N. 396 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 luglio 2002

Ordinanza  del  12  luglio  2002 emessa dal Consiglio superiore della
magistratura sull'istanza proposta da Esti Antonio

Magistratura   -  Sospensione  preventiva  cautelare  del  magistrato
  sottoposto a procedimento penale - Durata massima della sospensione
  cautelare discrezionalmente disposta in base a valutazione sommaria
  nel  merito  dei  fatti  dedotti  nel procedimento penale - Mancata
  previsione  -  Disparita'  di  trattamento rispetto alla disciplina
  stabilita  per  gli  altri  pubblici  dipendenti  -  Richiamo  alle
  sentenze della Corte costituzionale nn. 206/1999 e 145/2002.
- Legge  7 febbraio  1990, n. 19, art. 9, comma 2; r.d.lgs. 31 maggio
  1946, n. 511, art. 31.
- Costituzione, art. 3.
(GU n.37 del 18-9-2002 )
                       LA SEZIONE DISCIPLINARE
             DEL CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA

composta dai signori:
Presidente:  Giovanni  Verde, vice Presidente del Consiglio superiore
della magistratura;
Componenti:  Mario  Serio,  componente eletto dal Parlamento; Bartolo
Gallitto,   componente   eletto   dal  Parlamento;  Silvana  Iacopino
Cavallari,  magistrato  di  legittimita'; Achille Toro, magistrato di
merito;  Gianfranco  Gilardi,  magistrato  di  merito; Agnello Rossi,
magistrato  di  merito,  Ippolisto  Parziale,  magistrato  di merito;
Margherita Cassano, magistrato di merito;
riunita  in  camera  di  consiglio  nei giorni 5 e 12 luglio 2002, ha
pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  procedimento  n. 6/2002 del registro ordinanze nei confronti del
dott. Antonio   Esti,  magistrato  sospeso  dalle  funzioni  e  dallo
stipendio.
    1. -   Con provvedimento del 20 gennaio 1995, il G.I.P. presso il
tribunale  di  Salerno  ordinava la custodia cautelare in carcere del
dott. Antonio  Esti,  consigliere  della  Corte d'appello di Bologna,
indagato  del  delitto di partecipazione ad associazione a delinquere
di stampo camorristico ex art. 416 bis, commi 1, 3, 4, e 5 c.p.
    Su   conformi   richiese  del  Ministro  della  giustizia  e  del
procuratore  generale  presso  la  Corte  di  cassazione,  la sezione
disciplinare  del  Consiglio  superiore della magistratura disponeva,
con provvedimento del 10 febbraio 1995, la sospensione del dott. Esti
dalle  funzioni  e  dallo  stipendio, ai sensi dell'art. 31, comma 1,
r.d.lgs.  31 maggio  1946,  n. 511,  con collocamento fuori dal ruolo
organico della magistratura e con attribuzione di assegno alimentare,
pari alla meta' dello stipendio e delle altre competenze di carattere
continuativo.
    Con  provvedimento del 14 febbraio 1995, il tribunale del riesame
di  Salerno  annullava  la  citata  ordinanza del G.I.P. per mancanza
delle connesse esigenze cautelari.
    Su  conforme  istanza  del dott. Esti la sezione disciplinare del
C.S.M.,  con  ordinanza  30 settembre  1995,  revocava  il precedente
provvedimento   di  sospensione  dalle  funzioni  e  dallo  stipendio
ricollocando altresi' nel ruolo il magistrato.
    Con  provvedimento  dell'11 maggio  1996,  il  G.I.P.,  presso il
tribunale  di  Salerno disponeva il rinvio a giudizio del dott. Esti,
imputato  dello  stesso  delitto  per  cui  aveva reso l'ordinanza di
custodia  cautelare  in  carcere,  nonche'  imputato  del  delitto ex
artt. 319-321  c.p. n. 1930 in relazione agli artt. 319, 321 vigenti,
per  aver  ricevuto denaro ed altre utilita' al fine di compiere atto
contrario ai doveri del suo ufficio di giudice.
    Su  conforme  richiesta  del Ministro della giustizia, la sezione
disciplinare  pronunciava  il 19 luglio 1996 ordinanza di sospensione
del  dott.  Esti  dalle  funzioni  e  dallo  stipendio,  ai sensi del
ricordato  art. 31, comma 3; e con provvedimento del 13 dicembre 1996
respingeva  l'istanza  del  dott.  Esti diretta ad ottenere la revoca
dell'ordinanza.
