N. 931 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 giugno 2001
Ordinanza emessa il 25 giugno 2001 dal tribunale di Rossano nel procedimento penale a carico di Manzi Eugenio ed altri Processo penale - Dibattimento - Contestazioni nell'esame testimoniale - Dichiarazioni, precedentemente rese, lette per le contestazioni e valutate ai fini della credibilita' del teste - Acquisizione e valutazione quale prova dei fatti - Mancata previsione - Irragionevolezza - Lesione del principio di effettivita' della tutela giurisdizionale - Violazione del principio del contraddittorio. - Codice di procedura penale, art. 500, comma 2, come modificato dall'art. 16 della legge 1 marzo 2001, n. 63. - Costituzione, artt. 3, 24, primo comma, e 111, primo e quarto comma.(GU n.47 del 5-12-2001 )
IL TRIBUNALE Il Tribunale, riunito in camera di consiglio, nelle persone dei seguenti magistrati: dott. Franco Pasquariello, Presidente dott. Sergio Memmo, giudice relatore dott. Salvatore Iulia, giudice sulla questione di legittimita' costituzionale dell'art. 500 c.p.p., come modificato dall'art. 16 della legge n. 63/2001, sollevata dal P.M. in relazione all'impossibilita' di acquisire il verbale contenente le sommarie infor-mazioni rese alla P.G. dal teste Di Noia Nicola Marcello in data 30 luglio 1998, il cui contenuto non e' stato confermato dal teste durante l'audizione in pubblica udienza, il Tribunale ritiene che la questione di legittimita' non sia manifestamente infondata per i motivi di seguito indicati. Preliminarmente si osserva come la questione sollevata sia indubbiamente rilevante ai fini della decisione. In particolare il teste, nell'ambito di un procedimento avente ad oggetto un reato di estorsione aggravata ai suoi danni, ha affermato in dibattimento di non aver percepito sin da subito la natura estorsiva della richiesta di versamento di una somma di denaro, avanzata nei suoi confronti da uno degli imputati, ma di averne percepito la vera natura successivamente, quando voci correnti nel paese gli avevano riferito sulla personalita' e sulle intenzioni dell'imputato e dei suoi complici. Il P.M., sul punto, contestava al teste che dalle dichiarazioni rese innanzi alla P.G. era emerso l'esatto contrario: egli aveva dichiarato di aver percepito nell'immediatezza la natura estorsiva della richiesta ("Udito cio' spaventandomi per il modo arrogante e minaccioso in cui il presente individuo avanzava la richiesta citata ..."). Innanzi a tale contestazione il teste riferiva di non ricordarne il contenuto a causa del tempo trascorso. La circostanza appare di indubbia rilevanza, in quanto l'utilizzazione piena del verbale utilizzato per la contestazione consentirebbe di utilizzare lo stesso non solo al fine di saggiare la credibilita' del teste, ma anche per raggiungere la prova su un elemento costitutivo del reato contestato o della corrispondente fattispecie tentata influendo sull'esito del giudizio di responsabilita' penale. In merito alla non manifesta infondatezza della questione sollevata si rileva che la disposizione in questione appare in contrasto con il dettato previsto dagli artt. 3, 24, 111 della Costituzione. La Costituzione con l'art. 111 ha recepito, nell'ambito del processo penale, il principio del contraddittorio in una duplice accezione: oggettiva, nel primo periodo del IV comma di detto articolo, ove il contraddittorio e' inteso come strumento di formazione della prova; soggettiva, nel terzo comma e nel secondo periodo del quarto comma, con riferimento al diritto dell'accusato di confrontarsi con l'accusatore. Il principio del contraddittorio in senso oggettivo, sia pure con i temperamenti previsti dal V comma della medesima norma, fa emergere in forma inequivocabile il principio del libero convincimento del giudice nella valutazione della prova, principio inteso come liberta' del giudice di valutare la prova secondo il prudente apprezzamento con l'obbligo di dare conto in motivazione. Tale principio, gia' conquista delle prime codificazioni moderne e recepito nell'attuale art. 192 c.p.p., diventa un necessario corollario del principio del giusto processo e del contraddittorio in senso oggettivo, in quanto e' ontologicamente inconcepibile un sistema processuale ispirato a detti principi ed al contempo legato ad un sistema di valutazione legale della prova. Il principio del contraddittorio e dell'oralita' caratteristici di un sistema accusatorio, postulando che la prova si formi in via immediata innanzi alle parti ed al giudice, fornendo agli stessi un patrimonio di percezioni e sensazioni che superano lo sterile contenuto delle dichiarazioni, richiedono, in punto