N. 703 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 giugno 2001
Ordinanza emessa il 27 giugno 2001 dal tribunale di Taranto nel procedimento civile vertente tra Scialpi Stefano e Banca Nazionale del Lavoro S.p.a. Obbligazioni pecuniarie - Interessi nei contratti di mutuo - Interessi usurari - Qualificazione come tali dei soli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento - Ritenuta abrogazione di una delle due fattispecie incriminate dall'art. 644 cod. pen., consistente nella ricezione di interessi lecitamente pattuiti ma successivamente divenuti usurari - Denunciata efficacia retroattiva di tale abolitio criminis sui rapporti civili - Contrasto con il principio di ragionevolezza - Disparita' di trattamento, sotto piu' profili, nel settore del credito - Violazione del diritto di azione e di difesa, nonche' dell'affidamento del cittadino e della certezza dell'ordinamento giuridico. - D.L. 29 dicembre 2000, n. 394 (convertito nella legge 28 febbraio 2001, n. 24), art. 1, comma 1. - Costituzione, artt. 3, primo comma, e 24, primo e secondo comma.(GU n.38 del 3-10-2001 )
IL TRIBUNALE Sciolta la riserva formulata all'udienza del 4 aprile 2001 nella causa civile n. 3096 del r.g. 1999, osserva quanto segue. In fatto In forza del contratto di mutuo ipotecario di cui agli atti stipulati il 9 luglio 1991 ed il 31 luglio 1991 la Banca Nazionale del Lavoro ha promosso pignoramento immobiliare nei confronti di Scialpi Stefano, mutuatario inadempiente al pagamento di alcune rate scadute. Scialpi Stefano ha proposto opposizione all'esecuzione immobiliare anzidetta ritenendo di non dovere corrispondere parte del credito vantato dalla banca opposta, segnatamente la parte relativa agli interessi applicati, che, come a suo dire emergente dagli avvisi di scadenza inviatigli dalla banca medesima (ed allegati al suo fascicolo), nel periodo andante dal 1 marzo 1997 al 31 agosto 1999 erano stati superiori al tasso soglia fissato ex lege n. 108 del 1996. Ha chiesto, in via principale, l'accertamento della nullita' del contratto stipulato e, comunque, delle clausole di determinazione del tasso ultralegale, oltre al risarcimento dei danni per L. 80.000.000. Nel costituirsi, la banca opposta ha evidenziato: che il mutuo era stato erogato non in lire italiane, ma in franchi svizzeri, per cui l'opponente era ben a conoscenza dell'alea (collegata alla variazione del cambio) insita nel contratto stipulato; che l'inadempimento al pagamento delle rate di mutuo s'era verificato al momento in cui la legge n. 108 del 1996 non era neppure stata promulgata; che l'art. 1815, comma 2 c.c., riferendosi ad interessi "convenuti" come usurari, non era applicabile al caso di specie, in cui al momento della conclusione della convenzione gli interessi non erano certamente usurari; che inapplicabile era la legge n. 108 del 1996, poiche' successiva alla nascita del rapporto negoziale in questione; che, al piu', data l'inapplicabilita' dell'art. 1815, comma 2, c.c., l'opponente avrebbe potuto, anche a voler ritenere illecita la richiesta di interessi cosi' come formulata, in base alla legge n. 108 del 1996, chiedere la riduzione al tasso soglia dei detti interessi; che il tasso di interesse richiesto, come indicato dalla stessa parte opponente, era stato praticamente sempre al di sotto del tasso soglia fissato ex art. 2, legge n. 108 del 1996. Ha concluso per il rigetto dell'opposizione. La causa, istruita mediante produzione documentale, all'udienza del 4 apirle 2001 e' stata riservata per la decisione, con concessione di termini per il deposito di comparse conclusionali e repliche. Nella sua conclusionale l'opponente ha, tra l'altro, chiesto fosse sollevata questione di costituzionalita' dell'art. 1, comma 1, del d.l. n. 394 del 2000, convertito in legge 24 del 2001, nel contempo facendo istanza di sospensione del procedimento di opposizione, da un lato, e dell'esecuzione, dall'altro lato. In diritto In ordine alla rilevanza della questione di incostituzionalita' prospettata dall'opponente va detto quanto segue. Tralasciando di considerare gli interessi