    All'esito  dell'impugnazione  proposta dal dott. Esti la Corte di
cassazione  SS.UU.  civ., con sentenza del 10 aprile 1997, cassava il
provvedimento  di sospensione e rinviava il procedimento alla sezione
disciplinare  per  un  nuovo  giudizio  cautelare,  nel quale avrebbe
dovuto  tenersi  conto  del  principio  secondo  cui,  allorquando un
magistrato  sia  stato rinviato a giudizio penale (anche se per reati
di  particolare  gravita),  nell'esercizio  del  potere  cautelare la
sezione  disciplinare  non  deve  limitarsi a valutare in astratto la
gravita'  delle  imputazioni, ma deve allargare l'indagine - sia pure
nei  limiti  di  una  mera  delibazione  allo stato degli atti - alla
consistenza ed alla serieta' dei fatti contestati.
    Al termine del giudizio di rinvio, con ordinanza del 19 settembre
1997  la sezione disciplinare disponeva nuovamente la sospensione del
dott. Esti dalle funzioni e dallo stipendio; e la Corte di cassazione
-  SS.UU. civ., con sentenza del 2 gennaio 1998, rigettava il ricorso
proposto  dal  dott.  Esti  avverso l'ordinanza di sospensione di cui
sopra.
    Con  sentenza  19 luglio  2000 - 19 gennaio 2001 del tribunale di
Salerno   il   dott.  Esti  veniva  dichiarato  colpevole  dei  reati
ascrittigli  (capo  a:  art. 416  bis,  commi  1,  3,  4,  5:  cap b:
artt. 319-321  c.p.)  e condannato alla pena di anni 6 di reclusione,
con interdizione perpetua dai pubblici uffici.
    Con  istanza del 3 gennaio 2002 il dott. Esti, premesso che anche
a  voler scorporare il periodo in cui la misura cautelare aveva perso
efficacia   (10 aprile  1997,  19 settembre  1997),  risultava  ormai
decorso  il  termine quinquennale previsto dall'art. 9, comma 2 della
legge  7 febbraio  1990,  n. 19  per  l'efficacia  della  sospensione
cautelare determinata dalla pendenza di procedimento penale, chiedeva
la  revoca  della  sospensione  cautelare  disposta dalla sezione con
l'ordinanza  19 settembre  1997.  In  via  subordinata, chiedeva alla
sezione  una  delibazione del merito della vicenda processale ad esso
relativa, formulava altresi' la richiesta di essere ascoltato al fine
di  evidenziare  l'assoluta  abnormita'  e  la  mancanza di riscontri
probatori  dell'accusa  mossa  nei  suoi  confronti.  Alla  richiesta
venivano  allegate  copia  della sentenza del tribunale di Salerno in
data  19 luglio  2000;  copia  dell'atto  di  appello da lui proposto
avverso  la  suddetta  sentenza;  copia  di  pregresse  lettere a lui
inviate   dai   colleghi   dalla   Corte  di  appello  di  Bologna  a
dimostrazione della sua credibilita' di magistrato e della fiducia in
lui   riposta   dai   colleghi;   copia   dell'avviso  di  fissazione
dell'udienza  preliminare  (per  reato  di calunnia) nei confronti di
Cillari Giuseppe accusatore dell'Esti nel processo di primo grado.
    Con  Ordinanza emessa il 30 gennaio 2002 la sezione disciplinare,
richiamate   le   sentenze  della  Corte  costituzionale  n. 447  del
18 ottobre  1995,  n. 206  del 26 maggio 1999 e n. 454 del 23 ottobre
2000,  e  rilevato  tra  l'altro che l'ordinanza 19 settembre 1997 di
sospensione  cautelare  del dott. Esti era stata assunta non gia' sul
mero  presupposto della pendenza del procedimento penale e sulla base
di  una  delibazione  solo  formale della contestazione contenuta nel
provvedimento  di rinvio a giudizio del G.I.P, presso il tribunale di
Salerno,  ma alla stregua di una autonoma valutazione del merito (sia
pure   contenuta   nei  termini  sommari  e  prognostici  propri  del
provvedimento  cautelare),  respingeva  la  richiesta  di  revoca del
provvedimento  cautelare, ulteriormente osservando che la sentenza di
condanna dal tribunale di Salerno in data 19 luglio 2000 - 19 gennaio
2001  aveva  rafforzato  il  presupposto  del  "fumus"  rendendo piu'
cogenti le esigenze cautelari connesse alla tutela della credibilita'
pubblica  del  magistrato  e  del  prestigio dell'ordine giudiziario.
