N. 381 SENTENZA 22 novembre - 6 dicembre 2001

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo  penale  - Dibattimento - Acquisizione di prove - Disciplina
  transitoria   -   Dichiarazioni   rese  nel  corso  delle  indagini
  preliminari   da   chi   si   sia   poi   sottratto  liberamente  e
  volontariamente  all'interrogatorio  dibattimentale - Utilizzazione
  con  valore  probatorio  di tali dichiarazioni se gia' acquisite al
  fascicolo  per il dibattimento alla data di entrata in vigore della
  legge  attuativa  del  novellato  art.  111  della  Costituzione  -
  Asserita    deroga   al   nuovo   principio   costituzionale,   con
  irragionevole   disparita'   di  trattamento  tra  imputati  -  Non
  fondatezza della questione.
- D.L.  7  gennaio  2000,  n. 2 (convertito, con modificazioni, nella
  legge 25 febbraio 2000, n. 35), art. 1, comma 2.
- Costituzione, artt. 3, 25 e 111.
Processo  penale  - Dibattimento - Acquisizione di prove - Disciplina
  transitoria   -   Dichiarazioni   rese  nel  corso  delle  indagini
  preliminari   da   chi   si   sia   poi   sottratto  liberamente  e
  volontariamente  all'interrogatorio  dibattimentale - Utilizzazione
  con  valore  probatorio  di tali dichiarazioni se gia' acquisite al
  fascicolo  per  il dibattimento - Prospettazione della questione in
  termini meramente ipotetici - Manifesta inammissibilita'.
- D.L.  7  gennaio  2000,  n. 2 (convertito, con modificazioni, nella
  legge 25 febbraio 2000, n. 35), art. 1, commi 1 e 2.
- Costituzione, artt. 3 e 111.
Processo  penale  - Dibattimento - Acquisizione di prove - Disciplina
  transitoria   -   Dichiarazioni   rese  nel  corso  delle  indagini
  preliminari   da   chi   si   sia   poi   sottratto  liberamente  e
  volontariamente  all'interrogatorio  dibattimentale - Utilizzazione
  con  valore  probatorio  di tali dichiarazioni se gia' acquisite al
  fascicolo  per  il  dibattimento  Pretesa disparita' di trattamento
  sulla  base  di un mero dato temporale estraneo alla volonta' delle
  parti - Manifesta infondatezza della questione.
- D.L.  7  gennaio  2000,  n. 2 (convertito, con modificazioni, nella
  legge 25 febbraio 2000, n. 35), art. 1, commi 1 e 2.
- Costituzione, art. 3.
(GU n.48 del 12-12-2001 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Fernando SANTOSUOSSO;
  Giudici:  Massimo  VARI,  Riccardo  CHIEPPA,  Gustavo  ZAGREBELSKY,
Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA,
Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria
FLICK;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei  giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 2, del
decreto-legge   7 gennaio   2000,   n. 2  (Disposizioni  urgenti  per
l'attuazione  dell'articolo  2 della legge costituzionale 23 novembre
1999,  n. 2,  in  materia  di  giusto  processo), convertito in legge
25 febbraio  2000,  n. 35,  promossi con ordinanze emesse il 4 maggio
2000  dalla  Corte  di  appello  di  L'Aquila,  l'8 maggio  2000  dal
tribunale  di  Firenze ed il 3 ottobre 2000 dalla Corte di appello di
Catania,  rispettivamente  iscritte  ai  nn. 514  e  511 del registro
ordinanze  2000 ed al n. 130 del registro ordinanze 2001 e pubblicate
nella   Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica  n. 40,  prima  serie
speciale,  dell'anno  2000  e  n. 9,  prima serie speciale, dell'anno
2001.
    Visti  l'atto  di  costituzione  di  A.  M.,  nonche' gli atti di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza pubblica del 25 settembre 2001 e nella camera
di consiglio del 26 settembre 2001 il giudice relatore Giovanni Maria
Flick;
    Uditi gli avvocati Jacopo Bartolomei e Mauro Mellini per A. M.

