N. 91 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 novembre 2001
Ordinanza emessa il 21 novembre 2001 dal g.u.p. del Tribunale di Napoli nel procedimento penale a carico di Festa Domenico ed altri Processo penale - Incompatibilita' del giudice - Giudice che abbia gia' valutato la posizione degli imputati in altro processo definito con sentenza di rito abbreviato nei confronti di coimputati concorrenti necessari Incompatibilita' a celebrare l'udienza preliminare - Mancata previsione - Disparita' di trattamento rispetto a situazioni identiche - Lesione del diritto di difesa - Violazione del principio del giusto processo davanti ad un giudice imparziale - Richiamo alle sentenze della Corte costituzionale nn. 224/2001 e 371/1996. - Cod. proc. pen., art. 34. - Costituzione, artt. 3, 24 e 111.(GU n.11 del 13-3-2002 )
IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI All'esito dell'udienza preliminare del 14 novembre 2001, ha pronunciato la seguente ordinanza. 1. - Premessa. All'udienza preliminare del 20 marzo 2000 questo giudice dichiarava la nullita' della richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di Frattini Salvatore, Festa Domenico, Salvo Luigi, Capaldo Salvatore, Mincione Vincenzo, Esposito Marco, Verducci Rocco, Luigi Atzeni, Pellecchia Enzo, Di Stefano Antonio procedendo alla separazione del processo con restituzione degli atti al p.m. Alla stessa udienza era separata anche la posizione processuale di Mincione Cosimo, per la irregolare costituzione del rapporto processuale. Nell'ambito dello stesso processo gli imputati Barone Antonio, Buonocore Raffaele, Cerullo Ivan, Cerullo Riccardo, Cimetti Giuseppe, Colantuono Pio Ivano, Esposito Luigi, Gigi Rosario, Sestile Angela, Sgambati Enrico, Silvestri Luigi, Pugliese Antonio chiedevano il rito abbreviato. All'udienza dell'11 aprile 2000 era pronunciata sentenza nei loro confronti per i reati ex artt. 73, 74 d.P.R. n. 309/1990. Il processo nei confronti di Mincione Cosimo era invece definito dalla dott.ssa Romano, a seguito di astensione di questo g.u.p., avendo l'imputato chiesto il rito abbreviato successivamente alla pronuncia della sentenza di condanna dell'11 aprile 2000 nei confronti di Barone Antonio ed altri. A seguito di nuova richiesta di rinvio a giudizio, questo g.u.p. fissava l'udienza preliminare nei confronti di Frattini Salvatore, Festa Domenico, Salvo Luigi, Capaldo Salvatore, Mincione Vincenzo, Esposito Marco, Verducci Rocco, Luigi Atzeni, Pellecchia Enzo, Di Stefano Antonio. All'udienza del 1 ottobre 2001 questo g.u.p. rigettava la richiesta di astensione formulata dalla difesa (che riteneva sussistere la prevenzione del g.u.p. per avere egli deciso il rito abbreviato nei confronti di imputati concorrenti necessari nel reato) e riteneva infondata l'eccezione di legittimita' costituzionale dell'art. 34 c.p.p. Successivamente pero' era pubblicata la sentenza n. 224 del 6 luglio 2001 della Corte costituzionale che, nel superare il suo precedente orientamento, dichiarava l'illegittimita' costituzionale dell'art. 34, comma 1, c.p.p. nella parte in cui non prevede l'incompatibilita' alla funzione di giudice dell'udienza preliminare del giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare sentenza, poi annullata, nei confronti del medesimo imputato e per lo stesso fatto. Pertanto, questo g.u.p. avanzava dichiarazione di astensione ex art. 36, lett. h), c.p.p., ritenendo sussistenti gravi ragioni di convenienza poiche' nel processo nei confronti di Barone ed altri la posizione dei concorrenti necessari (estranei al primo processo, ma imputati nell'attuale procedimento) era stata valutata da questo g.u.p. nella sentenza. La richiesta di astensione era pero' rigettata dal sig. Presidente del Tribunale di Napoli per l'inapplicabilita' della norma citata e la tassativita' dei casi di incompatibilita' previsti dall'art. 34 c.p.p. 2. - La rilevanza della questione di legittimita' costituzionale. Orbene, tenuto conto del rigetto della dichiarazione di astensione, deve sollevarsi, come eccepito in precedenza anche dalla difesa, la questione di legittimita' costituzionale, per contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 Cost., dell'art. 34 c.p.p. nella parte in cui non prevede l'incompatibilita' del g.u.p. a celebrare l'udienza preliminare allorche' egli abbia gia' valutato la posizione degli imputati in altro processo definito con sentenza di rito abbreviato nei confronti di coimputati concorrenti necessari. La questione e' certamente rilevante nel processo, poiche' essendo stata rigettata la richiesta di astensione, questo g.u.p. e' tenuto a valutare nuovamente la posizione degli imputati, attesa la tassativita' dei casi previsti dall'art. 34 c.p.p. La questione poi non e' manifestamente infondata per i motivi che seguono. 