N. 91 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 novembre 2001

Ordinanza  emessa  il  21  novembre  2001 dal g.u.p. del Tribunale di
Napoli nel procedimento penale a carico di Festa Domenico ed altri

Processo  penale  -  Incompatibilita' del giudice - Giudice che abbia
  gia'  valutato  la  posizione  degli  imputati  in  altro  processo
  definito   con   sentenza  di  rito  abbreviato  nei  confronti  di
  coimputati   concorrenti  necessari  Incompatibilita'  a  celebrare
  l'udienza   preliminare   -  Mancata  previsione  -  Disparita'  di
  trattamento  rispetto  a situazioni identiche - Lesione del diritto
  di difesa - Violazione del principio del giusto processo davanti ad
  un   giudice  imparziale  -  Richiamo  alle  sentenze  della  Corte
  costituzionale nn. 224/2001 e 371/1996.
- Cod. proc. pen., art. 34.
- Costituzione, artt. 3, 24 e 111.
(GU n.11 del 13-3-2002 )
               IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI

    All'esito  dell'udienza  preliminare  del  14  novembre  2001, ha
pronunciato la seguente ordinanza.
    1. - Premessa.
    All'udienza   preliminare   del  20  marzo  2000  questo  giudice
dichiarava  la  nullita'  della  richiesta  di  rinvio a giudizio nei
confronti di Frattini Salvatore, Festa Domenico, Salvo Luigi, Capaldo
Salvatore,  Mincione  Vincenzo, Esposito Marco, Verducci Rocco, Luigi
Atzeni,   Pellecchia   Enzo,   Di  Stefano  Antonio  procedendo  alla
separazione  del  processo  con  restituzione degli atti al p.m. Alla
stessa  udienza  era  separata  anche  la  posizione  processuale  di
Mincione   Cosimo,   per  la  irregolare  costituzione  del  rapporto
processuale.
    Nell'ambito  dello  stesso  processo gli imputati Barone Antonio,
Buonocore Raffaele, Cerullo Ivan, Cerullo Riccardo, Cimetti Giuseppe,
Colantuono  Pio  Ivano, Esposito Luigi, Gigi Rosario, Sestile Angela,
Sgambati Enrico, Silvestri Luigi, Pugliese Antonio chiedevano il rito
abbreviato.  All'udienza dell'11 aprile 2000 era pronunciata sentenza
nei loro confronti per i reati ex artt. 73, 74 d.P.R. n. 309/1990.
    Il  processo nei confronti di Mincione Cosimo era invece definito
dalla  dott.ssa  Romano,  a  seguito  di astensione di questo g.u.p.,
avendo  l'imputato  chiesto  il  rito abbreviato successivamente alla
pronuncia   della  sentenza  di  condanna  dell'11  aprile  2000  nei
confronti di Barone Antonio ed altri.
    A  seguito di nuova richiesta di rinvio a giudizio, questo g.u.p.
fissava  l'udienza  preliminare  nei confronti di Frattini Salvatore,
Festa  Domenico,  Salvo  Luigi, Capaldo Salvatore, Mincione Vincenzo,
Esposito  Marco,  Verducci  Rocco,  Luigi Atzeni, Pellecchia Enzo, Di
Stefano  Antonio.  All'udienza  del  1  ottobre  2001  questo  g.u.p.
rigettava  la  richiesta  di  astensione  formulata dalla difesa (che
riteneva  sussistere  la prevenzione del g.u.p. per avere egli deciso
il  rito  abbreviato  nei confronti di imputati concorrenti necessari
nel   reato)   e   riteneva  infondata  l'eccezione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 34 c.p.p.
    Successivamente  pero'  era  pubblicata  la sentenza n. 224 del 6
luglio  2001  della  Corte  costituzionale  che,  nel superare il suo
precedente  orientamento,  dichiarava l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 34,  comma  1,  c.p.p.  nella  parte  in  cui  non  prevede
l'incompatibilita'  alla funzione di giudice dell'udienza preliminare
del  giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare sentenza,
poi  annullata,  nei  confronti del medesimo imputato e per lo stesso
fatto.  Pertanto,  questo g.u.p. avanzava dichiarazione di astensione
ex  art. 36, lett. h), c.p.p., ritenendo sussistenti gravi ragioni di
convenienza  poiche' nel processo nei confronti di Barone ed altri la
posizione  dei  concorrenti necessari (estranei al primo processo, ma
imputati  nell'attuale  procedimento)  era  stata  valutata da questo
g.u.p. nella sentenza. La richiesta di astensione era pero' rigettata
dal  sig. Presidente  del  Tribunale di Napoli per l'inapplicabilita'
della  norma  citata  e  la tassativita' dei casi di incompatibilita'
previsti dall'art. 34 c.p.p.
    2. - La rilevanza della questione di legittimita' costituzionale.
