N. 358 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 aprile 2002

Ordinanza  emessa  il  23  aprile  2002  dal tribunale amministrativo
regionale  del Piemonte sul ricorso proposto da Zucca Giuseppe contro
A.S.L. n. 8 di Chieri ed altra

Sanita'  pubblica  -  Regione  Piemonte  -  Veterinari dipendenti dal
  servizio    sanitario    pubblico    -   Esercizio   di   attivita'
  libero-professionale   -   Divieto   di  titolarita'  di  strutture
  ambulatoriali   private   nonche'   di   svolgimento  di  attivita'
  professionali     riguardo    agli    "animali    d'affezione"    -
  Irragionevolezza  - Incidenza sul diritto al lavoro e sul principio
  della  tutela  del  lavoro  - Eccedenza dai limiti della competenza
  regionale   -  Riproposizione,  sul  presupposto  della  permanente
  rilevanza,  di  questione  gia'  oggetto dell'ordinanza della Corte
  n. 80/2002  di  restituzione  atti  per  sopravvenuta  modifica dei
  parametri costituzionali.
- Legge della Regione Piemonte 3 gennaio 1997, n. 4, art. 2.
- Costituzione, artt. 3, 4, 35, 117 e 120.
(GU n.34 del 28-8-2002 )
                IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha pronunciato la seguente ordinanza, sul ricorso n. 888 del 1997
proposto   da   Zucca  Giuseppe,  rappresentato  e  difeso  dall'avv.
Sebastiano  Zuccarello e presso il medesimo elettivamente domiciliato
in Torino, via Magenta n. 36;
    Contro  l'Azienda regionale U.S.L. n. 8, in persona del Direttore
generale   pro   tempore,  rappresentata  e  difesa  dall'avv.  Mario
Vecchione  e  presso il medesimo elettivamente domiciliata in Torino,
corso  Vinzaglio  n. 4  e  nei  confronti  della Regione Piemonte, in
persona   del   Presidente   della   Giunta  regionale  pro  tempore,
rappresentata  e difesa dall'avv. Giulietta Magliona ed elettivamente
domiciliata  in  Torino,  piazza Castello n. 165; per l'annullamento,
previa  sospensione, dell'atto prot. n. 1183/DP/Vt del 7 aprile 1997,
con  il quale il Servizio veterinario dell'Azienda regionale U.S.L. 8
di  Chieri  ha  intimato  al  ricorrente  di  chiudere  la  struttura
ambulatoriale  di  cui  lo  stesso  e'  titolare;  di ogni altro atto
precedente,  successivo  o comunque connesso con quello impugnato con
il presente ricorso.
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Piemonte e
dell'Azienda regionale U.S.L. 8;
    Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Nominato relatore il dott. Italo Caso;
    Uditi  alla  Camera  di  Consiglio  del  17  aprile  2002  l'avv.
Zuccarello per il ricorrente, l'avv. Magliona per la Regione Piemonte
e l'avv. Vecchione per l'Azienda regionale U.S.L. 8.
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

F a t t o

    Con atto prot. n. 66/DP in data 4 aprile 1997 l'Azienda regionale
U.S.L.  n. 8  di Chieri richiedeva ai medici veterinari dipendenti di
segnalare  i  "programmi  e  tempi  di  massima  del  proprio impegno
professionale  (art. 1, comma 2, l.r. n. 4/1997) nonche' l'opzione di
massima  circa  l'ambito (intra o extra murario) entro cui si intende
operare,   con   riferimento   anche   alle  tipologie  professionali
individuate  nella  l.r.  n. 4/1997 (animali d'affezione, da reddito,
cavallo   sportivo)".   L'acquisizione  di  queste  informazioni  era
diretta,  tra  l'altro,  all'accertamento  di eventuali situazioni di
incompatibilita',   a  proposito  delle  quali  si  precisava  essere
necessario  adeguarsi  alle  disposizioni  della legge reg. n. 4/1997
                      entro il 31 maggio 1997.
    Indi  con  atto  prot.  n. 1183/DP/Vt  in  data  7 aprile 1997 il
Servizio   veterinario   della  medesima  azienda,  rilevato  che  il
ricorrente  risultava  ancora  titolare  di  struttura  ambulatoriale
ubicata   nel   Comune  di  Castelnuovo  Don  Bosco,  lo  invitava  a
regolarizzare la propria posizione, entro il successivo 18 aprile, in
conformita'  al disposto dell'art. 2 della legge regionale n. 4/1997,
che   vieta   l'attivita'   professionale   nell'ambito  territoriale
dell'azienda  sanitaria  di appartenenza e preclude al veterinario la
titolarita' di studio privato.
    Avverso tale provvedimento ha proposto impugnativa l'interessato,
deducendo:
    1. - Questione di legittimita' costituzionale.
    Il  ricorrente  solleva  questione di legittimita' costituzionale
degli  artt.  1, 2, 3 e 4 della legge Regione Piemonte 3 gennaio 1997
n. 4 per i seguenti motivi:
        1)  Contrasto della disposizione contenuta nell'art. 2, comma
1,  della  legge  reg.  n. 4/1997  con  l'art. 120,  comma  3,  della
Costituzione.
    La    normativa    regionale,    nel   disciplinare   l'attivita'
libero-professionale dei veterinari dipendenti dal servizio sanitario
nazionale,  ha  posto  il  divieto  di  svolgimento di tale attivita'
nell'ambito  territoriale  dell'Azienda  sanitaria  di  appartenenza.
Tuttavia,  trattandosi  di  limitazione che non appare immediatamente
riconducibile  all'esigenza  di  evitare  la  riunione nella medesima
persona  delle figure del "controllore" e del "controllato", e quindi
all'obiettivo   di  scongiurare  situazioni  di  conflitto  derivanti
dall'esercizio  delle  funzioni  pubbliche affidate ai veterinari, il
criterio territoriale appare ingiustificato, tenuto conto dell'avviso
espresso in proposito dal Consiglio di Stato in sede consultiva (Sez.
