N. 220 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 febbraio 2002

Ordinanza  emessa  il  7 febbraio 2002 dal giudice di pace di Varallo
nel  procedimento  civile  vertente  tra Crepaldi Armando e comune di
Roma

Sanzioni  amministrative  -  Giudizio  di  opposizione  all'ordinanza
  ingiunzione  -  Controversie devolute al giudice di pace - Prevista
  competenza  territoriale  del  giudice  del  luogo  della  commessa
  violazione,  anziche'  del  luogo  di  residenza  dell'opponente  -
  Violazione  del  diritto  di  difesa - Contrasto con i principi del
  giusto  processo  e  della buona e imparziale amministrazione della
  giustizia  -  Irragionevole  penalizzazione della parte processuale
  "debole" (in contrasto con l'esigenza di riequilibrio perseguita in
  altri casi dal legislatore).
- Legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 22 e successive modificazioni.
- Costituzione, artt. 3, 11, 24, 25 e 111, comma secondo.
(GU n.20 del 22-5-2002 )
                         IL GIUDICE DI PACE

    Pronuncia la seguente ordinanza.
    Processo   verbale  di  udienza  (art. 130  c.p.c.)  della  causa
portante  il  numero  di  ruolo 441/2001 promossa da Crepaldi Armando
contro il Comune di Roma per l'opposizione a verbale di contestazione
della Polizia municipale n. 100641648 del 24 maggio 2001.
    In  Varallo, addi' giovedi' 7 febbraio 2002, avanti al giudice di
pace  nella  persona dell'avv. Mauro Bolognesi di Novara, e' presente
l'opponente personalmente.
    Il  giudice  da' atto che il Comune di Roma non si e' costituito,
malgrado  rituale  notifica avvenuta a mezzo del servizio postale con
plico ritirato il 5 novembre 2001.
    Il ricorrente discute la causa.

                         Osservato in fatto

    Con  ricorso  ex  art. 22  della  legge  n. 689/1981, ritualmente
depositato  l'opponente  ha  presentato  opposizione  al  verbale  di
contestazione impugnato.
    Rilevato  che  il  ricorrente  risulta residente e domiciliato in
localita'  diversa  da  quella in cui e' stata commessa la violazione
ascrittagli,  il  giudice  ritiene  che  tale circostanza possa avere
rilevanza  ai  fini di sollevare la questione di costituzionalita' di
cui  all'art. 22 (rectius 22-bis) della legge 24 novembre 1981 n. 689
e  ss.  mm.,  in  relazione  agli artt. 3, 24 e 25 della Costituzione
italiana.   Conseguentemente   sospende  d'ufficio  il  giudizio  per
trasmettere  gli  atti  alla  Corte costituzionale e di cio' prendono
atto le parti presenti.
    Per  le  motivazioni  in diritto del Giudice di pace di Orbetello
sul  ricorso  proposto  da  Di  Tarsia  di Belmonte Francesco Edoardo
contro   la   Prefettura   di  Grosseto,  pubblicato  nella  Gazzetta
Ufficiale,  1a  serie  speciale  n. 6 del 7 febbraio 2001, che qui si
intendono interamente trascritte, e che vengono cosi' sunteggiate:
        per  effetto dell'art. 98 del d.lgs. 30 dicembre 1999 n. 507,
con   il   quale   e'  stato  introdotto  l'art. 22-bis  della  legge
n. 689/1981  e  ss.mm.,  il legislatore ha riattribuito al giudice di
pace    la    competenza    in    materia    di    opposizione   alle
ordinanze-ingiunzione  di  cui  all'art. 22.  Contro il provvedimento
sanzionatorio irrogato dall'autorita' amministrativa, gli interessati
possono  proporre  opposizione davanti al giudice del luogo in cui e'
stata  commessa la violazione entro il termine di trenta giorni dalla
notificazione del provvedimento, mediante deposito in cancelleria del
ricorso  con  allegata  l'ordinanza notificata. Secondo la prevalente
giurisprudenza   della   suprema   Corte,   il  ricorso  deve  essere
materialmente  consegnato  al  personale  dell'ufficio giudiziario, e
quindi  non puo' formare oggetto di invio per posta o con altre forme
di  trasmissione,  ad  esempio via fax (Cass. sez. un. 17 giugno 1988
n. 4120).  Nel  ricorso  l'opponente  ove  non  abbia  in loco un suo
procuratore  per  il  giudizio  de  quo,  e' obbligato a dichiarare o
eleggere  domicilio  nel comune in cui ha sede il giudice adito, ed a
presentarsi   alla  prima  udienza,  per  evitare  la  convalida  del
provvedimento  opposto (art. 23 comma 5), a differenza dell'ordinario
rito civilistico per quanto riguarda la cancellazione della causa dal
ruolo (art. 181 c.pc.).