    Orbene,   tenuto   conto   del  rigetto  della  dichiarazione  di
astensione,  deve sollevarsi, come eccepito in precedenza anche dalla
difesa,  la  questione  di legittimita' costituzionale, per contrasto
con  gli  artt. 3, 24 e 111 Cost., dell'art. 34 c.p.p. nella parte in
cui  non  prevede l'incompatibilita' del g.u.p. a celebrare l'udienza
preliminare  allorche'  egli  abbia  gia' valutato la posizione degli
imputati  in  altro processo definito con sentenza di rito abbreviato
nei  confronti  di  coimputati concorrenti necessari. La questione e'
certamente rilevante nel processo, poiche' essendo stata rigettata la
richiesta   di   astensione,  questo  g.u.p.  e'  tenuto  a  valutare
nuovamente  la  posizione  degli imputati, attesa la tassativita' dei
casi   previsti   dall'art. 34   c.p.p.   La  questione  poi  non  e'
manifestamente infondata per i motivi che seguono.
    3. - La non manifesta infondatezza:
        a)    il   precedente   orientamento   della   giurisprudenza
costituzionale e di legittimita'.
    La  giurisprudenza  costituzionale  e  di legittimita' aveva piu'
volte   affermato   la   natura  meramente  processuale  dell'udienza
preliminare,  escludendo  che il provvedimento conclusivo costituisse
un   giudizio.   Di   conseguenza,   non  sussistevano  questioni  di
incompatibilita'  del g.u.p. per precedenti decisioni emesse in altra
udienza  preliminare. Cio' perche', secondo i giudici di legittimita'
il  g.u.p.  "...  non  compie  alcuna valutazione dell'accusa e delle
prove  ma  e' chiamato, in quella sede, a decidere sulla legittimita'
della  domanda  di  giudizio del p.m., ed il concetto di "giudizio di
cui  al predetto art. 34 ricomprende solamente il procedimento che in
base ad un esame delle prove pervenga ad una decisione di merito"1.
    Ad  es. era stata ritenuta illegittima la sentenza di non luogo a
procedere   per   estinzione   del   reato   pronunciata,   ai  sensi
dell'art. 425  c.p.p.,  dal  giudice  dell'udienza  preliminare  "...
quando l'operativita' della causa estintiva (nella specie, amnistia),
dipenda dal riconoscimento di circostanze attenuanti o dall'eventuale
giudizio  di  comparazione  fra  esse  ed  altre  di  segno  opposto,
trattandosi   nell'uno   e   nell'altro   caso,  di  valutazioni  che
presuppongono una giurisdizione piena, di cui il giudice dell'udienza
preliminare  non  puo'  dirsi  investito"  (cfr.  cass. sez. 1a sent.
n. 2110 del 15 aprile 1998 - 8 maggio 1998).
    La  Corte costituzionale, nel dichiarare manifestamente infondata
la  questione  di  costituzionalita'  dell'art. 34 c.p.p., aveva piu'
volte  affermato2 che nell'udienza preliminare il giudice e' chiamato
a svolgere una delibazione di carattere processuale circa l'idoneita'
della  domanda  del pubblico ministero a determinare l'apertura della
fase  del  giudizio  e  non  ad  esprimere valutazioni sul merito del
giudizio stesso3.
    La  Corte costituzionale, con l'ordinanza 112/2001, ha di recente
ribadito   i   principi  espressi  anche  alla  luce  della  modifica
dell'art. 111  della  Costituzione e dell'art. 34 c.p.p. Infatti, con
tre diverse ordinanze era stata sottoposta alla Corte la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 34  cod. proc. pen., rispetto
agli  artt. 3,  24  e  111 della Costituzione, nella parte in cui non
prevede  che  il  giudice  per  l'udienza preliminare, il quale abbia
disposto  il rinvio a giudizio con decreto successivamente annullato,
non   possa   esercitare   nuovamente   la  funzione  di  trattazione
dell'udienza  preliminare nei confronti dello stesso imputato, per il
medesimo reato.
