N. 532 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 settembre 2002

Ordinanza  emessa  il  20  settembre 2002 dal tribunale di Genova nel
procedimento  civile  vertente tra Fusco Antonio ed altri e Ministero
dell'interno

Impiego   pubblico  -  Controversie  promosse  dalle  organizzzazioni
  sindacali   ai   sensi   dell'art.   28   della  legge  n. 300/1970
  (repressione   condotta  antisindacale  del  datore  di  lavoro)  -
  Devoluzione  al  giudice  amministrativo  qualora  il comportamento
  antisindacale sia lesivo anche di situazioni soggettive inerenti ai
  rapporti  d'impiego  di cui all'art. 3 d.lgs. n. 165/2001 - Mancata
  previsione  -  Irragionevolezza - Incidenza sul diritto di difesa e
  sul principio del giudice naturale.
- Decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, art. 63, comma 3.
- Costituzione, artt. 3, 24 e 25.
(GU n.48 del 4-12-2002 )
                         IL GIUDICE DI PACE

    Letti gli atti osserva quanto segue.
    Il sindacato italiano appartenenti alla polizia (SIAP), nonche' i
dipendenti  del  Ministero dell'interno, l'ispettore Antonio Fusco ed
il vice ispettore Giampaolo Pavanello, entrambi in servizio presso il
VI  reparto  mobile,  rispettivamente responsabile e segretario della
SIAP  in  seno  al  predetto reparto, ricorrono ai sensi dell'art. 28
legge 300/1970 (legge detta anche statuto dei lavoratori) avverso due
provvedimenti  con  cui  il  Fusco e' stato trasferito alla Polfer di
Genova  (provvedimento  comunicato  il  17 aprile 2002), il Pavanello
alla questura di Genova (provvedimento comunicato il 23 aprile 2002).
    A sostegno del ricorso assumono che i provvedimenti di cui sopra,
sommariamente  motivati  con  il  generico  richiamo  a "pressanti ed
inderogabili esigenze di servizio", sono affetti dai seguenti vizi:
        a)  mancata  previa  consultazione  del  sindacato (SIAP) con
violazione  dell'art.  88  comma 4 della legge 1 aprile 1981, n. 121,
che  dispone  "i  trasferimenti  ad  altre  sedi di appartenenti alla
Polizia  di  Stato  che  ricoprono  cariche  sindacali possono essere
effettuati sentita l'organizzazione sindacale di appartenenza";
        b) violazione dell'art. 3 della legge n. 241/1990 per difetto
di motivazione;
        c)   violazione   dell'art.  1  della  legge  n. 24/1990  per
inosservanza dei criteri di economicita' e di efficacia;
        d)   eccesso   di   potere   in  quanto  il  vero  scopo  dei
trasferimenti  in questione e' stato l'allontanamento del Fusco e del
Pavanello  dal  VI  reparto  mobile  per  impedir  loro  di  svolgere
attivita'  sindacale  nelle vesti gia' precisate di responsabile e di
segretario del SIAP;
        e) eccesso di potere per carenza di istruttoria;
        f)   eccesso   di   potere   contraddizione   con  precedenti
manifestazioni di volonta';
        g) violazione del principio del buon andamento.
    Vanno subito rilevati due aspetti.
    Il  primo  riguarda la natura dei rapporti di lavoro degli attori
Fusco  e  Pavanello  con il ministero convenuto; trattasi di rapporti
non  investiti  dalla c.d. "privatizzazione" del pubblico impiego, ma
rimasti in regime di diritto pubblico ai sensi dell'art. 3 del d.lgs.
165/2001,  e  la  cui  cognizione  resta  demandata  al g.a. in forza
dell'ultima parte del quarto comma dell'art. 63 del d.lgs. 165/2001.
    Il  secondo  aspetto  concerne  la  natura  dei  motivi addotti a
sostegno del presente ricorso.
    E'  chiaro  che tutti denunciati vizi dei trasferimenti impugnati
prospettano  un  pregiudizio  a  carico  dei  dipendenti  che ne sono
destinatari.  Ma  soltanto quelli sub a) e sub d) attengono a profili
di  antisindacalita' dei trasferimenti stessi, perche' prospettano un
pregiudizio anche per l'organizzazione sindacale ricorrente.
