N. 396 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 luglio 2002
Ordinanza del 12 luglio 2002 emessa dal Consiglio superiore della magistratura sull'istanza proposta da Esti Antonio Magistratura - Sospensione preventiva cautelare del magistrato sottoposto a procedimento penale - Durata massima della sospensione cautelare discrezionalmente disposta in base a valutazione sommaria nel merito dei fatti dedotti nel procedimento penale - Mancata previsione - Disparita' di trattamento rispetto alla disciplina stabilita per gli altri pubblici dipendenti - Richiamo alle sentenze della Corte costituzionale nn. 206/1999 e 145/2002. - Legge 7 febbraio 1990, n. 19, art. 9, comma 2; r.d.lgs. 31 maggio 1946, n. 511, art. 31. - Costituzione, art. 3.(GU n.37 del 18-9-2002 )
LA SEZIONE DISCIPLINARE DEL CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA composta dai signori: Presidente: Giovanni Verde, vice Presidente del Consiglio superiore della magistratura; Componenti: Mario Serio, componente eletto dal Parlamento; Bartolo Gallitto, componente eletto dal Parlamento; Silvana Iacopino Cavallari, magistrato di legittimita'; Achille Toro, magistrato di merito; Gianfranco Gilardi, magistrato di merito; Agnello Rossi, magistrato di merito, Ippolisto Parziale, magistrato di merito; Margherita Cassano, magistrato di merito; riunita in camera di consiglio nei giorni 5 e 12 luglio 2002, ha pronunciato la seguente Ordinanza nel procedimento n. 6/2002 del registro ordinanze nei confronti del dott. Antonio Esti, magistrato sospeso dalle funzioni e dallo stipendio. 1. - Con provvedimento del 20 gennaio 1995, il G.I.P. presso il tribunale di Salerno ordinava la custodia cautelare in carcere del dott. Antonio Esti, consigliere della Corte d'appello di Bologna, indagato del delitto di partecipazione ad associazione a delinquere di stampo camorristico ex art. 416 bis, commi 1, 3, 4, e 5 c.p. Su conformi richiese del Ministro della giustizia e del procuratore generale presso la Corte di cassazione, la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura disponeva, con provvedimento del 10 febbraio 1995, la sospensione del dott. Esti dalle funzioni e dallo stipendio, ai sensi dell'art. 31, comma 1, r.d.lgs. 31 maggio 1946, n. 511, con collocamento fuori dal ruolo organico della magistratura e con attribuzione di assegno alimentare, pari alla meta' dello stipendio e delle altre competenze di carattere continuativo. Con provvedimento del 14 febbraio 1995, il tribunale del riesame di Salerno annullava la citata ordinanza del G.I.P. per mancanza delle connesse esigenze cautelari. Su conforme istanza del dott. Esti la sezione disciplinare del C.S.M., con ordinanza 30 settembre 1995, revocava il precedente provvedimento di sospensione dalle funzioni e dallo stipendio ricollocando altresi' nel ruolo il magistrato. Con provvedimento dell'11 maggio 1996, il G.I.P., presso il tribunale di Salerno disponeva il rinvio a giudizio del dott. Esti, imputato dello stesso delitto per cui aveva reso l'ordinanza di custodia cautelare in carcere, nonche' imputato del delitto ex artt. 319-321 c.p. n. 1930 in relazione agli artt. 319, 321 vigenti, per aver ricevuto denaro ed altre utilita' al fine di compiere atto contrario ai doveri del suo ufficio di giudice. Su conforme richiesta del Ministro della giustizia, la sezione disciplinare pronunciava il 19 luglio 1996 ordinanza di sospensione del dott. Esti dalle funzioni e dallo stipendio, ai sensi del ricordato art. 31, comma 3; e con provvedimento del 13 dicembre 1996 respingeva l'istanza del dott. Esti diretta ad ottenere la revoca dell'ordinanza. All'esito dell'impugnazione proposta dal dott. Esti la Corte di cassazione SS.UU. civ., con sentenza del 10 aprile 1997, cassava il provvedimento di sospensione e rinviava il procedimento alla sezione disciplinare per un nuovo giudizio cautelare, nel quale avrebbe dovuto tenersi conto del principio secondo cui, allorquando un magistrato sia stato rinviato a giudizio penale (anche se per reati di particolare gravita), nell'esercizio del potere cautelare la sezione disciplinare non deve limitarsi a valutare in astratto la gravita' delle imputazioni, ma deve allargare l'indagine - sia pure nei limiti di una mera delibazione allo stato degli atti - alla consistenza ed alla serieta' dei fatti contestati. Al termine del giudizio di rinvio, con ordinanza del 19 settembre 1997 la sezione disciplinare disponeva nuovamente la sospensione