N. 153 ORDINANZA 22 aprile - 3 maggio 2002

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Atto  introduttivo  del giudizio - Autoqualificazione come "sentenza"
  anziche'  come  "ordinanza"  -  Irrilevanza  nel  caso  di specie -
  Ammissibilita' della questione.
Processo  civile  -  Cause  di  valore  non  superiore a un milione -
  Applicabilita'  delle  norme  relative  al  procedimento davanti al
  tribunale,  redazione  del  processo  verbale  in  caso  di domanda
  formulata  oralmente e mancanza di conciliazione obbligatoria delle
  parti  -  Prospettato contrasto con il principio di ragionevolezza,
  con  il  diritto  di  difesa  e  con le norme sul giusto processo -
  Difetto  di  motivazione in ordine alla rilevanza delle questioni -
  Manifesta inammissibilita'.
- Cod. proc. civ., artt. 311, 320, 113, secondo comma, e 316, secondo
  comma.
- Costituzione, artt. 3, 24 e 111.
(GU n.18 del 8-5-2002 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Cesare RUPERTO;
  Giudici:  Massimo  VARI,  Riccardo  CHIEPPA,  Gustavo  ZAGREBELSKY,
Valerio  ONIDA,  Carlo  MEZZANOTTE, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto
CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale degli artt. 311, 320,
113,  secondo  comma,  e  316, secondo comma, del codice di procedura
civile,  promosso con sentenza emessa il 20 novembre 2000 dal Giudice
di  pace di Roma nel procedimento civile vertente tra Fortuna Luigi e
Paganucci  Marcella, iscritta al n. 382 del registro ordinanze 2001 e
pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, 1a serie
speciale, dell'anno 2001.
    Visti  l'atto  di costituzione di Fortuna Luigi nonche' l'atto di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 26 marzo 2002 il giudice relatore
Francesco Amirante;
    Uditi  l'avvocato Luciano Argiolas per Fortuna Luigi e l'avvocato
dello  Stato  Giuseppe  Nucaro  per  il  Presidente del Consiglio dei
ministri.
    Ritenuto  che il Giudice di pace di Roma, con sentenza depositata
il  30 novembre 2000, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e
111    della    Costituzione,   varie   questioni   di   legittimita'
costituzionale  degli  artt. 311,  320,  113,  secondo  comma, e 316,
secondo  comma,  del  codice  di procedura civile, nella parte in cui
dette  disposizioni,  rispettivamente, impongono l'applicazione delle
norme  concernenti  il procedimento davanti al tribunale anche per le
cause  di  valore  inferiore  al milione (per le quali e' prevista la
facoltativita'  della  difesa  tecnica),  assoggettano,  in  caso  di
pronuncia   secondo   equita',  all'osservanza  delle  stesse  regole
procedurali  dei  giudizi  in  cui  la difesa tecnica e' obbligatoria
anche  quelli  in  cui essa e' facoltativa e prevedono infine l'onere
del processo verbale senza adeguate garanzie formali;
        che il remittente premette di essere stato adito con processo
verbale  di  domanda  proposta  oralmente,  regolarmente  notificato,
avente  ad  oggetto  una  richiesta  di pagamento della somma di lire
centocinquantamila,  di  aver  inutilmente  esperito  il tentativo di
conciliazione, di aver espletato la consulenza tecnica d'ufficio e di
aver   quindi  trattenuto  in  decisione  la  causa  all'esito  della
precisazione delle conclusioni;
        che  la  difesa della parte attrice (la quale successivamente
alla proposizione della domanda si era avvalsa di un difensore) aveva
sollecitato   la   proposizione  di  una  questione  di  legittimita'
costituzionale  degli artt. 82, primo comma, 316, secondo comma, 91 e
92 cod. proc. civ.;
        che,   nel   motivare  la  manifesta  infondatezza  di  detta
eccezione,  il  remittente  procede  ad  un  excursus  storico  delle
normative  che,  nel  tempo,  hanno  regolato  la  difesa  dinanzi al
pretore,  al  conciliatore  e, da ultimo, dinanzi al giudice di pace;
con   particolare   riferimento   a   tale  rito,  egli  osserva  che
l'obbligatorieta'  del  patrocinio  e'  stata  assicurata solo per le
cause   di   valore   superiore   al  milione  di  lire,  ma  che  la
corrispondente   possibilita'   della  parte  di  stare  in  giudizio
personalmente  per  le  cause  di valore inferiore sarebbe assicurata
solo in apparenza;
        che,  pertanto,  non e' il denunciato art. 82 cod. proc. civ.
ad  essere  viziato d'illegittimita' costituzionale, quanto piuttosto
il  complesso  delle  norme che si frappongono alla sua realizzazione
pratica;
        che  a  tale  proposito il giudice a quo esamina anzitutto il
congegno della redazione del processo verbale in caso di formulazione
orale della domanda, osservando che l'ipotesi di diniego da parte del
giudice  di  pace di far redigere tale processo non sarebbe assistita
dalla garanzia della motivazione, in violazione dell'art. 111 Cost;
        che  tale  verbale,  peraltro,  sarebbe  - per come attuatosi
nella   prassi  degli  uffici  -  "la  prova  lampante  di  un  vuoto
formalismo", traducendosi in un onere aggiuntivo per il cittadino che
intenda  stare  in giudizio personalmente, cosi' vulnerando l'art. 24
Cost;
        che  in  tale  ottica  e'  quindi sospettato d'illegittimita'
costituzionale  l'art. 316,  secondo  comma,  del  cod.  proc.  civ.,
poiche'  il  remittente  istituisce un collegamento tra detta norma e
l'art. 82   cod.   proc.  civ.,  ritenendo  che  la  possibilita'  di
