N. 49 SENTENZA 27 febbraio - 15 marzo 2002

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Reati  e  pene - Reati in materia di imposte sui redditi e sul valore
  aggiunto   -  Emissione  di  fatture  e  documenti  per  operazioni
  inesistenti  - Esclusione della punibilita' a titolo di tentativo e
  a  titolo  di  concorso  nel  reato  -  Prospettata  disparita'  di
  trattamento  tra l'emittente (punito a titolo di delitto consumato)
  e  l'utilizzatore e committente della falsa fatturazione (esente da
  pena)  -  Richiesta  di  pronuncia  in  malam  partem  e incoerente
  rispetto   alla   linea   di   riforma  legislativa  in  materia  -
  Inammissibilita' della questione.
- D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, artt. 6 e 9, comma 1, lettera b).
- Costituzione, art. 3.
(GU n.12 del 20-3-2002 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Cesare RUPERTO;
Giudici: Massimo VARI, Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKY, Valerio
ONIDA,  Carlo  MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA, Piero
Alberto  CAPOTOSTI,  Annibale  MARINI,  Franco  BILE,  Giovanni Maria
FLICK;
ha pronunciato la seguente:

                              Sentenza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 6 e 9, comma
1,  lettera  b),  del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova
disciplina  dei  reati in materia di imposte sui redditi e sul valore
aggiunto,  ai  sensi  dell'articolo  9  della  legge  25 giugno 1999,
n. 205), promosso con ordinanza emessa il 17 gennaio 2001 dal giudice
per le indagini preliminari del Tribunale di Brescia nel procedimento
penale  a carico di M.P. L. ed altro, iscritta al n. 297 del registro
ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 17, 1a serie speciale, dell'anno 2001.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera di consiglio del 21 novembre 2001 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.

                          Ritenuto in fatto

    1. - Con  ordinanza  emessa  il 17 gennaio 2001 il giudice per le
indagini  preliminari  del  Tribunale  di  Brescia  ha  sollevato, in
riferimento  all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimita'
costituzionale  degli  artt. 6  e 9, comma 1, lettera b), del decreto
legislativo  10 marzo  2000,  n. 74  (Nuova  disciplina  dei reati in
materia  di  imposte  sui  redditi  e  sul  valore aggiunto, ai sensi
dell'articolo  9  della legge 25 giugno 1999, n. 205), nella parte in
cui  escludono, rispettivamente, la punibilita' a titolo di tentativo
del  delitto di cui all'art. 2 del medesimo decreto legislativo, e la
punibilita'  di  chi  si  avvale  di  fatture  o  altri documenti per
operazioni inesistenti a titolo di concorso nel reato di emissione di
tali fatture o documenti, previsto dall'art. 8 del decreto stesso.
    L'ordinanza   di   rimessione   -   pronunciata   a   conclusione
dell'udienza  preliminare  -  premette,  in  punto  di fatto, che nei
confronti  degli  imputati  era  stata  promossa azione penale per il
delitto  di  cui  all'art. 4, comma 1, lettera d), del d.l. 10 luglio
1982,  n. 429,  convertito,  con  modificazioni, nella legge 7 agosto
1982,  n. 516, in relazione, tra l'altro, all'avvenuta annotazione di
fatture  relative ad operazioni inesistenti nelle scritture contabili
di un'impresa commerciale.
    I  fatti  contestati - prosegue l'ordinanza - dovrebbero peraltro
considerarsi,  per  tale parte, ormai penalmente irrilevanti a fronte
dell'entrata  in  vigore  del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, recante la
nuova disciplina dei reati in materia di imposte dirette e sul valore
aggiunto.   Nella   specie  non  risulta,  infatti,  che  di  seguito
all'annotazione  delle  false  fatture  in  contabilita' gli imputati
abbiano   presentato   dichiarazioni   dei   redditi   infedeli,  con
conseguente mancanza di uno degli elementi costitutivi del delitto di
cui   all'art. 2   del   citato  decreto  legislativo  (dichiarazione
fraudolenta  mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni
inesistenti);   ne',   d'altro  canto,  le  condotte  di  annotazione
potrebbero  considerarsi  punibili a titolo di tentativo del predetto
delitto,  ostandovi  l'espresso disposto dell'art. 6 del d.lgs. n. 74
del  2000.  Gli autori dell'annotazione non potrebbero essere puniti,
infine,  neppure quali concorrenti nel reato di emissione delle false
fatture  - autonomamente contemplato dall'art. 8 del d.lgs. n. 74 del
2000  -  rimanendo  una simile ipotesi parimenti esclusa dall'art. 9,
comma 1, lettera b), del medesimo decreto legislativo.