                          Ritenuto in fatto

    1. - La Corte di appello di L'Aquila ha sollevato, in riferimento
agli  artt. 3, 25 e 111 della Costituzione, questione di legittimita'
costituzionale  dell'art. 2  (verosimilmente:  art. 1,  comma  2) del
decreto-legge   7 gennaio   2000,   n. 2  (Disposizioni  urgenti  per
l'attuazione  dell'articolo  2 della legge costituzionale 23 novembre
1999,  n. 2,  in  materia  di giusto processo), come modificato dalla
legge  di  conversione  25 febbraio  2000, n. 35, "limitatamente alla
parte  in  cui consente, sia pure in via transitoria, la valutazione,
come  elementi  probatori,  delle  dichiarazioni rese nel corso delle
indagini   preliminari   da  chi  per  libera  scelta  si  e'  sempre
volontariamente   sottratto   all'esame   dell'imputato   o  del  suo
difensore, nella ipotesi in cui le dichiarazioni siano gia' acquisite
al fascicolo per il dibattimento alla data di entrata in vigore della
legge   attuativa   dell'art. 111  della  Costituzione".  Osserva  al
riguardo  la Corte rimettente che la legge di conversione non avrebbe
introdotto   modifiche   di  sostanza  alle  previsioni  dettate  dal
decreto-legge, giacche' sarebbe rimasta ferma la differenza di regime
probatorio  tra  processi,  a  seconda  della  fase  in cui questi si
trovavano  al  momento di entrata in vigore della legge attuativa del
"nuovo" art. 111 della Costituzione Si sottolinea, in proposito, che,
mentre  la regola generale e' l'applicazione ai processi in corso del
principio  enunciato  dall'art. 111 Cost., secondo il quale non hanno
valore  probatorio  le  dichiarazioni  accusatorie  di  chi si e' poi
sottratto  per  libera  scelta  alla  escussione  dibattimentale,  si
introduce  una  deroga  per l'ipotesi in cui tali dichiarazioni, rese
durante  le  indagini, siano state gia' acquisite al fascicolo per il
dibattimento  alla  data  di entrata in vigore della legge attuativa,
giacche'  in tal caso quelle dichiarazioni assumono valore probatorio
"se  la loro attendibilita' e' confermata da altri elementi di prova,
assunti o formati con diverse modalita'".
    La norma transitoria sarebbe pertanto - a parere del rimettente -
in  contrasto  con il principio fondamentale introdotto dall'art. 111
della  Costituzione Quest'ultimo, infatti, esclude tassativamente che
abbiano  valore  probatorio  le  dichiarazioni rese da chi si sia poi
sottratto liberamente e volontariamente al contraddittorio, mentre la
norma  transitoria  conferisce,  sia  pure temporaneamente, valore ed
efficacia  di prova ad elementi che ormai tale valore avrebbero perso
per  effetto  della  introduzione del nuovo principio costituzionale.
D'altra  parte - osserva ancora il rimettente - il fatto che la legge
costituzionale  n. 2  del  1999,  introduttiva  del  "nuovo" art. 111
Cost.,  abbia previsto la emanazione di norme transitorie nella forma
della  legge  ordinaria  non  implica che tale legge possa derogare a
principi  costituzionali  gia'  in  vigore,  ovvero procrastinarne od
impedirne  l'applicazione.  Cosi'  -  sottolinea  il  giudice a quo -
mentre la disposizione dettata dal comma 3, dell'art. 1 del d.l. n. 2
del  2000,  come  modificato  dalla legge di conversione, costituisce
specificazione  del principio costituzionale, giacche' la sottrazione
del  dichiarante all'interrogatorio, dipendente da violenza, minaccia
od  offerta  di utilita', non puo' ritenersi frutto di libera scelta,
altrettanto  non  puo'  dirsi  per  la  regola  sancita  dal  comma 2
dell'art. 1  del  medesimo decreto, ponendosi la stessa in termini di
"effettivo  contrasto  con  il  nuovo  principio  costituzionale". La
sostanziale differenza di regime probatorio, fatta dipendere dal mero
dato  cronologico,  spesso  fortuito,  che quelle dichiarazioni siano
state   o   meno   gia'   acquisite   al   fascicolo  dibattimentale,
evidenzierebbe  anche  una  disparita'  di  trattamento tra imputati,
essendo  questi  sottoposti  "a diverso regime ed a regole diverse in
tema  di  valutazione  della  prova,  e  quindi  di colpevolezza, per
circostanze  indipendenti  dal  loro comportamento, e sostanzialmente
casuali".  Il  che  -  conclude  il  rimettente  -  porrebbe la norma
impugnata in contrasto anche con l'art. 3 Cost.