    A  parere  di questo organo giudicante la descritta normativa non
sembrerebbe  garantire agli "interessati", ove non siano assistiti da
un  legale,  la concreta possibilita' di difendersi, tenuto conto dei
gravami  procedurali  che  vengono  ad  essi  imposti  per opporsi ad
addebiti  peraltro  di modesta offensivita', con particolare riguardo
l'obbligo  di  adire il giudice del luogo in cui e' stata commessa la
presunta  violazione, anziche' di quello di residenza del ricorrente.
Proprio  nel caso all'esame di questo giudice, si e' rilevato come un
signore  abitante  a  Serravalle  Sesia  per contestare un'infrazione
stradale   elevatagli   nel   Comune   di   Roma,   debba  presentare
personalmente  nella  cancelleria  del Giudice di pace di Roma il suo
ricorso,  e quindi, comparire successivamente in udienza, sopportando
un  notevole  costo,  sia  in termini economici che di tempo, che gli
sarebbe  risparmiato,  se  la competenza in materia fosse del giudice
del  suo luogo di residenza. Tale procedura in effetti, privilegiando
il   foro  dell'"amministrazione  repressiva"  rende  particolarmente
difficoltoso   al   ricorrente   esercitare   direttamente   il   suo
fondamentale  diritto  di  difesa,  ai  sensi  non  solo dell'art. 24
("tutti  possono  agire in giudizio"), ma ora, anche, dell'art. 111 -
secondo  comma  della  Costituzione (Legge costituzionale 23 novembre
1999  n. 2),  per  effetto  del  quale  "ogni  processo si svolge nel
contraddittorio  tra  le  parti,  in condizioni di parita', davanti a
giudice terzo e imparziale".
    Nella  circostanza,  l'attribuzione della competenza territoriale
al  giudice  del  locus  delicti, in pratica coincidente con il luogo
dell'accertamento dell'infrazione, potrebbe essere in contrasto con i
principi   del   giusto   processo   e   della  buona  ed  imparziale
amministrazione  della  giustizia,  di  cui anche alla Convenzione di
Roma  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo e delle liberta'
fondamentali,  cio'  in  quanto di fatto al presunto incolpato non e'
garantita    una    posizione    processuale    paritaria    rispetto
all'amministrazione  e  quindi  mancano  i presupposti perche' il suo
ricorso  abbia  valenza  effettiva  e  non  solo  teorica, tanto piu'
considerando  come  le  pretese  dell'autorita'  che  ha  irrogato la
sanzione  siano,  tra  l'altro,  immediatamente  esecutive.  Siffatta
procedura, di chiara origine penalistica, che aveva come destinatario
l'allora pretore ed il suo particolare rito, potrebbe non essere piu'
conforme alla vigente disciplina del "procedimento davanti al giudice
di   pace",   che   prevede,  in  particolare,  all'art. 320  c.p.c.,
l'obbligatorio  interrogatorio libero delle parti subito "nella prima
udienza",  cio'  al  fine  di  acquisire  dagli  "interessati"  utili
elementi  per  la  trattazione  della  causa,  e  quindi incentiva un
rapporto   diretto   dell'organo   giudicante   con   i  protagonisti
processuali,  tanto  piu', se, come nel caso di specie, il ricorrente
puo' stare in giudizio senza l'assistenza di un legale.
    Va,  inoltre, sottolineato, che lo stesso rito della n. 689/1981,
imponendo  al  giudice  di  valutare la "personalita'" e le eventuali
"condizioni  economiche  disagiate"  dell'autore  dell'infrazione, in
sede  di  applicazione  delle  sanzioni  (art. 11)  e concessione del
pagamento  rateale della pena irrogata (art. 26), postula comunque la
necessaria presenza personale dell'incolpato in giudizio.
    Sotto  questo  aspetto  e'  significativo,  altresi',  l'art. 23,
settimo  comma,  della legge n. 689/1981 che stabilisce la lettura in
udienza  del  dispositivo da parte del giudice, proprio allo scopo di
rappresentare  oralmente  al  ricorrente l'autorita' della decisione.
Tale    fondamentale    attivita'   processuale,   prevista   proprio
nell'interesse  difensivo del trasgressore, e' da ritenersi di dubbia
realizzazione nel caso in cui l'opponente si trovi a risiedere in una
localita'  molto  lontana  dal  punto  in  cui sarebbe stata commessa
l'addebitata  violazione  stradale  e  non  abbia mezzi economici per
rivolgersi  ad  un legale del posto, onde sostenere cola' in giudizio
le   proprie   ragioni  contro  l'"amministrazione  repressiva".  Tra
l'altro,  poi,  l'ammontare della sanzione irrogata, in genere non e'
tale  da  giustificare la spesa dell'assistenza di un professionista,
anche  nell'ipotesi in cui fosse macroscopica la non colpevolezza del
verbalizzato,  considerata,  inoltre, la diffusa tendenza dei giudici
de  quibus  a  compensare  le spese o liquidarle in via equitativa in
misura simbolica.
