N. 31 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 6 settembre 2001

Ricorso  per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 6
settembre 2001 (del tribunale di Salerno)

Parlamento  - Immunita' parlamentari - Deliberazione della Camera dei
  deputati  in  data  5  luglio  2000, con la quale si dichiara che i
  fatti per cui si procede penalmente nei confronti dell'on. Vittorio
  Sgarbi  per  il  reato  di diffamazione aggravata nei confronti del
  magistrato  Agostino  Cordova,  concernono  opinioni espresse da un
  membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni - Conflitto
  di  attribuzione  tra  poteri  dello  Stato  sollevato  dalla Corte
  d'appello  di Salerno per la ritenuta mancanza di nesso tra i fatti
  attribuiti e l'esercizio delle funzioni parlamentari.
- Delibera della Camera dei deputati del 5 luglio 2000.
- Costituzione, art. 68, primo comma.
(GU n.42 del 31-10-2001 )
                            IL TRIBUNALE

    Il  tribunale,  in  composizione  monocratica,  nella persona del
dott.  Umberto  Maiello,  pronunciando  sulla richiesta avanzata, nel
corso  dell'odierna  udienza dibattimentale, dal Pubblico Ministero e
dal  difensore  della  costituita parte civile, volta ad ottenere una
declaratoria  in  forza  della  quale questo giudice proponga innanzi
alla  Corte  costituzionale  conflitto  di attribuzioni nei confronti
della  Camera  dei  deputati,  in  relazione  alla  delibera adottata
dall'assemblea  nella seduta del 5 luglio 2000, che ha dichiarato non
sindacabili  i  fatti  oggetto  del  presente procedimento, in quanto
concernono opinioni espresse dal deputato Sgarbi nell'esercizio delle
sue funzioni di parlamentare;
    Sentiti i difensori dell'imputato, che hanno chiesto la pronuncia
di una sentenza di proscioglimento del precitato imputato ex art. 129
c.p.p.

                            O s s e r v a

    Con  decreto  emesso in data 28 ottobre 1998, la Corte di appello
di  Salerno  disponeva  il  rinvio  a  giudizio  di  Sgarbi Vittorio,
chiamato a rispondere innanzi alla prima sezione penale del tribunale
di  Salerno  del  reato  p. e p.  e  artt. 13  e  21, legge 47/48, in
relazione  all'art. 30  della legge 223/1990 perche', nel corso della
trasmissione   televisiva   "Sgarbi   quotidiani",   andata  in  onda
sull'emittente  Canale  5  il giorno 26 novembre 1995, affermando che
"va  criticata  la  procura  di  Napoli che, per perseguire teoremi e
corruzioni  di  politici  e  visioni,  forse anche fondate in qualche
principio  logico  del procuratore di Napoli, ha pero' lasciato, come
osserva   lo  stesso  Vice  Presidente  della  Camera  Violante,  non
perseguiti  i  reati comuni e criminalita' che porta violenza e morte
alle  persone!  Quindi  e'  omissione  in  molti  casi  della  giusta
attenzione  ai  reati veri", offendeva la reputazione del procuratore
della  Repubblica del tribunale di Napoli Cordova Agostino. In Napoli
querela del 22 febbraio 1996.
    All'udienza  dibattimentale  del  23 febbraio  2000  il collegio,
dichiarata  la  contumacia  dell'imputato,  ritualmente  citato e non
comparso,  rinviava  la trattazione del procedimento dinanzi a questo
giudice, dal momento che la cognizione dei reati indicati in rubrica,
ai  sensi  dell'art. 33  -  ter  c.p.p., e' riservata al tribunale in
composizione monocratica.
    All'udienza  del  15 maggio  2000,  il  p.m.  chiedeva  di  poter
integrare  il  capo  di imputazione, nel senso che dopo la parola "il
giorno" venisse inserita la seguente espressione "25 novembre 1995 in
prima  visione  ed  il giorno successivo in replica", con conseguente
cancellazione   della   data   "26 novembre  1995"  dalla  originaria
contestazione.  Tanto  determinava la necessita' di curare, stante la
contumacia  dell'imputato, gli adempimenti di cui all'art. 520 c.p.p.
con  conseguente ulteriore differimento del processo.     All'odierna
udienza  del  15 gennaio  2001, questo giudice informava le parti che
dalla  Presidenza della Camera dei Deputati era pervenuta copia della
relazione   della   giunta   parlamentare  per  le  autorizzazioni  a
procedere,   nonche'   del   resoconto   stenografico   della  seduta
dell'assemblea,  tenutasi  il  5 luglio  2000,  all'esito della quale
l'assemblea  aveva  deliberato  nel  senso che i fatti per i quali e'
processo  concernono  opinioni  espresse  da un membro del Parlamento
nell'esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell'art. 68, primo comma
della Costituzione.