che, nell'atto d'opposizione, alle pagine 5 e 6, l'opponente indica come "interessi composti sul saldo debitore", che configurano interessi non sul capitale iniziale, ma su parte delle rate di mutuo il cui pagamento, per successiva convenzione del 3 gennaio 1996, i contraenti hanno pattuito di differire, e tralasciando di considerare le somme dovute dall'opponente per il mutamento del cambio tra la lira italiana ed il franco svizzero (di cui in alcun modo si lamenta lo Scialpi), risulta, in ogni caso, che il tasso applicato dalla banca opposta e' certamente superiore al tasso soglia fissato ex art. 2 legge n. 108 del 1996. Ed infatti, dai vari avvisi di scadenza emessi dalla banca opposta e prodotti dall'opponente si rileva: che sino al 30 giugno 1997 la banca ha chiesto interessi complessivi del 16,2% annuo (rinvenienti dalla somma del tasso convenzionale semestrale dell'1,875%, che annualmente e' del 3,75%, nonche' del tasso di mora del 12,45%), a fronte di un tasso soglia del 15,9%, ex d.m. 22 marzo 1997; che sino al 31 agosto 1997 la banca ha chiesto interessi complessivi del 16,05% annuo (rinvenienti dalla somma del tasso convenzionale semestrale dell'1,875%, che annualmente e' del 3,75%, nonche' del tasso di mora del 12,30%), a fronte di un tasso soglia del 15,42%, ex d.m. 24 giugno 1997; che sino al 31 dicembre 1997 la banca ha chiesto interessi complessivi del 15,9875% annuo (rinvenienti dalla somma del tasso convenzionale semestrale dell'1,84375%, che annualmente e' del 3,6875%, nonche' del tasso di mora del 12,30%), a fronte di un tasso soglia del 15,42%, sino al 30 settembre 1997, ex d.m. 24 giugno 1997, e del 14,085%, sino al 31 dicembre 1997, ex d.m. 25 settembre 1997; che sino al 28 febbraio 1998 la banca ha chiesto interessi complessivi del 14,7875% annuo (rinvenienti dalla somma del tasso convenzionale semestrale dell'1,84375%, che annualmente e' del 3,6875%, nonche' del tasso di mora dell'11,10%), a fronte di un tasso soglia del 14,22%, ex d.m. 23 dicembre 1997; che sino al 30 giugno 1998 la banca ha chiesto interessi complessivi del 14,225% annuo (rinvenienti dalla somma del tasso convenzionale semestrale dell'1,5625%, che annualmente e' del 3,125%, nonche' del tasso di mora dell'11,10%), a fronte di un tasso soglia del 14,22%, sino al 31 marzo 1998, ex d.m. 23 dicembre 1997, e del 12,435%, sino al 30 giugno 1998, ex d.m. 23 marzo 1998; che sino al 31 agosto 1998 la banca ha chiesto interessi complessivi del 13,8875% annuo (rinvenienti dalla somma del tasso convenzionale semestrale dell'1,84375%, che annualmente e' del 3,6875%, nonche' del tasso di mora del 10,20%), a fronte di un tasso soglia del 11,76%, ex d.m. 24 giugno 1998; che sino al 31 dicembre 1998 la banca ha chiesto interessi complessivi del 14,075% annuo (rinvenienti dalla somma del tasso convenzionale semestrale dell'1,9375%, che annualmente e' del 3,875%, nonche' del tasso di mora del 10,20%), a fronte di un tasso soglia del 11,76%, sino al 30 settembre 1998, ex d.m. 24 giugno 1998, e del 10,995%, sino al 31 dicembre 1998, ex d.m. 22 settembre 1998; che sino al 28 febbraio 1999 la banca ha chiesto interessi complessivi del 13,075% annuo (rinvenienti dalla somma del tasso convenzionale semestrale dell'1,9375%, che annualmente e' del 3,875%, nonche' del tasso di mora del 9,20%), a fronte di un tasso soglia dell'8,7%, ex d.m. 21 dicembre 1998; che sino al 30 giugno 1999 la banca ha chiesto interessi complessivi del 12,575% annuo (rinvenienti dalla somma del tasso convenzionale semestrale dell'1,6875%, che annualmente e' del 3,375%, nonche' del tasso di mora del 9,20%), a fronte di un tasso soglia dell'8,7%, sino al 31 marzo 1999, ex d.m. 21 dicembre 1998, e del 7,635%, sino al 30 giugno 1999, ex d.m. 26 marzo 1999; che sino al 31 agosto 1999 la banca ha chiesto interessi complessivi del 12,625% annuo (rinvenienti dalla somma del tasso convenzionale semestrale dell'1,9375%, che annualmente e' del 3,875%, nonche' del tasso di mora dell'8,75%), a fronte di un tasso soglia del 7,38%, ex d.m. 19 giugno 1999. Il che significa che il tasso chiesto, per