    Pertanto  in  ordine  alla controversia introdotta con motivi che
deducono   la   violazione   di  posizioni  soggettive  facenti  capo
esclusivamente  al  Fusco  ed  al  Pavanello  andrebbe  dichiarata la
inammissibilita'  del  ricorso  per difetto di legittimazione a agire
quanto  alla domanda proposta dall'organizzazione sindacale, e quanto
alla domanda proposta dai dipendenti, per difetto di giurisdizione ai
sensi  del  combinato  disposto  degli  artt. 63 quarto comma e 3 del
d.lgs. 165/2001.
    I  residui  motivi  sub  a)  e  d) sollevano un grave problema di
giurisdizione,   cui   sono   connessi   profili   di  illegittimita'
costituzionale che saranno subito esaminati.
    E'  opportuno  un  richiamo  ad alcuni principi di fondo per bene
intendere la problematica che si va ad affrontare.
    Come  e'  noto  il comportamento viziato da antisindacalita' puo'
configurarsi  come  monoffensivo  se  pregiudica  solo  il sindacato,
oppure  plurioffensivo  se  pregiudica  anche  situazioni  soggettive
individuali   facenti  capo  al  singolo  (o  a  singoli)  lavoratore
(lavoratori).
    Ai primi tempi dell'applicazione dello statuto dei lavoratori una
parte   minoritaria  della  dottrina  ha  sostenuto  l'applicabilita'
dell'art.   28   dello   statuto   medesimo   si  soli  comportamenti
monoffensivi.
    Ma  tale  opinione,  che si puo' chiamare restrittiva, e' rimasta
del tutto isolata e non e' stata seguita dalla giurisprudenza per una
molteplicita' di ragioni.
    Innanzitutto  appare  in  contrasto  con  la chiara lettera della
legge  la  cui  ampia  formulazione:  "...  comportamenti  diretti ad
impedire  o  limitare  l'esercizio  della  liberta' e della attivita'
sindacale  nonche'  del  diritto di sciopero" mal si concilia con una
lettura riduttiva.
    Inoltre  l'art.  28  della  legge  n. 300/1970, proprio nel passo
appena  trascritto, si riferisce espressamente anche alla lesione del
diritto di sciopero che riveste, secondo l'opinione dominante, natura
individuale (o almeno anche individuale).
    Ma  soprattutto  la  tesi  in esame non e' accettabile perche' in
evidente  contrasto  con  la ratio che ispira il citato articolo 28 e
che va ravvisata nell'intento di promuovere la presenza del sindacato
in  azienda  assicurandogli una adeguata tutela. Tale intento sarebbe
assai  inadeguatamente  realizzato  ove  fosse  accolta  la  opinione
restrittiva.   Rimarrebbero  infatti  fuori  dall'operativita'  della
cennata    norma    tutti    i   pregiudizi   arrecati   dal   datore
all'organizzazione  sindacale che fossero contestuali alla lesione di
una  posizione  individuale  del  lavoratore; ed in non pochi casi si
tratterebbe  proprio  dei  pregiudizi  piu'  insidiosi  a  carico del
sindacato  (basti  pensare ad un licenziamento, o ad un trasferimento
viziati  da  motivi  antisindacali). In proposito e' stata ampiamente
sottolineata  la convergenza dei diritti individuali di liberta' e di
attivita'   sindacale   (compreso   il   diritto   di   sciopero)   e
dell'interesse  proprio  del  sindacato  ad una loro tutela rapida ed
efficace  in  occasione  di una condotta antisindacale del datore. Si
puo'   quindi   concludere  che  l'interprete,  accogliendo  la  tesi
restrittiva in esame, incorrerebbe in un macroscopico fraintendimento
dello  spirito  informatore del menzionato art. 28, norma configurata
dal legislatore dello statuto, come e' stato efficacemente osservato,
la  chiave  di  volta  che  assicura  nella sua attuazione pratica la
credibilita'  dei  principi  stessi e di gran parte delle statuizioni
contenute nello statuto.
    Ma  la  tesi  non  restrittiva, che e' nettamente prevalsa sia in
dottrina   che  in  giurisprudenza,  se  indubbiamente  condivisibile
perche'  in  linea  con  lo  spirito dello statuto dei lavoratori, ha
fatto sorgere delicati problemi di ordine processuale.