I,  20 ottobre 1993 n. 985), circa la necessita' che il sistema delle
compatibilita'  si  fondi  sulla  individuazione  in  concreto  delle
situazioni  pregiudizievoli  per  i  fini  istituzionali del servizio
sanitario   nazionale,  a  prescindere  da  un  generico  riferimento
all'ambito  territoriale.  Pertanto  il  divieto  imposto dalla legge
regionale  risulta  arbitrario  e  si  pone in netto contrasto con il
precetto  di  cui  all'art. 120, comma 3, della Costituzione, a norma
del  quale la regione non puo' porre limiti di carattere territoriale
al   diritto   dei   cittadini   di   esercitare  la  loro  attivita'
professionale o di impiego.
        2)  Contrasto  degli  artt. 1  (comma  2 e 3), 2, 3 e 4 della
legge  regionale  n. 4/1997  con gli artt. 4, comma 1, e 35, comma 1,
della Costituzione.
    Il  sistema  di divieti, controlli e condizioni predisposto dalla
legge   regionale   n. 4/1997   esclude   in   concreto   l'effettiva
possibilita'  di  esercizio  della  libera  professione  da parte dei
medici  veterinari dipendenti dal servizio sanitario nazionale, cosi'
violando  le  norme di cui agli artt., 4 e 35 della Costituzione, che
tutelano  il  diritto al lavoro nelle sue varie modalita' concrete di
esplicazione.   Ne'   i   limiti   introdotti  appaiono  giustificati
dall'esigenza   di  evitare  pregiudizi  all'interesse  pubblico.  Si
consideri,  infatti,  che  il divieto di essere titolare di struttura
ambulatoriale  privata  e  di  esservi  legato  da rapporto di lavoro
subordinato,  relativamente  all'attivita'  sugli animali d'affezione
(v. art. 2), si traduce in un divieto assoluto di svolgimento di tale
attivita',  attesa  la  necessita'  che la stessa si svolga presso un
ambulatorio;  senza  che, poi, emergano ragioni idonee a giustificare
tale preclusione, posto che i servizi assicurati dai veterinari delle
aziende  sanitarie  sono  diretti  alla  cura e alla profilassi delle
malattie   relative   agli   "animali   da  reddito",  sicche'  alcun
pregiudizio  puo'  ipotizzarsi  per  il  servizio sanitario nazionale
dallo  svolgimento  di  un'attivita'  professionale  che riguardi gli
"animali d'affezione". Peraltro anche gli artt. 3 e 4 della normativa
regionale,  disciplinando  la  libera professione per gli "animali da
reddito"  e per il "cavallo sportivo", hanno l'effetto di sacrificare
ingiustificatamente    il    diritto   costituzionale   all'esercizio
dell'attivita'  libero-professionale,  ove si consideri che la stessa
e'  consentita  solo  se  si  verifica  una  "permanente o temporanea
carenza  di  veterinari  libero-professionisti"  (art. 3, comma 1), e
quindi e' subordinata a circostanze che non attengono all'esigenza di
evitare  gravi  pregiudizi  al  servizio  sanitario  pubblico, quanto
piuttosto  a  situazioni  che  appaiono  finalizzate soprattutto alla
tutela degli interessi dei veterinari libero-professionisti.
        3) Contrasto delle disposizioni contenute negli artt. 1, 2, 3
e  4  della  legge  regionale  n. 4/1997  con  l'art.  4  della legge
n. 412/1991.  con  l'art. 47,  n. 4,  della  legge  n. 833/1978 e con
l'art. 36  del d.P.R. n. 761/1979. Violazione dell'art. 117, comma 1,
della Costituzione.
    La  normativa  regionale  e'  in  contrasto  con  le disposizioni
statali  in  materia,  ed  in  particolare  con  l'art. 4 della legge
n. 412/1991,  con  l'art. 47,  n. 4,  della  legge  n. 833/1978 e con
l'art. 36   del   d.P.R.  n. 761/1979.  Detta  disciplina  affida  al
legislatore  regionale  l'adozione  di norme attuative, presupponendo
che   non   venga  escluso  in  concreto  l'esercizio  dell'attivita'
libero-professionale,  ma  regolamentata  la stessa in funzione della
salvaguardia  degli  interessi  pubblici.  Ne consegue che, avendo la
legge regionale piemontese introdotto limitazioni tali da precluderne
in  concreto  lo  svolgimento,  non  sono  stati  rispettati i limiti
fissati  dai  principi fondamentali ricavabili dalle leggi statali, e
quindi  si  ravvisa  l'ulteriore  contrasto  con l'art. 117, comma 1,
della Costituzione.
        4)  Contrasto  degli  artt. 1, 2, 3 e 4 della legge regionale
n. 4/1997  con  l'art. 3, comma 1 e 2, della Costituzione. Disparita'
di trattamento.
    La  normativa  regionale viola anche l'art. 3 della Costituzione.
Infatti,  l'introduzione  di  limitazioni  sostanziali  all'esercizio
dell'attivita'  professionale  dei veterinari dipendenti dal servizio
sanitario nazionale nell'ambito della Regione Piemonte ha determinato
una  evidente  disparita' di trattamento tra medici pubblici e medici
veterinari  pubblici,  nonche'  tra  veterinari pubblici e veterinari
liberi  professionisti, e ancora fra veterinari in servizio presso le
aziende sanitarie piemontesi e quelli di altre regioni. La violazione
del    principio   di   uguaglianza   emerge   dalla   considerazione
dell'inutilita'  ed  arbitrarieta'  dei divieti contenuti nella legge
regionale,  i  quali  non  sono  idonei  a  salvaguardare l'interesse
pubblico,    favorendo    esclusivamente    i    veterinari    liberi
professionisti,  rispetto  ai quali i colleghi del servizio sanitario
nazionale,  in  modo  del  tutto  immotivato, si trovano in posizione
deteriore.
