,  n. 394, poi convertito in legge 24 del
2001.  L'art. 1,  comma 1, di siffatto testo normativo cosi' dispone:
"Ai  fini  dell'applicazione  dell'articolo  644  del codice penale e
dell'articolo  1815  secondo  comma,  del codice civile, si intendono
usurari  gli  interessi  che superano il limite stabilito dalla legge
nel  momento  in  cui  essi  sono  promessi  o  comunque convenuti, a
qualunque  titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento".
La  norma, pur autodefinendosi di interpretazione autentica, tale non
e'.   Per   potersi   cosi'   qualificare,   infatti,  "la  legge  di
interpretazione  autentica  deve  rispondere  alla funzione che le e'
propria: quella di chiarire il senso di norme preesistenti, ovvero di
imporre  una delle possibili varianti di senso compatibili col tenore
letterale"  (cosi'  Corte costituzionale sentenza n. 311 del 1995. In
tal  senso  anche  Corte  costituzionale  sentenza  n. 88  del  1995,
sentenza  n. 397  del  1994, ordinanza n. 480 del 1992 e, di recente,
sentenza  n. 525  del 2000, secondo cui "il legislatore puo' adottare
norme  che precisino il significato di altre disposizioni legislative
...  quando  la  scelta  imposta dalla legge rientri tra le possibili
varianti  di  senso  del  testo  originario,  con  cio' vincolando un
significato  ascrivibile  alla norma anteriore"). Nel caso di specie,
pero',  per  quanto  anzidetto, v'e' l'impossibilita' di interpretare
come  penalmente sanzionato il farsi dare interessi che siano usurari
perche'  gia'  pattuiti come tali (poiche', si ripete, la pattuizione
di  interessi  oltre  il tasso soglia gia' di per se' e' punita quale
reato  dall'art. 644 c.p. e sarebbe assurdo ritenere sanzionata anche
l'esecuzione     di    detta    pattuzione,    cosi'    applicandosi,
sostanzialmente,  due  pene  per  il  medesimo  fatto). Sicche', deve
ritenersi  che la norma de qua abbia carattere non interpretativo, ma
innovativo,   venendo  ad  escludere  dal  novero  dei  comportamenti
penalmente  rilevanti  la ricezione, il farsi dare interessi che, pur
leciti  allorche'  pattuiti,  abbiano  superato  il  tasso  soglia al
momento  della  loro  esigibilita'.  Il che significa che la norma in
qeestione  ha  valenza di norma innovativa (abrogante una fattispecie
penale),  retroattiva,  pero',  anche  agli  effetti  civili, sia per
l'autoqualifica  di  norma  di  "interpretazione  autentica", sia per
l'espressa  volonta',  manifestata  nel  preambolo  del decreto legge
n. 394  del  2000,  di  "emanare  disposizioni in materia di tassi di
interesse  usurari,  anche  in  considerazione  degli  effetti che la
sentenza  della Corte di cassazione n. 14899/2000 puo' determinare in
ordine  alla stabilita' del sistema creditizio nazionale", e cioe' di
emanare  disposizioni  operanti  sulle fattispecie civili in corso di
esplicazione prima della sua emanazione.
    Non  e'  sconosciuto  a  questo  tribunale  che  secondo la Corte
costituzionale  cio'  non  e'  certamente  sufficiente a far ritenere
costituzionalmente  illegittima  una  norma  di  legge  (cosi'  Corte
costituzionale sentenza n. 88 del 1995). Peraltro, se e' vero che "il
principio  di  irretroattivita'  delle  leggi  ha  ottenuto  in  sede
costituzionale  garanzia specifica soltanto con riguardo alla materia
penale  (art. 25  della  Costituzione)",  lo  stesso mantiene "per le
altre  materie valore di principio generale (ex art. 11, primo comma,
delle  disposizioni preliminari del codice civile) cui il legislatore
deve  in  via  preferenziale  attenersi,  pur  non  essendo  ad  esso
vincolato in termini assoluti", non essendo, in ogni caso, consentito
al   legislatore   di   violare   principi  costituzionali  o  "altri
fondamentali   valori  di  civilta'  giuridica  posti  a  tutela  dei
destinatari della norma e dello stesso ordinamento, fra i quali vanno
ricompresi  il  rispetto del principio generale di ragionevolezza che
ridonda  nel  divieto  di  introdurre  ingiustificate  disparita'  di
trattamento (sentenze n. 6 del 1994; 424 e 283 del 1993; 440 del 1992
e  429 del 1991); la tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei
soggetti  quale principio connaturato allo Stato di diritto (sentenze
nn. 424  e  39  del 1993; n. 349 del 1985); la coerenza e la certezza
dell'ordinamento  giuridico  (sentenze  nn. 6 del 1994; 429 del 1993;
822  del 1988" (in tal senso Corte costituzionale sentenza n. 397 del
1994.  Si vedano in merito anche le sentenze della Consulta n. 88 del
1995,  n. 155  del  1990  e  n. 123  del 1988. Recentemente, in senso
praticamente    conforme,    e    peraltro    con   declaratoria   di
incostituzionalita',  si veda la sentenza n. 525 del 2000, che ha tra
l'altro   asserito:   che   attengono   alla  salvaguardia  di  norme
costituzionali   "i   principi   generali   di  ragionevolezza  e  di
uguaglianza,  quello  della  tutela  dell'affidamento  legittimamente
posto   sulla  certezza  dell'ordinamento  giuridico,  e  quello  del
rispetto   delle  funzioni  costituzionalmente  riservate  al  potere
giudiziario  (cio' che vieta di intervenire per annullare gli effetti
del  giudicato o di incidere intenzionalmente su concrete fattispecie
sub   iudice)";  che  l'affidamento  del  cittadino  nella  sicurezza
giuridica e' "principio che, quale elemento essenziale dello Stato di
diritto,  non  puo'  essere leso da norme con effetti retroattivi che
incidano   irragionevolmente   su   situazioni   regolate   da  leggi
precedenti").
