N. 148 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 febbraio 2002

Ordinanza   emessa   il  20  febbraio  2002  dalla  Corte  dei  conti
sull'appello  proposto  da  Feliciani  Nevio  contro  Ministero della
difesa

Pensioni  -  Aumenti stipendiali corrisposti al personale dirigente -
  Estensione  al  personale  in  quiescenza  -  Mancata  previsione -
  Violazione del principio affermato dalla giurisprudenza della Corte
  costituzionale,  di  "ragionevole  corrispondenza"  tra  pensione e
  trattamento  di  servizio  -  Violazione  del principio di adeguata
  retribuzione   (anche   differita)   -   Incidenza  sulla  garanzia
  previdenziale    -    Riferimento   alle   sentenze   della   Corte
  costituzionale nn. 42/1993, 226/1993 e 62/1999.
- Decreto-legge 27 dicembre 1989, n. 413, art. 1, comma 2, convertito
  in  legge  28 febbraio 1990, n. 37; decreto-legge 24 novembre 1990,
  n. 344,  art.  5, convertito, con modificazioni in legge 23 gennaio
  1991,  n. 21,  art. 1, comma 1; decreto-legge 7 gennaio 1992, n. 5,
  artt.  2,  3  e  4,  convertito con modificazioni, in legge 6 marzo
  1992, n. 216, art. 1.
- Costituzione, artt. 3, 36 e 38.
(GU n.15 del 10-4-2002 )
                         LA CORTE DEI CONTI

Ha   pronunciato  la  seguente  ordinanza  sull'appello  iscritto  al
n. 005140  del  registro  di segreteria, proposto da Nevio Feliciani,
rappresentato  e  difeso  dall'avv.  Filippo  De  Jorio e domiciliato
presso il suo studio in Roma al n. 12 della via Campo Marzio, avverso
la  sentenza  della sezione giurisdizionale della Corte dei conti per
l'Emilia-Romagna  n. 179  del  4  luglio 1995, depositata il 3 aprile
1996.
    Visti gli atti e documenti tutti di causa;
    Uditi,  alla  pubblica  udienza  del  9 gennaio 2002, il relatore
consigliere Sergio Maria Pisana e l'avv. Filippo De Jorio;

                              F a t t o

    Con   l'impugnata   sentenza   e'   stata   respinta  la  domanda
dell'appellante  tendente  ad  ottenere  la ridefinizione del proprio
trattamento  pensionistico  sulla  base dei miglioramenti retributivi
disposti con le leggi 28 febbraio 1990 n. 37, 23 gennaio 1991 n. 21 e
6  marzo  1992 n. 216. E cio' nella considerazione che non esiste nel
nostro   ordinamento   un   principio   positivo  di  perequazione  e
riliquidazione   dei   trattamenti  di  quiescenza  in  relazione  al
trattamento economico dei dipendenti in servizio, esistendo invece al
riguardo   una   sfera   di   discrezionalita'  del  legislatore,  da
esercitarsi nel rispetto del principio di ragionevolezza.
    Con  l'atto  in  esame  l'appellante  dopo  avere  affermato  che
l'attuale  divario  fra  trattamento  del  personale in servizio e il
proprio trattamento pensionistico superava di gran lunga proprio quel
limite    della    ragionevolezza,   chiedeva   in   via   principale
l'accoglimento  del  ricorso  e, in via gradata, il deferimento della
questione  alle  sezioni  riunite  della  Corte  dei  conti, o in via
alternativa  alla  Corte  costituzionale,  o  infine  alla  Corte  di
giustizia  europea.  Atteso  che, per un caso analogo, questa sezione
aveva  sollevato  incidente  di  costituzionalita'  delle norme delle
leggi  28  febbraio  1990  n. 37,  23 gennaio1991 n. 21, 6 marzo 1992
n. 216,  invocate  dall'appellante,  nella parte in cui non prevedono
l'estensione  al  personale  gia'  in quiescenza dei benefici da essi
recati  al  personale  in servizio, con ordinanza n. 7 del 22 gennaio
1998 e' stata disposta la sospensione del presente giudizio sino alla
definizione  del citato giudizio di costituzionalita'. Tale pronuncia
e' intervenuta con la sentenza costituzionale n. 62 del 5 marzo 1999,
che ha dichiarato non fondata la questione di costituzionalita'.