proposizione  orale della domanda sia ammissibile solo nelle cause di
valore  inferiore  al  milione,  nelle  quali  il  patrocinio  non e'
obbligatorio;
        che  la  previsione dell'art. 311 cod. proc. civ., poi, nella
parte  in cui estende alle cause davanti al giudice di pace di valore
non  eccedente il milione le norme dettate per il procedimento avanti
al   tribunale   -  cosi'  assoggettandole  allo  stesso  trattamento
processuale  delle controversie eccedenti tale valore, nelle quali e'
obbligatorio  il patrocinio - risulterebbe lesiva degli artt. 3, 24 e
111  Cost.,  in  particolare  quando  una sola delle parti si avvalga
dell'opera del difensore;
        che al remittente sembra che anche l'art. 113 cod. proc. civ.
si  ponga  in  contrasto  con  gli anzidetti parametri costituzionali
nella  parte  in  cui,  nell'ipotesi  di  pronuncia  secondo equita',
sottopone  all'osservanza delle stesse regole in procedendo i giudizi
nei   quali   e'  prevista  l'obbligatorieta'  del  patrocinio  e  le
controversie  dove  e'  invece  consentito  al  cittadino di stare in
giudizio personalmente;
        che  nei  giudizi  in argomento, quindi, caratterizzati dalla
tenuita' del valore della domanda, la soluzione piu' adeguata sarebbe
quella  della  conciliazione obbligatoria da collocarsi nell'art. 320
cod.   proc.   civ.,  norma  che  sarebbe  dunque  costituzionalmente
illegittima  appunto  in  ragione  di  tale  mancata previsione ed in
riferimento ai medesimi parametri sopra evocati;
        che  nel  giudizio dinanzi a questa Corte si e' costituita la
parte  privata attrice nel processo a quo sollecitando l'accoglimento
delle   questioni  sollevate  dal  remittente  e,  in  subordine,  la
restituzione  degli atti al medesimo per il riesame della questione e
della sua rilevanza;
        che  e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato  e  difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha
concluso  per  l'inammissibilita',  ovvero  per l'infondatezza, della
questione.
    Considerato   che,   pur  avendo  il  remittente  qualificato  il
provvedimento   di   remissione   come   "sentenza"   anziche'   come
"ordinanza",  cio'  non  conduce all'inammissibilita' della questione
ove il giudice abbia disposto, come nel caso in esame, la sospensione
del   procedimento   e  la  trasmissione  del  fascicolo  alla  Corte
costituzionale (v. sentenza n. 452 del 1997);
        che  il  Giudice  di pace di Roma dubita, in riferimento agli
artt. 3,   24   e   111   della   Costituzione,   della  legittimita'
costituzionale  degli  artt. 311,  320,  113,  secondo  comma, e 316,
secondo comma, del codice di procedura civile;
        che secondo il giudice remittente le disposizioni suindicate,
stabilendo,  anche  per  le  cause per le quali e' prevista la difesa
personale  delle parti, che il giudizio e' retto dalle norme relative
al   procedimento   davanti  al  tribunale,  in  quanto  applicabili,
violerebbero  il  principio di ragionevolezza, il diritto di difesa e
le norme sul giusto processo;
        che  il provvedimento in esame, prendendo spunto dal problema
della difesa tecnica nel procedimento davanti al giudice di pace, non
tiene   in   adeguata   considerazione   che   l'attore,  pur  avendo
originariamente  introdotto  il giudizio personalmente, ha poi scelto
di  avvalersi  dell'assistenza  tecnica di un difensore, sicche' ogni
questione  relativa all'effettivita' del diritto di difesa assume una
valenza meramente eventuale;
        che,  tenendo presente la situazione processuale verificatasi
nel  giudizio  a  quo  per  come  risulta dalla descrizione fatta dal
remittente,  non emerge in alcun modo quale sia la concreta rilevanza
delle  numerose  questioni  sollevate,  poiche' il Giudice di pace di
Roma  non  e'  chiamato  a  fare  applicazione di nessuna delle norme
impugnate,  ne'  e'  dato  comprendere  quale  esito  potrebbe  avere
un'ipotetica  sentenza di accoglimento in ordine alla decisione della
causa in corso;
        che,  d'altra  parte, il tenore complessivo del provvedimento
di  remissione  -  il quale insiste in modo particolare sul fatto che
nelle  cause  di  valore inferiore ad un milione di lire la normativa
non  prevede  l'esistenza  di  un  sistema  idoneo  ad indirizzare il
cittadino affinche' possa adeguatamente esercitare il proprio diritto
di difesa personale - appare piuttosto rivolto a sottoporre questioni
di  politica  legislativa  che  non a sollecitare un provvedimento di
legittimita' costituzionale;
        che pertanto, sia per la mancanza di ogni dimostrazione sulla
rilevanza  che  per  il  tipo  di  questioni prospettate, le medesime
devono ritenersi manifestamente inammissibili.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta  inammissibilita'  delle  questioni  di
legittimita' costituzionale degli artt. 311, 320, 113, secondo comma,
e  316,  secondo comma, del codice di procedura civile, sollevate, in
riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, dal Giudice di
pace di Roma con il provvedimento di cui in epigrafe.

    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 aprile 2002.

                       Il Presidente: Ruperto

                       Il redattore: Amirante

                       Il cancelliere:Di Paola

    Depositata in cancelleria il 3 maggio 2002.

               Il direttore della cancelleria:Di Paola

02C0378