    Orbene,  se  e',  senza dubbio, regola di civilta' quella secondo
cui  se  un  fatto  commesso  in un certo contesto storico, allorche'
penalmente rilevante, possa non esserlo piu' in un momento successivo
in  applicazione  della  legge  successiva e, pertanto, non vada piu'
punito  penalmente  (come statuito dall'art. 2, secondo comma, c.p.),
poiche'  lo  Stato  non  ne  riconosce  piu'  il  disvalore (o non lo
riconosce sino al punto da ritenere giustificata per esso la sanzione
penale),  non  altrettanto puo' dirsi laddove si statuisca anche, con
efficacia retroattiva, che chi al momento della commissione del fatto
sia  stato  parte lesa di un reato, non abbia piu' la possibilita' di
recuperare  alcunche'  in  relazione  al danno subito o, addirittura,
come nel caso di specie, sia tenuto ad una prestazione che, quando e'
scaduta,  non  avrebbe  potuto  esser pretesa in quei termini poiche'
penalmente sanzionata.
    La  stessa  Cassazione  penale  ha  asserito  che  dalla  dizione
dell'art. 2,   secondo  comma,  c.p.  -  secondo  cui,  tra  l'altro,
l'intervenuta    abolitio    criminis    determina    la   cessazione
dell'esecuzione  e  degli  effetti  penali della condanna - si evince
"argomentando  a  contrario  che  le obbligazioni civili nascenti dal
reato non cessano" (sez. 3 sent. 01029 del 29 maggio 1993, in corsivo
parole  tratte  dalla  massima pubblicata dal CED della Cassazione) e
che  "al diritto del danneggiato dal reato al risarcimento del danno,
non  si applicano i principi attinenti la successione nel tempo delle
leggi   penali,  fissati  dall'art. 2  cod.  pen.,  ma  il  principio
stabilito  dall'art. 11  delle  preleggi,  e  pertanto  il diritto al
risarcimento  permane  anche  a  seguito  di abolitio criminis, nulla
rilevando   successive   modifiche   legislative,   che  non  abbiano
espressamente  disposto  sui  diritti  quesiti"  (sez. 6  sent. 02520
dell'11 marzo 1992, in corsivo parole tratte dalla massima pubblicata
dal CED della Cassazione).
    In  definitiva,  l'art. 1,  comma 1, del decreto legge n. 394 del
2000,  convertito in legge n. 24 del 2001, non pare rispondere, nella
parte  in  cui ha efficacia retroattiva anche sui rapporti civili, al
principio generale di ragionevolezza:
        a)  introducendo una ingiustificata disparita' di trattamento
tra  coloro  i  quali  sono  ora  tenuti  a  corrispondere  somme che
precedentemente  non  erano  dovute ed i percettori delle stesse, ora
ingiustificatamente avvantaggiati, oltre che in sede penale, anche in
sede civile;
        b)  introducendo una ingiustificata disparita' di trattamento
tra   chi,  operando  nel  settore  creditizio,  abbia  correttamente
ricondotto,   magari   con  convenzione  oramai  vincolante  (indotta
dall'art. 644 c.p., come sostituito dalla legge n. 108 del 1996), nei
limiti  del  tasso  soglia quanto dovutogli per interessi e chi no e,
per  converso,  tra  chi,  tenuto  al pagamento di interessi divenuti
usurari  al  momento della loro scadenza, secondo la legge n. 108 del
1996,  abbia  concluso  accordi di riduzione del tasso nell'ambito di
quello   soglia   e   chi,  per  indisponibilita'  della  controparte
creditrice, non abbia potuto far cio';
        c)  frustrando  la  possibilita'  di  agire  e  resistere  in
giudizio   da  parte  di  coloro  ai  quali  tale  diritto,  definito
"inviolabile"  dalla  Costituzione,  era stato attribuito dalla legge
n. 108 del 1996.
    In   sostanza,   si   pongono  seri  dubbi  circa  la  violazione
dell'affidamento   legittimamente   sorto   nei   soggetti   operanti
nell'ambito in questione e della certezza dell'ordinamento giuridico,
con  sospetta  lesione dell'art. 3, primo comma, della Costituzione e
dell'art. 24, primo e secondo comma, della Costituzione.
    Infine,  deve  dirsi che non compete a questo giudice, ma, a pena
di  nullita', al giudice dell'esecuzione, persona fisica, decidere in
merito  all'eventuale  sospensione  dell'esecuzione  (conforme  Cass.
02588 del 18 marzo 1994 sez. 3).
                              P. Q. M.
    Visti  gli artt. 1, legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e
23,   legge   11   marzo  1953,  n. 87,  ritenuta  la  non  manifesta
infondatezza   della   questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 1,  comma 1, del decreto legge n. 394 del 29 dicembre 2000,
convertito  in legge n. 24 del 2001, in relazione agli artt. 3, comma
primo, e 24, commi primo e secondo, della Costituzione per le ragioni
di  cui  in  motivazione,  solleva  questione di costituzionalita' di
detta norma e dispone la sospensione del presente giudizio;
    Ordina  che,  a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia
notificata  alle  parti  in  causa ed al Presidente del Consiglio dei
ministri,  e comunicata al Presidente della Camera dei deputati ed al
Presidente del Senato;
    Ordina  la  trasmissione  dell'ordinanza unitamente agli atti del
giudizio  alla Corte costituzionale, con la prova delle notificazioni
e delle comunicazioni prescritte.
        Taranto, addi' 27 giugno 2001
                        Il giudice: Cavallone
01C0924