    II - Merito.
        1)  Violazione  di  legge.  Eccesso di potere; illegittimita'
derivata.
    Gli  indicati profili di illegittimita' costituzionale viziano in
via  derivata  l'atto  impugnato.  La  violazione  delle  norme e dei
principi   costituzionali   comporta   altresi'   l'invalidita'   del
provvedimento    per    eccesso   di   potere,   sotto   il   profilo
dell'ingiustizia manifesta e della disparita' di trattamento. Inoltre
l'applicazione   di  una  legge  che  favorisce  in  modo  del  tutto
ingiustificato  i  veterinari liberi professionisti potrebbe altresi'
determinare il vizio di eccesso di potere per sviamento della causa.
        2)  Eccesso  di  potere; illogicita' e contraddittorieta' del
comportamento    dell'amministrazione;    violazione   della   prassi
amministrativa.
    L'atto  impugnato  e' altresi' viziato da eccesso di potere sotto
ulteriori profili. Infatti l'intimazione di chiusura dell'ambulatorio
risulta  adottata  prima  ancora  che  si  fosse  completata  la fase
istruttoria  avviata dalla stessa amministrazione con la richiesta di
informazioni circa la posizione del personale veterinario, sicche' il
provvedimento   e'   stato  assunto  in  violazione  della  procedura
individuata   dall'Azienda,   pregiudicando   il   buon  andamento  e
l'imparzialita'   dell'azione   amministrativa.  Inoltre  il  termine
fissato  per  la  chiusura  dell'ambulatorio (18 aprile 1997) risulta
illogicamente  e  contraddittoriamente  anticipato  rispetto  sia  al
termine  per  l'invio  delle  informazioni  sollecitate  a  tutto  il
personale veterinario (30 aprile 1997) sia al termine per uniformarsi
alla  normativa  di  cui  alla  legge  regionale n. 4/1997 (31 maggio
1997).
        3)  Violazione  di  legge; violazione dell'art. 7 della legge
n. 241/1990; violazione del principio di partecipazione collaborativa
dell'amministrato al procedimento.
    L'aver   intimato   al   ricorrente  di  chiudere  immediatamente
l'ambulatorio  privato,  senza  attendere il completamento della fase
istruttoria  (ovvero l' acquisizione dei dati relativi alla posizione
dei  vari  medici veterinari dipendenti dall'azienda), ha determinato
altresi'   l'impossibilita'   per  l'interessato  di  partecipare  al
procedimento,  in violazione dell'art. 7 della legge n. 241 del 1990.
Considerato  che  la  richiesta  di  informazioni agli interessati si
poneva  come comunicazione dell'avvio del procedimento, si doveva poi
consentire  a  tutti,  e quindi anche al ricorrente, di far valere le
proprie   ragioni   nel   corso  dell'iter  procedurale,  astenendosi
dall'adottare prematuri atti lesivi.
    Il   ricorrente  conclude  dunque  per  l'annullamento  dell'atto
impugnato,  previa  rimessione  degli atti alla Corte costituzionale,
che  invoca venga disposta gia' nella Camera di Consiglio fissata per
l'esame dell'istanza cautelare.
    Si  e'  costituita in giudizio la Regione Piemonte, resistendo al
gravame.   Cori   memoria  del  13  maggio  1997  si  e'  evidenziata
l'infondatezza della dedotta questione di legittimita' costituzionale
della  normativa  regionale.  II  legislatore  regionale  si  sarebbe
limitato   a   stabilire  le  modalita'  di  esercizio  della  libera
professione  da  parte  dei  veterinari  pubblici,  in conformita' ai
principi stabiliti dalla normativa statale, e soprattutto in ossequio
all'esigenza di evitare conflitti di interessi legati alle molteplici
funzioni  affidate  al  personale  veterinario del servizio sanitario
nazionale,   nell'ambito   di   un'attivita'  rivolta  a  tutelare  -
attraverso le profilassi pianificate e il controllo degli alimenti di
origine  animale  - la salute umana e l'economia dell'intero comparto
agro-zootecnico.
    Si  e' costituita in giudizio anche l'Azienda regionale U.S.L. 8,
opponendosi all'accoglimento del ricorso in quanto infondato.
    Con  ordinanza  n. 518  in  data 16 giugno 1997 questa Sezione ha
dichiarato  rilevante  e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'   costituzionale   dell'art. 2   della  legge  regionale
Piemonte  3  gennaio  1997,  n. 4, e ne ha deferito il sindacato alla
Corte   costituzionale;   contestualmente   ha   sospeso  l'efficacia
dell'atto  impugnato  fino  alla  Camera  di Consiglio immediatamente
successiva    alla   comunicazione   dell'esito   del   giudizio   di
costituzionalita',   in   vista  dell'ulteriore  corso  del  processo
cautelare.
    Con  ordinanza  n. 231,  depositata  in  cancelleria il 19 giugno
1998,  la Corte costituzionale ha disposto la restituzione degli atti
a  questo  Tribunale,  invitandolo ad effettuare un nuovo esame della
rilevanza  della questione di costituzionalita' alla luce delle norme
sopravvenute in materia.
    Con  memoria  del 14 luglio 1998 il ricorrente ha insistito sulla
perdurante  sussistenza  dei presupposti per la rimessione degli atti
alla  Corte  costituzionale,  tenuto anche conto - relativamente allo
ius  superveniens  (art. 124,  comma 1, lett. a), del d.lgs. 31 marzo
1998,  n. 112)  -  del  difetto  di  potere legislativo della Regione
Piemonte nella materia oggetto della presente controversia.