    2.  - Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  chiedendo  che  la  questione  sia  dichiarata non fondata. A
parere  della Avvocatura, il legislatore costituzionale, nel definire
i  principi  fondamentali  del  giusto processo, ha inteso consentire
alla  legge  ordinaria  di  derogare  a quei principi per le esigenze
transitorie  dei  procedimenti  penali  in  corso alla data della sua
entrata in vigore. Una deroga - puntualizza l'Avvocatura - "contenuta
nei  ristretti limiti necessitati dal coordinamento fra il vecchio ed
il  nuovo  sistema  e  giustificati,  sul piano della ragionevolezza,
dalla  legittimita'  delle acquisizioni dibattimentali avvenute prima
della entrata in vigore della nuova legge ordinaria".
    3.  -  Ha  infine  spiegato  intervento  una delle parti private,
chiedendo   dichiararsi   la   illegittimita'   costituzionale  della
disposizione  impugnata. Osserva in particolare l'interventore che la
funzione della legge ordinaria, secondo il disposto dell'art. 2 della
legge  costituzionale  n. 2 del 1999, deve essere quella di stabilire
particolari modalita' del processo in funzione dell'innesto del nuovo
principio  costituzionale;  mai, invece, puo' considerarsi consentito
alla stessa legge ordinaria di limitare in generale l'applicazione di
quel  principio ai processi in corso. Tanto meno la legge ordinaria -
si  assume ancora - puo' trasformare per talune categorie di processi
la  portata  del  disposto  del  quarto comma dell'art. 111 Cost., il
quale  ha  connotazioni  squisitamente  interdittive.  Pertanto,  far
dipendere  l'applicabilita'  di un principio costituzionale in ordine
al valore delle prove penali, non dal momento della decisione o della
verifica  in contraddittorio, ma da un dato meramente estrinseco, per
di  piu'  dipendente  dalla  richiesta  di  parte,  quale  e'  quello
dell'inserimento  nel  fascicolo per il dibattimento di verbali delle
indagini  preliminari,  rappresenterebbe - a dire dell'interventore -
un  "criterio  chiaramente  irrazionale  ed  arbitrario  che in linea
generale  e ancor piu' con riferimento alla specifica finalita' della
legge, concreta un vero eccesso di potere legislativo".
