N. 193 SENTENZA 9 - 16 maggio 2002

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Impiego pubblico - Dirigenti generali ed equiparati - Responsabilita'
  per   mancato   conseguimento  degli  obiettivi  della  gestione  -
  Immediato  collocamento  a  riposo  senza  il  previo passaggio del
  collocamento  a  disposizione  Contrasto con i principi e i criteri
  direttivi   fissati   nella   legge   di  delega  -  Illegittimita'
  costituzionale.
- D.Lgs.  3  febbraio  1993, n. 29, art. 20, comma 9, ultimo periodo,
  nel  testo  sostituito  dall'art.  6  del  d.lgs. 18 novembre 1993,
  n. 470.
- Costituzione, artt. 76 e 77 (in relazione all'art. 2 della legge 23
  ottobre 1992, n. 421).
(GU n.20 del 22-5-2002 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Cesare RUPERTO;
  Giudici:  Massimo  VARI,  Riccardo  CHIEPPA,  Gustavo  ZAGREBELSKY,
Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA,
Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria
FLICK;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 20, comma 9,
ultima  parte  -  rectius:  ultimo  periodo - del decreto legislativo
3 febbraio  1993,  n. 29 (Razionalizzazione dell'organizzazione delle
amministrazione  pubbliche e revisione della disciplina in materia di
pubblico  impiego,  a  norma dell'art. 2 della legge 23 ottobre 1992,
n. 421),  nel  testo  sostituito  dall'art. 6 del decreto legislativo
18 novembre   1993,   n. 470  (Disposizioni  correttive  del  decreto
legislativo   3 febbraio   1993,   n. 29,  recante  razionalizzazione
dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della
disciplina   in  materia  di  pubblico  impiego),  promossi  con  due
ordinanze  emesse  il 24 ottobre 2000 dal Consiglio di Stato, Sezione
IV,  iscritte  ai  nn. 449  e  450  del  registro  ordinanze  2001  e
pubblicate  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, 1a serie
speciale, dell'anno 2001.
    Visto  l'atto  di  costituzione di Del Gizzo Ernesto, nonche' gli
atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  4 dicembre  2001  il  Giudice
relatore Riccardo Chieppa;
    Udito  l'Avvocato dello Stato Oscar Fiumara per il Presidente del
Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1. - Nel corso di due giudizi di appello, il Consiglio di Stato -
Sezione  IV  - con due ordinanze di identico contenuto, ha sollevato,
con  riferimento agli artt. 76 e 77, primo comma, della Costituzione,
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 20,  comma  9,
ultima  parte  -  rectius:  ultimo  periodo - del decreto legislativo
3 febbraio  1993,  n. 29 (Razionalizzazione dell'organizzazione delle
amministrazione  pubbliche e revisione della disciplina in materia di
pubblico  impiego,  a  norma dell'art. 2 della legge 23 ottobre 1992,
n. 421),  nel  testo  sostituito  dall'art. 6 del decreto legislativo
18 novembre   1993,   n. 470  (Disposizioni  correttive  del  decreto
legislativo   3 febbraio   1993,   n. 29,  recante  razionalizzazione
dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della
disciplina in materia di pubblico impiego).
    Il  giudice  rimettente, premette che identica questione era gia'
stata  in  precedenza  proposta,  in  quanto ritenuta rilevante e non
manifestamente infondata, ma che, tuttavia, la Corte, a seguito di un
mutamento  del quadro normativo, con ordinanza n. 246 del 2000, aveva
ritenuto  necessario  che  lo  stesso  giudice  a  quo  ai fini della
rilevanza, verificasse gli effetti della duplice abrogazione espressa
accompagnata dalla nuova disciplina.
    Osserva  il  giudice  rimettente che il principio generale tempus
regit  actum  non  possa essere ignorato in relazione all'intervenuto
mutamento del quadro normativo, e, quindi, la fattispecie ricadrebbe,
comunque, sotto la disciplina denunciata.
    Quanto   alla   rilevanza,  il  giudice  a  quo  osserva  che  il
provvedimento  impugnato  (in  entrambi i casi decreto del Presidente
della  Repubblica  di  collocamento a riposo, per motivi di servizio,
per   responsabilita'   dirigenziale)   trova  conforto  nella  norma
contestata,  di  modo  che  un'eventuale  dichiarazione di fondatezza
della  questione  comporterebbe,  per  cio'  solo, l'accoglimento del
ricorso.