    Con  ordinanza  n. 537  in  data 25 luglio 1998 questa Sezione ha
nuovamente  deferito  la  questione  alla  Corte  costituzionale, con
contestuale sospensione dell'efficacia dell'atto impugnato.
    Successivamente,  in  relazione ad un mutato quadro normativo, la
Corte  costituzionale  ha  ancora  una volta disposto la restituzione
degli  atti  al  giudice  a  quo,  al  fine  di  vedere  accertata la
perdurante rilevanza della questione (v. ord. n. 84/2000).
    Con  memorie  in  data 4 e 8 maggio 2000 le parti hanno insistito
sulle rispettive posizioni.
    Con  ordinanza  n. 3  in  data  26  maggio 2000 questa Sezione ha
ancora una volta deferito la questione alla Corte costituzionale, con
contestuale sospensione dell'efficacia dell'atto impugnato.
    Indi,   in   ragione  della  sopravvenuta  modificazione  di  due
disposizioni  costituzionali,  la  Corte  costituzionale  riteneva di
dover  nuovamente restituire gli atti al giudice a quo, al fine di un
riesame  dei  termini  della  questione  alla  luce  del nuovo quadro
normativo (v. ord. n. 80/2002).
    Alla  Camera  di  Consiglio  del  17  aprile  2002,  ascoltati  i
rappresentanti  delle parti, il Collegio si e' riservata la decisione
sull'istanza cautelare del ricorrente.

                            D i r i t t o

    In servizio presso l'Azienda regionale U.S.L. n. 8 in qualita' di
medico   veterinario,   il   ricorrente   impugna  la  nota  con  cui
l'amministrazione,   rilevatane  la  titolarita'  di  un  ambulatorio
privato  nell'ambito  del  territorio  di  competenza  della medesima
azienda,  lo ha invitato a far venir meno tale situazione entro il 18
aprile  1997.  Assume  l'illegittimita'  costituzionale  della  legge
regionale  Piemonte 3 gennaio 1997, n. 4, in applicazione della quale
e'   stato   adottato  il  provvedimento,  giacche'  la  sopraggiunta
disciplina  regionale  avrebbe  introdotto  tali  e tante limitazioni
all'attivita'  professionale  dei  veterinari titolari di rapporto di
pubblico   impiego   da   precluderne  in  concreto  l'esercizio,  in
violazione  degli  artt.  3,  4,  35,  117  e 120 della Costituzione.
Nell'attuale   regime   giuridico   ogni   preclusione   alla  libera
professione  del  personale  veterinario dipendente pubblico dovrebbe
trovare giustificazione in concrete esigenze di tutela dell'interesse
alla   massima   funzionalita'   operativa   del  servizio  sanitario
nazionale,  sicche' ogni ulteriore limite determinerebbe una indebita
compressione  del  diritto al lavoro e del diritto all'uguaglianza di
trattamento  rispetto  al  restante  personale  medico e al personale
veterinario  di  altre  regioni,  nonche'  ancora  una non consentita
riduzione   dell'ambito  territoriale  in  cui  svolgere  l'attivita'
professionale  (atteso  il  divieto in tal senso posto al legislatore
regionale)  e, comunque, l'esorbitanza della disciplina regionale dai
limiti  fissati  dalla  normativa  di  principio.  In  ogni  caso  il
provvedimento impugnato sarebbe stato assunto prima del completamento
della  fase  istruttoria e senza alcun raccordo con i termini fissati
in  via  generale  per uniformarsi alla nuova disciplina; ne' sarebbe
stata  consentita  all'interessato la partecipazione al procedimento,
ai sensi dell'art. 7 e segg. della legge n. 241 del 1990.
    Contesta  la  Regione  Piemonte  la  fondatezza  dell'assunto del
ricorrente,  poiche' le introdotte limitazioni allo svolgimento della
libera  professione  da  parte del personale veterinario troverebbero
tutte  fondamento  nella  necessita'  di scongiurare l' insorgenza di
conflitti  di  interessi  legati al contestuale esercizio di funzioni
istituzionali e di attivita' professionale.
    Occorre  innanzi  tutto  definire  il  quadro normativo in cui si
inserisce la questione dedotta.