    4.  -  Anche  la  Corte  di  appello  di Catania ha sollevato, in
riferimento  agli  artt. 111  e  3  della  Costituzione, questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 1,  commi  1 e 2, della legge
25 febbraio  2000,  n. 35  (recte:  del decreto-legge 7 gennaio 2000,
n. 2,  convertito,  con  modificazioni,  nella legge n. 35 del 2000),
nella  parte in cui consente l'utilizzazione delle dichiarazioni rese
da  chi  per  libera scelta si e' sottratto all'esame dell'imputato o
del   suo   difensore,   se   gia'  acquisite  al  fascicolo  per  il
dibattimento.  Il giudice a quo - chiamato a celebrare il giudizio di
rinvio   a   seguito  di  annullamento  pronunciato  dalla  Corte  di
cassazione - ha in particolare sottolineato come, nel caso di specie,
si  sia  realizzato  un  singolare  parallelismo  tra l'evolversi del
procedimento  e le modifiche normative via via succedutesi nel tempo:
evenienza,  questa,  che,  a  dire  dello  stesso rimettente, avrebbe
generato  "problemi  interpretativi  di  notevole  portata  circa  la
disciplina  attualmente  applicabile  e  la sua eventuale aderenza ai
nuovi principi costituzionali posti dall'art. 111 Cost.". Il giudizio
di legittimita', infatti, a differenza di quelli di merito, era stato
celebrato  in  costanza  dei principi affermati da questa Corte nella
sentenza  n. 361  del  1998,  e  la  stessa  Corte di cassazione - ha
soggiunto  il  giudice rimettente - "con l'annullamento ed il rinvio,
ha  disposto  l'acquisizione e la valutazione delle dichiarazioni dei
coimputati e degli imputati di reato connesso astenutisi dal deporre,
mediante  contestazione  a  termini  dell'art. 500, comma 4, c.p.p.".
Dopo  la sentenza di legittimita' sono infine sopravvenuti i principi
del  giusto processo e la legge "di provvisoria attuazione" n. 35 del
2000.  Il  primo dubbio che il rimettente si pone e' dunque quello di
stabilire  se  il  principio  di  diritto affermato nella sentenza di
annullamento con rinvio sia rimasto superato dallo jus superveniens e
se,  quindi, rimanga spazio per l'acquisizione e la valutazione delle
dichiarazioni  di  che trattasi: v'e' da chiedersi, in altri termini,
se  l'espressione  "acquisite  al fascicolo per il dibattimento", che
compare   nella  disposizione  impugnata,  coincida  con  il  termine
"acquisite" usato dalla Cassazione. Dubbio, questo, che si rivela - a
dire  del  giudice  a  quo  -  di  notevole  portata,  giacche' se le
dichiarazioni  in  questione  devono  ritenersi non acquisite, non si
potra'   procedere   a  nuova  contestazione,  cosi'  sostanzialmente
vanificandosi   il  relativo  valore  probatorio.  Se,  invece,  tali
dichiarazioni   possono   considerarsi   acquisite,   esse  sarebbero
valutabili  nei  limiti  previsti dall'art. 1, comma 2, del d.l. n. 2
del   2000,   dando   luogo,   peraltro,  ad  "immediati  profili  di
costituzionalita'  della legge stessa in rapporto al principio di cui
all'art. 111  Cost.".  E'  ben  vero  - soggiunge il rimettente - che
l'art. 2  della  legge  costituzionale  n. 2 del 1999 ha previsto una
disciplina  transitoria  da  realizzare  con legge ordinaria, ma tale
possibilita'   non   puo'   che   riguardare   l'adeguamento   ed  il
coordinamento del quadro normativo al principio costituzionale, senza
che  questo possa subire compressioni. Sarebbe violato anche l'art. 3
Cost.,  in  quanto  l'applicabilita' della norma costituzionale e del
relativo  regime  probatorio  verrebbe  fatta  dipendere  da  un dato
temporale   aleatorio,  quale  e'  quello  della  acquisizione  delle
dichiarazioni  al  fascicolo  per il dibattimento, cosi' determinando
l'irragionevole  conseguenza  di  introdurre  una  diversa disciplina
probatoria  nell'ambito  dello  stesso  procedimento  o anche in piu'
procedimenti pendenti nella stessa fase.
    5.  - Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dalla  Avvocatura generale dello
Stato, la quale ha svolto considerazioni identiche a quelle formulate
in  relazione  alla  questione  sollevata  dalla  Corte di appello di
L'Aquila.
