N. 197 SENTENZA 9 - 16 maggio 2002

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Maternita'  e infanzia - Lavoratrici autonome - Trattamento economico
  di  maternita'  - Coltivatrici dirette - Parto in data anticipata -
  Corresponsione  della  indennita'  giornaliera anche per il periodo
  non  goduto  prima  del  parto, per la durata complessiva di cinque
  mesi - Omessa previsione - Denunciata disparita' di trattamento tra
  parto  prematuro  e  parto  a termine, nonche' mancata tutela della
  maternita'  e  del minore - Obbligo di opzione ermeneutica conforme
  alla  Costituzione  e  all'evoluzione  del  sistema normativo - Non
  fondatezza, nei sensi di cui in motivazione, della questione.
- Legge 29 dicembre 1987, n. 546, art. 3.
- Costituzione, artt. 3 e 31.
(GU n.20 del 22-5-2002 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Cesare RUPERTO;
  Giudici:  Massimo  VARI,  Riccardo  CHIEPPA,  Gustavo  ZAGREBELSKY,
Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA,
Piero Alberto CAPOTOSTI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco
AMIRANTE;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 3 della legge
29 dicembre 1987, n. 546 (Indennita' di maternita' per le lavoratrici
autonome),  promosso  con  ordinanza  emessa  il  9 ottobre  2000 dal
Tribunale  di  Treviso  nel  procedimento  civile vertente tra Milani
Smaniotto  Ida  e  l'Istituto  Nazionale  per  la Previdenza Sociale,
iscritta  al  n. 756  del  registro ordinanze 2000 e pubblicata nella
Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica  n. 50,  1a  serie  speciale,
dell'anno 2000.
    Visto l'atto di costituzione dell'INPS;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  15 gennaio  2002  il  giudice
relatore Fernanda Contri;
    Udito l'avvocato Pilerio Spadafora per l'INPS.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Il Tribunale di Treviso, con ordinanza emessa il 9 ottobre
2000,   ha   sollevato,  in  riferimento  agli  artt. 3  e  31  della
Costituzione,  questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 3
della legge 29 dicembre 1987, n. 546 (Indennita' di maternita' per le
lavoratrici autonome), nella parte in cui non prevede che, qualora il
parto   avvenga  in  data  anticipata  rispetto  a  quella  presunta,
l'indennita'  giornaliera  sia  corrisposta, oltre che per i tre mesi
successivi  alla  data  effettiva del parto, anche per il periodo non
goduto   prima   del  parto,  fino  al  raggiungimento  della  durata
complessiva di mesi cinque.
    Il  giudice  rimettente  precisa  che la ricorrente, coltivatrice
diretta,   lamenta  la  mancata  corresponsione  da  parte  dell'INPS
dell'indennita'  economica  di  maternita' nei due mesi precedenti il
parto,  avvenuto  al  settimo  mese  di gravidanza, avendo l'Istituto
previdenziale  liquidato  solo  l'indennita'  relativa  ai  tre  mesi
successivi   al   parto;   ed   inoltre   che  la  ricorrente  invoca
l'applicazione  della  sentenza della Corte costituzionale n. 270 del
1999,  la  cui  portata si ritiene estensibile anche alle lavoratrici
autonome,  a  favore  delle  quali  e' stata prevista l'indennita' di
maternita'.
    Il giudice a quo, dopo aver affermato che la citata sentenza, con
la   quale   e'   stata  dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 4  della  legge  30 dicembre  1971,  n. 1204  (Tutela delle
lavoratrici  madri),  non e' applicabile alla fattispecie, poiche' la
ricorrente  non  e'  una  lavoratrice subordinata ma una coltivatrice
diretta,  soggetta  quindi  alle  disposizioni della legge n. 546 del
1987,  precisa  che  non  puo' nemmeno applicarsi la successiva legge
8 marzo  2000, n. 53 (Disposizioni per il sostegno della maternita' e
della paternita', per il diritto alla cura e alla formazione e per il
coordinamento  dei  tempi delle citta), avendo questa disciplinato le
ipotesi di parti prematuri con esclusivo riferimento all'art. 4 della
legge n. 1204 del 1971 e, quindi, alle lavoratrici subordinate.