    Com'e'   noto,   la  richiamata  disposizione  costituzionale  e'
immediatamente  precettiva,  ancorche' difettino interventi normativi
attuativi, volti a delimitarne l'area operativa.
    Nella prassi giurisprudenziale, avallata dalla stessa Corte della
costituzione   (cfr.  sentenza  n. 1150  del  1988),  e'  invalso  il
principio  secondo  cui  la valutazione della concreta sussumibilita'
delle  espressioni  di un parlamentare nell'ambito previsionale delle
guarentigie  in  commento  spetti alla Camera di appartenenza, la cui
deliberazione    assume    contenuto   vincolante   per   l'autorita'
giudiziaria,  che non puo', pertanto, avuto riguardo all'autonomia ed
all'indipendenza    del   Parlamento,   direttamente   sindacarla   e
disapplicarla.  Tale  disposizione  e',  invero,  dettata  non solo a
tutela  della  liberta'  di  espressione del singolo parlamentare, ma
anche,  attraverso  questa,  della piena liberta' di discussione e di
deliberazione  delle  Camere  stesse (cfr. della Corte costituzionale
n. 379 del 1996).
    Resta  in ogni caso integra la facolta' del giudice ordinario, le
cui  funzioni  sono  parimenti  tutelate in ambito costituzionale, di
sollevare  conflitto di attribuzioni, ove ritenga che le stesse siano
state  arbitrariamente menomate, contestando le concrete modalita' di
esercizio del potere di valutazione della singola Camera per vizi del
procedimento  ovvero per omessa o erronea valutazione dei presupposti
di  volta  in volta richiesti per il suo valido esercizio (cfr. della
Corte costituzionale n. 443 del 1993).
    Appare,   altresi',  conforme  ad  una  lettura  sistematica  del
principio di cui all'art. 68 della Costituzione e del disposto di cui
all'art. 129  c.p.p.  l'opzione  interpretativa  che  riconosce  allo
stesso giudice di merito la possibilita' di apprezzare in via diretta
ed  immediata  la  riferibilita'  del  comportamento  per cui risulta
elevata  imputazione  alla  fattispecie  contemplata  dalla precitata
disposizione   costituzionale,   con  conseguente  pronuncia  di  una
sentenza di proscioglimento ai sensi del richiamato art. 129 c.p.p.
    Nei  piu'  recenti  arresti  giurisprudenziali  si  evidenzia con
condivisibili   argomentazioni  che  l'area  operativa  del  precetto
contenuto al primo comma dell'art. 68 della della Costituzione non va
definita  in funzione di un criterio di tipo spaziale, ancorato cioe'
alla specifica sede in cui il parlamentare manifesta le sue opinioni,
ne'  si  identifica con la categoria degli atti tipici della funzione
parlamentare.
    E', invero, oramai opinione diffusa quella secondo cui l'istituto
della  immunita'  implichi un nesso di collegamento funzionale tra le
opinioni  espresse  ed  il  mandato parlamentare, che ben consente di
estendere   l'efficacia   delle  richiamate  prerogative  anche  alle
opinioni  espresse  all'esterno  della sede istituzionale, purche' le
stesse,   nel   loro   contenuto  storico,  si  atteggino  come  atti
divulgativi dell'attivita' parlamentare espletata.
    Tanto puo' essere accertato direttamente dal giudice, ancorche' i
suddetti  profili  di  collegamento risultino inevitabilmente sfumati
nell'ipotesi  di atti parlamentari atipici, laddove la qualificazione
degli   stessi   nei   termini   suindicati  implica  inevitabilmente
un'attivita'  di  raccordo  con  il contenuto del complessivo impegno
parlamentare  assolto  dall'imputato,  spesso  non  noto  al  giudice
procedente.