3. - La non manifesta infondatezza: a) il precedente orientamento della giurisprudenza costituzionale e di legittimita'. La giurisprudenza costituzionale e di legittimita' aveva piu' volte affermato la natura meramente processuale dell'udienza preliminare, escludendo che il provvedimento conclusivo costituisse un giudizio. Di conseguenza, non sussistevano questioni di incompatibilita' del g.u.p. per precedenti decisioni emesse in altra udienza preliminare. Cio' perche', secondo i giudici di legittimita' il g.u.p. "... non compie alcuna valutazione dell'accusa e delle prove ma e' chiamato, in quella sede, a decidere sulla legittimita' della domanda di giudizio del p.m., ed il concetto di "giudizio di cui al predetto art. 34 ricomprende solamente il procedimento che in base ad un esame delle prove pervenga ad una decisione di merito"1. Ad es. era stata ritenuta illegittima la sentenza di non luogo a procedere per estinzione del reato pronunciata, ai sensi dell'art. 425 c.p.p., dal giudice dell'udienza preliminare "... quando l'operativita' della causa estintiva (nella specie, amnistia), dipenda dal riconoscimento di circostanze attenuanti o dall'eventuale giudizio di comparazione fra esse ed altre di segno opposto, trattandosi nell'uno e nell'altro caso, di valutazioni che presuppongono una giurisdizione piena, di cui il giudice dell'udienza preliminare non puo' dirsi investito" (cfr. cass. sez. 1a sent. n. 2110 del 15 aprile 1998 - 8 maggio 1998). La Corte costituzionale, nel dichiarare manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 34 c.p.p., aveva piu' volte affermato2 che nell'udienza preliminare il giudice e' chiamato a svolgere una delibazione di carattere processuale circa l'idoneita' della domanda del pubblico ministero a determinare l'apertura della fase del giudizio e non ad esprimere valutazioni sul merito del giudizio stesso3. La Corte costituzionale, con l'ordinanza 112/2001, ha di recente ribadito i principi espressi anche alla luce della modifica dell'art. 111 della Costituzione e dell'art. 34 c.p.p. Infatti, con tre diverse ordinanze era stata sottoposta alla Corte la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 34 cod. proc. pen., rispetto agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che il giudice per l'udienza preliminare, il quale abbia disposto il rinvio a giudizio con decreto successivamente annullato, non possa esercitare nuovamente la funzione di trattazione dell'udienza preliminare nei confronti dello stesso imputato, per il medesimo reato. Le argomentazioni a sostegno della questione d'incostituzionalita' erano le seguenti: l'introduzione dell'incompatibilita' alla trattazione dell'udienza preliminare per il giudice che nel medesimo procedimento abbia svolto funzioni di giudice per le indagini preliminari, dimostrerebbe l'abbandono, da parte del legislatore, dello stretto collegamento tra disciplina dell'incompatibilita' e "giudizio", inteso come valutazione di merito sul contenuto dell'accusa, ponendo, invece, secondo un diverso e piu' limitato criterio, la sola condizione dell'aver effettuato una pregressa) valutazione contenutistica dell'accusa e delle prove; l'omissione nell'art. 34 c.p.p. della causa di incompatibilita' individuata dai remittenti sarebbe in contrasto con il canone di ragionevolezza (art. 3 della Costituzione), giacche' il giudice che abbia disposto una prima volta il rinvio a giudizio con proprio decreto successivamente annullato ha compiuto una valutazione di contenuto dell'accusa di certo piu' penetrante di quella riscontrabile