N. 362 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 maggio 2002

Ordinanza   emessa  il  11 maggio  2002  dal  tribunale  Messina  nel
procedimento di sorveglianza nei confronti di Cannao' Stefano

Ordinamento  penitenziario  -  Misure  alternative  alla detenzione -
  Affidamento  in  prova  al  servizio  sociale  Sopravvenienza di un
  titolo  di  esecuzione di altra pena detentiva - Prosecuzione della
  misura  subordinata  al  mero  computo  della pena e non anche alla
  valutazione di ogni altro elemento di meritevolezza - Contrasto con
  il principio della finalita' rieducativa della pena.
- Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 51-bis.
- Costituzione, art. 27, comma 3.
(GU n.34 del 28-8-2002 )
                            IL TRIBUNALE

    Ha  pronunziato  la  seguente ordinanza, nei confronti di Cannao'
Stefano  nato a Messina il 1 gennaio 1959 e residente in Messina, via
Tommaso    Cannizzaro,    n. 202,    in   esecuzione   della   misura
dell'affidamento  in prova al servizio sociale concesso con ordinanza
n. 6614/2001 del Tribunale di sorveglianza di Firenze in relazione al
cumulo del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano
n. 2422/'99 R. Es. del 30 dicembre 1999.
    Con  decreto  n. 275/2001  del  21 marzo  2001  il  Magistrato di
sorveglianza  di  Messina, rilevato che il Procuratore generale della
Repubblica  di  Milano  con  ordine  di esecuzione n. 260/2002 del 12
marzo  2002,  comunicava  la  sopravvenienza  di  un  nuovo titolo di
esecuzione, costituito dalla sentenza della Corte d'appello di Milano
del  1 dicembre 2000, disponeva ai sensi dell'art. 51-bis della legge
n. 354/1975  la  provvisoria  sospensione della misura alternativa di
cui in epigrafe e ordinava l'accompagnamento in carcere dell'affidato
non  permanendo  i  presupposti  edittali  per  la  concessione della
misura,   previsti   dall'art. 47   dell'ordinamento   penitenziario.
All'odierna  udienza  di  discussione,  fissata  per  la ratifica del
provvedimento  del  magistrato e per la decisione definitiva circa la
prosecuzione  o  la  cessazione  della  misura  alternativa, le parti
concludevano come in atti.
    Il  collegio  osserva,  in  via preliminare, che il condannato ha
beneficiato  della  misura  alternativa  dell'affidamento in prova al
servizio   sociale   in  relazione  al  segmento  conclusivo  di  una
esecuzione  penale  protrattasi  quasi  dodici anni avendo il giudice
valutato, nella fase finale della lunga detenzione, che l'affidamento
in  prova  al servizio sociale costituiva misura idonea a contribuire
specificatamente  alla  rieducazione del reo, consentendo allo stesso
di  avere  la  possibilita'  di  ricostruire  rapporti familiari e di
inserimento   sociale  anche  con  la  collaborazione  nell'esercizio
artigianale dei familiari (forno per panificazione).
    Ritiene  questo collegio che la valutazione operata dal Tribunale
di  sorveglianza  di Firenze, alla stregua degli elementi anamnestici
concreti  e  personali  del condannato, costituisce il riscontro, sul
piano  della  effettivita'  della  esperienza  giuridica,  del valore
enucleato  all'art. 27, comma III, della Costituzione per il quale le
pene,   tendenzialmente,   devono   favorire   la   rieducazione  del
condannato,  qualunque  sia  la  tipologia di esecuzione che viene in
considerazione,  e  non  soltanto  quindi nelle ipotesi di esecuzione
relative  alle  pene  cosiddette  brevi.  Puo'  anzi  osservarsi  che
l'obiettivo della rieducazione prefissato dal Legislatore costituente
e  la  potenzialita' rieducativa di una misura alternativa al carcere
costituiscono valori che e' piu' agevole alle volte riscontrare nelle
esecuzioni  penali  che si prolungano nel tempo piu' di quanto, nella
esecuzione  di  pene  brevi,  la  misura alternativa non sia concessa
dagli   organi  di  sorveglianza  essenzialmente  in  funzione  della
salvaguardia delle esigenze di prevenzione speciale.
    Il  principio  contenuto  nell'art. 27,  comma III, Cost., che il
Legislatore  costituente  ha  postulato  nell'auspicio  di un sistema
delle  pene  utile  e,  soprattutto, efficiente per la collettivita',
dovrebbe  -  con  ogni  coerenza con il giudizio di pericolosita' che
deve  essere  personalizzato  alle  dinamiche  criminali  di  ciascun
condannato  secondo  i criteri fissati dall'art. 133 c.p. - reputarsi
espressione   peculiare  della  esecuzione  penale  alla  luce  degli
obiettivi  di  politica  penitenziaria  e  dei principi ordinamentali
coagulatisi  nella  legge  n. 354/1975, che dei valori costituzionali
costituisce lo sbocco e lo sviluppo naturale.
    Cio'  premesso,  nel  caso  di  cui  all'odierna  discussione  va
osservato  che  la  sopravvenienza del nuovo titolo restrittivo della
liberta'  personale,  comportando  un  residuo di pena da espiare che
supera  il  limite  edittale  dei  tre  anni  previsto  dal  I  comma
dell'art. 47    dell'ordinamento   penitenziario,   ha   imposto   ex
art. 51-bis  della  medesima legge l'adozione da parte del magistrato
di  sorveglianza  del  decreto di sospensione di cui in narrativa. La
predetta   norma  recita  infatti  che  quando  durante  l'attuazione
dell'affidamento  in  prova  al  servizio  sociale o della detenzione