    In siffatte ipotesi, assume, in prospettiva metodologica, rilievo
assorbente   l'esame  della  motivazione  addotta  a  sostegno  della
pronuncia  di  insindacabilita'  dell'assemblea,  in  quanto  in essa
vengono  esplicitati  i  profili  di  collegamento  funzionale tra le
espressioni oggetto di contestazione e la funzione parlamentare.
    E',  pertanto,  a siffatti motivi che il giudice deve rifarsi per
un corretto esercizio del potere delibativo allo stesso riconosciuto:
qualora   ritenga   che   il   potere   esercitato   trovi   adeguata
giustificazione   nei   presupposti   applicativi  evidenziati  nella
deliberazione  deve  adeguarsi  alla  valutazione  dell'assemblea  e,
prendendone   atto,  dichiarare  la  non  punibilita'  del  fatto  in
imputazione.  Viceversa,  se  ritenga  insussistenti o, comunque, non
decisivi,  i  profili  di  collegamento  privilegiati  nella delibera
parlamentare,  che,  pertanto,  viene a determinare nella prospettiva
del  remittente  un'illegittima  interferenza  con  l'esercizio delle
funzioni  giurisdizionali, dovra' sollevare conflitto di attribuzioni
innanzi alla Corte costituzionale.
    Orbene,  venendo  al caso in esame va, anzitutto, rilevato che il
contesto  in  cui  le dichiarazioni risultano rese ed il contenuto di
apprezzamento  critico in cui si risolvono impediscono di condividere
le  affermazioni  difensive  circa  l'immediata  riferibilita'  delle
espressioni   in  contestazione  alle  funzioni  parlamentari  svolte
dall'on. Vittorio  Sgarbi,  riflettendo  le  stesse giudizi personali
espressi  dal  prevenuto  nella  veste  privatistica  di commentatore
televisivo.
    Va,  pertanto,  verificato  se, alla stregua delle argomentazioni
svolte   nella   delibera   assembleare  citata  in  premessa,  siano
individuabili    ulteriori    e    piu'   significativi   indici   di
riconoscibilita'    dell'affermato    collegamento   funzionale   con
l'attivita' parlamentare dell'imputato.
    Dalla  relazione  della giunta per le autorizzazione a procedere,
la  cui  proposta  risulta  recepita  dall'assemblea della Camera nel
corso   della  seduta  del  5 luglio  2000,  emerge  con  riferimento
specifico  ai  fatti  oggetto  di  contestazione quanto segue: ... e'
apparso  evidente  alla  giunta  che si e' trattato di una critica di
natura   politica,   rivolta   a   determinate  scelte  di  "politica
giudiziaria"   della  procura  menzionata,  di  tenore  assolutamente
generale  e  certamente  non  diretta  verso  specifiche  persone. Un
siffatto  potere  di  critica  puo'  senz'altro farsi rientrare in un
generale  potere  ispettivo  che  e' proprio del parlamentare e deve,
dunque, ritenersi coperto dalla prerogativa di cui all'art. 68, primo
comma,  della Costituzione. Occorre peraltro rilevare che l'onorevole
Sgarbi  in numerosissime occasioni, intervenendo nel corso dei lavori
parlamentari,  ha criticato alcuni aspetti della politica giudiziaria
di  alcune  procure ed ha posto in rilievo le distorsioni che possono
derivare da un cattivo uso degli strumenti dell'azione penale.
    A  giudizio  di questo tribunale, la richiamata delibera tradisce
con  manifesta evidenza la violazione dei segnalati limiti funzionali
della   disposizione  costituzionale  in  commento,  obliterando  con
disinvoltura  le  regole  ermeneutiche  evidenziate  nei piu' recenti
arresti giurisprudenziali della Corte costituzionale, al cui rispetto
deve,   viceversa,  ritenersi  subordinata  la  compatibilita'  della
pronuncia  della  Camera  con  l'assetto dei valori costituzionali di
pari dignita' e rango.
    Invero, la Corte, nella sentenza n. 10 dell'11 - 17 gennaio 2000,
richiamando  precedenti conformi pronunce, ha sottolineato che "...la
prerogativa  di  cui all'art. 68, primo comma della Costituzione, non
copre  tutte  le opinioni espresse dal parlamentare nello svolgimento
della  sua  attivita'  politica,  ma  solo  quelle  legate  da "nesso
funzionale" con le attivita' svolte nella qualita' di "membro", delle
Camere  (sentenze n. 375 del 1997, n. 289 del 1998, n. 417 del 1999).