    Una   controversia  promossa  dal  sindacato  ex  art.  28  legge
n. 300/1970, ed avente ad oggetto un comportamento plurioffensivo che
si  assume  viziato  da antisindacalita', sfocia in una decisione che
coinvolge  anche  la  posizione soggettiva del lavoratore interessato
(ad  esempio  decide  sulla  legittimita'  o  meno, sotto il medesimo
profilo,   di   un  licenziamento),  il  quale,  se  non  ammesso  ad
interloquire nel processo, vede violato il proprio diritto di difesa.
E'   pur   vero  che  il  lavoratore  interessato  puo',  avverso  il
comportamento  del  datore  da  cui  si  ritiene  leso, promuovere un
autonomo  giudizio  ai  sensi  degli  artt.  413  ss. c.p.c.; ma tale
possibilita'  complica  la problematica in esame perche' introduce la
coesistenza   di   due   azioni   giudiziarie   aventi   ad   oggetto
l'accertamento,  in  via principale, della legittimita' o meno, sotto
il  medesimo  profilo,  di un determinato comportamento del datore di
lavoro.  Il  tutto con pericolo di contrasto di giudicati. Ad esempio
un   denunciato   vizio   di  antisindacalita',  che  inficerebbe  un
licenziamento,  potrebbe  essere  ritenuto  sussistente  in  sede  di
controversia  ex  art. 28 legge n. 300/1970, con conseguente condanna
alla  reintegra,  e  nel  contempo essere da altro giudice, adito con
ricorso  ex  art.  413 c.p.c., ritenuto insussistente con conseguente
dichiarazione  della  sopravvenuta legittima risoluzione del rapporto
di lavoro.
    L'ampio  e  ben  noto  dibattito che si e' svolto in dottrina sul
delicato  tema  in  questione  si  e' articolato in una pluralita' di
posizioni  a seconda del concetto cui si e' fatto ricorso per avviare
a  soluzione  la problematica appena prospettata: si e' fatto ricorso
al  concetto  di giurisdizione sui fatti; alla figura di sostituzione
processuale;  alla  nozione di litisconsorzio necessario; al concetto
di pregiudizialita' dipendenza.
    Non  e'  certo  questa  la  sede per esaminare le varie teorie in
proposito  elaborate;  qui  preme  osservare  che  tutte le posizioni
dottrinali  di  cui  si  e'  fatto  cenno  sono  mosse  da  un motivo
ispiratore comune: assicurare un collegamento, mediante riunione, tra
azione  ex  art.  28  n. legge  n. 300/1970  ed  azione ordinaria per
evitare  un  possibile  conflitto  di  giudicati,  ed  assicurare  al
lavoratore,  per salvaguardare il suo diritto di difesa, l'intervento
nel  procedimento  speciale  promosso  dal  sindacato,  almeno  nella
seconda  fase  del  procedimento,  quella  instaurata  a  seguito  di
opposizione al decreto che chiude la prima.
    Il  problema cosi' affrontato dalla dottrina restava insoluto nel
pubblico impiego, atteso che la controversia promossa dal sindacato e
quella  promossa  dal  lavoratore  interessato  erano rispettivamente
demandate  alla  cognizione  del  giudice  ordinario  e  del  giudice
amministrativo.  E' chiaro che non e' praticabile la riunione fra due
processi  pendenti  avanti  a  diverse  giurisdizioni;  e l'eventuale
ricorso   all'istituto   della  pregiudizialita',  per  prevenire  un
possibile    contrasto    fra    giudicati,   avrebbe   (ammessa   la
pregiudizialita'  dell'azione  ex  art. 28 legge n. 300/1970) leso il
diritto  di  difesa del lavoratore non legittimato ad intervenire nel
giudizio   avanti   al  giudice  ordinario,  con  intervento  adesivo
autonomo,  per  tutelare una sua posizione soggettiva deducibile solo
avanti  al  giudice  amministrativo.  Per  ragioni del tutto analoghe
sarebbe   rimasto  leso  il  diritto  di  difesa  dell'organizzazione
sindacale  qualora  si  fosse  ritenuto pregiudiziale il procedimento
ordinario instaurato dal lavoratore ex artt. 413 ss. c.p.c.