    E'  indubbio  che l'attribuita competenza territoriale al giudice
del  luogo  in  cui  e'  stata commessa l'infrazione sua unicamente a
vantaggio  dell'amministrazione  nei  cui  confronti viene presentato
ricorso,  in quanto i suoi funzionari, verosimilmente agevolati dalla
vicinanza   con  gli  uffici  giudiziari,  risultano  facilitati  nel
reperimento  delle  prove  e, quindi, piu' in generale nell'attivita'
processuale.  In particolare, poi, l'autorita' verbalizzante, in sede
del  ricorso  amministrativo,  e'  addirittura destinataria per legge
degli  scritti difensivi indirizzati all'organo giudicante. Ma questa
opportunita'  logistica,  se  puo'  ammettersi per le controversie di
maggiore offensivita' all'esame ora del tribunale, la cui istruttoria
spesso  comporta  l'ammissione  di  consulenze  tecniche di complessi
riscontri  documentali  nei luoghi dell'accertamento dell'infrazione,
non  sembra  ragionevole  nel  caso di ricorsi affidati ai giudici di
pace,  in  quanto  proprio  la relativa minore gravita' dell'illecito
contestato  non giustifica la competenza territoriale del giudice del
locus  delicti,  ossia,  in  pratica, a favore dei verbalizzati ed e'
sicuramente  penalizzante  per  il  ricorrente,  ove  la sua causa si
svolga  in  una  localita'  fuori  della  provincia di residenza o di
domicilio.
    Al  riguardo non si puo' escludere che il legislatore, in sede di
emanazione   del   menzionato   d.lgs.   n. 507/1999,   abbia  voluto
riconoscere  una  competenza di carattere generale al giudice di pace
per  gli  illeciti  di minore allarme sociale, per i quali, se non e'
richiesta   l'assistenza   (tecnica)   di   un   legale,   e'   pero'
indispensabile     la     presenza    del    presunto    trasgressore
nell'istruttoria, per cui relativamente a questo comparto la norma di
cui   all'art. 22-bis   della   legge   n. 689/1981  potrebbe  essere
interpretata  nel  senso  che  il  giudice adito e' piu' propriamente
quello del luogo in cui si trova il ricorrente.
    Sono  state, infatti, escluse dalla sua competenza, ed attribuite
ai  giudici  togati,  le  opposizioni  avverso le sanzioni pecuniarie
superiori  a  30  milioni, ed alcune tipologie di violazione (lavoro,
urbanistica,   ambiente,  valutario,  tributario  e  societario),  di
particolare  complessita'  giuridica,  per  la cui definizione assume
specifico  rilievo  il  momento tecnico dell'istruttoria, e quindi la
necessita' per il ricorrente di doversi fare assistere da un legale.
    La  materia  del  riciclaggio,  nonostante  la sua contiguita' al
valutario ed al monitoraggio fiscale - procedura contenziosa ex testo
unico  31  marzo 1988 n. 148 - non e' stata demandata alla competenza
esclusiva  dei  giudici  del tribunale, ma riconosciuta di pertinenza
anche dei giudici di pace per le sanzioni comminate dal Ministero del
tesoro  fino  a  30  milioni.  Tale  scelta  legislativa  puo' essere
determinata   dal  fatto  che  gli  illeciti  di  cui  trattasi  sono
prevalentemente   di   carattere  formale,  in  quanto  provocati  da
ignoranza  delle  norme  e  da  semplice disattenzione, per cui si e'
ritenuto  che  un  giudice  onorario  fosse  idoneo  a  valutare tali
circostanze,  proprio  per il suo istituzionalizzato rapporto diretto
con  l'incolpato  (cfr.  A.  Simonetti  in  "Affari  e Finanza" di La
Repubblica  del  14  febbraio 2000 "Ai giudici di pace le liti tra il
Tesoro  e i distratti" e A. Mengali in Il controllo del movimento dei
capitali, IPSOA, Milano).
    Peraltro  non  si  puo'  non  osservare  che anche il giudizio di
opposizione  ai  provvedimenti sanzionatori del Ministero del tesoro,
analogamente  a  quello  in materia di infrazioni stradali, espone il
verbalizzato  all'onerosa procedura di doversi difendere nel luogo in
cui  risulta commessa la presunta violazione, che diventa ancora piu'
gravosa,  nel  caso in cui l'oggetto del contenzioso riguarda assegni
privi   di   requisiti   di  legge,  in  quanto  il  titolo,  essendo
suscettibile  di  essere  presentato  in  pagamento  presso qualsiasi
intermediario  finanziario,  radica la competenza nel luogo in cui e'
avvenuto tale regolamento, per lo piu' sconosciuto all'interessato al
momento  dell'emissione,  e che puo' essere ubicato in una zona molto
lontana da quella di residenza del traente.