    Nel  merito,  il  giudice  rimettente sostanzialmente denuncia un
eccesso  di  delega nella disposizione impugnata, in quanto, la legge
di delega prevedeva, in caso di mancato conseguimento degli obiettivi
della  gestione, solo la "rimozione dalle funzioni ed il collocamento
a disposizione", laddove la legge delegata (decreto legislativo n. 29
del 1993), all'art. 20, comma 9, nel testo sostituito dall'art. 6 del
d.lgs.  18 novembre  1993,  n. 470,  ha  previsto,  da  un  lato,  il
collocamento  a disposizione per l'inosservanza delle direttive e per
i   risultati   negativi   della   gestione   finanziaria,   tecnica,
amministrativa; dall'altro, ha stabilito il collocamento a riposo per
ragioni  di servizio in caso di responsabilita' particolarmente grave
o reiterata.
    2.  -  In  entrambi  i giudizi, introdotti con le ordinanze sopra
riassunte,  e'  intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato  e  difeso dall'Avvocatura generalo dello Stato, che ha
fatto  presente  che  la norma denunciata, pur essendo stata abrogata
dalla  successiva  normativa,  tuttavia,  in base al principio tempus
regit  actum  conserva la sua efficacia in relazione alle fattispecie
all'esame.
    Nel  merito  conclude  per la infondatezza della questione, anche
alla  luce  del sopravvenuto decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80
(Nuove  disposizioni  in  materia  di organizzazione e di rapporti di
lavoro   nelle  amministrazioni  pubbliche,  di  giurisdizione  nelle
controversie  di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in
attuazione  dell'art. 11,  comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59)
per la logica che sta alla base delle disposizioni in esso contenute,
considerato  che  l'anzidetto decreto legislativo e' stato emanato in
base  alla  delega  contenuta  nell'art. 11,  comma  4,  della  legge
15 marzo  1957,  n. 59,  che  sul  punto  non  differirebbe,  ma anzi
richiamerebbe la delega contenuta nella legge 23 ottobre 1992, n. 421
(Delega  al  Governo  per  la  razionalizzazione e la revisione delle
discipline  in materia di sanita', di pubblico impiego, di previdenza
e di finanza territoriale).
    Sottolinea,   in   particolare,  che  in  ossequio  al  principio
contenuto  nell'art. 2, comma 1, lettera g), numero 3, della legge di
delega   23 ottobre  1992,  n. 421,  il  legislatore  delegato  abbia
previsto  due  differenti  ipotesi: l'una contenuta nella prima parte
della  norma  impugnata,  che riguarda il collocamento a disposizione
per  la  durata  massima  di  un  anno  in caso di inosservanza delle
direttive  e risultati negativi della gestione finanziaria, tecnica e
amministrativa;   l'altra,   contenuta   nella  seconda  parte  della
disposizione  e che disciplina una fattispecie diversa, stabilisce il
collocamento   a   riposo   per   ragioni  di  servizio  in  caso  di
responsabilita' particolarmente grave e reiterata.
    Orbene,  secondo  la prospettazione dell'Autorita' interveniente,
la  delega  legislativa  non  eliminerebbe  ogni discrezionalita' del
legislatore  delegato, al quale non puo' essere negata la facolta' di
adottare  misure  piu'  severe  per  fattispecie di maggior gravita',
peraltro gia' previste dalla normativa previgente.

                       Considerato in diritto

    1. - Le questioni sottoposte, in via incidentale, all'esame della
Corte  riguardano  l'art. 20,  comma  9,  ultimo periodo, del decreto
legislativo     3 febbraio     1993,     n. 29     (Razionalizzazione
dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della
disciplina  in materia di pubblico impiego, a norma dell'art. 2 della
legge  23 ottobre 1992, n. 421), nel testo sostituito dall'art. 6 del
decreto legislativo 18 novembre 1993, n. 470 (Disposizioni correttive
del    decreto    legislativo   3 febbraio   1993,   n. 29,   recante
razionalizzazione dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche
e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego) sotto il
profilo  della  violazione degli artt. 76 e 77 della Costituzione, in
quanto la legge di delega prevedeva, in caso di mancato conseguimento
degli  obiettivi  della gestione, solo la rimozione dalle funzioni ed
il collocamento a disposizione.
    Attesa  l'identita'  delle  questioni  sollevate, i giudizi vanno
preliminarmente riuniti per essere decisi con unica sentenza.
    2. - La questione e' fondata.