    Le      argomentazioni     a     sostegno     della     questione
d'incostituzionalita' erano le seguenti:
        l'introduzione    dell'incompatibilita'    alla   trattazione
dell'udienza preliminare per il giudice che nel medesimo procedimento
abbia  svolto  funzioni  di  giudice  per  le  indagini  preliminari,
dimostrerebbe  l'abbandono,  da  parte del legislatore, dello stretto
collegamento   tra  disciplina  dell'incompatibilita'  e  "giudizio",
inteso come valutazione di merito sul contenuto dell'accusa, ponendo,
invece,  secondo  un  diverso  e  piu'  limitato  criterio,  la  sola
condizione    dell'aver   effettuato   una   pregressa)   valutazione
contenutistica dell'accusa e delle prove;
        l'omissione    nell'art. 34    c.p.p.    della    causa    di
incompatibilita'  individuata dai remittenti sarebbe in contrasto con
il  canone di ragionevolezza (art. 3 della Costituzione), giacche' il
giudice  che  abbia disposto una prima volta il rinvio a giudizio con
proprio decreto successivamente annullato ha compiuto una valutazione
di   contenuto   dell'accusa  di  certo  piu'  penetrante  di  quella
riscontrabile   in   qualsiasi   altra   attivita'   che  sia  svolta
nell'esercizio delle funzioni di giudice per le indagini preliminari,
nonche'  con  il  principio di uguaglianza (ancora l'art. 3) sotto il
profilo  della  parita' di trattamento, nel raffronto con le ipotesi,
assimilabili, che viceversa determinano l'incompatibilita';
    1  Cfr. Cass. Sez. 6a sent. n. 1380 del 16 aprile 1998 - 9 maggio
1998,  sull'art. 34 comma 2 c.p.p. nella sua precedente formulazione:
"E'   manifestamente   infondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 34 c.p.p., con riferimento agli artt. 3, 24,
25,   27,   76   e   101  Cost.,  nella  parte  in  cui  non  prevede
l'incompatibilita'  del  giudice  dell'udienza  preliminare  per atti
compiuti   nella   fase   delle   indagini   preliminari,  in  quanto
l'orientamento  della  Corte costituzionale emerge con evidenza dalle
sentenze 12 dicembre 1991, n. 401; 30 dicembre 1991, n. 502; 25 marzo
1992, n. 124 e dall'ordinanza 5 febbraio 1996 n. 24, secondo le quali
con  riferimento  al  giudice dell'udienza preliminare non puo' porsi
alcuna  questione  di  incompatibilita',  giacche'  tale  giudice non
compie  alcuna  valutazione dell'accusa e delle prove ma e' chiamato,
in  quella  sede,  a  decidere  sulla  legittimita'  della domanda di
giudizio  del  p.m.,  ed  il concetto di "giudizio di cui al predetto
art. 34 ricomprende solamente il procedimento che in base ad un esame
delle  prove  pervenga  ad una decisione di merito (vedi Corte cost.,
n. 401/1991;  Corte  cost., sent. n. 502 del 1991; Corte cost., sent.
n. 124/1992; Corte cost., ord. n. 24/1996)".
    2 Cfr. ad es. ordinanze nn. 207 del 1998 e 367 del 1997.
    3  Cfr. C. cost. n. 311/1997 sull'incompatibilita' del g.u.p. che
aveva  gia'  emesso  misura  cautelare  nel  processo  minorile:  "La
giurisprudenza di questa Corte, considerando che puo' farsi questione
d'incompatibilita' del giudice in conseguenza di precedenti decisioni
prese  nel  corso del procedimento solo in quanto egli sia chiamato a
rendere  un  giudizio sul merito dell'accusa mentre all'attivita' cui
il  giudice  e'  chiamato nell'udienza preliminare deve riconoscersi,
anche  dopo  la  modifica  dell'art. 425 c.p.p. operata dalla legge 8
aprile  1993  n. 105  (v.  sentenza  n. 71  del  1996),  una funzione
essenzialmente  processuale,  in  quanto controllo sulla legittimita'
della  domanda  di  giudizio  avanzata  dal p.m. e non quale giudizio
anticipato rispetto a quello dibattimentale (sentenza n. 82 del 1993)
e'     ferma    nell'escludere    l'estensibilita'    della    regola
dell'incompatibilita'  prevista  nel  comma  2 dell'art. 34 c.p.p. al
giudice  dell'udienza preliminare (sentenza n. 64 del 1991; ordinanze
nn. 24, 232, 279, 333, e 410 del 1996, e n. 97 del 1997)".
        vi   sarebbe   inoltre   lesione   del   diritto   di  difesa
dell'imputato   (art. 24   della   Costituzione),  compromesso  dalla
pregressa valutazione di contenuto dell'accusa, espressa dallo stesso
giudice;
        sarebbe   violata   la  garanzia  costituzionale  del  giusto
processo  (art. 111 della Costituzione), nel suo aspetto di terzieta'
del  giudice,  perche' la nuova valutazione sul contenuto dell'accusa
ai  fini  del  rinvio  a  giudizio potrebbe essere condizionata dalla
"forza  della  prevenzione", tendendo il giudice a mantenere ferma la
medesima valutazione espressa in precedenza;
        ancora  vi  sarebbe contrasto con l'art. 111 Cost., in quanto
il    principio   di   terzieta'   del   giudice   non   si   risolve
nell'equidistanza  rispetto  alle  parti,  ma impone anche di evitare
possibili  situazioni  di  pregiudizio,  sia  esso reale o anche solo
apparente, per il condizionamento derivante da precedenti attivita'.
    La  Corte  dichiarava  manifestamente  infondata  la questione di
legittimita'  costituzionale  ritenendo  che  la  nuova  formulazione
dell'art. 111,  secondo  comma,  della Costituzione, imponendo che il
processo  si  svolga  "davanti  a un giudice terzo e imparziale", non
abbia  innovato rispetto ai principi gia' desumibili dagli artt. 24 e
3    della    Costituzione,    nell'interpretazione   fornita   dalla
giurisprudenza  della Corte. Quanto alla violazione dell'art. 3 della
Costituzione indicata dai rimettenti, la Corte rilevava che non vi e'
omogeneita'  tra  l'incompatibilita'  g.i.p.-g.u.p.  (che  opera  tra
funzioni  diverse  svolte  nell'ambito  del  procedimento)  e  quella
ritenuta   sussistente  dai  rimettenti,  che  invece  opererebbe  in
relazione a una medesima funzione4.