    In  udienza,  l'avv.  De  Jorio  ha  sostenuto  che  la  sentenza
costituzionale anzidetta e' stata pronunciata a non judice, in quanto
faceva  parte  del  collegio  giudicante  l'avv. Fernanda Contri, che
sarebbe  stata  priva  dei  requisiti  soggettivi per essere nominata
giudice  costituzionale;  inoltre, ha rilevato che la sentenza stessa
e'  viziata  di errore di fatto, per avere il giudice delle leggi del
tutto  frainteso  l'ordinanza  di  rimessione  della  questione, come
illustrato  ampiamente  nell'istanza  di  revocazione  prodotta dallo
stesso  avvocato  alla  Corte  costituzionale, e da questa archiviata
senza nemmeno essere assegnata a un relatore, in contrasto con quanto
operato  in  un  precedente  analogo caso di revocazione davanti alla
stessa  Corte;  ha chiesto, pertanto, che la questione venga di nuovo
rimessa  alla  Corte  medesima,  reiterando i motivi che erano a base
della precedente ordinanza di rimessione.

                            D i r i t t o

    Preliminarmente  la sezione rileva di non avere essa competenza a
conoscere   e   decidere   in   merito  alla  censura  di  irregolare
composizione  del  collegio  che ha emesso la sentenza costituzionale
n. 62  del  1999,  in  quanto  l'art. 2 della legge costituzionale 22
novembre   1967,   n. 2,  dispone  che  "e'  competenza  della  Corte
costituzionale  accertare  l'esistenza  dei  requisiti  soggettivi di
ammissione  dei  propri  componenti  ...  deliberando  a  maggioranza
assoluta dei suoi componenti".
    Per   quanto,   invece,  concerne  il  contenuto  della  sentenza
costituzionale  predetta,  il  collegio  ritiene di dover fare alcune
puntualizzazioni.
    La   stessa   Corte   costituzionale,   in   precedenti  pronunce
(n. 42/1993  e  n. 226/1993),  pur  affermando  l'inesistenza  di  un
principio  costituzionale  che  imponga  l'automatico adeguamento del
trattamento   di   quiescenza   al   trattamento  d'attivita',  aveva
rivendicato  a  se  stessa  il  diritto di intervenire ogni qualvolta
risultasse   vulnerata   la   "ragionevole  corrispondenza"  tra  due
trattamenti;   ispirandosi   a  tale  riserva,  questa  sezione,  con
ordinanza  del 24 giugno 1997, aveva chiesto l'intervento della Corte
costituzionale  proprio perche' accertasse se un simile vulnus non si
fosse   verificato   per  l'allargarsi  della  "forbice"  fra  i  due
trattamenti.
    Il  giudice  delle  leggi,  con la citata sentenza n. 62/1999, ha
motivato   il   giudizio   di   infondatezza   della   questione   di
costituzionalita'  con  la  scarna affermazione che "contrariamente a
quanto  prospetta  il  giudice  rimettente,  non  vi  e' un principio
costituzionale  che  imponga  l'automatico adeguamento delle pensioni
agli stipendi".
    Ora, il collegio non puo' non osservare che questa motivazione e'
inadeguata  e  incoferente rispetto all'ordinanza di rimessione della
questione  di  costituzionalita'.  Come  esattamente  riportato nella
premessa  in fatto della stessa sentenza - costituzionale n. 62/1999,
il giudice a quo aveva riconosciuto come "indubbio che il legislatore
gode  di  ampia  discrezionalita'  nella  fissazione dei rapporti tra
incrementi stipendiali ed incrementi pensionistici": in altre parole,
che  non  sussiste  per  il  legislatore alcun vincolo di adeguamento
automatico delle pensioni agli stipendi.