il periodo dal 1 marzo 1997 al 31 agosto 1999, e' stato costantemente al di sopra di quello soglia: per cui diviene determinante stabilire se detto tasso soglia, ed in genere la normativa antiusura ex lege 108 del 1996, sia applicabile al caso de quo. In ordine alla rilevanza della questione di incostituzionalita' prospettata dall'opponente va detto quanto segue. L'art. 644, comma 1, c.p., come sostituito dall'art. 1 della legge 7 marzo 1996 n. 108, recita: "Chiunque, fuori dei casi previsti dall'art. 643, si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per se' o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilita', interessi o altri vantaggi usurari, e' punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da lire sei milioni a lire trenta milioni". Il comma 2 del detto art. 644 c.p. prevede poi: "alla stessa pena soggiace chi fuori del caso di concorso nel delitto previsto dal primo comma, procura a taluno una somma di denaro od altra utilita' facendo dare o promettere, a se' o ad altri, per la mediazione, un compenso usurario". La prima parte del comma 3 della stessa norma stabilisce inoltre che: "La legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari. L'art. 2, comma 4, della legge n. 108 del 1996 ha disposto che: "Il limite previsto dal terzo comma dell'articolo 644 del codice penale, oltre il quale gli interessi sono sempre usurari, e' stabilito nel tasso medio risultante dall'ultima rilevazione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale ai sensi del comma 1 relativamente alla categoria di operazioni in cui il credito e' compreso, aumentato della meta'". Orbene, in definitiva l'art. 644 c.p. punisce "chiunque ... si fa dare o promettere ... in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilita', interessi o altri vantaggi usurari" ovvero "procura a taluno una somma di denaro od altra utilita' facendo dare o promettere ... per la mediazione, un compenso usurario". E' evidente, pertanto, che la norma in questione punisce due tipologie di fatti: il farsi promettere (e quindi convenire, concordare) interessi usurari; il farsi dare interessi usurari. E' altresi' chiaro che allorche' si parli di una convenzione, di un accordo che debba essere vagliato se usurario o meno, tale valutazione non possa che essere effettuata con riferimento al momento in cui lo stesso s'e' concluso: sarebbe impensabile punire penalmente un comportamento sulla base di fatti (discesa dei tassi d'interesse di mercato) e norme (decreti ministeriali di rilevazione degli stessi) successivi al comportamento medesimo, cio' che costituirebbe violazione del principio affermato sia dall'art. 25, secondo comma, Cost., che dall'art. 2, primo comma, c.p. Allorche', invece, si discuta non della conclusione di un accordo usurario, ma del farsi dare interessi usurari, potrebbero prospettarsi, teoricamente, due opzioni interpretative: che interessi usurari siano quelli che al momento della pattuizione fossero gia' tali; che interessi usurari siano quelli che, pur leciti al momento della convenzione, in un periodo di tempo successivo, e precisamente al momento dello scadere dell'obbligazione per interessi, diventino tali. La prima opzione interpretativa e', peraltro, evidentemente da scartare: ed infatti, se la norma avesse voluto perseguire lo scopo di punire le ricezioni di interessi aventi a monte una convenzione, un accordo, una promessa gia' di per se' usurari, sarebbe stato perfettamente inutile sanzionare penalmente tale tipologia di fatto (l'esecuzione di un accordo usurario), gia' rientrante, come tale, nell'alta fattispecie criminosa colpita dalla norma (l'accordo usurario). Ne' e' pensabile che la norma punisca due volte il medesimo fatto: farsi promettere la dazione di interessi usurai, da un lato, e farsi dare tali interessi, dall'altro lato (in tal senso, seppure in relazione alla vecchia formulazione dell'art. 644 c.p., Cass. penale sez. 2 sent. 06784 del 12 luglio 1997, ud. 07/03/1997). Deve, dunque, concludersi che la seconda tipologia di fatto sanzionata penalmente dall'art. 644 c.p. e' quella di