    6.  -  Anche  il  tribunale  di Firenze ha sollevato questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 1,  commi 1 e 2, della "legge
25 febbraio    2000,   n. 35",   nella   parte   in   cui   "permette
l'utilizzazione e la valutazione dei verbali delle dichiarazioni rese
nel corso delle indagini preliminari da chi, per libera scelta, si e'
sempre  volontariamente  sottratto  all'esame dell'imputato o del suo
difensore   acquisiti   al   fascicolo   per  il  dibattimento  prima
dell'entrata   in   vigore   della   legge  costituzionale  n. 2  del
23 novembre  1999".  A  parere  del  giudice  a  quo  sarebbe violato
l'art. 3   della   Costituzione,  in  quanto  la  acquisizione  e  la
valutazione del materiale probatorio verrebbero fatte dipendere da un
criterio estrinseco, aleatorio, legato a dinamiche organizzative e ad
un  mero  dato  temporale,  che prescinde dalla volonta' delle parti;
cosicche',  posizioni  processualmente  omologhe,  nell'ambito  della
stessa  vicenda  processuale,  sarebbero  "suscettibili di differente
valutazione   sulla   base   dell'avvenuta  o  meno  acquisizione  di
dichiarazioni della fase delle indagini di contenuto accusatorio".
    7.  - Anche in tale giudizio ha spiegato intervento il Presidente
del  Consiglio  dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura
generale  dello  Stato,  la  quale  si  e'  limitata  a richiamare le
considerazioni  gia'  svolte  a  proposito  della questione sollevata
dalla Corte di appello di L'Aquila.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Le  ordinanze  di rimessione sollevano questioni del tutto
analoghe.  I  relativi  giudizi  devono  pertanto  essere riuniti per
essere definiti con un'unica decisione.
    2. - La questione sollevata dalla Corte di appello di L'Aquila e'
infondata.
    Il  giudice  rimettente  muove dalla premessa secondo la quale la
disposizione dettata dall'art. 1, comma 2, del decreto-legge n. 2 del
2000,  convertito  con  modificazioni,  dalla  legge  n. 35 del 2000,
ancorche'   destinata   ad   introdurre   una   specifica  disciplina
transitoria  volta  a presidiare l'applicazione nei processi in corso
dei  principi  contenuti  nel  novellato art. 111 della Costituzione,
risulterebbe  in concreto elusiva proprio della regola "fondamentale"
sancita da quello stesso articolo della Carta costituzionale. Cio' in
quanto la norma oggetto di impugnativa, attribuendo valore probatorio
"anche  alle  dichiarazioni di chi si sia poi sottratto liberamente e
volontariamente   all'interrogatorio   dibattimentale",  assegnerebbe
efficacia  di  prova ad elementi che tale valenza non potrebbero piu'
avere  per effetto della nuova previsione costituzionale. Ne' secondo
il  rimettente  -  simili  risultati  possono  ritenersi  legittimati
dall'art. 2 della legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, ove e'
stabilito  che la legge ordinaria avrebbe regolato l'applicazione dei
nuovi  principi  ai  processi in corso alla data di entrata in vigore
della   stessa   legge  costituzionale,  in  quanto  la  disposizione
censurata,  lungi  dal  rappresentare  - come il comma 3 dello stesso
articolo  - una semplice specificazione applicativa di quei principi,
si pone, rispetto ad essi, in posizione di "effettivo contrasto".
    Una simile argomentazione si rivela, pero', priva di consistenza,
in  quanto  radicata  su  di  una  premessa che finisce per risultare
totalmente  elusiva  delle  specifiche  connotazioni che possono - ed
anzi  debbono - caratterizzare tale regime transitorio: specie ove lo
stesso  -  come  nel caso in esame - sia correlato all'inserimento in
una  fonte  costituzionale  non  soltanto  di  principi,  ma anche di
specifiche  regole, destinate a disciplinare aspetti essenziali della
giurisdizione e del processo penale.