Sotto  altro  profilo  veniva sottolineato come, pur volendo ritenere
applicabile   ai  magistrati  l'art. 9  della  legge  n. 19/1990,  la
richiesta  di  revoca  avrebbe dovuto essere in ogni caso respinta in
base all'art. 4 della legge 27 marzo 2001, n. 97.
    In  data  21 maggio  2002  il  dott.  Esti ha formulato una nuova
istanza  di  revoca  della  misura  cautelare,  invocando la sentenza
n. 145  del  3 maggio  2002  con  la quale la Corte costituzionale ha
dichiarato  l'incostituzionalita'  della  norma  appena citata "nella
parte  in  cui  dispone che la sospensione perde efficacia decorso un
periodo di tempo pari a quello di prescrizione del reato".
    2. - La  sentenza della Corte costituzionale posta dal dott. Esti
a  fondamento  della  nuova istanza di revoca si riferisce all'art. 4
della  legge  27 marzo  2001,  n. 97  il quale, dopo aver previsto la
misura    cautelare   della   sospensione   per   i   dipendenti   di
amministrazioni  pubbliche  o  di  enti  pubblici  ovvero  di  enti a
prevalente partecipazione pubblica che abbiano riportato condanna non
definitiva  per  alcuni  dei  delitti di cui agli artt. 314, comma 1,
317,  318,  319,  319  ter  e  320 c.p., disponeva che la sospensione
perdesse  efficacia (oltre che nei casi di successivo proscioglimento
od  assoluzione)  solo dopo il "decorso di un periodo di tempo pari a
quello  di  prescrizione  del reato". Nel dichiarare l'illegittimita'
costituzionale  della  norma, la Corte - richiamando anche precedenti
decisioni - ha osservato che:
        a) pur   potendo   essere,   in   via  ordinaria,  la  stessa
amministrazione  a  valutare  l'opportunita'  di  disporre  la misura
cautelare  della  sospensione  dal  servizio,  non  si puo' negare al
legislatore, nell'esercizio di una non irragionevole discrezionalita'
(e  tanto piu' a fronte dell'inerzia dell'amministrazione stessa), la
facolta'  di identificare ipotesi circoscritte nelle quali l'esigenza
cautelare  che  fonda la sospensione e' apprezzata in via generale ed
astratta  dalla  stessa  legge.  Tanto  l'interesse  generale al buon
andamento  della  pubblica  amministrazione,  quanto  il  rapporto di
fiducia  dei  cittadini  verso quest'ultima possono infatti risultare
gravemente  compromessi dalla permanenza in servizio di un dipendente
condannato  - sia pure in via non definitiva - per taluno dei delitti
in   relazione  ai  quali  la  legge  ha  previsto  la  misura  della
sospensione cautelare;
        b) il  collegamento  della durata della misura cautelare alla
prescrizione  del  reato  risultava  "sotto  differenti e concorrenti
profili, lesiva del principio di ragionevolezza garantito dall'art. 3
della Costituzione";
        c) alla  previsione  di durata massima della misura cautelare
sospensiva,  contenuta  nell'art. 9,  comma  2 della legge 7 febbraio
1990,  n. 19  deve attribuirsi in via sistematica il carattere di una
vera e propria clausola di garanzia, avente portata generale e dunque
comprensiva  - in difetto di diversa disciplina legislativa - di ogni
e  qualsiasi  ipotesi  di sospensione cautelare dal servizio "a causa
del procedimento penale", sia facoltativa che obbligatoria.
    3. - Come chiaramente si desume dalla motivazione della sentenza,
i principi affermati dalla Corte si riferiscono all'ipotesi di misura
cautelare  sospensiva  applicata "a causa del procedimento penale" e,
quindi sia alle ipotesi in cui la pendenza del procedimento penale (o
altro evento specificamente indicato dalla legge quale appunto - come
nel  caso  dell'art. 4 della legge n. 97/2001 - la condanna anche non
definitiva  per  uno  dei  delitti  ivi  contemplati) vengono assunti
direttamente  dal  legislatore  come  presupposto  di  un obbligo per
l'amministrazione  di  adottare la misura cautelare (c.d. sospensione
"automatica"),   sia   a   quella   in   cui,   pur  essendo  rimesso
all'amministrazione  il  potere  di  disporre  la  misura  cautelare,
l'applicazione  di  questa  consegua  ad una valutazione in cui e' la
pendenza  del  procedimento in se' e per se' considerata - in ragione
della  gravita'  dei  fatti  contestati  -  a  costituire  la ragione
giustificatrice  sufficiente  dell'esercizio del potere discrezionale
da parte dell'amministrazione medesima.