domiciliare  o  del  regime  di semiliberta' sopravviene un titolo di
esecuzione  di altra pena detentiva ... il magistrato di sorveglianza
se,  tenuto  conto  del  cumulo  delle pene, rileva che permangono le
condizioni di cui al comma l dell'art. 47 ... dispone la prosecuzione
provvisoria  della  misura  in  corso;  in  caso contrario dispone la
sospensione  della  misura  e  trasmette  gli  atti  al  tribunale di
sorveglianza  che  deve  decidere  nel  termine  di  venti  giorni la
prosecuzione o la cessazione della misura.
    Ora pare a questo decidente che non sia manifestamente infondata,
nei  termini  sopra  illustrati, la questione della costituzionalita'
della  norma  di  che  trattasi nella misura in cui, dovendosi tenere
conto  esclusivamente  del cumulo delle pene, essa imponga al giudice
di   sorveglianza   di   sospendere   l'esecuzione   di   una  misura
dell'affidamento  in prova al servizio sociale - e cioe' di un regime
di  esecuzione  con  riferimento al quale e' stata gia' formulata una
valutazione   di   adeguatezza   sociale  -  anche  allorquando  tale
valutazione  di  adeguatezza  sia  suscettibile  di essere confermata
sulla  base dei complessivi elementi di osservazione rilevati in sede
di esecuzione e acquisiti al giudizio.
    In  definitiva  questo  giudice  ha  il  dubbio  che, nei termimi
prospettati,    la   norma   dell'ordinamento   penitenziario   sulla
prosecuzione  della  misura  alternativa  che vincola il giudizio del
magistrato  di  sorveglianza  al  mero rilievo aritmetico del calcolo
della   pena,   si   esponga   alla   neccessita'   dal   vaglio   di
costituzionalita',  spettante al giudice delle leggi, in funzione del
parametro  costituzionale costituito dall'art. 27, III comma Cost. Se
e'  vero  infatti  che,  nella  materia  de  qua e agli effetti della
concessione  del beneficio della misura ai sensi dell'art. 47 o.p. il
Legislatore   e'   certamente   sovrano   nella  identificazione  dei
presupposti  e delle condizioni d'ordine edittale - e cio', comunque,
sempre  in  funzione  della  prognosi  riabilitativa che e' possibile
formulare  -  sembra  parimenti  a  questo tribunale, sul piano della
perequazione   gomentativa,  che  la  norma  della  cui  applicazione
viceversa  si tratta nell'odierno giudizio, l'art. 51-bis della legge
n. 354/1975,  appaia  limitativa e in contrasto con il parametro e la
finalita'  costituzionale  della  rieducazione  sanciti  dall'art. 27
cost.:  e  cio' nella misura in cui essa - dovendosi procedere ad una
valutazione  sulla base del mero calcolo - non consente al giudice di
sorveglianza  di  rilevare  se  permanga  la  prospettiva reale della
rieducazione  e  della  risocializzazione,  gia'  avviata  in sede di
concessione  del  beneficio  (e  pertanto  se  siano  persistenti  le
condizioni sostanziali e di effettivita' riconducibili alle finalita'
che  sottendono  il  regime  di  esecuzione  alternativo  al carcere)
attraverso  l'applicazione  di  tutti  i  criteri di giudizio fissati
dalla  legge  (quali  ad esempio natura e tempo del commesso delitto,
eventuale  continuazione  del delitto oggetto del nuovo titolo con il
delitto   gia'   giudicato   ecc.)   e  tenendo  conto,  soprattutto,
dell'importanza  che  riveste  la continuita' dell'osservazione della
personalita'  del  condannato  sia  in  ambito  murario che in ambito
esterno da parte degli organi di assistenza sociale a cio' deputati.
    La  valutazione  circa la prosecuzione della misura, e' ovvio (ma
questo  lo si afferma incidenter tantum) non potrebbe non trovare nei
giudizi  dei tribunali di sorveglianza e nella applicazione ponderata
dei  criteri  lo  sbarramento  che  e'  quello  proprio  dello stesso
giudizio  di  ammissibilita' che 1'art. 4-bis della legge n. 354/1975
postula per la stessa concessione della misura alternativa.
    Ne  deriva  che  conformemente  al  dettato costituzionale e alla
legge   n. 87/1953  questo  collegio  reputa  di  giustizia,  per  la
rilevanza   che   la  risoluzione  della  questione  di  legittimita'
costituzionale  sollevata  ha  nel  procedimento  oggi in discussione
investire  della  stessa  la Corte costituzionale cui gli atti devono
essere trasmessi previa sospensione del giudizio in corso.
                              P. Q. M.
    Rilevata   con   riferimento   all'art. 27,   comma   III,  della
Costituzione,    la    questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 51-bis  della  legge  n. 354/1975  nella parte in cui nella
ipotesi  di  sopravvenienza  di un titolo di esecuzione di altra pena
detentiva   subordina   la   prosecuzione  della  misura  alternativa
dell'affidamento  in  prova al servizio sociale al mero computo della
pena   e  non  anche  alla  vlutazione  di  ogni  altro  elemento  di
meritevolezza,  visti gli artt. 134 e 27 III comma della Costituzione
e 23 della legge n. 87/1953.
    Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Ordina sospendersi il giudizio in corso;
    Manda  alla  cancelleria  di  comunicare la presente ordinanza ai
Procuratori  generali  presso  la  Corte  d'appello  di  Messina e di
Milano,  al  Presidente del Consiglio dei ministri e ai Presidenti di
Camera e Senato.
      Messina, addi' 7 maggio 2002
                   Il Presidente estensore: Alajmo
02C0789