    La  Corte  costituzionale  con la suindicata ordinanza, non aveva
pero'  affrontato  se la natura dell'udienza preliminare fosse mutata
alla  luce  delle  modifiche  apportate  dalla  legge n. 479/1999, in
quanto  non  applicate nei processi tenuti dai giudici rimettenti, le
cui  udienze  preliminari erano state celebrate prima dell'entrata in
vigore di tale legge.
        b)   La  sentenza  n. 224  del  6  luglio  2001  della  Corte
costituzionale.
    La Corte costituzionale con sentenza n. 224 del 6 luglio 2001, ha
dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 34,  comma 1,
c.p.p.  nella  parte  in  cui  non  prevede  l'incompatibilita'  alla
funzione  di  giudice  dell'udienza preliminare del giudice che abbia
pronunciato  o  concorso  a  pronunciare sentenza, poi annullata, nei
confronti  del  medesimo  imputato e per lo stesso fatto. Il caso che
aveva  generato  la  questione  era  quello  di  un giudice che aveva
contribuito  a  pronunciare  sentenza  dibattimentale;  a  seguito di
successive  vicende  processuali  si  era trovato, questa volta quale
g.u.p.,  a  riesaminare  la  medesima fattispecie nei confronti dello
stesso  imputato,  sia pure ai fini limitati dell'eventuale pronuncia
del decreto che dispone il giudizio.
    La Corte costituzionale ha ritenuto che a seguito delle modifiche
introdotte dalla legge n. 479/1999 l'udienza preliminare abbia subito
una  profonda  trasformazione  e  non  sia  piu',  per  effetto della
sussistenza di un contraddittorio piu' esteso e dell'incremento degli
elementi  valutativi, un mero momento processuale, e che la decisione
assunta  al  termine  dell'udienza  abbia carattere di valutazione di
merito:
        "l'alternativa  decisoria  che  si  offre  al  giudice  quale
epilogo  dell'udienza preliminare, riposa, dunque, su una valutazione
del  merito  dell'accusa  ormai  non  piu'  distinguibile - quanto ad
intensita'  e completezza del panorama delibativi - da quella propria
di altri momenti processuali, gia' ritenuti non solo "pregiudicanti ,
ma   anche   pregiudicabili,   ai   fini   della   sussistenza  della
incompatibilita'.".
    La   Corte   ha   dichiarato  l'incostituzionalita'  della  norma
rilevando che:
        "...  se  e'  indubbio  che  la  pronuncia  della sentenza di
merito,  a  causa  del  compimento  di una valutazione contenutistica
dell'ipotesi  di  accusa,  e'  attivita'  idonea  a  pregiudicare  il
successivo  esercizio  di  analoghe  funzioni  da  parte del medesimo
giudice nell'ambito dello stesso processo, deve riconoscersi che tale
pregiudizio  puo'  in  concreto  realizzarsi anche quando l'ulteriore
attivita'  giurisdizionale cui il giudice e' chiamato - nella specie,
a  seguito  di  vicenda  regressiva  -  sia  costituita  dall'udienza
preliminare.  Anche  in  tale ipotesi ricorre infatti il pericolo che
l'art. 34,  comma 1, cod. proc. pen. e' finalizzato a rimuovere: vale
a   dire   che  le  valutazioni  demandate  al  giudice  dell'udienza
preliminare  siano  o  possano apparire condizionate dalla cosiddetta
"forza di prevenzione , e cioe' naturale propensione a tener fermo il
giudizio   precedentemente  espresso  in  ordine  alla  medesima  res
iudicanda".
    4  "...  circa la violazione dell'art. 3 della Costituzione sotto
il  profilo  della pretesa irrazionalita' del sistema legislativo che
non  prevede  l'incompatibilita'  a  tenere  la  (ulteriore)  udienza
preliminare   per  il  giudice  dell'udienza  preliminare  che  abbia
pronunciato  il  decreto  che  dispone  il  giudizio  successivamente
annullato,   mente  prevede  l'incompatibilita'  a  tenere  l'udienza
preliminare  per  il  giudice  che,  nel medesimo procedimento, abbia
svolto    funzioni   di   giudice   per   le   indagini   preliminari
(incompatibilita' prevista dall'art. 34, comma 2-bis, cod. proc. pen.
a  seguito  dell'art. 171  del  decreto legislativo 19 febbraio 1998,
n. 51),  anche indipendentemente dal rilievo dell'inapplicabilita' di
detta  disposizione  in due dei tre procedimenti dai quali ha origine
la  presente  questione,  e'  sufficiente  rilevare  che  la suddetta
modifica  legislativa  indicata  come tertium comparationis introduce
una  nuova  causa  di  incompatibilita' operante tra funzioni diverse
svolte  nell'ambito  del  procedimento,  mentre  la  nuova  causa  di
incompatibilita'  alla  quale i giudici rimettenti tendono tramite la
pronuncia di incostituzionalita' della norma denunciata opererebbe in
relazione a una medesima funzione e cio' di per se' basta a escludere
l'esistenza  di quella contraddizione del legislatore che alimenta la
prospettata denuncia di irrazionalita' delle scelte legislative ...".