    Al  cospetto  di  siffatti  gravi inconvenienti la giurisprudenza
della  Corte  di  cassazione si era orientata nel senso di ammettere,
nei  confronti  di  enti  pubblici non economici, l'azione ex art. 28
legge   n. 300/1970   solo  avverso  comportamenti  del  datore  c.d.
monoffensivi,  vale  a  dire legittimando le associazioni sindacali a
dedurre,  con  lo  speciale procedimento avanti al giudice ordinario,
posizioni   soggettive   proprie   ed   esclusive   di   esse,  senza
coinvolgimenti  di  singoli rapporti di pubblico impiego (vedi tra le
altre  Cass., sez. lavoro n. 3477 del 1974, n. 3700 del 1974, nonche'
n. 1558 del 1975).
    Tale  soluzione  si  poneva  tuttavia  in  grave contrasto con lo
spirito   informatore   dello  statuto  medesimo  perche'  gravemente
limitativa della tutela pur riconosciuta all'organizzazione sindacale
e  volta  ad  assicurarne  l'effettiva  presenza in azienda (vedi sul
punto le considerazioni sopra svolte).
    La  stessa  Suprema  Corte  ha  posto  in  discussione la propria
giurisprudenza  in talune ordinanze (vedi tra le altre le n. 104, 105
e  106  del  1980 in Gazzetta Ufficiale n. 118 del 30 aprile 1980) di
remissione  alla  Corte costituzionale che, con sentenza 169/1982, ha
dichiarato  inammissibili (per motivi che non e' caso di approfondire
in  questa  sede)  le  questioni  avanti  a lei prospettate. Il grave
problema  di  cui  si  e'  appena detto e' stato risolto con espresso
intervento  legislativo; l'art. 6 della legge n. 146/1990 ha disposto
che    avverso    comportamenti   antisindacali   posti   in   essere
dall'amministrazione  statale,  o  da enti pubblici non economici, le
organizzazioni     sindacali     legittimate     propongono    azione
rispettivamente   avanti   al   giudice   ordinario   od  al  giudice
amministrativo,   a   seconda  che  il  comportamento  lamentato  sia
monoffensivo o plurioffensivo.
    E'  stato  cosi  espressamente  chiarito  che la tutela accordata
dall'art.  28  legge  n. 300/1970  conserva  la  sua  ampiezza  anche
nell'ambito  del  pubblico impiego, ed e' stato adeguatamente risolto
il   problema   del  coordinamento  tra  azione  speciale  ed  azione
ordinaria,  consentendo  tra  l'altro  al  lavoratore  interessato di
interloquire nel procedimento promosso dall'organizzazione sindacale.
    Successivamente  la  norma,  appena  richiamata, introdotta dalla
legge   n. 146/1990   ed   integrativa   dell'art.   28  della  legge
n. 300/1970,  e'  stata  abrogata  dalla  legge  n. 83/2000  con  una
disposizione  (articolo  4)  del  seguente  testuale tenore: "i commi
sesto  e  settimo  dell'art.  28  della  legge 20 maggio 1970 n. 300,
introdotti  dall'art.  6  comma 1, della legge 12 giugno 1990 n. 146,
sono  abrogati". Resta quindi applicabile l'art. 68 d.lgs 80/1998 che
recita:  "Sono devolute al giudice ordinario, in funzione del giudice
del  lavoro,  le  controversie relative a comportamenti antisindacali
delle  pubbliche amministrazioni al sensi dell'art. 28 della legge 20
maggio  1970  n. 300  ... "; norma testualmente ribadita dall'art. 63
del d.lgs. 165/2001.
    Ad avviso del giudicante questi ultimi interventi legislativi non
hanno  inteso  limitare la azione ex art. 28 della legge n. 300/1970,
riducendone  il  campo  di  operativita' avverso i soli comportamenti
antisindacali   monoffensivi   posti   in   essere   dalle  pubbliche
amministrazioni, e ripristinando cosi', nei rapporti con le pubbliche
amministrazioni  i principi affermati dalla giurisprudenza che si era
formata  in  epoca  precedente  all'entrata  in  vigore  della  legge
n. 146/1990.