in qualsiasi altra attivita' che sia svolta nell'esercizio delle funzioni di giudice per le indagini preliminari, nonche' con il principio di uguaglianza (ancora l'art. 3) sotto il profilo della parita' di trattamento, nel raffronto con le ipotesi, assimilabili, che viceversa determinano l'incompatibilita'; 1 Cfr. Cass. Sez. 6a sent. n. 1380 del 16 aprile 1998 - 9 maggio 1998, sull'art. 34 comma 2 c.p.p. nella sua precedente formulazione: "E' manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 34 c.p.p., con riferimento agli artt. 3, 24, 25, 27, 76 e 101 Cost., nella parte in cui non prevede l'incompatibilita' del giudice dell'udienza preliminare per atti compiuti nella fase delle indagini preliminari, in quanto l'orientamento della Corte costituzionale emerge con evidenza dalle sentenze 12 dicembre 1991, n. 401; 30 dicembre 1991, n. 502; 25 marzo 1992, n. 124 e dall'ordinanza 5 febbraio 1996 n. 24, secondo le quali con riferimento al giudice dell'udienza preliminare non puo' porsi alcuna questione di incompatibilita', giacche' tale giudice non compie alcuna valutazione dell'accusa e delle prove ma e' chiamato, in quella sede, a decidere sulla legittimita' della domanda di giudizio del p.m., ed il concetto di "giudizio di cui al predetto art. 34 ricomprende solamente il procedimento che in base ad un esame delle prove pervenga ad una decisione di merito (vedi Corte cost., n. 401/1991; Corte cost., sent. n. 502 del 1991; Corte cost., sent. n. 124/1992; Corte cost., ord. n. 24/1996)". 2 Cfr. ad es. ordinanze nn. 207 del 1998 e 367 del 1997. 3 Cfr. C. cost. n. 311/1997 sull'incompatibilita' del g.u.p. che aveva gia' emesso misura cautelare nel processo minorile: "La giurisprudenza di questa Corte, considerando che puo' farsi questione d'incompatibilita' del giudice in conseguenza di precedenti decisioni prese nel corso del procedimento solo in quanto egli sia chiamato a rendere un giudizio sul merito dell'accusa mentre all'attivita' cui il giudice e' chiamato nell'udienza preliminare deve riconoscersi, anche dopo la modifica dell'art. 425 c.p.p. operata dalla legge 8 aprile 1993 n. 105 (v. sentenza n. 71 del 1996), una funzione essenzialmente processuale, in quanto controllo sulla legittimita' della domanda di giudizio avanzata dal p.m. e non quale giudizio anticipato rispetto a quello dibattimentale (sentenza n. 82 del 1993) e' ferma nell'escludere l'estensibilita' della regola dell'incompatibilita' prevista nel comma 2 dell'art. 34 c.p.p. al giudice dell'udienza preliminare (sentenza n. 64 del 1991; ordinanze nn. 24, 232, 279, 333, e 410 del 1996, e n. 97 del 1997)". vi sarebbe inoltre lesione del diritto di difesa dell'imputato (art. 24 della Costituzione), compromesso dalla pregressa valutazione di contenuto dell'accusa, espressa dallo stesso giudice; sarebbe violata la garanzia costituzionale del giusto processo (art. 111 della Costituzione), nel suo aspetto di terzieta' del giudice, perche' la nuova valutazione sul contenuto dell'accusa ai fini del rinvio a giudizio potrebbe essere condizionata dalla "forza della prevenzione", tendendo il giudice a mantenere ferma la medesima valutazione espressa in precedenza; ancora vi sarebbe contrasto con l'art. 111 Cost., in quanto il principio di terzieta' del giudice non si risolve nell'equidistanza rispetto alle parti, ma impone anche di evitare possibili situazioni di pregiudizio, sia esso reale o anche solo apparente, per il condizionamento derivante da precedenti attivita'. La Corte dichiarava manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale ritenendo che la nuova formulazione dell'art. 111, secondo comma, della Costituzione, imponendo che il processo si svolga "davanti a un giudice terzo e imparziale", non abbia innovato rispetto ai principi gia' desumibili dagli artt. 24 e 3 della Costituzione, nell'interpretazione fornita dalla giurisprudenza della Corte. Quanto alla violazione dell'art. 3 della Costituzione indicata dai rimettenti, la Corte rilevava che non vi e' omogeneita' tra l'incompatibilita' g.i.p.