    Il   rimettente   sottolinea   che   la   formulazione  letterale
dell'art. 3   della   legge   n. 546  del  1987,  cosi'  come  quella
dell'art. 4,  lettera  c),  della  legge  n. 1204  del  1971, risulta
rigidamente determinata sia in ordine alla durata che alla decorrenza
dell'indennita',  senza  prevedere una decorrenza diversa per il caso
di parto prematuro.
    Tale  norma,  ad avviso del giudice a quo, determina tuttavia una
disparita' di trattamento non gia' per il raffronto tra la disciplina
delle lavoratrici subordinate e quella delle coltivatrici dirette, la
cui  diversita'  e'  stata  piu' volte ritenuta legittima dalla Corte
costituzionale  (sentenze  nn. 181  del  1993,  364  del 1995 e 3 del
1998),   bensi'  per  la  comparazione,  nell'ambito  della  medesima
categoria  delle  coltivatrici  dirette,  tra quelle che partoriscono
prematuramente  e  quelle  che partoriscono a termine. Sussisterebbe,
inoltre, un contrasto con l'art. 31 della Costituzione, che impone la
protezione   della   maternita'   e  del  minore,  anche  con  misure
economiche.
    Il  Tribunale  rimettente  osserva  poi  che  la  violazione  dei
precetti costituzionali non e' esclusa dal rilievo secondo cui per la
categoria  di lavoratrici, cui appartiene la ricorrente, non sussiste
l'obbligo  di  astensione  dal  lavoro  nel  periodo in esame. Con la
sentenza  n. 3  del  1998  la Corte costituzionale, nell'escludere la
illegittimita'  della  mancata  previsione dell'obbligo di astensione
per  le  libere  professioniste,  ha affermato che la protezione deve
essere  adeguata  alle  caratteristiche  della  categoria  e  che "il
sostegno  economico che la legge fornisce alla lavoratrice gestante e
poi madre ha il duplice obiettivo di tutelare la salute della donna e
del  nascituro  e  di  evitare  nel  contempo  che alla maternita' si
colleghi  uno  stato  di bisogno o piu' semplicemente una diminuzione
del tenore di vita".
    L'indennita'  economica  di maternita' costituisce un presupposto
legislativamente  previsto nella misura predeterminata di cinque mesi
per  consentire anche alla lavoratrice non subordinata l'assolvimento
della    funzione   materna,   indipendentemente   dall'insussistenza
dell'obbligo  di  astensione dal lavoro in tale periodo, in quanto la
lavoratrice  e' libera di scegliere se svolgere la funzione familiare
conciliandola con la contemporanea cura dell'attivita' lavorativa.
    Poiche'  l'indennita' di maternita' assolve all'indicata funzione
anche  per le coltivatrici dirette, non vi puo' essere una diversita'
di  tutela  economica  tra le ipotesi di parto prematuro e di parto a
termine.
    2.  - Nel giudizio innanzi alla Corte si e' costituito l'Istituto
Nazionale  della  Previdenza  Sociale, chiedendo che la questione sia
dichiarata inammissibile o comunque infondata.
    Osserva  anzitutto  l'INPS  che  l'indennita'  economica  per  le
lavoratrici  autonome,  prevista  dalla  legge  n. 549  del  1987, e'
collegata  direttamente  ai  periodi  di gravidanza e puerperio ed e'
volta  a  garantire  una  continuita'  di  reddito  in  tali periodi,
disincentivando  un'eventuale  propensione  a  continuare l'attivita'
lavorativa,  pur rimessa alla scelta della donna, ed indennizzando la
lavoratrice per la possibile diminuzione della capacita' di guadagno.