    Dall'esame  dei  lavori  preparatori  della  legge delega (art. 2
della  legge  23 ottobre  1992,  n. 421) emerge puntualmente la ratio
dell'intervento  da  realizzarsi  in base alla delega legislativa per
quanto  attiene  allo  status  giuridico dei dirigenti. Cioe', "da un
lato   il   rafforzamento   dei   poteri   di  impulso,  direzione  e
coordinamento,  e, dall'altro, una verifica dei risultati di gestione
e  piu'  precise  responsabilita'  dirigenziali". "Nell'ambito di una
prospettiva  generale di separazione tra politica e amministrazione e
di connesso riconoscimento di autonomia gestionale" venivano indicati
come obiettivi "la massima flessibilita' e agilita' nel reclutamento,
nella  mobilita'  e  nei  procedimenti di rimozione dalle funzioni" -
senza,  tuttavia,  alcun accenno al collocamento immediato a riposo o
alla  rimozione  dall'impiego  -  "in caso di accertata incapacita' a
raggiungere gli obiettivi programmati" (Relazione al disegno di legge
presentato dal Governo per la delega: Senato n. 463).
    Nella legge di delega 23 ottobre 1992, n. 421, l'art. 2 poneva la
finalita'   generale   di   "miglioramento  dell'efficienza  e  della
produttivita'  del  settore  pubblico" e prevedeva la separazione tra
compiti  di  direzione politica e quelli di direzione amministrativa,
con  autonomi  poteri  di  direzione, vigilanza, controllo e gestione
(lettera  g,  numero 1)  ed  inoltre - specificatamente sul punto che
interessa   la   questione   di  legittimita'  costituzionale  -  "la
mobilita',  anche  temporanea,  dei  dirigenti,  nonche' la rimozione
dalle  funzioni  e  il collocamento a disposizione in caso di mancato
conseguimento degli obiettivi prestabiliti della gestione" (lettera g
numero  3).  Anche  in  questa  sede,  si  noti che non vi era alcuna
previsione   di   diversa  misura  di  rimozione  dall'impiego  o  di
collocamento a riposo per ragioni di servizio.
    3.   -   Giova,   inoltre,   ricordare,  anche  ai  fini  di  una
interpretazione   delle   norme   conforme  a  Costituzione,  che  la
distinzione  tra  attivita'  di  indirizzo  politico-amministrativo e
l'attivita'  gestionale  con  propria autonomia e responsabilita' dei
dirigenti   generali   nonche'   la   progressiva   estensione  della
privatizzazione  del  rapporto,  dando risalto alla qualificazione di
diritto  soggettivo  delle  relative  posizioni  (sentenza n. 275 del
2001),    comporta,   da   un   canto,   un maggiore   rigore   nella
responsabilita' degli stessi. Nello stesso tempo vi e' un'esigenza di
rafforzamento   della   posizione  dei  medesimi  dirigenti  generali
attraverso   la   specificazione   delle   peculiari  responsabilita'
dirigenziali,    la   tipicizzazione   delle   misure   sanzionatorie
adottabili, nonche' la previsione di adeguate garanzie procedimentali
nella  valutazione  dei  risultati  e dell'osservanza delle direttive
ministeriali;  inoltre,  il modo ed i tempi in cui si possa pervenire
non  solo  alla  revoca  delle  funzioni  ma  anche  alla risoluzione
definitiva del rapporto di impiego.
    Dette  specifiche  garanzie,  mirate  a presidiare il rapporto di
impiego  dei dirigenti generali, concorrono al rispetto del principio
di  imparzialita'  e di buon andamento della pubblica amministrazione
(ordinanza n. 11 del 2002).
    Con  cio'  non  si  esclude  -  sul piano costituzionale - che il
legislatore  possa prevedere come misura sanzionatoria della condotta
dirigenziale  anche  la  rimozione  dall'impiego nei casi di maggiore
gravita';  questa  deve avvenire in base a previsione normativa e con
le relative proprie garanzie procedimentali.
    4.  -  Il  dettaglio  dei  principi e criteri direttivi sul punto
specifico   delle   conseguenze   derivanti   dalla   responsabilita'
dirigenziale,  soprattutto  se si considera la precisa indicazione di
peculiari  istituti e tipici provvedimenti incidenti sullo status dei
dirigenti,   raffrontati   anche  con  la  precedente  e  piu'  ampia
situazione  normativa,  certamente  non  poteva consentire al Governo
delegato  di  prevedere  ulteriori  misure  e  conseguenze dirette ed
immediate della accertata responsabilita' dirigenziale, nei confronti
dei   dirigenti  generali  ed  equiparati,  al  di  fuori  di  quelle
specificamente previste in detti principi e criteri direttivi.