di valutazione, che la prova sia valutata liberamente secondo il prudente apprezzamento, ma al di fuori da ogni schematismo e gerarchia. Se cosi' e', il principio costituzionale del libero convincimento, pur potendo subire limitazioni all'interno di un quadro normativo che garantisca il cittadino dallo sconfinamento nell'arbitrio (si vedano esemplificativamente i successivi commi del citato art. 192 c.p.p.), subisce un "vulnus" inaccettabile con l'art. 500, II comma, c.p.p., come modificato dall'art. 16 della legge n. 63/2000, che introduce un "veto", quando stabilisce che le dichiarazioni lette per le contestazioni possono essere valutate solo ed unicamente ai fini della credibilita' del teste. Simile discrasia e' stata sottolineata anche dalla dottrina giuridica dei paesi di diritto anglosassone, notoriamente piu' avvezza allo studio delle problematiche connesse alla cross-examination, che ha sottolineato la contraddizione di un sistema che, da un lato consente, durante l'impeachment, l'uso di dichiarazioni rese out of the court al solo fine di porre nel dubbio l'attendibilita' del teste, dall'altro, registra la forte "tentazione" esercitata sul convincimento della giuria da dette dichiarazioni predibattimentali che, per essere piu' vicine ai fatti appaiono spesso piu' fedeli e genuine di quelle rese in dibattimento, suscettibili, al contrario - come e' accaduto nel caso di specie di perdere precisione e nitidezza con il passare del tempo. In tal senso si e' mosso l'ordinamento federale consentendo l'utilizzabilita' come substantive evi den ce, dunque al fine della decisione, delle dichiarazioni in questione se introdotte durante la cross-examination e rese sotto giuramento (Federai Rules of Evidence, 801). Il problema, pertanto, sussiste e supera i confini dell'ordinamento interno. Invero, il procedimento di formazione della prova non puo' che essere visto in chiave unitaria, giacche' il meccanismo delle contestazioni costituisce il mezzo dialettico per far emergere la verita' processuale, per cui, la dichiarazione in precedenza resa e successivamente contestata, entra nel contraddittorio delle parti (per utilizzare un'espressione utilizzata dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 255 del 1992), si pone in rapporto di immediatezza con il giudice e con le altre parti processuali (che sul punto hanno facolta' di interloquire) e non puo' essere ingiustificatamente esclusa dalla piena valutazione del giudice. Sul punto occorre rilevare che la Corte costituzionale - in un quadro normativo diverso, ma che gia' conteneva in nuce i successivi sviluppi - nel dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 500 in una formulazione simile all'attuale, si e' espressa nei seguenti termini: "In secondo luogo, posto che il nuovo codice fa salvo (e in aderenza ai principi costituzionali, non poteva essere altrimenti) il principio del libero convincimento, inteso come liberta' del giudice di valutare la prova secondo il proprio prudente apprezzamento, con l'obbligo di dare conto in motivazione dei criteri adottati e dei risultati conseguiti (art. 192), la norma in esame impone al giudice di contraddire la propria motivata convinzione nel contesto della stessa decisione ... in guanto, se la precedente dichiarazione e' ritenuta veritiera, e per cio' stesso sufficiente a stabilire l'inattendibilita' del teste nella diversa deposizione resa in dibattimento, risulta chiaramente irrazionale che essa, una volta introdotta in giudizio, entrata quindi nel patrimonio di conoscenze del giudice ed esaminata nel contraddittorio delle parti (con la presenza del teste che rimane comunque sottoposto all'esame incrociato) non possa essere utilmente acquisita al fine della prova dei fatti in essa affermati" (C. cost. sent. n. 255 del 1992). Da tali autorevoli assunti deriva che il meccanismo della contestazione pone nel contraddittorio delle parti la dichiarazione contestata e come tale impone, nel rispetto dell'art. 111, III comma, c.p.p., l'acquisizione del suo contenuto a fini valutativi, in quanto parte essenziale di un procedimento probatorio ispirato al modello costituzionale. Esaminando la questione sotto un diverso punto di vista puo' osservarsi che il principio del contraddittorio, assunto a cardine del nuovo modello processuale, non coincide con il principio dell'oralita' del processo, ma si integra con lo stesso assumendo tuttavia contorni piu' ampi. In sostanza, se il procedimento nel suo complesso resta finalizzato ad ottenere contributi probatori genuini, non si puo' concludere che la prova debba essere il frutto solo ed esclusivamente del contraddittorio "orale" delle parti, essendo sufficiente che gli elementi di prova siano prodotti davanti l'imputato in pubblica udienza, "nel" contraddittorio delle parti. In proposito occorre rilevare che lo stesso art. 111 Cost., accanto al principio del contraddittorio ha espresso un principio gia' enucleato dal sistema in via interpretativa dalla Corte costituzionale: il principio di non dispersione dei mezzi di prova. Il V comma dell'articolo in questione prevede tre casi di deroga al principio del contraddittorio determinati dall'esigenza di salvaguardare la genuinita' della prova in ipotesi di consenso dell'imputato, accertata impossibilita' di natura oggettiva e per effetto di provata condotta illecita. In tali casi il recupero di dichiarazioni che rimontano alla fase istruttoria del processo diviene necessario, in deroga al principio del contraddittorio nella formazione della prova. Detta disposizione, che indica tassativamente i casi in cui e' consentita deroga, non inficia le argomentazioni addotte in precedenza, in quanto concerne l'utilizzabilita' di prove che si siano formate "fuori" dal contraddittorio e non "nel" contraddittorio, e tuttavia, confermando l'esistenza nell'ordinamento del principio di non dispersione di mezzi di prova, impone una ragionevole interpretazione del procedimento di formazione della prova assunta "nel" contraddittorio che tenga conto di tutto il materiale utilizzato nel suo contesto e salvaguardi il principio di effettivita' del processo penale. Infine occorre rilevare che tale interpretazione non contrasta con il principio del contraddittorio in senso soggettivo (art. 111 Cost., comma 4, secondo periodo e art. 6 paragrafi 1 e 3 d) della Convenzione europea dei diritti dell'uomo), che impone di offrire all'imputato un'occasione adeguata e sufficiente di contestare una testimonianza a carico e interrogare l'autore al momento della deposizione o successivamente. Un ulteriore profilo di non manifesta infondatezza dell'eccezione sollevata e' rinvenibile in relazione all'art. 24 Cost. Il sistema processuale come attualmente congegnato e' in contrasto con i diritti di cui e' portatrice la persona offesa, costituita parte civile, innanzi alla quale il processo penale perde le sue connotazioni di effettivita' di tutela. In sostanza, nel sistema vigente, il "non ricordo" pronunciato dal teste e' meccanismo sufficiente per demolire l'impianto accusatorio che costituisce il presupposto della domanda di parte civile. Inutile sottolineare che lo stesso meccanismo e' anche il piu' comodo per il teste renitente, in quanto consente di far leva su un fattore fisiologico (comprensibile, tenuto conto che spesso i dibattimenti si celebrano a distanza di parecchi anni dalla raccolta delle dichiarazioni) che lo pone al riparo dalle conseguenze ben piu' gravose di un espresso rifiuto a sottoporsi ad esame. E' utile precisare, inoltre, che difficilmente emergono in dibattimento circostanze dalle quali poter desumere che il testimone e' stato sottoposto a violenza, minaccia o offerta di denaro, con conseguente inapplicabilita', di fatto, del meccanismo previsto dal comma 4 dell' art. 500 c.p.p. E' innegabile, pertanto, che il sistema attuale, da un lato fornisce una comoda scappatoia per eludete l'obbligo di dire il vero che grava sul teste, dall'altro rischia di ancorare le risultanze probatorie a fenomeni soggettivi extraprocessuali (come la capacita' o meno di ricordare del teste) che minano il principio di effettivita' della tutela giurisdizionale. Sotto tale aspetto la questione risulta non manifestamente infondata anche con riferimento all'art. 3 Cost., in considerazione dell'evidente irragionevolezza dell'attuale sistema di assunzione e di valutazione della prova nel processo penale.
P. Q. M. Vista la legge 11 marzo 1953 n. 87; Ritenutane la rilevanza nel presente processo, dichiara non manifestamente infondata la questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 500, comma secondo, c.p.p. come modificato dall'art. 16 della legge n. 63 /2001, nella parte in cui non prevede che le dichiarazioni lette per la contestazione possano essere acquisite al fascicolo del dibattimento e valutate come prova dei fatti affermati, per contrasto con l'art. 3, 111 comma 1 e 4 e 24, comma 1, Cost. Sospende il giudizio in corso nei confronti degli imputati indicati nella epigrafe della presente ordinanza e ordina trasmettersi gli atti alla Corte costituzionale in Roma. Manda alla cancelleria per gli adempimenti conseguenti, relativi alla notifica della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Rossano, addi' 25 giugno 2001 Il Presidente: Pasquariello 01C1155