    E'  di  tutta  evidenza,  infatti,  che  l'intera  sequenza degli
enunciati  che  caratterizzano il nuovo testo dell'art. 111 Cost., in
parte  introduttivo  di  regole  destinate  a  calarsi  in  un  corpo
normativo  complesso,  quale  e'  quello dedicato alla disciplina del
procedimento  penale,  non  puo' ricevere una lettura gerarchicamente
orientata  -  come  pretenderebbe  il giudice a quo - in virtu' della
quale  sarebbe  dato rinvenire, all'interno della stessa disposizione
costituzionale, precetti "fondamentali" a fronte di altri, in ipotesi
privi   di   tale  connotazione.  Al  tempo  stesso,  e  proprio  con
riferimento  alle regole di carattere piu' squisitamente processuale,
il  legislatore  costituzionale  si  e'  fatto puntualmente carico di
assegnare alla legge ordinaria non soltanto il compito di adeguare il
tessuto  codicistico  alle  nuove previsioni costituzionali; ma anche
quello  di  stabilire una specifica disciplina intertemporale, atta a
modulare  l'applicazione  di  quei  principi nei processi in corso di
celebrazione,  secondo  una  linea  chiaramente  tesa  a tracciare un
"ponte"  normativo  destinato  a  mitigare  una drastica applicazione
della regola tempus regit actum.
    Come  lo  stesso  giudice  a  quo  rammenta,  infatti,  la  legge
costituzionale  n.2  del  1999, dopo aver modificato l'art. 111 della
Costituzione ha, nell'art. 2, espressamente demandato alla "legge" il
compito  di  regolare  "l'applicazione dei principi", contenuti nella
stessa novella costituzionale, "ai procedimenti penali in corso" alla
data della relativa entrata in vigore: cosi' da congegnare un sistema
di  "passaggio"  che,  per  un  verso,  non si limitasse a sancire la
conservazione,  sia  pure  medio tempore del pregresso sistema, nella
parte  in  cui  questo  fosse incompatibile con i nuovi principi e le
nuove  regole;  e  che,  per  un  altro  verso, sul piano logicamente
reciproco,  non  vanificasse  totalmente  l'attivita' probatoria gia'
espletata,  rendendo  meccanicisticamente operante un diverso modello
processuale, con effetti di dispersione delle risultanze processuali,
pur  ritualmente acquisite secondo la legge del tempo. D'altra parte,
ove  cosi'  non  fosse, l'art. 2 della legge costituzionale finirebbe
con    l'apparire    come   semplice   dichiarazione   di   principio
insuscettibile  di  dar  vita ad un vero regime transitorio, giacche'
esso  limiterebbe  la  funzione del legislatore ordinario a quella di
pedissequa  "trascrizione"  del  dettato costituzionale e non invece,
come  pure  emerge  dal  testo  dello  stesso  articolo,  di  un  suo
adattamento  applicativo  ai  procedimenti  in  corso. Applicare quei
principi,  dunque,  non  puo' voler significare altro che operare una
ragionevole  ponderazione tra le contrapposte esigenze tipiche di una
disciplina intertemporale.