    Non  si  comprende,  allora,  come  la motivazione della sentenza
costituzionale  sia  tutta  e  soltanto costituita dalla asserzione -
contrastante  con  quanto, come detto sopra, riportato nella premessa
della  stessa  sentenza che il giudice rimettente avrebbe prospettato
l'esistenza  di  un  siffatto principio costituzionale di adeguamento
automatico.
    Sempre  nella  premessa in fatto della sentenza costituzionale in
parola, viene riportato con esattezza che il giudice rimettente aveva
sottolineato che, secondo quanto ribadito dalle sentenze nn. 42 e 226
del  1993  della  stessa  Corte costituzionale, la proporzionalita' e
l'adeguatezza  del trattamento di quiescenza devono esistere non solo
al  momento  della  cessazione  dal  servizio, ma anche in seguito; e
poiche'  le norme in questione avevano recato aumenti dei trattamenti
di attivita' del 15% (legge 37/1990), di un altro 15% (legge 21/1991)
e   ancora  di  un  9%  (legge  n. 1216/1992),  chiedeva  alla  Corte
costituzionale di verificare se per effetto di tali leggi non fossero
venute meno quella proporzionalita' e quella adeguatezza.
    E  cio',  in  quanto  era  stata la medesima Corte costituzionale
rivendicare  a  se stessa il diritto di intervenire ogni qualvolta la
"ragionevole  corrispondenza" tra pensione e trattamento di attivita'
risultasse vulnerata.
    Quanto  teste'  rilevato  balza  agli  occhi  dalla lettura della
sentenza  costituzionale  n. 62/1999,  la  quale percio' - non avendo
pronunciato  in  corrispondenza al chiesto (art. 112 c.p.c.) - non ha
affatto  fugato i sospetti di incostituzionalita' che avevano indotto
questa  sezione  a rimettere il giudizio al riguardo al giudice delle
leggi. La questione puo' dunque essere riproposta allo stesso supremo
organo  di  giustizia costituzionale, con espresso richiamo ai motivi
esposti nell'ordinanza di rimessione del 24 giugno 1997, pubblicata a
pag.  59  della Gazzetta ufficiale della Repubblica - serie speciale,
n. 53  del  31  dicembre  1997,  che ad ogni buon conto di seguito si
riproducono:
    "Devesi,  anzitutto,  delineare in sintesi il quadro dei principi
di   ordine  costituzionale  in  relazione  ai  quali  dovra'  essere
parametrata   la  compatibilita'  costituzionale  delle  disposizioni
denunciate.  Il  collegio  ritiene di individuare i seguenti principi
regolatori della materia:
        1) proporzionalita' della pensione alla retribuzione, dei cui
caratteri la pensione, come retribuzione "differita", partecipa pleno
iure.  Ne  deriva  che  il  trattamento  di  quiescenza  deve  essere
proporzionato  alla  qualita'  e  quantita'  del  lavoro  a suo tempo
prestato;
        2)  l'applicazione  al trattamento pensionistico dell'art. 36
della  Costituzione esige che sia assicurata al pensionato e alla sua
famiglia  cosi'  come al dipendente in servizio attivo, una esistenza
libera e dignitosa;
        3)  tra  pensione  e retribuzione deve esistere costantemente
una "ragionevole" corrispondenza;
        4)  la proporzionalita' e l'adeguatezza della pensione devono
esistere  non  solo  al  momento  del collocamento a riposo, ma vanno
assicurate  anche  nel  prosieguo (cfr. sentt. Corte cost. n. 442 del
1993 e n. 226 del 1993).