    Nell'ambito della disciplina di riforma sanitaria l'art. 47 della
legge n. 833 del 1978 recava la delega al Governo per l'emanazione di
norme   idonee   a   "garantire   con  criteri  uniformi  il  diritto
all'esercizio  della  libera  attivita'  professionale per i medici e
veterinari  dipendenti  delle  unita'  sanitarie locali ... Con legge
regionale  sono  stabiliti le modalita' e i limiti per l'esercizio di
tale attivita'" (comma 3, n. 4). Successivamente, in attuazione della
delega  conferita,  si  stabiliva che il "personale veterinario ha la
facolta'  di  esercitare  l'attivita' libero-professionale, fuori dei
servizi  e delle strutture dell'unita' sanitaria locale, purche' tale
attivita'  non  sia  prestata con rapporto di lavoro subordinato, non
sia   in   contrasto  con  gli  interessi  ed  i  fini  istituzionali
dell'unita'  sanitaria locale stessa, ne' incompatibile con gli orari
di lavoro, secondo modalita' e limiti previsti dalla legge regionale"
(art. 36,  comma 1, del d.P.R. n. 761 del 1979). Indi l'art. 4, comma
7,  della legge n. 412 del 1991, sancito il principio per cui "con il
servizio  sanitario  nazionale puo' intercorrere un unico rapporto di
lavoro",     ha     disposto    che    "l'esercizio    dell'attivita'
libero-professionale  dei  medici  dipendenti  del servizio sanitario
nazionale  e'  compatibile  col  rapporto  unico  d'impiego,  purche'
espletato  fuori  dell'orario  di  lavoro all'interno delle strutture
sanitarie  o  all'esterno  delle  stesse, con esclusione di strutture
private convenzionate con il servizio sanitario nazionale". Da ultimo
la  Regione  Piemonte  ha  inteso  provvedere  alla "regolamentazione
dell'esercizio   dell'attivita'   libero-professionale   dei   medici
veterinari dipendenti dal servizio sanitario nazionale" (legge reg. 3
gennaio  1997,  n. 4),  ribadendone in via di principio il diritto di
esplicare  tale  attivita' "al di fuori delle strutture pubbliche, al
di  fuori dell'orario di servizio, al di fuori del plus orario, al di
fuori    del    lavoro   straordinario"   (art. 1,   comma   1),   ma
subordinatamente   all'adempimento   dell'obbligo  di  "segnalare  al
direttore   generale   dell'azienda   sanitaria  regionale  (ASR)  di
appartenenza programmi e tempi di massima del proprio impegno perche'
l'ente   possa  accertare  e  valutare  l'assenza  di  condizioni  di
incompatibilita'"   (art.   1,   comma   2);   incompatibilita'  che,
relativamente  agli  "animali  d'affezione",  riguardano  l'attivita'
professionale  esercitata  nel  territorio  di  pertinenza della "ASR
presso  la  quale il medico veterinario svolge il proprio servizio di
pubblico  dipendente"  (art,  2, comma 1), con contestuale divieto di
essere  "titolare  di struttura ambulatoriale privata" (art. 2, comma
2),  e  che,  relativamente  agli "animali da reddito", comportano il
generale  divieto  di svolgimento dell'attivita' professionale, salvo
che  non  "si  verifichi  una  permanente  o  temporanea  carenza  di
veterinari  libero-professionisti"  (art. 3, comma 1), e comunque nel
rispetto di determinati programmi operativi e subordinatamente ad una
verifica  di  competenza  del servizio veterinario regionale (art. 3,
comma 2 e 3).
    La  normativa  statale  richiamata  si iscrive in quell'indirizzo
costantemente  favorevole all'esercizio di attivita' professionali al
di  fuori  dell'ordinario  rapporto  di  lavoro, che - in deroga alla
disciplina  generale del rapporto di pubblico impiego, caratterizzata
dal  principio  di  esclusivita'  -  e'  stato  da  sempre l'elemento
peculiare  dello  status del medico dipendente dal servizio sanitario
pubblico.  Alla base vi e' la convinzione dell'influenza positiva che
al  pubblico  dipendente  puo'  derivare dalla pratica professionale,
posto che l'espletamento di attivita' esterne ed aggiuntive valgono a
potenziarne  le  capacita'  operative,  si' da giustificare il regime
differenziato   riservato  dal  legislatore  a  talune  categorie  di
personale  abilitato a svolgere anche la libera professione (v. Corte
cost.  23  dicembre  1986  n. 284, relativamente al personale docente
della  scuola);  per il personale medico, in particolare, trattandosi
di  valorizzarne  la  professionalita',  si  persegue  al contempo un
interesse  della  stessa  struttura  sanitaria  pubblica. L'esercizio
dell'attivita'  professionale  non  puo' pero' incidere negativamente
sull'osservanza  del  complesso  dei  doveri facenti capo al pubblico
dipendente, ovvero non puo' trasformarsi in un fattore di pregiudizio
del  corretto  assolvimento  dei  compiti  d'ufficio.  In  tal  senso
assumono  rilievo  i limiti posti dall'esaminata normativa, ovvero il
riferimento  al  possibile  contrasto  con  gli  interessi  e  i fini
istituzionali dell'amministrazione sanitaria.
    Cio'  posto,  deduce  il  ricorrente che l'intervenuta disciplina
regionale   si   caratterizza  per  una  indebita  restrizione  delle
possibilita'  di  esercizio  dell'attivita'  libero-professionale  da
parte  dei  veterinari  addetti  al  servizio sanitario nazionale, in
contrasto con varie norme costituzionali.
    La  questione  e'  rilevante  e non manifestamente infondata, nei
limiti che si indicheranno.
    La   rilevanza  ai  fini  del  presente  giudizio  consegue  alla
circostanza  che  il  provvedimento  impugnato  e'  stato adottato in
diretta   applicazione   della   normativa  regionale  sospettata  di
incostituzionalita',  sicche' l'eventuale espunzione dall'ordinamento
della  predetta  normativa comporterebbe l'accoglimento del ricorso e
la  caducazione  dell'atto lesivo. Tuttavia, poiche' il provvedimento
concerne   in   particolare   il   divieto   di   svolgere  attivita'
professionale  nell'ambito  del  territorio dell'azienda sanitaria di
appartenenza,  con  connessa  impossibilita'  di  essere  titolare di
struttura  ambulatoriale  privata  (di  qui l'intimazione a rimuovere
tale  causa  di incompatibilita), la controversia appare circoscritta
all'ipotesi di cui all'art. 2 della legge regionale n. 4/1997, ovvero
ai  vincoli  inerenti  l'attivita'  professionale  per  gli  "animali
d'affezione".    Pertanto    la    rilevanza   della   questione   di
costituzionalita'  va  limitata  a  tale disposizione della normativa
regionale, l'unica che incide sull'esito del presente giudizio.