    Siffatta  interpretazione  non  appare, ad avviso del giudicante,
condivisibile.   Essa   infatti   si  risolverebbe  in  una  drastica
riduzione,    nell'ambito    dell'impiego    presso    le   pubbliche
amministrazioni,  della  tutela  accordata al sindacato, riduzione in
netto   contrasto  con  lo  spirito  informatore  dello  Statuto  dei
lavoratori (sul punto si richiamano le osservazioni sopra svolte). E'
ragionevole  ritenere che il legislatore, se avesse inteso introdurre
innovazioni  di  cosi'  rilevante  portata (in senso negativo) per le
organizzazioni  sindacali,  avrebbe  manifestato  in modo espresso la
propria  volonta',  non avrebbe lasciato all'interprete il compito di
... leggerla tra le righe.
    In  realta'  la  abrogazione  dell'art. 6 della legge n. 146/1990
agevolmente  si  spiega  ove  si  consideri  che  nel  frattempo  era
sopravvenuta   la  c.d.  privatizzazione  del  pubblico  impiego  con
conseguente devoluzione al giudice ordinario, in veste di giudice del
lavoro,  delle  controversie  promosse dai dipendenti delle pubbliche
amministrazioni.
    In  questo  nuovo  quadro  normativo non avrebbe avuto piu' senso
demandare al giudice amministrativo le azioni promosse dal sindacato,
ex  art.  28  della  legge n. 300/1970, avverso i comportamenti della
pubblica  amministrazione  plurioffensivi.  Anzi  proprio  nel  nuovo
quadro  normativo  tale  soluzione  avrebbe  fatto  rinascere  quegli
inestricabili problemi di coordinamento fra azione speciale ed azione
ordinaria,  le quali sarebbero rimaste rispettivamente demandate alla
cognizione  di diverse giurisdizioni, problemi che proprio l'articolo
6 della legge 146/1990 aveva inteso risolvere.
    Si  deve tuttavia rilevare, in ordine alla abrogazione del citato
art. 6, un difetto di coordinamento col quarto comma dell'art. 63 del
d.lgs. 165/2001 (gia' comma 4 dell'art. 68 del d.lgs. 80/1998) che ha
lasciato  alla  cognizione del giudice amministrativo le controversie
contro  le pubbliche amministrazioni promosse dai dipendenti indicati
dall'art.  3  del d.lgs. 165/2001, fra cui appunto il personale delle
Forze di polizia di Stato.
    In  questo  ambito  si  ripristinano,  a seguito dell'abrogazione
dell'art.  6 della legge n. 146/1990, quelle incongruenze che avevano
indotto la giurisprudenza ad ammettere, in tutto il pubblico impiego,
l'azione  ex  art.  28  dello  statuto  dei lavoratori avverso i soli
comportamenti  antisindacali  monoffensivi;  incongruenze  cui  aveva
posto rimedio proprio l'art. 6 della legge n. 146/1990.
    Cosi' nel caso in esame questo giudice, in relazione ai motivi di
impugnazione  sub  a)  e  sub d) (vedi sopra), dovrebbe, ai sensi del
terzo  comma  dell'art.  63  del d.lgs. 165/2001, ritenere la propria
giurisdizione in ordine al procedimento speciale promosso dal SIAP, e
dovrebbe  nel  contempo,  ai  sensi  del  quarto  comma  del medesimo
articolo, ritenere il proprio difetto di giurisdizione in ordine alle
domande  proposte  dal  Fusco  e  dal Pavanello, con le quali vengono
fatte  valere  situazioni soggettive individuali deducibili avanti al
giudice amministrativo.
    Ebbene  il  terzo  comma  dell'art. 63 del d.lgs. 165/2001, nella
parte  in cui demanda alla cognizione del giudice ordinario, anziche'
a quella del giudice amministrativo, il procedimento instaurato ex 28
della  legge art. 300/1970 avverso comportamenti antisindacali lesivi
anche  di situazioni soggettive facenti capo al personale contemplato
dall'art.  3  del d.lgs. 165/2001, presenta profili di illegittimita'
costituzionale.
    Un  primo  profilo  attiene  al  contrasto  con  l'art.  3  della
Costituzione per manifesta irragionevolezza.