    Con  la  sentenza  n. 181  del  1993,  la Corte costituzionale ha
ritenuto  legittima  la  limitazione  del  trattamento  economico  di
maternita'  delle  lavoratrici  autonome ai soli periodi dei due mesi
prima  del parto e dei tre mesi ad esso successivi, essendo riservata
alla discrezionalita' del legislatore la previsione di una disciplina
analoga a quella stabilita per le lavoratrici subordinate dall'art. 5
della  legge  n. 1204  del  1971. Significativa, del resto, appare la
circostanza  che  il legislatore, con l'art. 11 della legge n. 53 del
2000,  abbia  disciplinato  l'ipotesi  del  parto  prematuro solo con
riferimento  alle  lavoratrici  subordinate, senza regolare lo stesso
fenomeno  riguardo  alle  lavoratrici autonome, ancorche' ad esse sia
stato  esteso  il  diritto all'astensione facoltativa post partum con
l'art. 3 della medesima legge del 2000.
    Ad  avviso  dell'INPS,  la riduzione o l'annullamento del periodo
indennizzabile,  che  si  verifica in modo imprevisto nell'ipotesi di
parto    prematuro,    non   comporterebbe   lesione   di   interessi
costituzionalmente   protetti,   poiche'   quando  la  gestazione  si
interrompe  anticipatamente,  prima  che  essa  giunga  in  uno stato
avanzato,  non si determina la presumibile riduzione del reddito, non
essendo  rimasto  impedito  lo  svolgimento  della  normale attivita'
lavorativa.
    Del  resto, l'esistenza di un siffatto danno non e' stata nemmeno
dedotta  dalla  ricorrente,  ne'  prospettata  dal rimettente, che ha
posto  la  questione sotto il profilo della disparita' di trattamento
che si determinerebbe, nell'ipotesi di parto prematuro, a causa della
minor durata dell'indennizzo economico.
    In  definitiva,  i  casi  di parto prematuro e di parto a termine
darebbero  luogo  a  situazioni  obiettivamente diverse, che ricevono
trattamenti    economici    differenziati    in   conseguenza   della
corrispondente  minore  durata  del  periodo  che  il  legislatore ha
ritenuto di dover tutelare.
    Non   deve   trascurarsi   che   l'assistenza   alla  prole  nata
prematuramente   e'  comunque  tutelata  dalla  possibilita'  per  le
lavoratrici  autonome  di modulare l'impegno lavorativo, ricevendo il
sostegno economico post partum.
    Se  si  accogliesse  una  diversa  interpretazione,  l'indennita'
economica  si  trasformerebbe  in  un  assegno  una tantum, collegato
esclusivamente  all'evento  del  parto, che diverrebbe l'unico evento
tutelato.

                       Considerato in diritto

    1.   -   Il   Tribunale  di  Treviso  dubita  della  legittimita'
costituzionale  dell'art. 3  della  legge  29 dicembre  1987,  n. 546
(Indennita'  di  maternita' per le lavoratrici autonome), nella parte
in  cui  non prevede che, qualora il parto avvenga in data anticipata
rispetto a quella presunta, l'indennita' giornaliera sia corrisposta,
oltre  che  per  i tre mesi successivi alla data effettiva del parto,
anche   per   il   periodo  non  goduto  prima  del  parto,  fino  al
raggiungimento della durata complessiva di mesi cinque.
    Tale  norma,  ad  avviso  del giudice a quo, darebbe luogo ad una
disparita'   di   trattamento   tra   le   coltivatrici  dirette  che
partoriscono  prematuramente  e  quelle  che  partoriscono a termine;
sussisterebbe,    inoltre,   un   contrasto   con   l'art. 31   della
Costituzione, che impone la protezione della maternita' e del minore,
anche con misure economiche.
    2. - La questione e' infondata, nei sensi di seguito precisati.
    3.   -   Il  legislatore,  con  la  legge  n. 546  del  1987,  ha
riconosciuto  alle  lavoratrici autonome il diritto al trattamento di
maternita' per i medesimi periodi di gravidanza e puerperio nei quali
l'indennita'   e'   corrisposta   alle   lavoratrici  subordinate,  e
precisamente  per i due mesi antecedenti la data presunta del parto e
per i tre mesi successivi alla data effettiva del parto.