    Orbene,  nella  vicenda de qua deve rilevarsi che il rapporto tra
pensione  e  trattamento  di  attivita', che si era instaurato con la
legge   perequativa  n. 468  del  1987  (resa  applicabile  anche  ai
pensionati  di data anteriore al 1 gennaio 1979 con la sentenza della
Corte  costituzionale  n. 1 del 1991), ha subito progressivamente una
sensibile   alterazione   a   danno  della  pensione  a  seguito  dei
miglioramenti  stipendiali introdotti con le disposizioni delle leggi
nn.  37/1990,  21/1991  e  216/1992,  le  quali hanno rispettivamente
incrementato  gli assegni di attivita' del 15%, di un ulteriore 15% e
del 9%.
    Il  che  rappresenta, considerando la base pensionistica di volta
in  volta allargata, circa il 47% di decremento netto del trattamento
pensionistico  nei  confronti  di  un  pari  grado  che sia andato in
pensione successivamente alla introduzione degli aumenti suddetti.
    Attesa  l'entita'  del  valore  dell'angolo  della  "forbice" tra
pensione   e   trattamento  pensionistico,  il  collegio  e'  indotto
necessariamente   a   ritenere   che   tale   valore   differenziale,
determinatosi  per altro nel giro di appena tre anni, sia irrazionale
e  contrario  alla lettera e allo spirito del sistema disegnato dagli
artt.  3,  36  e  38  della  Costituzione,  non  essendo  logico  ne'
comprensibile  che  tra  due  persone,  che  hanno prodotto la stessa
quantita'  e  qualita'  di  lavoro  ed  abbiano  la  stessa posizione
giuridica  nei confronti della p.a., quello piu' anziano (e, percio',
con  bisogni  maggiori)  riscuota  uno stipendio differito o pensione
vistosamente  inferiore  a quello di un suo collega piu' giovane (con
bisogni  indubbiamente  minori) che abbia avuto lo stesso sviluppo di
carriera.
    Essendo  il nostro un ordinamento giuridico a costituzione rigida
il  legislatore  non  puo' nella materia de qua non tener conto nelle
sue scelte dei canoni costituzionali suindicati. Egli non gode di una
liberta'  di  scelta  ma  solo  di un potere discrezionale di scelta;
sicche'  ogni  sua  opzione normativa deve mantenersi nel rispetto di
quei  principi.  Il  legislatore  - nella valutazione ponderata della
molteplicita' degli interessi coinvolti, anche d'ordine finanziario e
di  bilancio  -  puo',  di  certo,  fissare dei limiti ragionevoli di
oscillazione  del  divario  tra pensione e stipendio; ma nell'inerzia
del  legislatore,  ove  cio'  non  avvenga e il divario assuma - come
nella  specie  - dimensioni macroscopiche e intollerabili, devesi ben
dubitare  della  costituzionalita'  di  norme di legge che dispongono
aumenti  al personale in servizio senza che tali incrementi abbiano a
a  riflettersi  anche  a  beneficio  del  personale  di  pari grado o
qualifica    in   quiescenza,   almeno   nella   misura   percentuale
dell'aliquota di pensionamento raggiunto da ciascun pensionato.
    Non   e',   pertanto,   temerario  potizzare  l'effettivita'  del
contrasto con i principi costituzionali su riportati delle menzionate
disposizioni  delle  leggi nn. 37/1990, 21/1991 e 216/1992, che hanno
escluso  il ricorrente e i suoi colleghi dai miglioramenti attribuiti
al  personale  collocato  in  quiescenza sotto la vigenza delle leggi
suddette,  creando  di conseguenza una ingiustificabile disparita' di
trattamento dipendente dalla sola data di pensionamento.
    Si  e', in tal modo, venuta a reiterare quella stessa situazione,
comunemente  conosciuta  sotto la dizione di "pensione d'annata", che
fu  giustamente  criticata  dalla  consulta  con la sentenza n. 1 del
1991,  sia  per violazione degli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione,
sia  del  principio  generale  di razionalita' o ragionevolezza della
norma giuridica, ne giurisprudenza della Corte costituzionale.