    Per  le  ragioni  suesposte  si  ha  motivo  di ritenere che, per
effetto   della   vigente  procedura  di  opposizione  alle  sanzioni
amministrative,  le  parti  in giudizio non siano in una posizione di
parita',  e  sussiste,  invece,  uno  squilibrio a danno del soggetto
processualmente  debole,  ossia l'opponente, che normalmente rinuncia
ad esercitare il suo diritto di difesa per i costi eccessivi cui deve
sottoporsi,  mentre  invece  l'amministrazione, grazie ai suoi uffici
periferici,   o   in   mancanza,   di   quelli   di   prefettura,  e'
istituzionalmente  in  grado  di  resistere  con  i  suoi  funzionari
sull'intero  territorio  nazionale.  Del  resto, proprio considerando
l'articolazione  territoriale degli uffici di prefettura, l'eventuale
trasferimento  della competenza al giudice del luogo di residenza del
ricorrente  non  avrebbe  conseguenze  negative per l'amministrazione
opposta,   i   cui   uffici   periferici   potrebbero   correttamente
rappresentarla nelle cause di cui trattasi.
    Si  sottolinea,  altresi',  come  ancor  prima  dell'avvento  del
"giusto  processo",  l'evoluzione  normativa  fosse gia' nel senso di
valorizzare  il  foro del ricorrente, rispetto a quello dell'opposto,
proprio   al   fine   di  riequilibrare  le  posizioni  dei  soggetti
considerati  normativamente  deboli  rispetto  alle parti processuali
forti.  Sono  da  ritenersi  espressioni di tale esigenza non solo il
tradizionale  rito  del  lavoro  o  il procedimento di opposizione al
decreto penale di condanna dal quale proprio la procedura della legge
n. 689/1981   e'   largamente   ispirata   ma  piu'  recentemente  la
complessiva  normativa  a  tutela  del  consumatore,  con particolare
riguardo  all'art. 25 della legge 6 febbraio 1996 n. 56 (Disposizioni
per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia
alla  Comunita'  europea - legge comunitaria 1991). il quale parrebbe
avere  introdotto  il  cosiddetto  foro esclusivo del consumatore, ai
sensi   dell'art. 1469-bis,   n. 13   del   codice  civile  (clausole
vessatorie)  (cfr. Giudice di pace di Prato, sentenza 28 gennaio 1999
in  Foro  It.  I,  1695),  o  anche  all'art. 12  d.l. n. 50/1992 sui
contratti   negoziati   fuori   dei  locali  commerciali  e,  infine,
all'art. 10 d.l. n. 427/1998 in materia di multiproprieta'.
    Ne'  tali  deroghe  all'ordinaria competenza territoriale possono
essere  qualificate, come ritiene un'autorevole dottrina, un "eccesso
di zelo" nella protezione del consumatore. Esse, piuttosto, mirano ad
assicurare  al  soggetto, ritenuto normativamente debole in una lite,
la  possibilita'  (economica)  di  potersi difendere nel suo luogo di
residenza,  dove  verosimilmente gli e' meno oneroso rappresentare le
proprie    ragioni,   emancipandolo   da   dispendiosi   spostamenti,
sicuramente penalizzanti in termini di costi e di tempo.
                              P. Q. M.
    Visti  gli  artt. 3,  11,  24,  25  e  111,  secondo  comma della
Costituzione, e la legge 11 marzo 1953 n. 87;
    Dichiara  di  ufficio rilevante e non manifestamente infondata la
questione  di  legittimita'  costituzionale  con  riguardo alla parte
dell'art. 22  della  legge  24  novembre  1981  n. 689 e ss. mm., che
attribuisce  al  giudice  del  luogo  in  cui  e'  stata  commessa la
violazione, individuato a norma dell'art. 22-bis, la competenza sulle
controversie contro per ordinanze-ingiunzioni.
    Ordina:
        la   sospensione   del   procedimento   per  pregiudizialita'
costituzionale,  con  immediata  trasmissione  di copia autentica del
fascicolo   d'ufficio   e   dei  fascicoli  delle  parti  alla  Corte
costituzionale, a cura della cancelleria;
        la  notificazione  del  presente  provvedimento  a cura della
cancelleria  alla Presidenza del Consiglio dei ministri ed alle parti
in causa;
        la  comunicazione  della  presente  ordinanza,  a  cura della
cancelleria, alla Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
                    Il giudice di pace: Bolognesi
02C0406