    Ad  avviso  del  giudice  a  quo, peraltro, l'assetto prefigurato
dalle disposizioni impugnate risulterebbe del tutto irragionevole: la
disparita'  di  trattamento  tra la condotta di emissione delle false
fatture  (sanzionata  dal  citato  art. 8  come  delitto consumato) e
quella   di   annotazione   delle  medesime  nella  contabilita'  del
percettore  (viceversa  "scriminata"  dall'art. 6,  con  l'esclusione
della  sua  punibilita'  anche  solo  a  titolo di tentativo) sarebbe
difatti  priva  di giustificazione, trattandosi di condotte "entrambe
propedeutiche  alla  presentazione  di  una  dichiarazione reddituale
infedele,   e   che  ontologicamente  si  distinguono  solamente  per
la maggiore  o  minore  distanza  temporale  da tale evento, idoneo a
ledere gli interessi erariali".
    L'irragionevolezza  denunciata risulterebbe, d'altra parte, ancor
piu'  evidente  ove  si  consideri  che l'utilizzatore rappresenta il
"beneficiario"  e,  per  cio'  stesso,  il  "committente" della falsa
fatturazione,  la  quale  viene di solito affidata a meri prestanome:
apparirebbe  dunque  "aberrante"  che  -  allorquando l'iter criminis
venga  interrotto  in  un  momento intermedio tra l'annotazione delle
false  fatture  e  la  presentazione  della  dichiarazione infedele -
l'esecutore materiale della condotta preparatoria sia punito a titolo
di  "frode  fiscale"  consumata,  mentre  chi  ne  ha  commissionato,
determinato o istigato l'attivita' resti immune da pena, anche solo a
titolo di tentativo o di concorso.
    Quanto,  poi,  alla  rilevanza  della  questione,  il  rimettente
sottolinea  come, in caso di rimozione delle norme censurate, i fatti
ascritti agli imputati - rispetto ai quali si imporrebbe, allo stato,
la  dichiarazione di non luogo a procedere - risulterebbero viceversa
punibili,  in  base  ai  principi generali, per l'appunto a titolo di
concorso   nell'attivita'   dell'emittente  "e/o"  di  "tentativo  di
dichiarazione infedele".
    2. - Nel   giudizio   di   costituzionalita'  e'  intervenuto  il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  il quale ha chiesto, in via
principale, che la questione sia dichiarata inammissibile per difetto
di   rilevanza,   in  quanto  l'intervento  invocato  dal  rimettente
implicherebbe  l'introduzione  di  una  norma  incriminatrice che non
potrebbe comunque operare nel giudizio a quo.
    Nel  merito,  la  questione  sarebbe  -  ad  avviso  della difesa
erariale  -  comunque  infondata,  in  quanto  le  norme impugnate si
inserirebbero  armonicamente  nelle  linee  della riforma del sistema
penale   tributario   operata   dal   d.lgs.   n. 74   del   2000,  e
particolarmente    in    quella    dell'abrogazione    delle    norme
incriminatrici,  gia'  contemplate  dalla  legge n. 516 del 1982, che
colpivano   violazioni   solo   potenzialmente  dirette  all'evasione
fiscale,  al  fine  di  concentrare  la  risposta  punitiva  su poche
fattispecie  delittuose,  connotate  da  una  rilevante  capacita' di
offesa degli interessi erariali.

                       Considerato in diritto

    1. - Il  giudice  per  le  indagini  preliminari del Tribunale di
Brescia  dubita  della legittimita' costituzionale degli artt. 6 e 9,
comma  1,  lettera  b),  del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74
(Nuova  disciplina  dei reati in materia di imposte sui redditi e sul
valore aggiunto, ai sensi dell'articolo 9 della legge 25 giugno 1999,
n. 205),   nella   parte   in   cui  escludono,  rispettivamente,  la
punibilita'  a  titolo di tentativo del delitto di cui all'art. 2 del
medesimo  decreto  legislativo,  e la punibilita' di chi si avvale di
fatture  o  altri  documenti  per  operazioni inesistenti a titolo di
concorso nel reato di emissione di tali fatture o documenti, previsto
dall'art. 8 del decreto stesso.
    Ad  avviso  del  giudice rimettente, la disparita' di trattamento
riscontrabile  -  in  conseguenza  delle  norme  impugnate  -  tra la
condotta  di  emissione  delle  false  fatture (sanzionata dal citato
art. 8 come delitto consumato) e quella di annotazione delle medesime
nella  contabilita'  del  percettore (destinata per contro a rimanere
del  tutto  priva  di  risposta  punitiva,  anche  solo  a  titolo di
tentativo  o  di concorso, ove non seguita dalla presentazione di una
dichiarazione  inveritiera)  risulterebbe  sfornita di ogni razionale
giustificazione,  e  come tale lesiva dell'art. 3 della Costituzione.