-g.u.p. (che opera tra funzioni diverse svolte nell'ambito del procedimento) e quella ritenuta sussistente dai rimettenti, che invece opererebbe in relazione a una medesima funzione4. La Corte costituzionale con la suindicata ordinanza, non aveva pero' affrontato se la natura dell'udienza preliminare fosse mutata alla luce delle modifiche apportate dalla legge n. 479/1999, in quanto non applicate nei processi tenuti dai giudici rimettenti, le cui udienze preliminari erano state celebrate prima dell'entrata in vigore di tale legge. b) La sentenza n. 224 del 6 luglio 2001 della Corte costituzionale. La Corte costituzionale con sentenza n. 224 del 6 luglio 2001, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 34, comma 1, c.p.p. nella parte in cui non prevede l'incompatibilita' alla funzione di giudice dell'udienza preliminare del giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare sentenza, poi annullata, nei confronti del medesimo imputato e per lo stesso fatto. Il caso che aveva generato la questione era quello di un giudice che aveva contribuito a pronunciare sentenza dibattimentale; a seguito di successive vicende processuali si era trovato, questa volta quale g.u.p., a riesaminare la medesima fattispecie nei confronti dello stesso imputato, sia pure ai fini limitati dell'eventuale pronuncia del decreto che dispone il giudizio. La Corte costituzionale ha ritenuto che a seguito delle modifiche introdotte dalla legge n. 479/1999 l'udienza preliminare abbia subito una profonda trasformazione e non sia piu', per effetto della sussistenza di un contraddittorio piu' esteso e dell'incremento degli elementi valutativi, un mero momento processuale, e che la decisione assunta al termine dell'udienza abbia carattere di valutazione di merito: "l'alternativa decisoria che si offre al giudice quale epilogo dell'udienza preliminare, riposa, dunque, su una valutazione del merito dell'accusa ormai non piu' distinguibile - quanto ad intensita' e completezza del panorama delibativi - da quella propria di altri momenti processuali, gia' ritenuti non solo "pregiudicanti , ma anche pregiudicabili, ai fini della sussistenza della incompatibilita'.". La Corte ha dichiarato l'incostituzionalita' della norma rilevando che: "... se e' indubbio che la pronuncia della sentenza di merito, a causa del compimento di una valutazione contenutistica dell'ipotesi di accusa, e' attivita' idonea a pregiudicare il successivo esercizio di analoghe funzioni da parte del medesimo giudice nell'ambito dello stesso processo, deve riconoscersi che tale pregiudizio puo' in concreto realizzarsi anche quando l'ulteriore attivita' giurisdizionale cui il giudice e' chiamato - nella specie, a seguito di vicenda regressiva - sia costituita dall'udienza preliminare. Anche in tale ipotesi ricorre infatti il pericolo che l'art. 34, comma 1, cod. proc. pen. e' finalizzato a rimuovere: vale a dire che le valutazioni demandate al giudice dell'udienza preliminare siano o possano apparire condizionate dalla cosiddetta "forza di prevenzione , e cioe' naturale propensione a tener fermo il giudizio precedentemente espresso in ordine alla medesima res iudicanda". 4 "... circa la violazione dell'art. 3 della Costituzione sotto il profilo della pretesa irrazionalita' del sistema legislativo che non prevede l'incompatibilita' a tenere la (ulteriore) udienza preliminare per il giudice dell'udienza preliminare che abbia pronunciato il decreto che dispone il giudizio successivamente annullato, mente prevede l'incompatibilita' a tenere l'udienza preliminare per il giudice che, nel medesimo procedimento, abbia svolto funzioni di giudice per le indagini preliminari (incompatibilita' prevista dall'art. 34, comma 2-bis, cod. proc. pen. a seguito dell'art. 171 del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51), anche indipendentemente dal rilievo dell'inapplicabilita' di detta disposizione in due dei tre procedimenti dai quali ha origine la presente questione, e' sufficiente rilevare che la suddetta modifica legislativa indicata come tertium comparationis introduce una nuova causa di incompatibilita' operante tra funzioni diverse svolte nell'ambito del procedimento, mentre la nuova causa di incompatibilita' alla quale i giudici rimettenti tendono tramite la pronuncia di incostituzionalita' della