    Quanto  alla  non manifesta infondatezza della questione dedotta,
rileva   il  collegio,  in  linea  con  l'orientamento  espresso  dal
Consiglio  di  Stato  in  sede consultiva (v. Sez. I, 20 ottobre 1993
n. 985/1993),      che     la     regolamentazione     dell'attivita'
libero-professionale dei veterinari dipendenti del servizio sanitario
nazionale implica l'individuazione di "specifiche situazioni idonee a
determinare  un  grave e comprovato pregiudizio al servizio sanitario
pubblico,  vietando  ai medici veterinari quei comportamenti idonei a
realizzarli".  Non operando nel settore il principio generale secondo
cui  e'  interdetta  qualsiasi  attivita'  professionale  estranea al
rapporto  di  lavoro (giacche' suscettibile di dar luogo ad interessi
conflittuali   con   quelli   inerenti   la   posizione  di  pubblico
dipendente),   ogni   deroga  alla  regola  che  consente  la  libera
professione  medica  deve  trovare fondamento in ragioni direttamente
connesse  alla  primaria esigenza di garantire un efficiente servizio
assistenziale  pubblico,  ovvero  deve  tendere  ad  evitare  che sia
negativamente condizionato l'assolvimento dei doveri d'ufficio, senza
tuttavia  porre  limiti ulteriori, e soprattutto senza tradursi in un
sostanziale annullamento delle effettive possibilita' di esercizio di
tali  attivita'  aggiuntive,  attraverso  l'adozione di misure che in
concreto vanifichino il diritto astrattamente riconosciuto, In quanto
voluto  espressamente  dall'ordinamento  come  uno  dei contenuti del
rapporto  di  impiego  del personale medico, il diritto all'esercizio
della  libera  professione  e'  riconducibile  al  diritto  al lavoro
costituzionalmente  protetto  (artt.  4  e  35  Cost.),  sicche' ogni
limitazione  a  tale  facolta'  si  giustifica  solo per la tutela di
valori  costituzionali  concorrenti  (v.  Corte  cost.  2 giugno 1977
n. 103 e 23 dicembre 1993 n. 457).
    Ne   consegue   che   l'impossibilita'   di   svolgere  attivita'
professionale   per   gli   "animali   d'affezione"   nel  territorio
dell'azienda  sanitaria  di  pertinenza,  con  contestuale divieto di
essere  titolare  di  struttura  ambulatoriale  privata (art. 2 della
legge  regionale  Piemonte  3 gennaio 1997, n. 4), determina un grave
affievolimento  delle  facolta'  professionali  del veterinario senza
raccordarsi  funzionalmente  a  specifiche  esigenze  della struttura
sanitaria  pubblica.  La titolarita' di funzioni inerenti al servizio
sanitario   nazionale   non   puo'  evidentemente  dar  luogo  ad  un
generalizzato  divieto  di  esercizio  di  attivita' private, benche'
limitato ad un determinato ambito territoriale, in quanto si viene in
tal   modo  a  contraddire  il  principio  che  ammette  alla  libera
professione il veterinario dipendente pubblico. Va piuttosto ribadito
che  i  vincoli  devono  essere  dimensionati in relazione al tipo di
attivita' svolte nell'ambito della struttura pubblica, e non anche in
riferimento  al  luogo  in  cui  opera  il  veterinario.  Il criterio
territoriale  non  soddisfa di per se' le esigenze che sono alla base
della  necessita'  di  disciplina  dell'attivita'  professionale  del
personale  medico,  giacche'  ne  vanifica  di fatto il diritto senza
razionalmente   ricondursi  all'obiettivo  di  assicurare  l'ottimale
funzionalita'   del   servizio   sanitario   pubblico.   Nell'attuale
ordinamento  prevale  il  criterio  sostanzialistico della potenziale
situazione   di   conflitto,   e   quindi   occorre   procedere  alla
individuazione  in  concreto  delle  situazioni pregiudizievoli per i
fini   istituzionali   del   servizio  sanitario  nazionale,  che  va
considerato  nella  sua  globalita'  e  non nell'ambito delle singole
strutture  in  cui  si  articola (v. Cons. Stato, Sez. I, n. 985/1993
cit). Ne' e' decisivo il richiamo alle varie competenze in materia di
controllo  e  vigilanza,  facenti  capo  ai  servizi veterinari delle
aziende  sanitarie,  che  indurrebbero  i medici veterinari ad essere
controllori  di  stessi,  posto  che  - una volta ammesso l'esercizio
della  libera  professione  -  non  se  ne puo' poi escludere in toto
l'ammissibilita', ma occorre piuttosto individuare le misure utili ad
evitare  la  sovrapposizione di ruoli nella medesima persona, tenendo
conto  delle  mansioni effettivamente assolte e dei settori operativi
cui si e' assegnati, ed in tale ottica trame le conseguenze in ordine
alle modalita' e ai limiti di esercizio dell'attivita' professionale.
    In  conclusione, la questione appare non manifestamente infondata
in  relazione agli artt. 4 e 35 della Costituzione, giacche' l'art. 2
della   legge   regionale   Piemonte  3  gennaio  1997  n. 4  risulta
ingiustificatamente   preclusivo   delle   concrete  possibilita'  di
esercizio della libera professione da parte dei veterinari dipendenti
pubblici,  e  quindi  lesivo del diritto al lavoro costituzionalmente
protetto.
    Per  quanto  concerne poi l'asserito contrasto con l'art. 3 della
Costituzione,  nega  il collegio che possa ipotizzarsi una disparita'
di  trattamento con i medici dipendenti pubblici da una parte e con i
veterinari   libero-professionisti   dall'altra,   attesa  l'evidente
diversita'  delle  situazioni poste a raffronto; quanto, invece, alla
ipotizzata  disparita' di trattamento con il personale veterinario di
altre  regioni,  e'  da  escludersi  che altre normative regionali (o
anche  l'assenza  delle  stesse) possano essere assunte a riferimento
per  desumerne  un'eventuale violazione del principio di uguaglianza.
Per   contro,   si   deve   dichiarare  d'ufficio  la  non  manifesta
infondatezza della questione, in relazione all'art. 3 Cost., sotto il
profilo  della  irragionevolezza di una normativa regionale che prima
ammette      i      veterinari      all'esercizio      dell'attivita'
libero-professionale   (v,  art. 1,  comma  1)  e  poi  ne  restringe
contraddittoriamente le possibilita' di esplicazione del diritto fino
a vanificarlo.