del dott. Esti dalle funzioni e dallo stipendio; e la Corte di cassazione - SS.UU. civ., con sentenza del 2 gennaio 1998, rigettava il ricorso proposto dal dott. Esti avverso l'ordinanza di sospensione di cui sopra. Con sentenza 19 luglio 2000 - 19 gennaio 2001 del tribunale di Salerno il dott. Esti veniva dichiarato colpevole dei reati ascrittigli (capo a: art. 416 bis, commi 1, 3, 4, 5: cap b: artt. 319-321 c.p.) e condannato alla pena di anni 6 di reclusione, con interdizione perpetua dai pubblici uffici. Con istanza del 3 gennaio 2002 il dott. Esti, premesso che anche a voler scorporare il periodo in cui la misura cautelare aveva perso efficacia (10 aprile 1997, 19 settembre 1997), risultava ormai decorso il termine quinquennale previsto dall'art. 9, comma 2 della legge 7 febbraio 1990, n. 19 per l'efficacia della sospensione cautelare determinata dalla pendenza di procedimento penale, chiedeva la revoca della sospensione cautelare disposta dalla sezione con l'ordinanza 19 settembre 1997. In via subordinata, chiedeva alla sezione una delibazione del merito della vicenda processale ad esso relativa, formulava altresi' la richiesta di essere ascoltato al fine di evidenziare l'assoluta abnormita' e la mancanza di riscontri probatori dell'accusa mossa nei suoi confronti. Alla richiesta venivano allegate copia della sentenza del tribunale di Salerno in data 19 luglio 2000; copia dell'atto di appello da lui proposto avverso la suddetta sentenza; copia di pregresse lettere a lui inviate dai colleghi dalla Corte di appello di Bologna a dimostrazione della sua credibilita' di magistrato e della fiducia in lui riposta dai colleghi; copia dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare (per reato di calunnia) nei confronti di Cillari Giuseppe accusatore dell'Esti nel processo di primo grado. Con Ordinanza emessa il 30 gennaio 2002 la sezione disciplinare, richiamate le sentenze della Corte costituzionale n. 447 del 18 ottobre 1995, n. 206 del 26 maggio 1999 e n. 454 del 23 ottobre 2000, e rilevato tra l'altro che l'ordinanza 19 settembre 1997 di sospensione cautelare del dott. Esti era stata assunta non gia' sul mero presupposto della pendenza del procedimento penale e sulla base di una delibazione solo formale della contestazione contenuta nel provvedimento di rinvio a giudizio del G.I.P, presso il tribunale di Salerno, ma alla stregua di una autonoma valutazione del merito (sia pure contenuta nei termini sommari e prognostici propri del provvedimento cautelare), respingeva la richiesta di revoca del provvedimento cautelare, ulteriormente osservando che la sentenza di condanna dal tribunale di Salerno in data 19 luglio 2000 - 19 gennaio 2001 aveva rafforzato il presupposto del "fumus" rendendo piu' cogenti le esigenze cautelari connesse alla tutela della credibilita' pubblica del magistrato e del prestigio dell'ordine giudiziario. Sotto altro profilo veniva sottolineato come, pur volendo ritenere applicabile ai magistrati l'art. 9 della legge n. 19/1990, la richiesta di revoca avrebbe dovuto essere in ogni caso respinta in base all'art. 4 della legge 27 marzo 2001, n. 97. In data 21 maggio 2002 il dott. Esti ha formulato una nuova istanza di revoca della misura cautelare, invocando la sentenza n. 145 del 3 maggio 2002 con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato l'incostituzionalita' della norma appena citata "nella parte in cui dispone che la sospensione perde efficacia decorso un periodo di tempo pari a quello di prescrizione del reato". 2. - La sentenza della Corte costituzionale posta dal dott. Esti a fondamento della nuova istanza di revoca si riferisce all'art. 4 della legge 27 marzo 2001, n. 97 il quale, dopo aver previsto la misura cautelare della sospensione per i dipendenti di amministrazioni pubbliche o di enti pubblici ovvero di enti a prevalente partecipazione pubblica che abbiano riportato condanna non definitiva per alcuni dei delitti di cui agli artt. 314, comma 1, 317, 318, 319, 319 ter e 320 c.p., disponeva che la sospensione perdesse efficacia (oltre che nei casi di successivo proscioglimento od assoluzione) solo dopo il "decorso di un periodo di tempo pari a quello di prescrizione del reato". Nel dichiarare l'illegittimita' costituzionale della norma, la Corte - richiamando anche precedenti decisioni - ha osservato che: a) pur potendo essere, in via ordinaria, la stessa amministrazione a valutare l'opportunita' di disporre la misura