Per  un  verso,  infatti, si sarebbe al cospetto di condotte entrambe
oggettivamente dirette ed idonee alla successiva presentazione di una
dichiarazione  mendace,  le  quali  si  distinguerebbero soltanto per
la maggiore  o  minore  distanza  temporale da tale evento; per altro
verso,  l'utilizzatore  (mandato  esente da pena) rappresenterebbe il
beneficiario   e,   percio'   stesso,   il  committente  della  falsa
fatturazione,  mentre  l'emittente  (viceversa  punito  a  titolo  di
delitto  consumato)  si  identificherebbe,  di  solito,  in  un  mero
prestanome, che esegue pedissequamente le direttive del primo.
    2. - La questione e' inammissibile.
    Nel  denunciare  come  lesiva  dell'art. 3 Cost. la disparita' di
trattamento   fra   l'emittente   e  l'utilizzatore  di  fatture  per
operazioni  inesistenti riscontrabile nella vigente disciplina penale
tributaria,  quale  delineata  dal  d.lgs. n. 74 del 2000, il giudice
rimettente  chiede  infatti  a  questa Corte di rimuoverla tramite un
riequilibrio  in  malam  partem  del rispettivo regime sanzionatorio.
Tale  riequilibrio  si dovrebbe realizzare segnatamente a mezzo di un
intervento  ablativo  delle  disposizioni degli artt. 6 e 9, comma 1,
lettera  b),  del  citato  decreto  legislativo: cosi' da permettere,
nella  sostanza  -  contrariamente  a quanto il legislatore ha inteso
stabilire   -   di   riconoscere  rilievo  penale  alla  condotta  di
utilizzazione  delle false fatture (in primis, nella forma della loro
registrazione nelle scritture contabili), ancorche' non seguita dalla
presentazione  di  una dichiarazione annuale dei redditi o sul valore
aggiunto, recettiva delle risultanze delle fatture stesse.
    Un  simile  intervento  non soltanto determinerebbe l'ampliamento
(sia  pure attraverso la combinazione con le disposizioni generali in
tema  di  tentativo  e  concorso  di  persone  nel reato) dell'ambito
applicativo  delle  norme  incriminatrici di cui agli artt. 2 e 8 del
d.lgs.  n. 74  del  2000:  con  un  effetto  che non puo' in linea di
principio  conseguire  ad  una  pronuncia della Corte, a fronte della
riserva di legge sancita dall'art. 25, secondo comma, Cost. (cfr., ex
plurimis,  sentenze  n. 508  del  2000  e  n. 411 del 1995; ordinanze
n. 580  del  2000  e  n. 392  del  1998). Esso implicherebbe anche un
riassetto  del  sistema  penale  tributario,  secondo  una  linea  di
politica criminale autonoma e contrapposta rispetto a quella adottata
dal legislatore, nell'ambito della sua discrezionalita', in occasione
della recente riforma.
    Tale     opzione     politico-criminale     consiste     infatti,
fondamentalmente,   nell'abbandono   del   modello  del  c.d.  "reato
prodromico",  caratteristico  della  precedente  disciplina di cui al
d.l.  10 luglio  1982,  n. 429,  convertito, con modificazioni, nella
legge  7 agosto  1982,  n. 516  -  modello  che  attestava  la  linea
d'intervento   repressivo   sulla   fase   meramente   "preparatoria"
dell'evasione  d'imposta  -  a  favore  del recupero alla fattispecie
penale   tributaria   del   momento   dell'offesa   degli   interessi
dell'erario.  Questa  strategia  -  come  si  legge  nella  relazione
ministeriale  -  ha  portato a focalizzare la risposta punitiva sulla
dichiarazione  annuale,  quale  atto  che  "realizza,  dal  lato  del
contribuente, il presupposto obiettivo e "definitivo " dell'evasione,
negando  rilevanza  penale  autonoma  alle violazioni "a monte" della
dichiarazione stessa.
    La  disposizione  dell'art. 6  del  d.lgs.  n. 74  del 2000, oggi
denunciata,  si  colloca  nel solco di detta strategia. Escludendo la
punibilita'   a  titolo  di  tentativo  dei  delitti  in  materia  di
dichiarazione  di  tipo  commissivo  di cui agli artt. 2, 3 e 4 dello
stesso   decreto  legislativo,  essa  mira  infatti  -  oltre  che  a
stimolare,    nell'interesse   dell'erario,   la   resipiscenza   del
contribuente  scoperto  nel  corso del periodo d'imposta - ad evitare
che   violazioni  "preparatorie",  gia'  autonomamente  represse  nel
vecchio   sistema  (registrazione  in  contabilita'  di  fatture  per
operazioni   inesistenti,   omesse  fatturazioni,  sottofatturazioni,
ecc.),  possano  essere  ritenute tuttora penalmente rilevanti ex se,
quali  atti  idonei,  preordinati  in  modo non equivoco ad una falsa
dichiarazione.