    Sotto  questo  profilo,  la  sentenza  si  pone  nel  solco di un
orientamento    ripetutamente    affermato    dalla    stessa   Corte
costituzionale.  Gia'  con  sentenza  n. 447  del 18 ottobre 1995, ad
esempio,  nel  dichiarare  infondata  la  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 9,  comma  2  della  legge 7 febbraio 1990,
n. 19, la Corte aveva chiarito che il legislatore - nel quadro di una
evoluzione normativa volta a conformare ai principi costituzionali la
posizione giuridica del pubblico dipendente -, mediante il menzionato
art. 9,  comma  2,  secondo  e terzo periodo aveva inteso limitare il
particolare    potere    di    sospensione    cautelare    attribuito
all'amministrazione  dal primo comma, prima parte dell'art. 91 d.P.R.
10  gennaio  1957  n. 3:  "potere fondato sul mero dato formale della
pendenza  di  un  procedimento  penale  a carico del dipendente senza
necessita'   di   alcuna  sommaria  "cognitio"  in  ordine  ne'  alla
responsabilita'  dell'imputato,  ne'  al  (maggiore o minore) rilievo
disciplinare  della  condotta delittuosa, e solo condizionato - oltre
che,   appunto,  alla  sussistenza  di  tale  presupposto  formale  -
all'apprezzamento  della  particolare gravita' della natura del reato
per il quale si procede".
    Con  successive  sentenze  n. 206 del 26 maggio 1999 e n. 454 del
23 ottobre  2000  la  Corte  aveva  poi  ulteriormente  precisato che
sussiste  l'esigenza  di  una  durata limitata nel tempo della misura
cautelare  collegata  alla  pendenza di un procedimento penale ove si
tratti  di  "una  misura  prevista  dalla  legge  come  automatica  e
obbligatoria,  in  ragione  del  semplice rinvio a giudizio per certi
reati,  senza  alcuna  possibilita'  di  ponderazione di interessi da
parte  dell'autorita'  chiamata ad applicarla: cio' che invece non si
verifica  nelle  ipotesi.......  di  misura cautelare ad applicazione
facoltativa e discrezionale". Nel sistema normativo vigente, dunque -
secondo  l'interpretazione  che  ne ha dato in modo costante la Corte
costituzionale  -  non e' previsto un termine massimo di durata della
misura  cautelare,  legato  al  mero  decorso del tempo, con riguardo
all'ipotesi di sospensione cautelare disposta dall'amministrazione in
relazione  alla  pendenza  di  un  procedimento penale, ma in base ad
un'autonoma  delibazione  (sia  pur  sommaria)  nel  merito dei fatti
contestati.  E  nella  specie  emerge  con  chiarezza  dalla  lettura
dell'ordinanza 19 settembre 1997 con la quale la sezione disciplinare
ha  disposto  in  via cautelare la sospensione del dott. Esti, che il
provvedimento  non  e'  stato  assunto  sul  mero  presupposto  della
pendenza del procedimento penale e sulla base di una delibazione solo
formale  della  contestazione contenuta nel provvedimento di rinvio a
giudizio  del G.I.P., presso il tribunale di Salerno, ma alla stregua
di  una  autonoma  valutazione  del  merito  (sia  pure  compiuta nei
circoscritti  limiti  di  una  delibazione  sommaria)  in ordine alla
responsabilita'   del   magistrato,  al  rilievo  disciplinare  della
condotta attribuitagli e alla sussistenza di esigenze che in concreto
rendevano inopportuna la sua permanenza in servizio.