cautelare della sospensione dal servizio, non si puo' negare al legislatore, nell'esercizio di una non irragionevole discrezionalita' (e tanto piu' a fronte dell'inerzia dell'amministrazione stessa), la facolta' di identificare ipotesi circoscritte nelle quali l'esigenza cautelare che fonda la sospensione e' apprezzata in via generale ed astratta dalla stessa legge. Tanto l'interesse generale al buon andamento della pubblica amministrazione, quanto il rapporto di fiducia dei cittadini verso quest'ultima possono infatti risultare gravemente compromessi dalla permanenza in servizio di un dipendente condannato - sia pure in via non definitiva - per taluno dei delitti in relazione ai quali la legge ha previsto la misura della sospensione cautelare; b) il collegamento della durata della misura cautelare alla prescrizione del reato risultava "sotto differenti e concorrenti profili, lesiva del principio di ragionevolezza garantito dall'art. 3 della Costituzione"; c) alla previsione di durata massima della misura cautelare sospensiva, contenuta nell'art. 9, comma 2 della legge 7 febbraio 1990, n. 19 deve attribuirsi in via sistematica il carattere di una vera e propria clausola di garanzia, avente portata generale e dunque comprensiva - in difetto di diversa disciplina legislativa - di ogni e qualsiasi ipotesi di sospensione cautelare dal servizio "a causa del procedimento penale", sia facoltativa che obbligatoria. 3. - Come chiaramente si desume dalla motivazione della sentenza, i principi affermati dalla Corte si riferiscono all'ipotesi di misura cautelare sospensiva applicata "a causa del procedimento penale" e, quindi sia alle ipotesi in cui la pendenza del procedimento penale (o altro evento specificamente indicato dalla legge quale appunto - come nel caso dell'art. 4 della legge n. 97/2001 - la condanna anche non definitiva per uno dei delitti ivi contemplati) vengono assunti direttamente dal legislatore come presupposto di un obbligo per l'amministrazione di adottare la misura cautelare (c.d. sospensione "automatica"), sia a quella in cui, pur essendo rimesso all'amministrazione il potere di disporre la misura cautelare, l'applicazione di questa consegua ad una valutazione in cui e' la pendenza del procedimento in se' e per se' considerata - in ragione della gravita' dei fatti contestati - a costituire la ragione giustificatrice sufficiente dell'esercizio del potere discrezionale da parte dell'amministrazione medesima. Sotto questo profilo, la sentenza si pone nel solco di un orientamento ripetutamente affermato dalla stessa Corte costituzionale. Gia' con sentenza n. 447 del 18 ottobre 1995, ad esempio, nel dichiarare infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 2 della legge 7 febbraio 1990, n. 19, la Corte aveva chiarito che il legislatore - nel quadro di una evoluzione normativa volta a conformare ai principi costituzionali la posizione giuridica del pubblico dipendente -, mediante il menzionato art. 9, comma 2, secondo e terzo periodo aveva inteso limitare il particolare potere di sospensione cautelare attribuito all'amministrazione dal primo comma, prima parte dell'art. 91 d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3: "potere fondato sul mero dato formale della pendenza di un procedimento penale a carico del dipendente senza necessita' di alcuna sommaria "cognitio" in ordine ne' alla responsabilita' dell'imputato, ne' al (maggiore o minore) rilievo disciplinare della condotta delittuosa, e solo condizionato - oltre che, appunto, alla sussistenza di tale presupposto formale - all'apprezzamento della particolare gravita' della natura del reato per il quale si procede". Con successive sentenze n. 206 del 26 maggio 1999 e n. 454 del 23 ottobre 2000 la Corte aveva poi ulteriormente precisato che sussiste l'esigenza di una durata limitata nel tempo della misura cautelare collegata alla pendenza di un procedimento penale ove si tratti di "una misura prevista dalla legge come automatica e obbligatoria, in ragione del semplice rinvio a giudizio per certi reati, senza alcuna possibilita' di ponderazione di interessi da parte dell'autorita' chiamata ad applicarla: cio' che invece non si verifica nelle ipotesi....... di misura cautelare ad applicazione facoltativa e discrezionale". Nel sistema normativo vigente, dunque - secondo l'interpretazione che ne ha dato in modo costante la Corte costituzionale - non e' previsto un termine massimo di durata della misura