norma denunciata opererebbe in relazione a una medesima funzione e cio' di per se' basta a escludere l'esistenza di quella contraddizione del legislatore che alimenta la prospettata denuncia di irrazionalita' delle scelte legislative ...". Dunque, l'elemento di maggiore novita' introdotto dalla sentenza della Corte costituzionale e' che la decisione assunta al termine dell'udienza preliminare ha valore equiparabile al giudizio, trattandosi di una valutazione di merito priva "... di quei caratteri di "sommarieta' che prima della riforma erano tipici di una delibazione tendenzialmente circoscritta allo stato degli atti". La decisione assunta al termine dell'udienza preliminare diviene dunque pregiudicante (rispetto a decisioni successive di merito nell'ambito dello stesso processo) e pregiudicabile (rispetto a precedenti decisioni gia' assunte). c) La natura dell'udienza preliminare a seguito dell'approvazione della legge n. 479/1999. Le valutazioni della Corte costituzionale sulla natura di merito della decisione del g.u.p. sono assolutamente condivisibili: essa supera anche le interpretazioni restrittive che a seguito della legge n. 479/1999 erano state proposte. In estrema sintesi infatti, il g.u.p. oggi valuta in termini di responsabilita' il materiale probatorio raccolto: la sua sufficienza e univocita' nonche' l'idoneita' a sostenere l'accusa in giudizio. La formula normativa ricalca proprio quella dell'art. 530, comma 2, c.p.p. L'ampliamento5 dei poteri decisori del g.u.p. e' ulteriormente suffragato dall'introduzione del comma 2 dell'art. 425 c.p.p.6 che prevede che ai fini della sentenza di cui al comma 1 il g.u.p. tiene conto delle circostanze attenuanti: ove le ritenga sussistenti deve operare il giudizio di comparazione con le eventuali contestate aggravanti. La norma trova concreta applicazione soprattutto ai fini della dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione. L'estensione di tale potere, prima precluso al g.u.p.7, e' una conseguenza logica dell'attribuzione del potere al g.i.p., e risponde a pieno alla funzione di filtro dell'udienza preliminare: infatti, serve ad evitare un inutile dibattimento allorche' il g.u.p. preveda che, con il riconoscimento della sussistenza delle attenuanti e per effetto del giudizio di comparazione, possa dichiararsi l'estinzione del reato. Inoltre, la ratio e la formulazione letterale della norma ("ai fini della pronuncia della sentenza di cui al comma 1, il giudice tiene conto delle circostanze attenuanti ) fanno ritenere che il g.u.p. debba, e non possa, valutare la sussistenza delle attenuanti prima di emettere la sentenza. Cio' determina l'aspetto innovativo piu' forte: infatti, il riconoscimento di circostanze attenuanti e/o l'eventuale giudizio di comparazione fra esse e con le aggravanti costituiscono "... valutazioni che presuppongono una giurisdizione piena ..."8; anche sotto questo profilo, vi e' un notevole avvicinamento tra la valutazione del giudice dell'udienza preliminare e quella del giudice del dibattimento. Anzi, proprio l'attribuzione di un tale potere - dovere al g.u.p. conferma che oggi tale giudice e' chiamato a ragionare in termini di colpevolezzainnocenza; infatti, il riconoscimento, l'applicazione ed il giudizio di comparazione delle circostanze attenuanti presuppongono la colpevolezza dell'imputato. La sentenza n. 224 del 6 luglio 2001 della Corte costituzionale9, anche se in via incidentale, scioglie un altro dubbio sui poteri del g.u.p.; la Corte afferma infatti che il g.u.p. puo' emettere sentenza di non luogo a procedere per difetto di imputabilita' quando non ne consegua l'applicazione di una misura di sicurezza. Si e' infatti sostenuto che e' sempre precluso al g.u.p. l'accertamento della mancanza di imputabilita' e cio' sia se sussiste la pericolosita' sociale (con necessita' quindi di applicare la misura di sicurezza) sia se non emerga10. 5 Si e' sopra richiamato l'orientamento giurisprudenziale che escludeva che il g.u.p. potesse valutare la sussistenza delle attenuanti ed operare il bilanciamento. 