    Invero  due  controversie aventi il medesimo oggetto, vale a dire
l'accertamento  in  via  principale della illegittimita' dello stesso
comportamento  e  per  lo  stesso  vizio denunciato, sono demandate a
differenti  giurisdizioni, col gia' rilevato difetto di strumenti per
prevenire  i  possibili  contrasti  fra giudicati. Appare chiaramente
irragionevole  (in ordine al principio di ragionevolezza quale limite
posto alla discrezionalita' del legislatore vedi Corte costituzionale
sentenza  n. 72  e  n. 87  del  1962;  n. 7 del 1965; n. 94 del 1966;
n. 103 del 1969; n. 190 del 1971; n. 9 del 1975) creare situazioni di
possibili  contrasti  fra  giudicati  e  nel  contempo  non delineare
strumenti per prevenire siffatto grave inconveniente.
    Un  ulteriore profilo di illegittimita' costituzionale attiene al
contrasto  con  l'art.  24  della  Costituzione.  Il dipendente della
pubblica  amministrazione  si  vedrebbe  leso  nel proprio diritto di
difesa  perche'  non sarebbe ammesso ad interloquire nel procedimento
promosso  dall'organizzazione sindacale avanti al giudice ordinario e
diretto  a  decidere  in  via  principale  anche  su di una posizione
soggettiva del dipendente stesso. Un intervento in detto procedimento
sarebbe,  come  gia'  si  e' detto, inammissibile perche' volto a far
valere  una  situazione  soggettiva  del  dipendente  deducibile solo
avanti al giudice amministrativo.
    E'  ravvisabile  poi  una  violazione  del  principio del giudice
naturale,  ex  art.  25  della  Costituzione,  inteso  quale  giudice
precostituito  per  legge,  poiche'  la  medesima  controversia viene
demandata  a due differenti giurisdizioni (il giudice ordinario od il
giudice  amministrativo)  a  seconda  del  soggetto  da  cui e' presa
l'iniziativa giudiziaria.
    Alla  stregua  delle  considerazioni  svolte si deve ritenere non
manifestamente    infondata    la    questione    di   illegittimita'
costituzionale  del  terzo  comma  dell'art.  63 del d.lgs. 165/2001,
nella   parte  in  cui  non  demanda  al  giudice  amministrativo  le
controversie  promosse ai sensi dell'art. 28 della legge n. 300/1970,
qualora  il  comportamento  antisindacale dedotto sia lesivo anche di
situazioni  soggettive  inerenti  ai  rapporti  di  impiego  previsti
dall'art. 3 del d.lgs. 165/2001.
    La  questione  oltre  che  non  manifestamente  infondata, per le
ragioni  gia'  esposte,  appare anche rilevante al fine del decidere.
Infatti  il giudicante, al sensi del combinato disposto dei commi 3 e
4  dell'art.  63 del d.lgs. 165/2001, e sempre in relazione ai motivi
sub  a)  e  sub  d)  del  ricorso introduttivo (vedi sopra), dovrebbe
ritenere  la  propria  giurisdizione  in ordine alla domanda proposta
dall'organizzazione  sindacale ricorrente, mentre dovrebbe dichiarare
il  proprio  difetto di giurisdizione in ordine alle domande proposte
dal Fusco e dal Pavanello; l'accoglimento della prospettata questione
di  illegittimita' costituzionale avrebbe invece quale conseguenza la
dichiarazione  del  difetto  di  giurisdizione in ordine alle domande
proposte da tutti gli attori.
                              P. Q. M.
    1) Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione
di  illegittimita'  costituzionale dell'art. 63 comma 3 del d.lgs. 30
marzo  2001,  n. 165, per contrasto con gli articoli 3, 24 e 25 della
Costituzione,  nella  parte  in  cui  non demanda alla cognizione del
giudice  amministrativo le controversie promosse dalle organizzazioni
sindacali  ai  sensi dell'art. 28 della legge n. 300/1970, qualora il
comportamento  antisindacale  dedotto  sia lesivo anche di situazioni
soggettive  inerenti  ai rapporti di impiego previsti dall'art. 3 del
d.lgs. 165/2001;
    2) dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e
sospende il presente giudizio;
    3) ordina che la presente ordinanza, di cui e' stata data lettura
in  udienza,  sia, a cura della cancelleria, notificata al Presidente
del Consiglio dei ministri, e sia comunicata ai Presidenti del Camera
dei deputati e del Senato della Repubblica.
                        Il giudice: Gelonesi
02C1098