    Dunque,  l'elemento di maggiore novita' introdotto dalla sentenza
della  Corte  costituzionale  e'  che la decisione assunta al termine
dell'udienza   preliminare   ha   valore  equiparabile  al  giudizio,
trattandosi di una valutazione di merito priva "... di quei caratteri
di   "sommarieta'  che  prima  della  riforma  erano  tipici  di  una
delibazione  tendenzialmente  circoscritta allo stato degli atti". La
decisione  assunta al termine dell'udienza preliminare diviene dunque
pregiudicante  (rispetto a decisioni successive di merito nell'ambito
dello  stesso  processo)  e  pregiudicabile  (rispetto  a  precedenti
decisioni gia' assunte).
        c)    La    natura   dell'udienza   preliminare   a   seguito
dell'approvazione della legge n. 479/1999.
    Le  valutazioni della Corte costituzionale sulla natura di merito
della  decisione  del  g.u.p.  sono assolutamente condivisibili: essa
supera anche le interpretazioni restrittive che a seguito della legge
n. 479/1999  erano  state  proposte.  In  estrema sintesi infatti, il
g.u.p.  oggi  valuta  in  termini  di  responsabilita'  il  materiale
probatorio   raccolto:   la  sua  sufficienza  e  univocita'  nonche'
l'idoneita'  a  sostenere  l'accusa in giudizio. La formula normativa
ricalca proprio quella dell'art. 530, comma 2, c.p.p.
    L'ampliamento5  dei  poteri  decisori del g.u.p. e' ulteriormente
suffragato  dall'introduzione  del  comma 2 dell'art. 425 c.p.p.6 che
prevede  che ai fini della sentenza di cui al comma 1 il g.u.p. tiene
conto  delle  circostanze attenuanti: ove le ritenga sussistenti deve
operare  il  giudizio  di  comparazione  con  le eventuali contestate
aggravanti.  La norma trova concreta applicazione soprattutto ai fini
della   dichiarazione  di  estinzione  del  reato  per  prescrizione.
L'estensione  di  tale  potere,  prima  precluso  al  g.u.p.7, e' una
conseguenza logica dell'attribuzione del potere al g.i.p., e risponde
a  pieno  alla  funzione di filtro dell'udienza preliminare: infatti,
serve  ad evitare un inutile dibattimento allorche' il g.u.p. preveda
che,  con  il riconoscimento della sussistenza delle attenuanti e per
effetto  del giudizio di comparazione, possa dichiararsi l'estinzione
del  reato. Inoltre, la ratio e la formulazione letterale della norma
("ai  fini  della  pronuncia  della  sentenza  di  cui al comma 1, il
giudice tiene conto delle circostanze attenuanti ) fanno ritenere che
il   g.u.p.  debba,  e  non  possa,  valutare  la  sussistenza  delle
attenuanti  prima  di  emettere la sentenza. Cio' determina l'aspetto
innovativo  piu'  forte:  infatti,  il  riconoscimento di circostanze
attenuanti e/o l'eventuale giudizio di comparazione fra esse e con le
aggravanti  costituiscono  "...  valutazioni  che  presuppongono  una
giurisdizione  piena  ..."8;  anche  sotto  questo  profilo, vi e' un
notevole  avvicinamento  tra  la valutazione del giudice dell'udienza
preliminare  e  quella  del  giudice  del dibattimento. Anzi, proprio
l'attribuzione di un tale potere - dovere al g.u.p. conferma che oggi
tale    giudice    e'    chiamato   a   ragionare   in   termini   di
colpevolezzainnocenza;  infatti, il riconoscimento, l'applicazione ed
il    giudizio   di   comparazione   delle   circostanze   attenuanti
presuppongono la colpevolezza dell'imputato.
    La sentenza n. 224 del 6 luglio 2001 della Corte costituzionale9,
anche  se in via incidentale, scioglie un altro dubbio sui poteri del
g.u.p.; la Corte afferma infatti che il g.u.p. puo' emettere sentenza
di  non  luogo a procedere per difetto di imputabilita' quando non ne
consegua  l'applicazione  di  una  misura di sicurezza. Si e' infatti
sostenuto  che  e'  sempre  precluso  al  g.u.p. l'accertamento della
mancanza  di  imputabilita'  e  cio' sia se sussiste la pericolosita'
sociale  (con  necessita' quindi di applicare la misura di sicurezza)
sia se non emerga10.
    5  Si  e'  sopra  richiamato l'orientamento giurisprudenziale che
escludeva  che  il  g.u.p.  potesse  valutare  la  sussistenza  delle
attenuanti ed operare il bilanciamento.