    4.  -  Non  puo'  in  effetti  negarsi  che  esista diversita' di
situazione   tra   l'ipotesi   di   misura   sospensiva   applicabile
automaticamente  in base a presupposti determinati direttamente dalla
legge  (quali,  ad esempio, la pendenza di un procedimento penale per
fatti di particolare gravita), a prescindere da una concreta verifica
sulla  consistenza  dell'ipotesi accusatoria, e quella di sospensione
c.d.  "discrezionale"  conseguente  ad una valutazione nel merito dei
fatti,  sia  pure  contenuta  nei limiti di una delibazione sommaria,
secondo  i  criteri del "fumus boni juris" e del "periculum in mora".
Ne'  ignora  la sezione disciplinare che la Corte costituzionale, nel
dichiarare  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 140  della  legge  notarile  sollevata  con  riguardo  agli
artt. 3  e 27, secondo comma della Costituzione, ha sottolineato come
l'inabilitazione   prevista   dalla   norma  costituisce  una  misura
cautelare per sua natura provvisoria e facoltativa (applicabile cioe'
solo  in  quanto  l'autorita'  competente  riscontri  in  concreto la
sussistenza  delle  esigenze  cautelari,  e mantenibile fino a quando
tali   esigenze   permangano);   e'   correlata  ad  un  procedimento
disciplinare  il cui avvio comporta una valutazione sia pure sommaria
dei  fatti  e  la  conseguente  contestazione all'interessato, che e'
quindi  messo  nelle  condizioni  di  difendersi  e  di  contraddire;
costituisce  una  misura  sempre  revocabile, (oltre che a seguito di
accertamenti   negativi   dell'illecito,   anche)   in   base  ad  un
discrezionale   apprezzamento   della   permanenza   delle   esigenze
cautelari,   "apprezzamento   che  puo'  anche  volgersi  a  valutare
l'incidenza  che sulle esigenze in questione abbia il tempo trascorso
senza    che    sia   intervenuto   un   accertamento   positivo   di
responsabilita'";  la  competenza  ad  applicare e revocare la misura
cautelare  -  a  maggior garanzia del soggetto che ne sia colpito, e'
infine affidata ad un organo giurisdizionale.
    L'indicata  diversita' di situazione per il passato era apparsa a
questa sezione disciplinare sufficiente a giustificare una diversita'
di   disciplina.  Alla  luce,  invece,  della  sentenza  della  Corte
costituzionale n. 145 del 2002, reputa la sezione che tale diversita'
di   trattamento   sul   piano   normativo   non   sia  razionalmente
giustificata.  Premesso  che  la  disposizione contenuta nell'art. 9,
comma  2,  ultima  parte  della  legge  7 febbraio 1990, 2 non appare
incompatibile  con  la  specifica normativa dettata per i magistrati,
con  conseguente  sua  applicabilita' anche a questi ultimi in virtu'
del  rinvio  contenuto  nell'art. 276  ord. giud.; e premesso ancora,
pertanto,  che  anche  la sospensione cautelare dal servizio disposta
nei confronti di un magistrato "a causa del procedimento penale" deve
ritenersi   applicabile   il   termine  di  durata  massima  previsto
dall'art. 9,  non  sembra razionalmente giustificata, con riferimento
all'art. 3  della Costituzione, una diversita' di disciplina tale per
cui  mentre e' destinata a perdere efficacia per decorso del tempo la
sospensione  cautelare  dal  servizio  disposta  automaticamente  per
effetto  di una sentenza penale di condanna (richiamato art. 4, della
legge  n. 97/2001),  sarebbe  invece  suscettibile di protrarsi anche
oltre     tale     termine    quella    disposta    discrezionalmente
dall'amministrazione  in  base  ad un'autonoma e sommaria valutazione
dei  fatti  dedotti  nel  procedimento  penale.  Poiche'  nel caso di
sospensione  c.d. obbligatoria o automatica viene "compiuta per legge
quella  valutazione della particolare gravita' della natura del reato
che  normalmente  e' affidata all'amministrazione in sede di adozione
del  provvedimento  di sospensione ai sensi dell'art. 91, primo comma
del   d.P.R.   n. 3   del   1957"   (Corte  costituzionale,  sentenza
n. 206/1999),   appare   poco   comprensibile   dal  punto  di  vista
sistematico  che  una sospensione cautelare conseguente a sentenza di
condanna  (e,  cioe',  emessa  a  seguito  della cognizione piena del
merito,  per  quanto  in  se'  non  definitiva) venga automaticamente
caducata  alla  scadenza  del  periodo massimo di cinque anni, mentre
conserverebbe  efficacia quella applicata dall'organo disciplinare in
base  ad  una  cognizione  sommaria  dei  medesimi  fatti dedotti nel
procedimento  penale.  Se "un limite massimo di durata appare congruo
rispetto  al bilanciamento fra l'esigenza cautelare, che pur potrebbe
protrarsi  anche  oltre  tale  termine,  e  quella  di non comprimere
eccessivamente  l'interesse  del  dipendente,  quando  l'accertamento
della   responsabilita'   penale   si  protragga  nel  tempo"  (Corte
costituzionale,   sentenza   n. 206/1999),   e   se  nel  sistema  e'
rinvenibile  un principio in base al quale il legislatore ha ritenuto
di realizzare tale bilanciamento fissando un limite massimo di durata
della  sospensione  cautelare  applicata  "a  causa  del procedimento
penale",  reputa  la  sezione  disciplinare  che si realizzerebbe una
ingiustificata  disparita'  di  trattamento qualora analogo limite di
durata  non fosse estensibile alla misura cautelare della sospensione
dal   servizio  disposta  -  per  quanto  in  base  ad  apprezzamento
discrezionale  dell'autorita'  competente  in ordine alla sussistenza
del "fumus" degli addebiti e delle esigenze cautelari - pur sempre in
relazione  alla  pendenza di un procedimento penale ed ai fatti per i
quali in esso si procede.