chi si faccia dare interessi che, seppure non usurari al momento della conclusione della convenzione su di essi (pertanto assolutamente lecita), lo siano al momento in cui vada a scadere l'obbligazione del loro pagamento. In effetti, in tal senso, s'e' pronunziata la suprema Corte con le note sentenze nn. 1126, 5286 e 14899 del 2000, sia pur con motivazioni solo in parte coincidenti con quelle sopra espresse. Ed infatti, questo tribunale non ritiene che un accordo od una sua parte, una clausola, possano essere ritenuti nulli in virtu' di fatti sopravvenuti (la discesa dei tassi di interesse sul mercato, per i contratti stipulati nel vigore della legge n. 108 del 1996) o addirittura, com'e' nel caso de quo, in virtu' anche di normative sopravvenute (per i contratti stipulati prima dell'entrata in vigore della legge n. 108 del 1996). Non ritiene che una clausola possa ritenersi nulla magari a trimestri alterni, a seconda dell'andamento dei tassi d'interesse (cio' che accadrebbe seguendo l'orientamento espresso dalla Corte di cassazione laddove afferma la nullita' sopravvenuta della pattuizione di interessi divenuti usurai nel corso del rapporto). Ritiene, pero', che nel momento in cui il farsi dare interessi oltre una certa soglia sia stato ritenuto illecito penalmente, detta dazione non sia piu' dovuta, sia inesigibile, e conseguentemente che chi ne fosse il beneficiario non possa avere azione giudiziale per conseguirla, se non entro il limite ritenuto lecito dal legislatore [in tal senso Cass. civ. 5286 del 22 aprile 2000, secondo cui "quando anche non si volesse aderire alla configurabilita' della nullita' parziale sopravvenuta (come sembra preferibile), tuttavia non si potrebbe comunque continuare a dare effetto alla pattuizione di interessi superiori alla soglia usuraria, a fronte di un principio introdotto nell'ordinamento con valore generale e di un rapporto non ancora esaurito"]. Il che vuol dire che neppure possa farsi questione circa l'applicazione dell'art. 1815, comma 2, c.c., come sostituito dall'art. 4, legge n. 108 del 1996, poiche' la pattuizione relativa alla corresponsione di interessi, lecita al momento del suo sorgere (e che certamente non potrebbe essere penalmente sanzionata a posteriori, altrimenti violandosi, come gia' anzidetto, il principio cardine del nostro ordinamento di cui agli artt. 25, secondo comma, della Costituzione e 2, primo comma, c.p.), lecita rimarrebbe anche nel momento in cui fosse divenuta illecita la piena esecuzione di quella pattuizione. E significativamente lo stesso art. 1815, comma 2, c.c. fa riferimento al caso in cui siano "convenuti interessi usurari", per cui risulta anche testualmente inapplicabile al caso in questione. In questo contesto normativo e giurisprudenziale e' stato emanato il d.l. 29 dicembre 2000, n. 394, poi convertito in legge 24 del 2001. L'art. 1, comma 1, di siffatto testo normativo cosi' dispone: "Ai fini dell'applicazione dell'articolo 644 del codice penale e dell'articolo 1815 secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento". La norma, pur autodefinendosi di interpretazione autentica, tale non e'. Per potersi cosi' qualificare, infatti, "la legge di interpretazione autentica deve rispondere alla funzione che le e' propria: quella di chiarire il senso di norme preesistenti, ovvero di imporre una delle possibili varianti di senso compatibili col tenore letterale" (cosi' Corte costituzionale sentenza n. 311 del 1995. In tal senso anche Corte costituzionale sentenza n. 88 del 1995, sentenza n. 397 del 1994, ordinanza n. 480 del 1992 e, di recente, sentenza n. 525 del 2000, secondo cui "il legislatore puo' adottare norme che precisino il significato di altre disposizioni legislative ... quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, con cio' vincolando un significato ascrivibile alla norma anteriore"). Nel caso di specie, pero', per quanto anzidetto, v'e' l'impossibilita' di interpretare come penalmente sanzionato il farsi dare interessi che siano usurari perche' gia' pattuiti come tali (poiche', si ripete, la pattuizione di interessi