    Nondimeno  -  per  ragioni che non interessa scrutinare in questa
sede,  collegate  dalla  relazione  ministeriale  ad  una valutazione
marcatamente  negativa  del  ruolo  svolto  dagli autori "tipici" del
fatto  incriminato, "nel quadro delle fenomeniche dell'evasione" - il
legislatore  ha  perpetuato,  in  via d'eccezione, il vecchio modello
punitivo in rapporto all'emissione di fatture (o altri documenti) per
operazioni  inesistenti,  finalizzata a consentire l'evasione altrui:
condotta  che l'art. 8 del d.lgs. n. 74 del 2000 continua a reprimere
penalmente  in  se' e per se' - al pari dell'art. 4, comma 1, lettera
d),  della  legge  n. 516 del 1982 - ancorche' meramente preparatoria
dell'evasione stessa.
    Proprio  a  conferma,  pero',  del  carattere eccezionale di tale
deviazione  dalla linea guida della riforma, il legislatore ha inteso
comunque  assicurare  che  dal  lato dell'utilizzatore la punibilita'
resti  ancorata  alla  falsa dichiarazione, escludendo, con l'art. 9,
comma  1,  lettera b), del d.lgs. n. 74 del 2000, la configurabilita'
del  concorso  dell'utilizzatore  stesso  nel  fatto  dell'emittente:
concorso  altrimenti ravvisabile nella generalita' dei casi, a fronte
dell'accordo tra i due soggetti normalmente sottostante all'emissione
delle false fatture.
    Cio'  posto, l'intervento richiesto dal giudice a quo - nel senso
della dilatazione della deroga alla strategia di abbandono del "reato
prodromico"  -  verrebbe  evidentemente  ad  alterare  gli  equilibri
complessivi del sistema.
    La  rimozione  dell'art. 6  del d.lgs. n. 74 del 2000 - la quale,
tra  l'altro,  non varrebbe ad eliminare la disparita' di trattamento
denunciata,  ma  solo  ad  attenuarla:  posta  l'identita' delle pene
edittali  comminate  dagli  artt. 2  e 8, l'emittente sarebbe infatti
punito  a titolo di delitto consumato, l'utilizzatore invece a titolo
di  semplice tentativo rischierebbe, in particolare, di avere effetti
di  ricaduta in rapporto agli altri delitti di falso in dichiarazione
di  cui  agli  att.  3 e 4 del d.lgs. n. 74 del 2000. Non vi sarebbe,
infatti,  ragione  per  differenziare,  sotto il profilo considerato,
l'annotazione  in  contabilita'  di  fatture  passive  per operazioni
inesistenti  rispetto, ad esempio, all'annotazione in contabilita' di
fatture  attive  che  indichino i corrispettivi in misura inferiore a
quella reale, la quale potrebbe essere considerata, allo stesso modo,
atto  idoneo  diretto in modo non equivoco a realizzare il delitto di
dichiarazione  infedele, di cui all'art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000.
In  una  simile  prospettiva,  peraltro, violazioni - quali quelle in
materia  di fatturazione e di annotazione nelle scritture contabili -
gia'  configurate  dall'art. 1  della  legge  n. 516  del  1982  come
semplici  contravvenzioni, rischierebbero di trasformarsi in delitti,
sia pure tentati.
    A sua volta, la dichiarazione di incostituzionalita' dell'art. 9,
comma  1,  lettera  b),  svuoterebbe  di significato pratico la norma
incriminatrice  del delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso
di  fatture  o  altri  documenti  per  operazioni inesistenti, di cui
all'art. 2  del  d.lgs. n. 74 del 2000: per effetto dell'applicazione
dell'istituto  del  concorso  di  persone  nel  reato,  la  linea  di
intervento  penale  risulterebbe  in  concreto  spostata, riguardo al
destinatario  delle fatture, dal momento della dichiarazione a quello
dell'emissione della falsa documentazione ("prodromico" non solo alla
dichiarazione, ma alla stessa utilizzazione).
    Ne   discende,   dunque,   l'inammissibilita'   del   quesito  di
costituzionalita' proposto.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara    inammissibile    la    questione    di   legittimita'
costituzionale  degli  artt. 6  e 9, comma 1, lettera b), del decreto
legislativo  10 marzo  2000,  n. 74  (Nuova  disciplina  dei reati in
materia  di  imposte  sui  redditi  e  sul  valore aggiunto, ai sensi
dell'articolo  9  della  legge 25 giugno 1999, n. 205), sollevata, in
riferimento   all'art. 3  della  Costituzione,  dal  giudice  per  le
indagini  preliminari  del  Tribunale  di  Brescia con l'ordinanza in
epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 27 febbraio 2002.
                       Il Presidente: Ruperto
                         Il redattore: Flick
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 15 marzo 2002.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
02C0194