    Peraltro nel caso in esame la sospensione del dott. Esti disposta
dalla  sezione  disciplinare con l'ordinanza del 19 settembre 1997 e'
stata  appunto  motivata  con  riguardo  ai  fatti posti a fondamento
dell'imputazione  ascritta  in  sede  penale  e  con riferimento alle
risultanze   di   tale  procedimento;  e  restando  lo  sviluppo  del
procedimento  disciplinare  condizionato  dallo svolgimento di quello
penale  (in  relazione  alla pendenza del quale ultimo e' prevista la
sospensione  del  primo ai sensi dell'art. 28, secondo comma r.d.lgs.
n. 511/1946   in   relazione  all'art. 3  c.p.p.  del  1930),  appare
difficile  ipotizzare  mutamenti  delle circostanze - suscettibili di
giustificare  una revoca della misura cautelare prima che sia decorso
il  termine di cinque anni - che non siano sopravvenuti nel corso del
procedimento  penale  e non si riconducano agli sviluppi di esso: con
la  conseguenza  che,  seppure  teoricamente  suscettibile di revoca,
anche  la sospensione cautelare discrezionalmente disposta in base ad
autonomo  apprezzamento  dei fatti dedotti in sede penale, verrebbe a
trovarsi esposta ad una durata indefinita.
    La   mancata   previsione,   nell'art. 9,  comma  2  della  legge
7 febbraio 1990, n. 19 e nell'art. 31 comma 2 r.d.lgs. n. 411/1946 di
un termine di durata massima della misura cautelare della sospensione
dal  servizio,  applicata pur sempre in relazione alla pendenza di un
procedimento  penale  anche  se  in  base  ad una autonoma e sommaria
delibazione  nel  merito,  appare  in  contrasto  con  l'art. 3 della
Costituzione,  in  quanto introduce una disparita' di trattamento non
giustificabile  rispetto  al  modo  in  cui e' disciplinata l'ipotesi
della sospensione applicata "a caua del procedimento penale".
                              P. Q. M.
    La  sezione  disciplinare  del  C.S.M.,  ritenuta rilevante e non
manifestamente  infondata la questione di legittimita' ccstituzionale
piu' sopra indicata;
    Visto l'art. 23, secondo comma della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Solleva  questione  di legittimita' costituzionale degli articoli
9,  secondo  comma  della  legge 7 febbraio 1990, n. 19 e 31 r.d.lgs.
n. 411/1946,  per  contrasto  con  l'art. 3 della Costituzione, nella
parte  in  cui  non  e'  previsto  un termine di durata massima della
misura cautelare della sospensione discrezionalmente disposta in base
a  valutazione sommaria nel merito dei fatti dedotti nel procedimento
penale;
    Ordina la sospensione del presente procedimento relativo al dott.
Antonio Esti;
    Dispone  la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per
il giudizio di legittimita';
    Dispone  che,  a cura della segreteria, la presente ordinanza sia
notificata  al  Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata al
Presidente  del  Senato della Repubblica e al Presidente della Camera
dei Deputati.
        Roma, addi' 12 luglio 2002
                        Il Presidente: Verde
02C0865