    Alla  luce  di  tali  rilievi  emerge  con chiarezza che la norma
oggetto di impugnativa, lungi dal porsi in contrasto con il parametro
evocato  dal  giudice rimettente, ha puntualmente soddisfatto proprio
quella  funzione di adeguamento ad essa assegnata dallo stesso art. 2
della gia' richiamata fonte costituzionale, tracciando un equilibrato
passaggio  di  sistema  all'interno  dei  confini  propri  del regime
transitorio. La disposizione censurata, infatti, non si e' limitata a
recuperare  dichiarazioni  assunte  al  di fuori del contraddittorio,
assegnando  ad  esse  -  come  pure prospetta il giudice rimettente -
"valore  ed  efficacia  di  prova",  secondo  un  modulo  teso in via
esclusiva alla conservazione del materiale raccolto. Al contrario, il
comma  2  dell'art. 1  del  d.l.  n. 2 del 2000, nel testo sostituito
dalla  legge di conversione n. 35 del 2000, introduce un qualificante
elemento  di  novita'  che  vale  senz'altro ad escludere il semplice
"mantenimento"  in  vita  del  previgente  regime  di  acquisizione e
utilizzazione  delle  prove dichiarative, sia pure con riferimento ai
soli  procedimenti  in  corso  di  celebrazione.  Infatti,  la  norma
stabilisce che le dichiarazioni rese nel corso delle indagini da chi,
per  libera  scelta,  si  sia  sempre  sottratto  all'esame  da parte
dell'imputato  o del suo difensore, sono valutate solo ove concorrano
due  specifiche condizioni: la prima, rappresentata dalla circostanza
che tali dichiarazioni siano state gia' acquisite al fascicolo per il
dibattimento;  la  seconda,  costituita  dal  fatto  che  la relativa
attendibilita'  risulti  confermata  "da  altri  elementi  di prova",
sempre  che,  pero',  si  tratti  di elementi confermativi "assunti o
formati  con  altre  modalita'". Cio' sta quindi a significare che la
compressione  della  dialettica nel momento di assunzione della prova
dichiarativa  e'  contemperata  - nel momento della valutazione - dal
concorrere  di  emergenze  probatorie  "esterne", che a loro volta si
qualificano  non  solo  sul piano dei relativi risultati ma - anche e
soprattutto - per le modalita' diverse di assunzione o di formazione.
Un   composito  meccanismo,  dunque,  tutt'altro  che  elusivo  delle
garanzie  e  dei  principi  ora  espressamente recepiti dalla novella
costituzionale.
    3.  -  Il  dispositivo  della ordinanza di rimessione pronunciata
dalla  Corte  di  appello  di  L'Aquila  indica  la  violazione anche
dell'art. 25  della Costituzione, ma di tale profilo non v'e' traccia
alcuna  nella  motivazione del provvedimento: talche' la Corte non ha
ragione di occuparsi di esso.
    4.  -  Comune,  invece,  a tutte le ordinanze di rimessione e' la
dedotta  violazione  dell'art. 3  della  Carta  fondamentale  in  cui
sarebbe  incorso  l'art. 1, comma 2, del decreto-legge n. 2 del 2000,
nella  parte in cui ha consentito di utilizzare le dichiarazioni rese
da  chi, per libera scelta, si e' sottratto all'esame dell'imputato o
del   suo   difensore,   "se  gia'  acquisite  al  fascicolo  per  il
dibattimento".  A  parere  del  tribunale di Firenze e della Corte di
appello  di Catania, infatti, la disciplina transitoria dettata dalla
norma   oggetto   di  impugnativa  determinerebbe  una  irragionevole
diversita'   di  regime  probatorio  nell'ambito  della  stessa  fase
processuale:   con   conseguente   rischio  di  diverso  giudizio  di
responsabilita'  e  di diverso trattamento sanzionatorio per soggetti
imputati,  in ipotesi, degli stessi reati; e cio' in dipendenza di un
mero   dato  temporale,  del  tutto  aleatorio,  legato  a  dinamiche
organizzative  che  prescindono  dalla volonta' delle parti. Analoghe
sono le osservazioni svolte nell'ordinanza pronunciata dalla Corte di
appello  di  L'Aquila,  ove  parimenti  si  denunzia la irragionevole
disparita'  di  trattamento tra imputati, sottoposti a regole diverse
in tema di valutazione della prova e, quindi, della colpevolezza, per
circostanze  indipendenti  dal  loro  comportamento e sostanzialmente
casuali.