    L'assenza  di  una  ratio giustificativa legata alla tutela della
funzionalita'  operativa  del  servizio  sanitario  pubblico induce a
ritenere    non    manifestamente    infondata    la   questione   di
costituzionalita'  anche  in riferimento all'art. 120, comma 3, della
Costituzione,   giacche'   il  divieto  di  esercizio  dell'attivita'
professionale  per gli animali d'affezione nell'ambito del territorio
dell'azienda  sanitaria  di appartenenza, privo come e' di fondamento
in  norme  di  rango  costituzionale, viene a determinare un indebito
limite di spazio allo svolgimento della libera professione.
    Vanno  infine ritenuti sussistenti i presupposti per investire la
Corte  costituzionale  della  cognizione  della  norma  regionale  in
riferimento  all'art. 117  Cost., atteso che l'intervenuta disciplina
dell'attivita'   libero-   professionale  dei  veterinari  dipendenti
pubblici  appare  discostarsi  da  principi  fondamentali in materia,
quali si desumono dalla normativa statale esaminata, che - come si e'
visto  -  ha  inteso consentire in linea di massima l'esercizio della
libera professione, salvo regolamentarne le modalita' di esplicazione
in  relazione all'obiettivo di impedire l'insorgenza di situazioni di
pregiudizio   al   servizio  sanitario  pubblico.  L'aver  gravemente
compromesso il diritto allo svolgimento dell'attivita' professionale,
senza  alcun  ragionevole  raccordo  con  le esigenze della struttura
pubblica,  integra  quindi l'inosservanza degli indirizzi fissati dal
legislatore statale, con conseguente violazione dell'art. 117 Cost.
    Ne'  elementi  significativi  di  novita'  rispetto all'esaminata
questione  sono  stati  in  un  primo  tempo desunti dal tribunale in
relazione alle norme sopravvenute in materia, quali individuate dalla
Corte   costituzionale   con   l'ordinanza   n. 231   (depositata  in
cancelleria  il  19 giugno 1998) - recante l'invito ad un nuovo esame
della  rilevanza  della  questione  di costituzionalita' nel presente
giudizio -.
    L'art. 1  del  decreto-legge  n. 175  del  1997 (convertito dalla
legge n. 272  del  1997) aveva riconosciuto al Ministro della Sanita'
la   competenza   a   definire   le  "caratteristiche  dell'attivita'
libero-professionale  intramuraria del personale medico e delle altre
professionalita'  della  dirigenza  sanitaria  del Servizio sanitario
nazionale,  le categorie professionali e gli enti o soggetti ai quali
si  applicano le disposizioni sull'attivita' intramuraria", nonche' a
disciplinare    l'opzione    tra    attivita'    libero-professionale
intramuraria ed extramuraria, le modalita' del controllo del rispetto
delle  disposizioni sull'incompatibilita', le attivita' di consulenza
e   consulto";   successivamente   erano   intervenuti   due  decreti
ministeriali,  entrambi  in  data  31  luglio 1997, recante l'uno "le
linee  guida  dell'organizzazione dell'attivita' libero-professionale
intramuraria   della   dirigenza  sanitaria  del  Servizio  sanitario
nazionale"  e  l'altro  la disciplina in materia di "attivita' libero
professionale   e  incompatibilita'  del  personale  della  dirigenza
sanitaria  del S.S.N." (l'art. 7 di quest'ultimo aveva fatto salva la
regolamentazione  introdotta  con  il decreto ministeriale in data 11
giugno  1997,  avente  ad  oggetto  la  "fissazione  dei  termini per
l'attivazione   dell'attivita'  libero-professionale  intramuraria").
Ebbene,  da  tali norme non si evinceva un regime di incompatibilita'
che  si  sovrapponesse  o  sostituisse  a quello fissato con la legge
regionale  piemontese,  atteso  che - come prescritto dall'art. l del
decreto-legge   n. 175   -   oggetto   della   nuova  disciplina  era
esclusivamente  l'attivita'  libero-professionale intramuraria (ed in
tal   senso   doveva  essere  conseguentemente  inteso  ogni  vincolo
all'attivita'   professionale   ivi   stabilito),  mentre  di  quella
extramuraria  si  teneva  conto  ai soli fini della definizione delle
modalita'   di   opzione   tra   l'una   e  l'altra  e  di  controllo
dell'osservanza  delle  disposizioni  sulle  incompatibilita'. Non si
ravvisava   dunque   alcuna  innovazione  normativa  suscettibile  di
incidere direttamente sulla posizione del ricorrente, ancora soggetta
-  quanto  ai  limiti  di  esplicazione  dell'attivita' professionale
esterna - alla legge regionale sospettata di incostituzionalita'.
    Per  quel  che  concerne, poi, l'art. 124, comma 1, del d.lgs. 31
marzo   1998,   n. 112   ("Conferimento   di   funzioni   e   compiti
amministrativi  dello  Stato  alle  regioni  ed  agli enti locali, in
attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59"), a norma del
quale    "sono   conservate   allo   Stato   le   seguenti   funzioni
amministrative: a) la disciplina delle attivita' libero-professionali
e  delle  relative  incompatibilita',  ai sensi dell'art. 4, comma 7,
della  legge 30 dicembre 1991, n. 412, e dell'art. 1, comma 14, della
legge  23 dicembre 1996, n. 662; ..." , rilevava il Tribunale come la
disposizione  non  facesse  altro  che  confermare  una  preesistente
competenza  statale,  rispetto  alla quale la competenza regionale in
materia  conservava un ruolo secondario, ovvero attuativo di principi
e  norme  stabiliti  a  livello statale. In questo quadro, quindi, la
disciplina  regionale  restava  sottordinata ai criteri desumibili da
quella  nazionale,  e  permanevano  di  conseguenza  le  perplessita'
espresse  a  proposito  della  conformita' della normativa denunciata
agli indirizzi fissati dal legislatore statale.
