N. 486 ORDINANZA 20 - 26 novembre 2002

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo  penale  -  Tribunale  in  composizione  monocratica - Nuove
  contestazioni  in  dibattimento  -  Trasferimento  del  processo al
  tribunale  in  composizione collegiale - Trasmissione degli atti al
  giudice   del   dibattimento   anziche'  al  pubblico  ministero  -
  Impossibilita'  per  l'imputato  di  accedere ai riti alternativi -
  Prospettata,  irragionevole, disparita' di trattamento tra imputati
  - Manifesta infondatezza della questione.
- Cod. proc. pen., art. 521-bis, in relazione agli artt. 516 e 517.
- Costituzione, artt. 3 e 24.
(GU n.48 del 4-12-2002 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Cesare RUPERTO;
  Giudici:  Riccardo  CHIEPPA,  Gustavo  ZAGREBELSKY,  Valerio ONIDA,
Carlo  MEZZANOTTE,  Fernanda  CONTRI,  Guido  NEPPI  MODONA, Annibale
MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE
SIERVO, Romano VACCARELLA, Paolo MADDALENA;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 521-bis del
codice  di  procedura penale, in relazione agli artt. 516 e 517 dello
stesso  codice,  promosso, nell'ambito di un procedimento penale, dal
Tribunale  di  Napoli  con ordinanza del 23 ottobre 2001, iscritta al
n. 190  del  registro  ordinanze  2002  e  pubblicata  nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 18, 1a serie speciale, dell'anno 2002.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 23 ottobre 2002 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.
    Ritenuto  che  il Tribunale di Napoli in composizione monocratica
ha  sollevato,  in  riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione,
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 521-bis del codice
di  procedura  penale, in relazione agli artt. 516 e 517 dello stesso
codice,   "nella   parte  in  cui  prevede  che,  in  caso  di  nuova
contestazione   nel  corso  del  dibattimento  celebrato  dinanzi  al
tribunale  in  composizione  monocratica,  il  processo  debba essere
trasmesso al tribunale in composizione collegiale";
    che il rimettente premette:
        che  il  giudice  dell'udienza  preliminare aveva disposto il
rinvio  a  giudizio dell'imputato per il delitto di rapina dinanzi al
tribunale   in   composizione   monocratica,   che   nel   corso  del
dibattimento,  a seguito dell'esame della persona offesa, il pubblico
ministero  aveva  contestato all'imputato l'aggravante della minaccia
con   l'uso   delle   armi,  e  che,  essendo  la  fattispecie  cosi'
diversamente  qualificata attribuita alla cognizione del tribunale in
composizione  collegiale,  gli atti erano stati trasmessi al pubblico
ministero,  che,  investito  di  una  nuova  richiesta  di  rinvio  a
giudizio,  il  giudice  dell'udienza  preliminare,  rilevato che "non
poteva  ritenersi  verificata  una  regressione alla fase precedente,
essendo  gia' stata validamente celebrata l'udienza preliminare e non
potendosi  pertanto  rinnovare  la  stessa in ordine al solo elemento
dell'aggravante"  aveva restituito gli atti al pubblico ministero, il
quale  li aveva poi nuovamente trasmessi al tribunale in composizione
monocratica;
        che  nella  situazione  considerata l'omessa previsione di un
meccanismo  di  regressione del procedimento si porrebbe in contrasto
con  gli  artt. 3  e  24  Cost.,  in  base ai principi espressi nelle
sentenze n. 265 del 1994 e n. 530 del 1995 dalla Corte costituzionale
che, in riferimento alla disciplina anteriore alla riforma introdotta
dal  decreto  legislativo  19 febbraio 1998, n. 51, ebbe ad affermare
che  rientrava  nella  facolta' dell'imputato chiedere al giudice del
dibattimento  l'applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen. o
proporre domanda di oblazione ai sensi degli artt. 162 e 162-bis cod.