    In  altri  termini,  il legislatore delegato manteneva sempre una
discrezionalita', non potendo essere eliminato ogni margine di scelta
nell'esercizio  della delega. Tuttavia questa discrezionalita' doveva
essere  esercitata,  anche  nel  caso  in esame, riempiendo gli spazi
lasciati  dalla legge di delegazione (v. sentenza n. 198 del 1998) ed
entro  i  limiti in cui e' circoscritta dalla stessa legge (ordinanza
n. 21  del  1998)  ancorche'  considerando  le diverse gravita' delle
ipotesi  di  responsabilita',  esclusivamente,  come  gia' detto, nei
limiti della delega, cioe' entro la previsione di:
        a)   "mobilita'",   anche   semplicemente  temporanea  e  con
passaggio  ad altro ufficio, quindi compresa la facolta' di prevedere
la mobilita' definitiva;
        b)  "rimozione  dalle  funzioni", cioe' come privazione della
preposizione  ad  ufficio dirigenziale, senza tuttavia comprendere la
rimozione dal servizio o il recesso dal rapporto di impiego;
        c)  "collocamento  a disposizione", con facolta' di fissare o
meno  un  periodo minimo o massimo anche diverso da quello ordinario,
desumibile   da   analoghe   previsioni   normative,  periodo  di  "a
disposizione"  -  si noti - che avrebbe consentito la possibilita' di
richiamo  in  servizio,  anche  presso  altra amministrazione o altro
ufficio, ritenuti confacenti alle dimostrate capacita' dirigenziali.
    5.  -  Infine  non  puo'  avere rilevanza sui limiti della delega
legislativa   e  sulla  sua  interpretazione  un  successivo  decreto
legislativo  -  richiamato  dalla  difesa dello Stato - emanato sulla
base  di  altra  successiva  legge  di  delega  (anche  se  in  parte
coincidente  per  contenuto)  estranea,  insieme  al suddetto decreto
legislativo,   all'oggetto   su   cui  questa  Corte  e'  chiamata  a
pronunciarsi in base all'ordinanza di rimessione.
    6. - Sulla base delle suesposte considerazioni deve ritenersi che
il  Governo non era abilitato dalla delega a prevedere la facolta' di
immediato  collocamento a riposo senza il previo passaggio attraverso
il  periodo  di  messa  "a disposizione", che costituisce - secondo i
principi  della  delega  -  una  garanzia per il dipendente di essere
posto   nella   possibilita'  di  cercare  ed  ottenere  una  diversa
utilizzazione,   anche  in  differente  posizione  di  ufficio  e  di
amministrazione.
    Risulta   pertanto   una   violazione  dei  limiti  della  delega
legislativa  da parte del legislatore delegato, che la ha esercitata,
per   la   parte   oggetto   dei  presenti  giudizi  di  legittimita'
costituzionale  (collocamento a riposo per ragioni di servizio, anche
se  non  sia  mai  stato  in  precedenza  disposto  il collocamento a
disposizione  in  caso  di  responsabilita'  particolarmente  grave e
reiterata),  in  modo divergente dalle finalita' che determinarono la
delega  e  in contrasto con i prefissati principi e criteri direttivi
(cfr. sentenza n. 3 del 1957).
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riuniti i giudizi,
        Dichiara  l'illegittimita' costituzionale dell'art. 20, comma
9,  ultimo  periodo,  del  decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29
(Razionalizzazione    dell'organizzazione    delle    amministrazioni
pubbliche  e  revisione  della  disciplina  in  materia  di  pubblico
impiego, a norma dell'art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421) nel
testo  sostituito  dall'art. 6  del  decreto  legislativo 18 novembre
1993,   n. 470   (Disposizioni  correttive  del  decreto  legislativo
3 febbraio 1993, n. 29, recante razionalizzazione dell'organizzazione
delle  amministrazioni  pubbliche  e  revisione  della  disciplina in
materia di pubblico impiego).
    Cosi'  deciso  in  Roma  nella  sede  della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 9 maggio 2002.
                       Il Presidente: Ruperto
                        Il redattore: Chieppa
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 16 maggio 2002.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
02C0451