    6  La  norma  ha il suo antecedente storico nell'art. 226 d. lgs.
n. 51/1998  che  consente al g.i.p., su richiesta di parte e consenso
dell'indagato,  di  emettere  sentenza  in camera di consiglio di non
doversi  procedere  per  intervenuta  prescrizione,  per  effetto del
giudizio   di   comparazione  tra  le  aggravanti  e  le  circostanze
attenuanti generiche.
    7  Va ricordato che era stata sollevata questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 425 c.p.p. nella parte in cui non consentiva
al  g.u.p. di valutare la sussistenza delle attenuanti e di procedere
al  giudizio  di  comparazione  tra  le  circostanze,  ai  fini della
declaratoria  di  una  causa di estinzione del reato, a differenza di
quanto  disposto  nel  regime  transitorio  dagli  articoli 256 e 257
d.lgs.  271/1989;  la  Corte  costituzionale  rigetto'  la  questione
ritenendo  che  vi  fosse  una non omologabilita' di situazioni; cfr.
sentenza 431/1990: "mentre nel regime transitorio il giudice di norma
e'  in  possesso  di  un  fascicolo  processuale  contenente gli atti
dell'istruttoria  ed  esamina un vero e proprio complesso probatorio,
il  giudice  dell'udienza  preliminare  di  regola  non dispone degli
elementi   necessari   a  riconoscere  circostanze  attenuanti  ed  a
procedere al giudizio di cui all'art. 69 c.p. dato che le prove ed il
successivo  accertamento  dei  fatti  si  profileranno  solo  con  il
dibattimento".
    8  Cfr. Cass. sentenza n. 2110 del 15 aprile 1998 - 8 maggio 1998
prima citata.
    9  Sotto  il regime dell'evidenza, con sentenza 41/1993, la Corte
costituzionale  aveva  dichiarato l'incostituzionalita' dell'art. 425
c.p.p.   nella   parte  in  cui  stabiliva  che  il  giudice  potesse
pronunciare  sentenza  di  non  luogo  a  procedere  quando risultava
evidente che l'imputato era persona non imputabile; in sintesi, aveva
ritenuto    la   Corte   che   la   valutazione   della   sussistenza
dell'inimputabilita'  e  la  conseguente applicazione della misura di
sicurezza,  basata  sulla  valutazione  della  pericolosita' sociale,
comportavano  un  giudizio  di responsabilita' precluso al g.u.p., in
forza  dell'uso  del  termine  "evidente",  tenuto conto della natura
dell'udienza  preliminare.  La  Corte  ritenne inoltre sussistere una
compressione  del  diritto  di difesa, in quanto all'imputato sarebbe
stato  precluso  il  diritto  alla  prova  sul merito esercitabile in
dibattimento.   Fu  cosi'  preclusa  la  g.u.p.  la  possibilita'  di
dichiarare  il non luogo a procedere per la mancanza di imputabilita'
e di applicare la misura di sicurezza.
    10  Tale  tesi  e' sostenuta, con diverse argomentazioni da Maria
Costantini  in  "La  declaratoria  di  non imputabilita' nell'udienza
preliminare dopo la legge Carotti" in Cass. pen. 2001 pag. 1375 e ss.
    La tesi della Corte costituzionale e' del tutto condivisibile (la
mancanza   di   imputabilita'   rientra  nell'indicazione  della  non
punibilita' "per qualsiasi causa ).
    Infatti, operando una lettura congiunta dei commi 1 e 4 dell'art.
425 c.p.p., il g.u.p. puo' emettere sentenza di non luogo a procedere
dichiarando la non imputabilita' della persona solo allorche' non sia
emersa  la  pericolosita'  sociale  dell'imputato  e  la  conseguente
necessita'  di  dover  applicare  la  misura di sicurezza. Osserva un
commentatore:  "Se  non  fosse  cosi'  si realizzerebbe una insana ed
illogica  sperequazione:  il  non  imputabile  dovrebbe  in ogni caso
subire  il  processo,  anche  ai soli fini della dichiarazione di non
imputabilita'.   Allo   stesso  modo  non  puo'  dichiararsi  la  non
punibilita'  quando  ad  essa  segua  l'applicazione di una misura di
sicurezza".11
    Il divieto di applicare la misura di sicurezza e' coerente con il
nuovo  sistema  processuale,  nel  quale il g.u.p. opera una verifica
giurisdizionale   profonda   con   i  limiti  della  declaratoria  di
responsabilita'  e  dell'applicazione della pena (salve le ipotesi di
riti  alternativi).  Ed  e'  questo il motivo per cui gli e' preclusa
solo  l'applicazione di misure di sicurezza (diverse dalla confisca);
infatti  la  misura  di sicurezza e' comunque una sanzione e richiede
che  il  provvedimento  del  giudice  che  l'applica  possa acquisire
definitivita': carattere che invece manca ai provvedimenti conclusivi
dell'udienza  preliminare. Inoltre, proprio l'attribuzione del potere
di applicare la confisca e' l'ulteriore conferma del carattere sempre
piu'  giurisdizionale,  piu'  che  processuale,  della  decisione del
g.u.p.