pen. relativamente al fatto diverso e al reato concorrente contestati
in dibattimento;
        che in particolare la Corte, con la sentenza n. 265 del 1994,
ritenne  che,  ove  la  nuova contestazione concernesse un fatto gia'
risultante   dagli   atti   di  indagine  al  momento  dell'esercizio
dell'azione   penale   ovvero  l'imputato  avesse  tempestivamente  e
ritualmente  proposto  la  richiesta  di  applicazione  della pena in
ordine  alle originarie imputazioni, l'imputato doveva essere rimesso
in termini per chiedere il patteggiamento;
        che,  sebbene  la  specifica  ipotesi  della contestazione in
dibattimento di una circostanza aggravante non sia mai stata presa in
considerazione  dalla  Corte,  ad  avviso  del  rimettente i principi
affermati   nelle   sentenze  sopra  menzionate  non  potrebbero  non
estendersi  anche a questo caso, sempre che la circostanza aggravante
concerna fatti che, come nella specie, gia' risultavano dagli atti di
indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale;
        che,  pur conservando tali principi la loro valenza nel nuovo
sistema,  ora  non  sarebbe  piu'  possibile  fare applicazione della
richiamata  pronuncia  della Corte n. 265 del 1994, "che prevedeva la
possibilita'   per  l'imputato  di  poter  esercitare  nuovamente  la
facolta'  di  richiedere  l'applicazione  della pena, oltre il limite
della  dichiarazione  di  apertura  del  dibattimento,  alla medesima
autorita'  giudiziaria  dinanzi alla quale tale termine era spirato",
in  quanto l'anticipazione all'udienza preliminare del termine per la
richiesta  di  applicazione della pena ha escluso "dalle attribuzioni
del   tribunale   in  composizione  collegiale  la  celebrazione  del
patteggiamento";
        che    inoltre,    per   effetto   della   nuova   disciplina
dell'attribuzione   dei   reati  alla  cognizione  del  tribunale  in
composizione collegiale o monocratica, si verificherebbe un'ulteriore
disparita'  di trattamento rispetto a quella allora censurata dinanzi
alla Corte;
        che  infatti,  ove  l'udienza  preliminare  non si sia svolta
perche' non prevista e a seguito di nuova contestazione la competenza
spetti  al  tribunale in composizione collegiale, l'art. 521-bis cod.
proc.  pen. prevede la restituzione degli atti al pubblico ministero,
consentendo   all'imputato   di   rivalutare   la  propria  posizione
processuale  e  di  richiedere  "eventuali riti alternativi (e dunque
anche il giudizio abbreviato)", mentre, quando il giudizio dinanzi al
tribunale  in  composizione  monocratica  consegue  alla celebrazione
dell'udienza  preliminare,  la  medesima norma impone la trasmissione
degli  atti  direttamente  al  tribunale  in composizione collegiale,
impedendo cosi' all'imputato di accedere ai riti alternativi;
        che  anche  in  quest'ultimo  caso, secondo il giudice a quo,
dovrebbe  essere  invece prevista "la rimessione del processo dinanzi
all'unico  giudice  attualmente competente alla celebrazione dei riti
alternativi"  poiche'  sarebbe  questa la soluzione "piu' omogenea al
sistema vigente delle preclusioni processuali in materia";
        che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  chiedendo,  con  riserva  di  dedurre,  che  la questione sia
dichiarata inammissibile o comunque non fondata.
    Considerato  che  il rimettente censura l'art. 521-bis del codice
di  procedura  penale, in relazione agli artt. 516 e 517 dello stesso
codice, nella parte in cui prevede che in caso di nuove contestazioni
in   dibattimento   e,   in  particolare,  di  contestazione  di  una
circostanza  aggravante  ex  art. 517  cod.  proc.  pen. - il giudice
dispone  la trasmissione degli atti al pubblico ministero solo quando
il  reato risulta tra quelli attribuiti alla cognizione del tribunale
per  i quali deve essere celebrata l'udienza preliminare e questa non
si  e'  tenuta,  e  non  anche  nell'ipotesi  in  cui  per  il  reato
originariamente contestato l'udienza preliminare era prevista e si e'
ritualmente tenuta;
        che  ad  avviso  del  giudice a quo tale disciplina, in forza
della   quale   deve  essere  disposta  la  trasmissione  degli  atti
direttamente   al  giudice  del  dibattimento  anziche'  al  pubblico
ministero, contrasta con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, perche'
priva  l'imputato  della possibilita' di accedere, in ordine al fatto
diversamente  contestato,  ai  riti  alternativi,  che  devono essere
chiesti a pena di decadenza nella fase dell'udienza preliminare;
        che,   inoltre,   la   norma   censurata  determinerebbe  una
irragionevole disparita' di trattamento tra imputati a seconda che la