oltre il tasso soglia gia' di per se' e' punita quale reato dall'art. 644 c.p. e sarebbe assurdo ritenere sanzionata anche l'esecuzione di detta pattuzione, cosi' applicandosi, sostanzialmente, due pene per il medesimo fatto). Sicche', deve ritenersi che la norma de qua abbia carattere non interpretativo, ma innovativo, venendo ad escludere dal novero dei comportamenti penalmente rilevanti la ricezione, il farsi dare interessi che, pur leciti allorche' pattuiti, abbiano superato il tasso soglia al momento della loro esigibilita'. Il che significa che la norma in qeestione ha valenza di norma innovativa (abrogante una fattispecie penale), retroattiva, pero', anche agli effetti civili, sia per l'autoqualifica di norma di "interpretazione autentica", sia per l'espressa volonta', manifestata nel preambolo del decreto legge n. 394 del 2000, di "emanare disposizioni in materia di tassi di interesse usurari, anche in considerazione degli effetti che la sentenza della Corte di cassazione n. 14899/2000 puo' determinare in ordine alla stabilita' del sistema creditizio nazionale", e cioe' di emanare disposizioni operanti sulle fattispecie civili in corso di esplicazione prima della sua emanazione. Non e' sconosciuto a questo tribunale che secondo la Corte costituzionale cio' non e' certamente sufficiente a far ritenere costituzionalmente illegittima una norma di legge (cosi' Corte costituzionale sentenza n. 88 del 1995). Peraltro, se e' vero che "il principio di irretroattivita' delle leggi ha ottenuto in sede costituzionale garanzia specifica soltanto con riguardo alla materia penale (art. 25 della Costituzione)", lo stesso mantiene "per le altre materie valore di principio generale (ex art. 11, primo comma, delle disposizioni preliminari del codice civile) cui il legislatore deve in via preferenziale attenersi, pur non essendo ad esso vincolato in termini assoluti", non essendo, in ogni caso, consentito al legislatore di violare principi costituzionali o "altri fondamentali valori di civilta' giuridica posti a tutela dei destinatari della norma e dello stesso ordinamento, fra i quali vanno ricompresi il rispetto del principio generale di ragionevolezza che ridonda nel divieto di introdurre ingiustificate disparita' di trattamento (sentenze n. 6 del 1994; 424 e 283 del 1993; 440 del 1992 e 429 del 1991); la tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto (sentenze nn. 424 e 39 del 1993; n. 349 del 1985); la coerenza e la certezza dell'ordinamento giuridico (sentenze nn. 6 del 1994; 429 del 1993; 822 del 1988" (in tal senso Corte costituzionale sentenza n. 397 del 1994. Si vedano in merito anche le sentenze della Consulta n. 88 del 1995, n. 155 del 1990 e n. 123 del 1988. Recentemente, in senso praticamente conforme, e peraltro con declaratoria di incostituzionalita', si veda la sentenza n. 525 del 2000, che ha tra l'altro asserito: che attengono alla salvaguardia di norme costituzionali "i principi generali di ragionevolezza e di uguaglianza, quello della tutela dell'affidamento legittimamente posto sulla certezza dell'ordinamento giuridico, e quello del rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (cio' che vieta di intervenire per annullare gli effetti del giudicato o di incidere intenzionalmente su concrete fattispecie sub iudice)"; che l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica e' "principio che, quale elemento essenziale dello Stato di diritto, non puo' essere leso da norme con effetti retroattivi che incidano irragionevolmente su situazioni regolate da leggi precedenti"). Orbene, se e', senza dubbio, regola di civilta' quella secondo cui se un fatto commesso in un certo contesto storico, allorche' penalmente rilevante, possa non esserlo piu' in un momento successivo in applicazione della legge successiva e, pertanto, non vada piu' punito penalmente (come statuito dall'art. 2, secondo comma, c.p.), poiche' lo Stato non ne riconosce piu' il disvalore (o non lo riconosce sino al punto da ritenere giustificata per esso la sanzione penale), non altrettanto puo' dirsi laddove si statuisca anche, con