    La  censura e' palesemente destituita di fondamento. Le possibili
diversita'  di  regime  processuale,  che  i rimettenti prospettano a
sostegno  di  essa,  rappresentano  infatti  delle disparita' di mero
fatto  che  scaturiscono  dalla natura stessa del regime transitorio;
quest'ultimo,   per   definizione,  e'  chiamato  ad  introdurre  una
disciplina  "di passaggio" tra sistemi normativi e necessariamente si
salda  ad  un determinato momento o fatto processuale, da individuare
quale linea di demarcazione a partire dalla quale il regime stesso e'
chiamato  ad  operare.  La  circostanza  che  si  tratti  di un fatto
"aleatorio", che prescinde dalla volonta' delle parti, e' un dato del
tutto   inconferente   agli   effetti   della   pretesa   censura  di
irragionevolezza,   giacche'  cio'  che  conta  e'  che  quel  "fatto
processuale"   sia   coerente   rispetto  alle  esigenze  del  regime
transitorio  e  non  si presti ad arbitri. Condizioni, queste ultime,
che  l'intervenuta  acquisizione delle dichiarazioni al fascicolo per
il dibattimento soddisfa appieno.
    5.  -  La  questione  sollevata dalla Corte di appello di Catania
deve  invece essere dichiarata manifestamente inammissibile, giacche'
il  giudice  rimettente si e' limitato ad esprimere una nutrita gamma
di  perplessita'  e  dubbi  interpretativi  che  non  ha provveduto a
dirimere  in  modo  univoco:  con  la  conseguente formulazione di un
dubbio di costituzionalita' in termini meramente ipotetici, formulato
in  base  all'ipotesi  in cui la ricostruzione del quadro ermeneutico
coinvolto,  da  parte  del giudice, induca alla applicabilita', nella
specie, della disciplina censurata.
    Considerato,  infatti,  che  -  come  emerge  dalla  ordinanza di
rimessione  -  nel  procedimento  a  quo  la Corte di cassazione "con
l'annullamento   ed  il  rinvio,  ha  disposto  l'acquisizione  e  la
valutazione  delle  dichiarazioni  dei  coimputati  di reato connesso
astenutisi    dal   deporre,   mediante   contestazione   a   termini
dell'art. 500, comma 4, c.p.p."; e posto che il giudice rimettente si
domanda   se   l'espressione   "acquisite   al   fascicolo   per   il
dibattimento",  utilizzata  dalla  norma  impugnata,  coincida con il
termine  "acquisite" che compare nella pronuncia della Cassazione: e'
evidente  che  tale "dubbio", non risolto dallo stesso rimettente, si
riverbera  sulla  ammissibilita'  del  quesito  di costituzionalita',
giacche'   quest'ultimo  finisce  per  essere  prospettato  solo  per
l'ipotesi in cui si ritenga che la "acquisizione" delle dichiarazioni
sia gia' intervenuta, rendendo cosi' applicabile (e dunque rilevante)
la disciplina di utilizzazione processuale oggetto di impugnativa.
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riuniti i giudizi,
    1)   Dichiara   non   fondata   la   questione   di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 1,  comma 2, del d.-l. 7 gennaio 2000, n. 2
(Disposizioni  urgenti  per  l'attuazione dell'articolo 2 della legge
costituzionale   23 novembre   1999,   n. 2,  in  materia  di  giusto
processo),  convertito,  con  modificazioni,  nella legge 25 febbraio
2000,  n. 35,  sollevata, in riferimento agli artt. 3, 25 e 111 della
Costituzione,  dalla  Corte di appello di L'Aquila con l'ordinanza in
epigrafe;
    2)  Dichiara  la  manifesta  inammissibilita'  della questione di
legittimita'  costituzionale dell'art. 1, commi 1 e 2, del menzionato
d.-l.  n. 2  del  2000,  sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 111
della Costituzione, dalla Corte di appello di Catania con l'ordinanza
in epigrafe;
    3)   Dichiara   la  manifesta  infondatezza  della  questione  di
legittimita'  costituzionale dell'art. 1, commi 1 e 2, del menzionato
d.-l.  n. 2  del  2000,  sollevata,  in  riferimento all'art. 3 della
Costituzione, dal tribunale di Firenze con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 novembre 2001.
                     Il Presidente: Santosuosso
                         Il redattore: Flick
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 6 dicembre 2001.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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