6 La norma ha il suo antecedente storico nell'art. 226 d. lgs. n. 51/1998 che consente al g.i.p., su richiesta di parte e consenso dell'indagato, di emettere sentenza in camera di consiglio di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, per effetto del giudizio di comparazione tra le aggravanti e le circostanze attenuanti generiche. 7 Va ricordato che era stata sollevata questione di legittimita' costituzionale dell'art. 425 c.p.p. nella parte in cui non consentiva al g.u.p. di valutare la sussistenza delle attenuanti e di procedere al giudizio di comparazione tra le circostanze, ai fini della declaratoria di una causa di estinzione del reato, a differenza di quanto disposto nel regime transitorio dagli articoli 256 e 257 d.lgs. 271/1989; la Corte costituzionale rigetto' la questione ritenendo che vi fosse una non omologabilita' di situazioni; cfr. sentenza 431/1990: "mentre nel regime transitorio il giudice di norma e' in possesso di un fascicolo processuale contenente gli atti dell'istruttoria ed esamina un vero e proprio complesso probatorio, il giudice dell'udienza preliminare di regola non dispone degli elementi necessari a riconoscere circostanze attenuanti ed a procedere al giudizio di cui all'art. 69 c.p. dato che le prove ed il successivo accertamento dei fatti si profileranno solo con il dibattimento". 8 Cfr. Cass. sentenza n. 2110 del 15 aprile 1998 - 8 maggio 1998 prima citata. 9 Sotto il regime dell'evidenza, con sentenza 41/1993, la Corte costituzionale aveva dichiarato l'incostituzionalita' dell'art. 425 c.p.p. nella parte in cui stabiliva che il giudice potesse pronunciare sentenza di non luogo a procedere quando risultava evidente che l'imputato era persona non imputabile; in sintesi, aveva ritenuto la Corte che la valutazione della sussistenza dell'inimputabilita' e la conseguente applicazione della misura di sicurezza, basata sulla valutazione della pericolosita' sociale, comportavano un giudizio di responsabilita' precluso al g.u.p., in forza dell'uso del termine "evidente", tenuto conto della natura dell'udienza preliminare. La Corte ritenne inoltre sussistere una compressione del diritto di difesa, in quanto all'imputato sarebbe stato precluso il diritto alla prova sul merito esercitabile in dibattimento. Fu cosi' preclusa la g.u.p. la possibilita' di dichiarare il non luogo a procedere per la mancanza di imputabilita' e di applicare la misura di sicurezza. 10 Tale tesi e' sostenuta, con diverse argomentazioni da Maria Costantini in "La declaratoria di non imputabilita' nell'udienza preliminare dopo la legge Carotti" in Cass. pen. 2001 pag. 1375 e ss. La tesi della Corte costituzionale e' del tutto condivisibile (la mancanza di imputabilita' rientra nell'indicazione della non punibilita' "per qualsiasi causa ). Infatti, operando una lettura congiunta dei commi 1 e 4 dell'art. 425 c.p.p., il g.u.p. puo' emettere sentenza di non luogo a procedere dichiarando la non imputabilita' della persona solo allorche' non sia emersa la pericolosita' sociale dell'imputato e la conseguente necessita' di dover applicare la misura di sicurezza. Osserva un commentatore: "Se non fosse cosi' si realizzerebbe una insana ed illogica sperequazione: il non imputabile dovrebbe in ogni caso subire il processo, anche ai soli fini della dichiarazione di non imputabilita'. Allo stesso modo non puo' dichiararsi la non punibilita' quando ad essa segua l'applicazione di una misura di sicurezza".11 Il divieto di applicare la misura di sicurezza e' coerente con il nuovo sistema processuale, nel quale il g.u.p. opera una verifica giurisdizionale profonda con i limiti della declaratoria di responsabilita' e dell'applicazione della pena (salve le ipotesi di riti alternativi). Ed e' questo il motivo per cui gli e' preclusa solo l'applicazione di misure di sicurezza (diverse dalla confisca); infatti la misura di sicurezza e' comunque una sanzione e richiede che il provvedimento del giudice che l'applica possa acquisire definitivita': carattere che invece manca ai provvedimenti conclusivi dell'udienza preliminare. Inoltre, proprio l'attribuzione del potere di applicare la confisca e' l'ulteriore conferma del carattere sempre piu' giurisdizionale, piu' che processuale, della decisione del g.u.p. Il complesso delle modifiche normative ha