efficacia retroattiva, che chi al momento della commissione del fatto sia stato parte lesa di un reato, non abbia piu' la possibilita' di recuperare alcunche' in relazione al danno subito o, addirittura, come nel caso di specie, sia tenuto ad una prestazione che, quando e' scaduta, non avrebbe potuto esser pretesa in quei termini poiche' penalmente sanzionata. La stessa Cassazione penale ha asserito che dalla dizione dell'art. 2, secondo comma, c.p. - secondo cui, tra l'altro, l'intervenuta abolitio criminis determina la cessazione dell'esecuzione e degli effetti penali della condanna - si evince "argomentando a contrario che le obbligazioni civili nascenti dal reato non cessano" (sez. 3 sent. 01029 del 29 maggio 1993, in corsivo parole tratte dalla massima pubblicata dal CED della Cassazione) e che "al diritto del danneggiato dal reato al risarcimento del danno, non si applicano i principi attinenti la successione nel tempo delle leggi penali, fissati dall'art. 2 cod. pen., ma il principio stabilito dall'art. 11 delle preleggi, e pertanto il diritto al risarcimento permane anche a seguito di abolitio criminis, nulla rilevando successive modifiche legislative, che non abbiano espressamente disposto sui diritti quesiti" (sez. 6 sent. 02520 dell'11 marzo 1992, in corsivo parole tratte dalla massima pubblicata dal CED della Cassazione). In definitiva, l'art. 1, comma 1, del decreto legge n. 394 del 2000, convertito in legge n. 24 del 2001, non pare rispondere, nella parte in cui ha efficacia retroattiva anche sui rapporti civili, al principio generale di ragionevolezza: a) introducendo una ingiustificata disparita' di trattamento tra coloro i quali sono ora tenuti a corrispondere somme che precedentemente non erano dovute ed i percettori delle stesse, ora ingiustificatamente avvantaggiati, oltre che in sede penale, anche in sede civile; b) introducendo una ingiustificata disparita' di trattamento tra chi, operando nel settore creditizio, abbia correttamente ricondotto, magari con convenzione oramai vincolante (indotta dall'art. 644 c.p., come sostituito dalla legge n. 108 del 1996), nei limiti del tasso soglia quanto dovutogli per interessi e chi no e, per converso, tra chi, tenuto al pagamento di interessi divenuti usurari al momento della loro scadenza, secondo la legge n. 108 del 1996, abbia concluso accordi di riduzione del tasso nell'ambito di quello soglia e chi, per indisponibilita' della controparte creditrice, non abbia potuto far cio'; c) frustrando la possibilita' di agire e resistere in giudizio da parte di coloro ai quali tale diritto, definito "inviolabile" dalla Costituzione, era stato attribuito dalla legge n. 108 del 1996. In sostanza, si pongono seri dubbi circa la violazione dell'affidamento legittimamente sorto nei soggetti operanti nell'ambito in questione e della certezza dell'ordinamento giuridico, con sospetta lesione dell'art. 3, primo comma, della Costituzione e dell'art. 24, primo e secondo comma, della Costituzione. Infine, deve dirsi che non compete a questo giudice, ma, a pena di nullita', al giudice dell'esecuzione, persona fisica, decidere in merito all'eventuale sospensione dell'esecuzione (conforme Cass. 02588 del 18 marzo 1994 sez. 3).
P. Q. M. Visti gli artt. 1, legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e 23, legge 11 marzo 1953, n. 87, ritenuta la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, del decreto legge n. 394 del 29 dicembre 2000, convertito in legge n. 24 del 2001, in relazione agli artt. 3, comma primo, e 24, commi primo e secondo, della Costituzione per le ragioni di cui in motivazione, solleva questione di costituzionalita' di detta norma e dispone la sospensione del presente giudizio; Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei ministri, e comunicata al Presidente della Camera dei deputati ed al Presidente del Senato; Ordina la trasmissione dell'ordinanza unitamente agli atti del giudizio alla Corte costituzionale, con la prova delle notificazioni e delle comunicazioni prescritte. Taranto, addi' 27 giugno 2001 Il giudice: Cavallone 01C0924