    La  Corte  costituzionale  ha  poi richiesto un ulteriore riesame
della  questione  alla  luce della normativa introdotta dal d.lgs. 19
giugno  1999,  n. 229,  recante  "norme  per la razionalizzazione del
Servizio  sanitario  nazionale,  a  norma  dell'art. 1 della legge 30
novembre 1998, n. 419 (v. ord. n. 84/2000).
    Senonche',  pur  essendosi in tal modo provveduto ad una organica
disciplina  del  rapporto  di  lavoro  "esclusivo"  e  di quello "non
esclusivo"  dei  dirigenti sanitari (v. art. 15 del d.lgs. n. 502 del
1992, cosi' come modificato dall'art. 13 del d.lgs. n. 229 del 1999),
non riteneva la Sezione sostanzialmente mutato il quadro normativo di
riferimento  circa  i  contenuti  dell'attivita' libero-professionale
extramuraria  (dispone  l'art. 15-sexies:  "Il rapporto di lavoro dei
dirigenti  sanitari in servizio al 31 dicembre 1998 i quali, ai sensi
dell'art.  1, comma 10, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, abbiano
comunicato  al  direttore  generale  l'opzione  per l'esercizio della
libera  professione  extramuraria  e che non intendano revocare detta
opzione,  comporta  la totale disponibilita' nell'ambito dell'impegno
di  servizio,  per  la  realizzazione  dei risultati programmati e lo
svolgimento  delle  attivita' professionali di competenza. Le aziende
stabiliscono  i  volumi  e  le  tipologie  delle  attivita'  e  delle
prestazioni  che  i  singoli  dirigenti  sono  tenuti  ad assicurare,
nonche'   le   sedi   operative   in  cui  le  stesse  devono  essere
effettuate").  Non  vi  era  insomma  ragione  per ritenere che fosse
automaticamente  venuta  meno  la  previgente  disciplina  regionale,
perche'  -  in assenza di incompatibilita' diretta e immediata con la
sopraggiunta  legge  statale,  che  non  dettava nuove indicazioni in
merito - quella piemontese continuava a regolare la materia in ambito
regionale,   definendo   i   limiti   di   esercizio   dell'attivita'
libero-professionale esterna nelle ipotesi di non intervenuta opzione
per  il rapporto di lavoro "esclusivo". Il ricorrente, d'altra parte,
risultava inquadrato tra i dirigenti abilitati allo svolgimento della
libera  professione extramuraria (v. opzione dell'interessato in data
13  marzo 2000), e quindi aveva sicuramente titolo a vedere sindacata
la  legittimita'  costituzionale  della  legge regionale nella specie
applicata.
La  Corte  costituzionale, infine, ha restituito ancora una volta gli
atti  al  tribunale,  invitandolo a tener conto del nuovo testo degli
artt. 117  e 120 della Costituzione, quali risultanti dalle modifiche
apportate  dagli  artt. 3 e 6 della legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3
(v.  ord.  n. 80/2002). Ma, quanto al primo parametro normativo, deve
ritenersi  che  la  questione,  poiche'  direttamente  connessa  alle
funzioni  tipiche del Servizio sanitario nazionale, sia riconducibile
alla  materia  della  "tutela  della  salute", o quanto meno - in via
subordinata - alla materia delle "professioni", che l'art. 117, comma
3,   Cost.   inquadra  nella  "legislazione  concorrente";  pertanto,
permanendo   nella  competenza  dello  Stato  la  determinazione  dei
principi  fondamentali, non vi e' ragione per non considerare tuttora
rilevanti  gli  indirizzi  fissati dal legislatore statale. Ne' viene
meno  il  contrasto  con  l'art. 120  Cost.,  che vieta comunque alle
regioni  di  "limitare l'esercizio del diritto al lavoro in qualunque
parte  del  territorio nazionale" (comma 1), in tal modo riproponendo
la preclusione che si era ritenuta rilevante nel previgente regime, e
che pur in assenza dell'espresso riferimento al termine "professione"
e'  da  considerare  ancora adesso comprensiva di qualsiasi attivita'
lavorativa in senso lato, ivi compresa quella libero-professionale.
    Cio' stante, si deve disporre l'immediata trasmissione alla Corte
costituzionale  degli  atti del giudizio, dichiarandone nelle more la
sospensione.   Con   separata   ordinanza  e'  stata  pronunciata  la
temporanea sospensione dell'atto impugnato, con rinvio dell'ulteriore
corso  del  processo  cautelare  alla  conclusione  del  giudizio  di
costituzionalita'.
                              P. Q. M.
    Visto  l'art. 23  della  legge  11  marzo  1953,  n. 87, dichiara
rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita'
costituzionale  dell'art. 2  della  legge  Regione Piemonte 3 gennaio
1997,  n. 4,  in  relazione  agli  artt.  3,  4,  35, 117 e 120 della
Costituzione, nei sensi di cui in motivazione.
    Sospende  il  giudizio  cautelare  fino  alla Camera di Consiglio
immediatamente  successiva alla comunicazione dell'esito del giudizio
di  costituzionalita', e ordina la trasmissione degli atti alla Corte
costituzionale.
    Dispone  che,  a cura della segreteria, la presente ordinanza sia
notificata alle parti in causa e al Presidente della Giunta regionale
del  Piemonte  e sia comunicata al Presidente del Consiglio regionale
del Piemonte.
    Cosi'  deciso  in Torino, nella Camera di Consiglio del 17 aprile
2002.
                       Il Presidente: Montini
                         L'estensore: Caso
02C0785