profondamente trasfonnato l'udienza preliminare, modificando e radicalizzando la sua funzione di filtro: il g.u.p. e' divenuto giudice di merito, pur se di una fase procedimentale, ed opera una verifica giurisdizionale profonda12; dispone il giudizio solo allorche' ha escluso che dalle fonti di prova possano derivare esiti diversi dal proscioglimento. E' preclusa al g.u.p. la declaratoria di responsabilita' dell'imputato - che pure pero' sostanzialmente opera allorche' valuta la sussistenza delle attenuanti ed il bilanciamento delle circostanze13 - e l'applicazione della pena (salve le ipotesi dei riti alternativi); da qui, come si e' detto l'impossibilita' di applicare misure di sicurezza diverse dalla confisca. L'interpretazione proposta trova anche un ulteriore conforto nell'art. 111 Cost.; infatti il comma 2 prevede il principio della ragionevole durata del processo. Orbene, se al momento della valutazione del g.u.p. emerga l'insufficienza o la contraddittorieta' delle fonti di prova ad un giudizio di penale responsabilita' o l'inidoneita' delle stesse al sostegno dell'accusa in giudizio, impedire la immediata declaratoria del non luogo a procedere riservando al dibattimento il proscioglimento per l'insufficienza probatoria, lede il principio della ragionevole durata del processo, posponendo inutilmente la valutazione favorevole all'imputato. d) L'incompatibilita' del giudice nelle ipotesi di concorso di persone nel reato. Con la sentenza n. 113 del 2000, la Corte costituzionale, richiamando la precedente sua giurisprudenza (cfr. in particolare le sentenze 186 del 1992; 439 del 1993; 371 del 1996; 306, 307, 308 del 1997; 241 del 1999) ha precisato che nelle ipotesi di concorso di persone nel medesimo reato, l'aver pronunciato sentenza nei confronti di alcuno dei concorrenti non rende per cio' stesso il giudice incompatibile al successivo giudizio nei confronti degli altri, in quanto e' fermo il principio per il quale nella naturale unitarieta' delle figure di concorso alla comunanza dell'imputazione fa riscontro una pluralita' di condotte distintamente ascrivibili a ciascuno dei concorrenti, le quali, ai fini del giudizio di responsabilita', devono formare oggetto di autonome valutazioni, suscettibili di sfociare in un accertamento positivo nell'un caso e negativo nell'altro. L'incompatibilita' si puo' verificare certamente nelle situazioni estreme individuate dalla sentenza n. 371 del 17 ottobre 1996; (con tale sentenza la Corte dichiarava l'illegittimita' dell'art. 34 c.p.p. nella parte in cui non prevedeva che non potesse partecipare al giudizio nei confronti di un imputato il giudice il quale avesse pronunciato o concorso a pronunciare una precedente sentenza nei confronti di altri soggetti, in cui la posizione di quello stesso imputato in ordine alla sua responsabilita' fosse stata comunque valutata). E va ricordato che la questione era stata sollevata anche dalla Corte di assise di Napoli nel corso di un processo scaturito dalla separazione da altro processo a carico di numerosi imputati di un delitto associativo definito con sentenza: cioe' in una ipotesi di concorso di persone necessario e allorche' il giudizio di merito si era concluso con l'atto - la sentenza - piu' profondo e caratterizzante la funzione giurisdizionale. 11 Cfr. Teresa Bene, op. cit. pag. 455. 12 In questo senso A.A. Dalia "L'anticipazione della soglia di giudizio" in Le recenti modifiche al codice di procedura penale, ed. Giuffre', 2000, pag.12: "Non siamo piu' in presenza di un "filtro destinato a trattenere le imputazioni azzardate, ma ad una verifica giurisdizionale approfondita e dettagliata della possibilita' di definire l'imputazione con tutti gli esiti diversi dalla condanna, sempre che non si ricorra al giudizio abbreviato, nel qual caso non opera neppure il limite della condanna". 