vocatio  in  ius  sia  avvenuta con decreto che dispone il giudizio a
seguito  di  udienza  preliminare  o con citazione diretta, in quanto
solo  in questo secondo caso, mediante la prevista restituzione degli
atti  al  pubblico  ministero,  l'imputato  e' posto in condizione di
chiedere i riti alternativi nella nuova udienza preliminare;
        che  il  rimettente  muove  dal  presupposto  che  il sistema
introdotto  dal  decreto  legislativo  n. 51  del  1998 e dalla legge
16 dicembre   1999   n. 479,  e  successive  modifiche,  preclude  di
presentare  richiesta  di  applicazione  della  pena  al tribunale in
composizione  collegiale  e  non consente la restituzione nel termine
dell'imputato  avanti  a tale organo, sulla falsariga della soluzione
seguita  dalla  sentenza  n. 265  del  1994, e ritiene che, per porre
rimedio ai denunciati vizi di illegittimita' costituzionale, dovrebbe
essere  prevista  la  restituzione  degli  atti al pubblico ministero
anche nell'ipotesi in cui l'udienza preliminare si sia gia' tenuta;
        che   la  soluzione  prospettata  e'  tuttavia  eccentrica  e
incongrua rispetto all'attuale sistema, che conosce, contrariamente a
quanto ritiene il rimettente, ipotesi in cui il tribunale e' chiamato
a  pronunciarsi sulla richiesta di applicazione della pena (artt. 446
e  451,  comma  5, nonche' art. 448 cod. proc. pen.) e che, anche per
quanto riguarda l'inosservanza delle regole di attribuzione dei reati
(artt. 33-quinquies  e seguenti cod. proc. pen.), e' complessivamente
improntato,   per  evidenti  ragioni  di  speditezza  e  di  economia
processuale,   all'opposto   principio   di   non   regressione   del
procedimento;
        che  le sentenze di questa Corte n. 265 del 1994 e n. 530 del
1995,  citate  dal rimettente, avevano individuato nella restituzione
nel termine avanti allo stesso giudice il rimedio idoneo a conciliare
il  rispetto del diritto di difesa e del principio di eguaglianza con
le  esigenze  di  economia  processuale nelle ipotesi in cui la nuova
contestazione fosse intervenuta dopo la dichiarazione di apertura del
dibattimento,   che  segnava  allora  il  limite  preclusivo  per  la
richiesta di patteggiamento;
        che  in  particolare  questa  Corte nella sentenza n. 265 del
1994   aveva  affermato  che  il  patteggiamento  "e'  una  forma  di
definizione  pattizia  del  contenuto della sentenza che non richiede
particolari   procedure   e   che  pertanto,  proprio  per  tali  sue
caratteristiche,  si  presta ad essere adottata in qualsiasi fase del
procedimento,  compreso  il  dibattimento" e, richiamando la sentenza
n. 101 del 1993, aveva ricordato che "nei casi in cui la inosservanza
del  termine  per  formulare  la richiesta di applicazione della pena
"sia stata determinata da un evento non evitabile dall'interessato e'
possibile  fare  applicazione  dell'istituto  della  restituzione nel
termine;  e  che,  in  tali  ipotesi,  "nulla  impedisce  che il rito
speciale in esame (...) trovi collocazione nel corso del dibattimento
,  subendo,  tuttavia,  "un  inevitabile  adattamento  ricavabile dal
sistema ";
        che, a prescindere dalla possibilita' di estendere i principi
ora  ricordati  in  tema di contestazione in dibattimento di un fatto
diverso e di un reato concorrente alla ipotesi della contestazione di
una  circostanza  aggravante,  il  mutamento del quadro normativo non
comporta  che  siano da ritenere superate la ratio e la portata delle
sentenze  menzionate  dal rimettente, tanto piu' ove si consideri, da
un  lato,  che  l'attuale ripartizione della competenza a celebrare i
riti  alternativi  tra giudice dell'udienza preliminare e giudice del
dibattimento    risponde    essenzialmente,    nell'intenzione    del
legislatore, a ragioni di speditezza processuale, dall'altro che tali
ragioni  sono  oggi  assistite  dal  principio  costituzionale  della
ragionevole   durata   del   processo  enunciato  nel  secondo  comma
dell'art. 111 Cost.;
        che    la   questione   deve   pertanto   essere   dichiarata
manifestamente infondata.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 521-bis del codice di procedura
penale,  in  relazione  agli  artt. 516  e  517  dello stesso codice,
sollevata,  in  riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal
Tribunale di Napoli, con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 novembre 2002.
                       Il Presidente: Ruperto
                        Il redattore: Modona
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 26 novembre 2002.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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