    Il   complesso   delle   modifiche   normative  ha  profondamente
trasfonnato  l'udienza  preliminare,  modificando e radicalizzando la
sua  funzione di filtro: il g.u.p. e' divenuto giudice di merito, pur
se  di una fase procedimentale, ed opera una verifica giurisdizionale
profonda12;  dispone  il giudizio solo allorche' ha escluso che dalle
fonti di prova possano derivare esiti diversi dal proscioglimento. E'
preclusa al g.u.p. la declaratoria di responsabilita' dell'imputato -
che  pure pero' sostanzialmente opera allorche' valuta la sussistenza
delle   attenuanti  ed  il  bilanciamento  delle  circostanze13  -  e
l'applicazione della pena (salve le ipotesi dei riti alternativi); da
qui,  come  si  e'  detto  l'impossibilita'  di  applicare  misure di
sicurezza diverse dalla confisca.
    L'interpretazione  proposta  trova  anche  un  ulteriore conforto
nell'art. 111  Cost.;  infatti  il comma 2 prevede il principio della
ragionevole   durata  del  processo.  Orbene,  se  al  momento  della
valutazione del g.u.p. emerga l'insufficienza o la contraddittorieta'
delle  fonti  di  prova  ad  un  giudizio di penale responsabilita' o
l'inidoneita'  delle  stesse  al  sostegno  dell'accusa  in giudizio,
impedire   la  immediata  declaratoria  del  non  luogo  a  procedere
riservando  al  dibattimento  il  proscioglimento per l'insufficienza
probatoria,  lede il principio della ragionevole durata del processo,
posponendo inutilmente la valutazione favorevole all'imputato.
        d)  L'incompatibilita'  del giudice nelle ipotesi di concorso
di persone nel reato.
    Con  la  sentenza  n. 113  del  2000,  la  Corte  costituzionale,
richiamando  la precedente sua giurisprudenza (cfr. in particolare le
sentenze  186 del 1992; 439 del 1993; 371 del 1996; 306, 307, 308 del
1997;  241  del  1999)  ha precisato che nelle ipotesi di concorso di
persone nel medesimo reato, l'aver pronunciato sentenza nei confronti
di  alcuno  dei  concorrenti  non  rende  per  cio' stesso il giudice
incompatibile  al  successivo  giudizio nei confronti degli altri, in
quanto  e' fermo il principio per il quale nella naturale unitarieta'
delle figure di concorso alla comunanza dell'imputazione fa riscontro
una  pluralita'  di condotte distintamente ascrivibili a ciascuno dei
concorrenti,  le  quali,  ai  fini  del  giudizio di responsabilita',
devono  formare  oggetto  di  autonome  valutazioni,  suscettibili di
sfociare   in  un  accertamento  positivo  nell'un  caso  e  negativo
nell'altro.  L'incompatibilita'  si  puo' verificare certamente nelle
situazioni  estreme  individuate dalla sentenza n. 371 del 17 ottobre
1996;   (con  tale  sentenza  la  Corte  dichiarava  l'illegittimita'
dell'art. 34  c.p.p. nella parte in cui non prevedeva che non potesse
partecipare  al  giudizio  nei confronti di un imputato il giudice il
quale  avesse  pronunciato  o  concorso  a pronunciare una precedente
sentenza  nei  confronti  di  altri  soggetti, in cui la posizione di
quello stesso imputato in ordine alla sua responsabilita' fosse stata
comunque  valutata).  E  va  ricordato  che  la  questione  era stata
sollevata  anche  dalla  Corte  di  assise  di Napoli nel corso di un
processo  scaturito  dalla  separazione da altro processo a carico di
numerosi  imputati  di  un delitto associativo definito con sentenza:
cioe' in una ipotesi di concorso di persone necessario e allorche' il
giudizio  di  merito  si era concluso con l'atto - la sentenza - piu'
profondo e caratterizzante la funzione giurisdizionale.
    11 Cfr. Teresa Bene, op. cit. pag. 455.
    12  In  questo  senso A.A. Dalia "L'anticipazione della soglia di
giudizio"  in  Le  recenti  modifiche  al codice di procedura penale,
ed. Giuffre', 2000, pag.12: "Non siamo piu' in presenza di un "filtro
destinato  a  trattenere le imputazioni azzardate, ma ad una verifica
giurisdizionale  approfondita  e  dettagliata  della  possibilita' di
definire  l'imputazione  con  tutti gli esiti diversi dalla condanna,
sempre  che  non si ricorra al giudizio abbreviato, nel qual caso non
opera neppure il limite della condanna".