13 Nello stesso senso Dalia, op. cit. Con la sentenza n. 113 del 2000 si sono nuovamente ricordati i principi e la ratio degli istituti dell'incompatibilita' - collegata al pregiudizio nell'ambito dello stesso procedimento - dell'astensione e ricusazione; la Corte ha quindi chiarito, ribadendo i principi stabiliti nelle sentenze 306, 307, 308 del 1997, che nelle ipotesi diverse da quelle oggetto della sentenza 371/1996 in cui il giudice ha gia' operato una valutazione di merito nei confronti di concorrenti necessari nel reato, estranei al successivo giudizio, soccorrono, per la tutela del principio del giusto processo, gli istituti della astensione, ex art. 36, lett. H, c.p.p., e della ricusazione; la Corte ha quindi ulteriormente specificato che e' questione di fatto, da individuare caso per caso, se sussista in concreto il pregiudizio del giudice, e quindi i motivi di astensione per gravi ragioni di convenienza. Cio' in quanto non e' possibile individuare una casistica precisa esaustiva di tutte le ipotesi di incompatibilita', dovendo invece essere affermati solo i principi fondanti gli istituti de quo. 4. - Conclusioni: il contrasto con gli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione. Orbene, avendo la Corte costituzionale affermato che la decisione assunta al termine dell'udienza preliminare ha valore equiparabile al giudizio, trattandosi di una valutazione di merito priva "... di quei caratteri di "sommarieta' che prima della riforma erano tipici di una delibazione tendenzialmente circoscritta allo stato degli atti" si rileva che nel caso in esame il g.u.p. si trova nella stessa identica situazione estrema individuata dalla sentenza n. 371 del 17 ottobre 1996: infatti il g.u.p. si trova a partecipare all'udienza preliminare (la decisione al termine della quale ha valore di giudizio) nei confronti di piu' imputati nonostante abbia pronunciato una precedente sentenza nei confronti di altri soggetti concorrenti necessari nel reato, ma nella quale la posizione di quegli stessi - attuali - imputati in ordine alle loro responsabilita' sia stata comunque valutata. Che tale valutazione sia in concreto avvenuta puo' rilevarsi dalla lettura della sentenza nei confronti di Barone ed altri. Dunque, l'omessa previsione nell'art. 34 c.pp. di tale ipotesi di incompatibilita' determina una violazione in primo luogo degli artt. 24 e 111 Cost., poiche' la posizione dell'imputato deve essere esaminata da un giudice che ha gia' valutato, anche se incidentalmente, con sentenza, la condotta ascritta, ma in diverso processo nei confronti di coimputati concorrenti necessari nel reato; cio' viola sia i diritti di difesa dell'imputato che quello ad avere un giusto processo, con un giudice imparziale privo di quella naturale forza di prevenzione derivante dalla naturale propensione a tener fermo il giudizio precedentemente espresso in ordine alla medesima res iudicanda. Ma vi e' anche la violazione dell'art. 3 della Costituzione, posto che in una situazione oramai identica e' stata gia' dichiarata, con la sentenza n. 371 del 17 ottobre 1996 della Corte costituzionale, l'illegittimita' costituzionale dell'art. 34 c.p.p. nella parte in cui non prevedeva che non potesse partecipare al giudizio nei confronti di un imputato il giudice il quale avesse pronunciato o concorso a pronunciare una precedente sentenza nei confronti di altri soggetti, in cui la posizione di quello stesso imputato in ordine alla sua responsabilita' fosse stata comunque valutata.
P. Q. M. Letti gli artt. 134 Cost. 1 legge cost. 9 febbraio 1948, n. 1, e 23 legge 11 marzo 1953 n. 87; Ritenuta la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 34 c.p.p., per contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 Cost., nella parte in cui non prevede l'incompatibilita' del g.u.p. a celebrare l'udienza preliminare allorche' egli abbia gia' valutato la posizione degli imputati in altro processo definito con sentenza di rito abbreviato nei confronti di coimputati concorrenti necessari, non manifestamente infondata e rilevante ai fini della decisione; Sospende il giudizio in corso; Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina alla cancelleria di notificare la presente ordinanza agli imputati, al p.m., al sig. Presidente del Consiglio dei ministri; Ordina alla cancelleria di comunicare la presente ordinanza ai signori Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di competenza. Napoli, cosi' deciso il 14 novembre 2001. Il giudice per le indagini preliminari: Semeraro 02C20116