cautelare, legato al mero decorso del tempo, con riguardo all'ipotesi di sospensione cautelare disposta dall'amministrazione in relazione alla pendenza di un procedimento penale, ma in base ad un'autonoma delibazione (sia pur sommaria) nel merito dei fatti contestati. E nella specie emerge con chiarezza dalla lettura dell'ordinanza 19 settembre 1997 con la quale la sezione disciplinare ha disposto in via cautelare la sospensione del dott. Esti, che il provvedimento non e' stato assunto sul mero presupposto della pendenza del procedimento penale e sulla base di una delibazione solo formale della contestazione contenuta nel provvedimento di rinvio a giudizio del G.I.P., presso il tribunale di Salerno, ma alla stregua di una autonoma valutazione del merito (sia pure compiuta nei circoscritti limiti di una delibazione sommaria) in ordine alla responsabilita' del magistrato, al rilievo disciplinare della condotta attribuitagli e alla sussistenza di esigenze che in concreto rendevano inopportuna la sua permanenza in servizio. 4. - Non puo' in effetti negarsi che esista diversita' di situazione tra l'ipotesi di misura sospensiva applicabile automaticamente in base a presupposti determinati direttamente dalla legge (quali, ad esempio, la pendenza di un procedimento penale per fatti di particolare gravita), a prescindere da una concreta verifica sulla consistenza dell'ipotesi accusatoria, e quella di sospensione c.d. "discrezionale" conseguente ad una valutazione nel merito dei fatti, sia pure contenuta nei limiti di una delibazione sommaria, secondo i criteri del "fumus boni juris" e del "periculum in mora". Ne' ignora la sezione disciplinare che la Corte costituzionale, nel dichiarare non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 140 della legge notarile sollevata con riguardo agli artt. 3 e 27, secondo comma della Costituzione, ha sottolineato come l'inabilitazione prevista dalla norma costituisce una misura cautelare per sua natura provvisoria e facoltativa (applicabile cioe' solo in quanto l'autorita' competente riscontri in concreto la sussistenza delle esigenze cautelari, e mantenibile fino a quando tali esigenze permangano); e' correlata ad un procedimento disciplinare il cui avvio comporta una valutazione sia pure sommaria dei fatti e la conseguente contestazione all'interessato, che e' quindi messo nelle condizioni di difendersi e di contraddire; costituisce una misura sempre revocabile, (oltre che a seguito di accertamenti negativi dell'illecito, anche) in base ad un discrezionale apprezzamento della permanenza delle esigenze cautelari, "apprezzamento che puo' anche volgersi a valutare l'incidenza che sulle esigenze in questione abbia il tempo trascorso senza che sia intervenuto un accertamento positivo di responsabilita'"; la competenza ad applicare e revocare la misura cautelare - a maggior garanzia del soggetto che ne sia colpito, e' infine affidata ad un organo giurisdizionale. L'indicata diversita' di situazione per il passato era apparsa a questa sezione disciplinare sufficiente a giustificare una diversita' di disciplina. Alla luce, invece, della sentenza della Corte costituzionale n. 145 del 2002, reputa la sezione che tale diversita' di trattamento sul piano normativo non sia razionalmente giustificata. Premesso che la disposizione contenuta nell'art. 9, comma 2, ultima parte della legge 7 febbraio 1990, 2 non appare incompatibile con la specifica normativa dettata per i magistrati, con conseguente sua applicabilita' anche a questi ultimi in virtu' del rinvio contenuto nell'art. 276 ord. giud.; e premesso ancora, pertanto, che anche la sospensione cautelare dal servizio disposta nei confronti di un magistrato "a causa del procedimento penale" deve ritenersi applicabile il termine di durata massima previsto dall'art. 9, non sembra razionalmente giustificata, con riferimento all'art. 3 della Costituzione, una diversita' di disciplina tale per cui mentre e' destinata a perdere efficacia per decorso del tempo la sospensione cautelare dal servizio disposta automaticamente per effetto di una sentenza penale di condanna (richiamato art. 4, della legge n. 97/2001), sarebbe invece suscettibile di protrarsi anche oltre tale termine quella disposta discrezionalmente dall'amministrazione in base ad un'autonoma e sommaria valutazione dei fatti dedotti nel procedimento penale. Poiche' nel caso di sospensione c.d. obbligatoria o automatica viene "compiuta per legge quella