    Ne'  sembra  che  possano  invocarsi  -  in  senso contrario alla
prognosi  di  illegittimita'  costituzionale  sopra  delineata  -  le
"difficolta'  di  bilancio" come elemento impeditivo all'eliminazione
della   rilevata   ingiustificata   sperequazione   tra   pensione  e
trattamento di attivita'.
    Il  ricorso al concetto economico di "disponibilita' di bilancio"
appare  del tutto inconferente sul piano del diritto, atteso che tale
concetto  e' de plano omogeneo alla scienza economica, ma chiaramente
eterogeneo  alla  scienza  giuridica;  legare l'esito del giudizio di
costituzionalita'   di   una   norma,  che  oblitera  i  diritti  del
pensionato,  alla disponibilita' finanziaria e' contrario al processo
applicativo  del  diritto,  che  ha  nella  norma (costituzionale) il
parametro  esclusivo  nella  cui  cornice  il fatto (nella specie, la
disposizione sospetta di illegittimita) va sussunto e qualificato.
    Il  collegio, pertanto, considera non manifestamente infondata la
eccezione   di   incostituzionalita'   delle  disposizioni  di  legge
suindicate  e  conseguentemente,  ritiene di dover rimettere gli atti
processuali  alla  Corte  costituzionale  perche' sia fatta chiarezza
sotto  ogni profilo in ordine alla legittimita' costituzionale o meno
delle disposizioni predette. Giova sottolineare, in proposito, che la
Consulta  ha  coerentemente  rivendicato  a  se  stessa il diritto di
intervenire   ogni  qualvolta  la  "ragionevole  corrispondenza"  tra
pensione  e  trattamento di attivita' risulti vulerata (cfr. sentenza
n. 42 del 1993 e sentenza n. 226 del 1993".
    Alle   considerazioni  di  cui  sopra,  la  sezione  aggiunge  la
precisazione  che  compete alla Corte costituzionale di verificare in
quale   momento  siasi  eventualmente  prodotta  quella  lesione  del
principio   di   ragionevolezza,   proporzionalita'   e  adeguatezza,
provvedendo  consequenzialmente,  in  caso  di esito positivo di tale
verifica,  a dichiarare l'illegittimita' costituzionale di tutte o di
alcune delle norme sottoposte al suo vaglio.
                              P. Q. M.
    Visti   gli  artt.  134  della  Costituzione  e  23  della  legge
costituzionale 11 marzo 1953, n. 87;
    Giudica  rilevante e non manifestamente infondata la questione di
illegittimita'  costituzionale,  in riferimento agli artt. 3, 36 e 38
Cost.,  di tutte o di alcune delle seguenti norme, nella parte in cui
non  prevedono  l'estensione  dei  benefici  da  essi  contemplati al
personale  gia' collocato in quiescenza: art. 1, comma 2, del d.l. 27
dicembre  1989,  n. 413, convertito in legge 28 febbraio 1990, n. 37;
art.  5 del d.l. 24 novembre 1990, n. 344, convertito, con modifiche,
dall'art.  1, comma 1, della legge 23 gennaio 1991, n. 21; artt. 2, 3
e  4  del  d.l.  7  gennaio  1992,  n. 5,  convertito, con modifiche,
dall'art. 1 della legge 6 marzo 1992, n. 216;
    Sospende  il  presente  giudizio  e dispone la trasmissione degli
atti alla Corte costituzionale;
    Ordina  che,  a  cura della segreteria, la presente ordinanza sia
notificata  alle  parti e al Presidente del Consiglio dei ministri, e
comunicata  ai  Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera
dei deputati e, successivamente, le relative attestazioni di avvenuta
notifica  e  comunicazione  siano trasmesse, unitamente agli atti del
giudizio, alla Corte costituzionale.
    Cosi'  deciso  in Roma, nelle camere di consiglio del 9 gennaio e
del 14 febbraio 2002.
                        Il Presidente: Soria
                   Il relatore estensore: Pisana
02C0257