    13 Nello stesso senso Dalia, op. cit.
    Con  la  sentenza  n. 113 del 2000 si sono nuovamente ricordati i
principi  e la ratio degli istituti dell'incompatibilita' - collegata
al    pregiudizio    nell'ambito    dello   stesso   procedimento   -
dell'astensione e ricusazione; la Corte ha quindi chiarito, ribadendo
i principi stabiliti nelle sentenze 306, 307, 308 del 1997, che nelle
ipotesi  diverse  da quelle oggetto della sentenza 371/1996 in cui il
giudice  ha  gia'  operato una valutazione di merito nei confronti di
concorrenti  necessari  nel  reato,  estranei al successivo giudizio,
soccorrono,  per  la  tutela  del  principio del giusto processo, gli
istituti  della  astensione,  ex  art. 36,  lett. H,  c.p.p., e della
ricusazione;  la  Corte  ha  quindi  ulteriormente specificato che e'
questione  di  fatto,  da  individuare  caso per caso, se sussista in
concreto  il pregiudizio del giudice, e quindi i motivi di astensione
per  gravi  ragioni  di  convenienza. Cio' in quanto non e' possibile
individuare  una  casistica  precisa esaustiva di tutte le ipotesi di
incompatibilita',  dovendo  invece  essere  affermati solo i principi
fondanti gli istituti de quo.
    4. - Conclusioni: il contrasto con gli articoli 3, 24 e 111 della
Costituzione.
    Orbene, avendo la Corte costituzionale affermato che la decisione
assunta al termine dell'udienza preliminare ha valore equiparabile al
giudizio, trattandosi di una valutazione di merito priva "... di quei
caratteri di "sommarieta' che prima della riforma erano tipici di una
delibazione  tendenzialmente  circoscritta  allo stato degli atti" si
rileva che nel caso in esame il g.u.p. si trova nella stessa identica
situazione  estrema  individuata dalla sentenza n. 371 del 17 ottobre
1996:   infatti   il   g.u.p.  si  trova  a  partecipare  all'udienza
preliminare  (la  decisione  al  termine  della  quale  ha  valore di
giudizio) nei confronti di piu' imputati nonostante abbia pronunciato
una  precedente  sentenza nei confronti di altri soggetti concorrenti
necessari  nel  reato, ma nella quale la posizione di quegli stessi -
attuali  -  imputati  in  ordine  alle loro responsabilita' sia stata
comunque valutata. Che tale valutazione sia in concreto avvenuta puo'
rilevarsi  dalla  lettura  della  sentenza nei confronti di Barone ed
altri.
    Dunque, l'omessa previsione nell'art. 34 c.pp. di tale ipotesi di
incompatibilita'  determina  una  violazione  in  primo  luogo  degli
artt. 24  e 111 Cost., poiche' la posizione dell'imputato deve essere
esaminata   da   un   giudice   che   ha   gia'  valutato,  anche  se
incidentalmente,  con  sentenza,  la condotta ascritta, ma in diverso
processo nei confronti di coimputati concorrenti necessari nel reato;
cio'  viola sia i diritti di difesa dell'imputato che quello ad avere
un  giusto  processo,  con  un  giudice  imparziale  privo  di quella
naturale  forza di prevenzione derivante dalla naturale propensione a
tener  fermo  il  giudizio  precedentemente  espresso  in ordine alla
medesima  res  iudicanda.  Ma  vi  e' anche la violazione dell'art. 3
della  Costituzione,  posto  che in una situazione oramai identica e'
stata  gia'  dichiarata,  con  la sentenza n. 371 del 17 ottobre 1996
della    Corte    costituzionale,   l'illegittimita'   costituzionale
dell'art. 34  c.p.p. nella parte in cui non prevedeva che non potesse
partecipare  al  giudizio  nei confronti di un imputato il giudice il
quale  avesse  pronunciato  o  concorso  a pronunciare una precedente
sentenza  nei  confronti  di  altri  soggetti, in cui la posizione di
quello stesso imputato in ordine alla sua responsabilita' fosse stata
comunque valutata.
                              P. Q. M.
    Letti  gli artt. 134 Cost. 1 legge cost. 9 febbraio 1948, n. 1, e
23 legge 11 marzo 1953 n. 87;
    Ritenuta la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 34
c.p.p., per contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 Cost., nella parte in
cui  non  prevede l'incompatibilita' del g.u.p. a celebrare l'udienza
preliminare  allorche'  egli  abbia  gia' valutato la posizione degli
imputati  in  altro processo definito con sentenza di rito abbreviato
nei confronti di coimputati concorrenti necessari, non manifestamente
infondata e rilevante ai fini della decisione;
    Sospende il giudizio in corso;
    Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Ordina  alla cancelleria di notificare la presente ordinanza agli
imputati, al p.m., al sig. Presidente del Consiglio dei ministri;
    Ordina  alla  cancelleria  di comunicare la presente ordinanza ai
signori  Presidenti  della  Camera  dei  deputati  e del Senato della
Repubblica.
    Manda alla cancelleria per gli adempimenti di competenza.
        Napoli, cosi' deciso il 14 novembre 2001.
          Il giudice per le indagini preliminari: Semeraro
02C20116