valutazione della particolare gravita' della natura del reato che normalmente e' affidata all'amministrazione in sede di adozione del provvedimento di sospensione ai sensi dell'art. 91, primo comma del d.P.R. n. 3 del 1957" (Corte costituzionale, sentenza n. 206/1999), appare poco comprensibile dal punto di vista sistematico che una sospensione cautelare conseguente a sentenza di condanna (e, cioe', emessa a seguito della cognizione piena del merito, per quanto in se' non definitiva) venga automaticamente caducata alla scadenza del periodo massimo di cinque anni, mentre conserverebbe efficacia quella applicata dall'organo disciplinare in base ad una cognizione sommaria dei medesimi fatti dedotti nel procedimento penale. Se "un limite massimo di durata appare congruo rispetto al bilanciamento fra l'esigenza cautelare, che pur potrebbe protrarsi anche oltre tale termine, e quella di non comprimere eccessivamente l'interesse del dipendente, quando l'accertamento della responsabilita' penale si protragga nel tempo" (Corte costituzionale, sentenza n. 206/1999), e se nel sistema e' rinvenibile un principio in base al quale il legislatore ha ritenuto di realizzare tale bilanciamento fissando un limite massimo di durata della sospensione cautelare applicata "a causa del procedimento penale", reputa la sezione disciplinare che si realizzerebbe una ingiustificata disparita' di trattamento qualora analogo limite di durata non fosse estensibile alla misura cautelare della sospensione dal servizio disposta - per quanto in base ad apprezzamento discrezionale dell'autorita' competente in ordine alla sussistenza del "fumus" degli addebiti e delle esigenze cautelari - pur sempre in relazione alla pendenza di un procedimento penale ed ai fatti per i quali in esso si procede. Peraltro nel caso in esame la sospensione del dott. Esti disposta dalla sezione disciplinare con l'ordinanza del 19 settembre 1997 e' stata appunto motivata con riguardo ai fatti posti a fondamento dell'imputazione ascritta in sede penale e con riferimento alle risultanze di tale procedimento; e restando lo sviluppo del procedimento disciplinare condizionato dallo svolgimento di quello penale (in relazione alla pendenza del quale ultimo e' prevista la sospensione del primo ai sensi dell'art. 28, secondo comma r.d.lgs. n. 511/1946 in relazione all'art. 3 c.p.p. del 1930), appare difficile ipotizzare mutamenti delle circostanze - suscettibili di giustificare una revoca della misura cautelare prima che sia decorso il termine di cinque anni - che non siano sopravvenuti nel corso del procedimento penale e non si riconducano agli sviluppi di esso: con la conseguenza che, seppure teoricamente suscettibile di revoca, anche la sospensione cautelare discrezionalmente disposta in base ad autonomo apprezzamento dei fatti dedotti in sede penale, verrebbe a trovarsi esposta ad una durata indefinita. La mancata previsione, nell'art. 9, comma 2 della legge 7 febbraio 1990, n. 19 e nell'art. 31 comma 2 r.d.lgs. n. 411/1946 di un termine di durata massima della misura cautelare della sospensione dal servizio, applicata pur sempre in relazione alla pendenza di un procedimento penale anche se in base ad una autonoma e sommaria delibazione nel merito, appare in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, in quanto introduce una disparita' di trattamento non giustificabile rispetto al modo in cui e' disciplinata l'ipotesi della sospensione applicata "a caua del procedimento penale".
P. Q. M. La sezione disciplinare del C.S.M., ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' ccstituzionale piu' sopra indicata; Visto l'art. 23, secondo comma della legge 11 marzo 1953, n. 87; Solleva questione di legittimita' costituzionale degli articoli 9, secondo comma della legge 7 febbraio 1990, n. 19 e 31 r.d.lgs. n. 411/1946, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui non e' previsto un termine di durata massima della misura cautelare della sospensione discrezionalmente disposta in base a valutazione sommaria nel merito dei fatti dedotti nel procedimento penale; Ordina la sospensione del presente procedimento relativo al dott. Antonio Esti; Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per il giudizio di legittimita'; Dispone che, a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata al Presidente del Senato della Repubblica e al Presidente della Camera dei Deputati. Roma, addi' 12 luglio 2002 Il Presidente: Verde 02C0865