Quanto  alla  definizione  di tale presupposto, la Corte ha precisato
che  "e'  pacifico che costituiscono opinioni espresse nell'esercizio
della funzione quelle manifestate nel corso dei lavori della Camera e
dei suoi vari organi, in occasione dello svolgimento di una qualsiasi
fra  le  funzioni svolte dalla Camera medesima, ovvero manifestate in
atti,  anche  individuali, costituenti estrinsecazione delle facolta'
proprie  del  parlamentare  in  quanto membro dell'assemblea. Invece,
l'attivita'  politica  svolta  dal parlamentare al di fuori di questo
ambito  non  puo'  dirsi  di  per  se'  esplicazione  della  funzione
parlamentare  nel  senso  preciso  cui  si riferisce l'art. 68, primo
comma, della Costituzione.
    Nello   svolgimento   della  vita  democratica  e  del  dibattito
politico, le opinioni che il parlamentare esprima fuori dai compiti e
dalle   attivita'  propri  delle  assemblee  rappresentano  piuttosto
esercizio  della liberta' di espressione comune a tutti i consociati:
ad  esse  dunque non puo' estendersi, senza snaturarla, una immunita'
che  la  Costituzione  ha  voluto, in deroga al generale principio di
legalita'  e di giustiziabilita' dei diritti, riservare alle opinioni
espresse nell'esercizio delle funzioni.
    Ha,   inoltre,   aggiunto   la  Corte  che  l'applicazione  della
prerogativa  in  esame,  scissa  dalla  sua  ontologica delimitazione
funzionale,  "la  trasformerebbe  in  un  privilegio  personale (cfr.
sentenza  n. 375 del 1997), finendo per conferire ai parlamentari una
sorta  di  statuto personale di favore quanto all'ambito ed ai limiti
della  loro  liberta'  di  manifestazione del pensiero: con possibili
distorsioni  anche  del  principio  di  uguaglianza  e  di parita' di
opportunita' fra cittadini nella dialettica politica".
    Orbene,  appare  evidente  la  marcata  distonia  con  i principi
ermeneutici   suesposti   dei   criteri  privilegiati  dall'assemblea
parlamentare  per  scriminare  il comportamento dell'imputato Sgarbi,
atteso   che   nella   richiamata  delibera  si  coglie  un'impropria
sovrapposizione  concettuale  tra  l'esercizio del diritto di critica
politica  e  quello  della  funzione  parlamentare,  nella specie del
potere ispettivo.
    Giova,   viceversa,   ribadire  che  la  garanzia  dell'immunita'
incontra necessariamente un limite nella stessa ratio ad essa sottesa
di  tutela  del  libero  esercizio  delle funzioni parlamentari e non
puo',  pertanto,  essere  dilatata  -  senza che a cio' si accompagni
l'inaccettabile   trasformazione   in  un  ingiustificato  privilegio
personale - fino al punto da comprendere ogni dichiarazione, giudizio
o   critica  aventi  valenza  politica  espressi  da  un  membro  del
parlamento.
    Argomentando  a  contrario, si avallerebbe la creazione in via di
prassi  di  un  insindacabile  potere  di  apprezzamento direttamente
legittimato  dallo  stesso status di membro del parlamento, esaurendo
cosi'  in un contesto meramente personale e soggettivo il significato
e la portata della garanzia dell'immunita'.
    In altri termini, verrebbe sovvertita la prospettiva privilegiata
dalla  Carta  costituzionale  che rapporta le guarentigie in commento
alla  funzione  esercitata e non gia' alla persona fisica, alla quale
non  puo',  invece,  essere  riconosciuto,  in  ragione  solo del suo
status, un privilegiato ed indefinito potere censorio.
    Contrariamente  a  quanto  sostenuto  dall'assemblea, va, dunque,
rimarcata  la insufficienza, ai fini del giudizio di insindacabilita'
ex    art. 68,    comma 1,    della    Costituzione,   dell'affermata
riconducibilita'  del  comportamento  in  contestazione al diritto di
critica  politica,  la cui concreta configurabilita' come espressione
della  liberta' di manifestazione del pensiero, garantita con effetto
scriminante  ad  ogni  cittadino  in base al combinato disposto degli
artt. 21  della  Costituzione  e  51  c.p.  andra' verificata in sede
processuale.