    Nell'ipotesi  di  parto  prematuro,  mentre  per  le  lavoratrici
subordinate  e' stata prevista dall'art. 11 della legge 8 marzo 2000,
n. 53  (Disposizioni  per  il sostegno della maternita' e paternita',
per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei
tempi  delle  citta)  la  possibilita'  che  "i  giorni non goduti di
astensione  obbligatoria  prima del parto vengono aggiunti al periodo
di astensione obbligatoria dopo il parto", analoga disposizione, come
osservano  sia il giudice rimettente che l'INPS, non e' stata emanata
in relazione alle lavoratrici autonome.
    Una  siffatta  disposizione  e'  ora  contenuta  nell'art. 68 del
decreto   legislativo   26 marzo  2001,  n. 151  (Testo  unico  delle
disposizioni  legislative  in  materia  di  tutela  e  sostegno della
maternita' e paternita', a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo
2000,  n. 53),  il  quale,  eliminando  il  riferimento sia alla data
presunta  del  parto che a quella effettiva, attribuisce l'indennita'
"per  i  due  mesi  antecedenti  la  data  del parto e per i tre mesi
successivi  alla  stessa".  Onde  attualmente,  nell'ipotesi di parto
prematuro,  l'indennita'  e'  comunque  corrisposta  per  complessivi
cinque mesi, indipendentemente dalla durata della gestazione.
    Benche'  la  citata  norma,  entrata  in vigore dopo la pronuncia
della ordinanza di rimessione, non possa trovare diretta applicazione
nel giudizio a quo, tuttavia essa obbliga l'interprete ad una opzione
ermeneutica conforme all'evoluzione del sistema normativo.
    Tale  evoluzione  si pone del resto in continuita' con i principi
ripetutamente  affermati  da questa Corte in ordine alla tutela della
maternita'.  Si  e'  infatti  piu' volte osservato che gli interventi
legislativi succedutisi in materia attestano come il fondamento della
protezione  sia ormai ricondotto alla maternita' in quanto tale e non
piu',  come  in passato, solo in quanto collegata allo svolgimento di
un'attivita'  di  lavoro  subordinato (da ultimo, sentenza n. 405 del
2001);  ed  inoltre  che  le  differenti modalita' del trattamento di
maternita'  possono  trovare  giustificazione solo nella specificita'
delle  situazioni  lavorative,  identico  essendo il bene da tutelare
(sentenza  n. 361 del 2000). Infatti, l'indennita' di maternita', pur
se  diversamente  disciplinata in relazione alle differenti attivita'
lavorative  ed  in  ragione  delle  peculiarita'  proprie di ciascuna
categoria  di  lavoratrici,  assolve  sempre  alla  medesima  duplice
funzione,  che  consiste  nel  tutelare  la  salute della donna e del
bambino  ed  evitare  che  alla  maternita'  si colleghi uno stato di
bisogno  o piu' semplicemente una diminuzione del tenore di vita (tra
le tante, si vedano le sentenze n. 310 del 1999 e n. 3 del 1998).
    Con  particolare  riferimento  alle  lavoratrici  autonome e alle
libere  professioniste,  si  e'  poi  affermato che la corresponsione
dell'indennita'   di   maternita'   non  e'  collegata  all'effettiva
astensione  dal  lavoro,  non  potendo  sussistere  un obbligo in tal
senso,  in  considerazione  delle  modalita'  di  svolgimento di tale
attivita' lavorativa, rimesse alla determinazione della donna.
    L'applicazione di tali principi obbliga quindi ad interpretare la
denunciata norma nel senso, conforme a Costituzione, che l'indennita'
spetta in ogni caso per la durata complessiva di mesi cinque.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  non  fondata,  nei  sensi  di  cui  in  motivazione, la
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 3  della legge
29 dicembre 1987, n. 546 (Indennita' di maternita' per le lavoratrici
autonome),   sollevata,  in  riferimento  agli  artt. 3  e  31  della
Costituzione, dal Tribunale di Treviso con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 9 maggio 2002.
                       Il Presidente: Ruperto
                        Il redattore: Contri
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 16 maggio 2002.
               Il direttore della cancelleria:Di Paola
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