    Viceversa,  l'opzione  interpretativa  privilegiata dalla Camera,
intesa  ad  assimilare  i  due  profili  in ragione della qualita' di
parlamentare   del   soggetto   imputato,   con   immediato   arresto
dell'esercizio  della  pretesa  punitiva dello Stato, mal si concilia
con  il  principio  di  uguaglianza  e  di  pari  opportunita'  fra i
cittadini nella dialettica politica.
    Ne'  a  valorizzare  il  collegamento  funzionale  delle opinioni
dell'imputato Sgarbi con la funzione parlamentare dal medesimo svolta
appaiono  idonei  i  generici  riferimenti  contenuti nella relazione
della Giunta agli apprezzamenti critici della politica giudiziaria di
alcune procure svolti dall'imputato nel corso di non meglio precisati
lavori parlamentari.
    Difetta,  invero, il richiamo a tipici atti della funzione svolta
dall'on. Sgarbi  di  cui le espressioni in imputazione risulterebbero
veicolo  di  divulgazione  e,  sotto  altro  profilo,  un riferimento
specifico alla vicenda oggetto del presente giudizio, che, per la sua
peculiarita', necessitava di un'autonoma delibazione.
    Sul  punto,  la Corte costituzionale ha precisato che non basta a
giustificare l'insindacabilita' delle opinioni la semplice comunanza,
tematica  di  argomenti con l'attivita' parlamentare svolta ne', allo
stesso   modo,   giova   invocare   l'esistenza   di   un   dibattito
politico-parlamentare   in   cui  le  dichiarazioni  si  inseriscono.
Occorre,  viceversa, un preciso nesso funzionale tra le dichiarazioni
e  l'attivita' parlamentare, com'e' possibile riconoscere nel caso di
dichiarazioni  sostanzialmente  riproduttive di quelle manifestate in
sede   parlamentare   (cfr.   sentenza   della  Corte  Costituzionale
n. 56/2000  -  sentenza della Corte costituzionale n. 58/2000 - Corte
costituzionale n. 82/2000).
    Alla  stregua  di quanto sopra evidenziato ritiene questo giudice
che  le  opinioni  espresse  dall'imputato  Sgarbi  nel  corso  della
trasmissione "Sgarbi quotidiani" del 25 e del 26 novembre 1995 vadano
piu'  propriamente  ritenute espressione dell'attivita' di conduttore
televisivo svolta dall'imputato e che, pertanto, non riproducendo ne'
divulgando  il  contenuto  di  alcun specifico atto parlamentare, non
possano   essere  identificate  quali  manifestazioni  dell'attivita'
svolta dal prevenuto come deputato.
    Si    impone,    dunque,   l'attivazione   innanzi   alla   Corte
costituzionale  del procedimento di conflitto di attribuzione a norma
dell'art. 37  della  legge  11 marzo  1953,  n. 87, dovendo ritenersi
arbitraria  la  valutazione  espressa dalla Camera dei deputati nella
delibera del 5 luglio 2000, che, pertanto, costituisce un'illegittima
interferenza nella sfera di attribuzione di questo giudice, in palese
contrasto  con  i  principi  di  cui  all'art. 101  e  seguenti della
Costituzione.
                              P. Q. M.
    Visti  gli  artt. 134  della Costituzione 37 della legge 11 marzo
1953, n. 87;
    Solleva  conflitto di attribuzione nei confronti della Camera dei
deputati, richiedendo che la Corte costituzionale:
        1) dichiari   che   non   spetta  alla  Camera  dei  deputati
affermare,  secondo  quanto  dalla stessa deliberato nella seduta del
5 luglio  2000,  la  insindacabilita'  delle  opinioni  espresse  dal
deputato  on. Vittorio  Sgarbi,  in  quanto  estranee alla previsione
dell'art. 68, comma 1, della Costituzione;
        2) annulli  la  predetta  deliberazione adottata dalla Camera
dei  deputati  nella  seduta  del 5 luglio 2000 (atti Camera, doc. IV
quater n. 141).
    Dispone la sospensione de1 procedimento penale n. 568/1999 r.g.t.
nei   confronti   dell'on. Sgarbi   Vittorio,   nonche'   l'immediata
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
    Manda  alla  cancelleria  per  gli adempimenti di competenza, ivi
compreso il deposito della presente ordinanza nella cancelleria della
Corte costituzionale.
        Salerno, addi' 15 gennaio 2001.
                         Il giudice: Maiello
01C0982