N. 494 SENTENZA 20 - 28 novembre 2002

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Filiazione   naturale   -   Figli   incestuosi   -  Esclusione  della
  dichiarazione   giudiziale  della  paternita'  e  della  maternita'
  naturali  e  delle relative indagini, nei casi in cui e' vietato il
  riconoscimento  dei figli incestuosi - Irrazionale discriminazione,
  in   contrasto   con  il  divieto  di  differenziazioni  basate  su
  condizioni  personali  e  sociali  e  con  i doveri dei genitori al
  mantenimento,  all'istruzione  e  all'educazione dei propri figli -
  Illegittimita' costituzionale in parte qua.
- Cod. civ., art. 278, primo comma.
- Costituzione, artt. 2, 3 e 30, terzo comma; convenzione sui diritti
  del fanciullo, New York, 20 novembre 1989 (resa esecutiva con legge
  27 maggio 1991, n. 176), artt. 7 e 8.
(GU n.48 del 4-12-2002 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Cesare RUPERTO;
  Giudici:  Gustavo  ZAGREBELSKY,  Valerio  ONIDA,  Carlo MEZZANOTTE,
Fernanda   CONTRI,  Guido  NEPPI  MODONA,  Piero  Alberto  CAPOTOSTI,
Annibale   MARINI,  Franco  BILE,  Giovanni  Maria  FLICK,  Francesco
AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA, Paolo MADDALENA;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale degli artt. 278, primo
comma,  e 251, primo comma, del codice civile, promosso con ordinanza
emessa  il  4 luglio  2002 dalla Corte di cassazione nel procedimento
civile  vertente  tra  L.  C. e E. F. e altre, iscritta al n. 400 del
registro  ordinanze  2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 37, 1a serie speciale, dell'anno 2002.
    Udito  nella  camera  di consiglio del 6 novembre 2002 il giudice
relatore Gustavo Zagrebelsky.

                          Ritenuto in fatto


    1. - La  Corte di cassazione, sezione I civile, con ordinanza del
4 luglio  2002, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale
degli  artt. 251, primo comma, e 278, primo comma, del codice civile,
"nella parte in cui non consentono indagini sulla paternita' di figli
incestuosi", per violazione degli artt. 2, 3 e 30, terzo comma, della
Costituzione,  nonche'  dell'art. 8 della Convenzione di New York sui
diritti  del  fanciullo  del  20 novembre  1989,  ratificata  e  resa
esecutiva  con  legge  27 maggio  1991,  n. 176,  e della Convenzione
europea  sullo  stato  giuridico  dei figli nati fuori del matrimonio
(Strasburgo, 15 ottobre 1975), non ratificata.

    2. - La  Corte  rimettente  e'  chiamata  a  decidere sul ricorso
proposto  da  L.  C.  per  la  cassazione  di  un decreto della Corte
d'appello di Roma in data 25 marzo - 25 maggio 1999, che, confermando
a  sua  volta  un  precedente  decreto  del Tribunale di Roma in data
12-14 marzo   1998,   aveva   rigettato   la  richiesta  dell'odierno
ricorrente   rivolta  alla  dichiarazione  giudiziale  di  paternita'
naturale nei confronti di B. C.
    La  Cassazione  rileva  preliminarmente  che:  1) il Tribunale di
Roma,  con il citato decreto del 12-14 marzo 1998, aveva respinto, in
applicazione  dell'art. 251  cod.  civ., la domanda di L. C. volta ad
ottenere   la   dichiarazione   di   ammissibilita'  dell'azione  per
l'accertamento  giudiziale  di paternita' di B. C., deceduto (in data
3 settembre 1995), in quanto, essendo stato accertato che il presunto
padre  e la madre del ricorrente erano fratelli uterini e che avevano
vissuto, durante l'infanzia, nella stessa abitazione, non risultavano
elementi probatori che potessero accreditare l'ipotesi dell'ignoranza
del  rapporto  di  parentela  intercorrente  tra loro; 2) L. C. aveva
proposto  reclamo contro il citato decreto, sostenendo che: a) non vi
sarebbe prova della conoscenza, da parte di sua madre e di B. C., del
vincolo parentale che li legava; b) sarebbero, invece, sufficienti le
prove della paternita' di B. C., in particolare in considerazione del
comportamento  tenuto  nei  confronti  dello stesso reclamante; 3) la
Corte  d'appello  di  Roma,  con  il  citato  decreto  del 25 marzo -
25 maggio  1999,  aveva  respinto il reclamo osservando che era stato
documentalmente  provato  che  B.  C. e la madre del ricorrente erano
fratelli  uterini  e  che  avevano convissuto, con la loro madre, dal
1936  al  1947,  cosicche'  non poteva esservi dubbio che, al momento
dell'eventuale concepimento del reclamante, essi fossero a conoscenza
del  rapporto  di parentela che intercorreva tra di loro, concludendo
pertanto  nel  senso  che  risultava preclusa, secondo quanto dispone
l'art. 278  cod.  civ.,  qualsiasi indagine sulla paternita' di L. C.
nei confronti di B. C; 4) L. C. aveva proposto ricorso per cassazione
contro la decisione della Corte d'appello, lamentando (con il primo e
il  terzo  motivo di impugnazione) la violazione e falsa applicazione
del  citato  art. 278 cod. civ., il difetto di motivazione e l'errata
valutazione  della  buona  fede  del  genitore e prospettando (con il
secondo   motivo   di   impugnazione)   questione   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 251, primo comma, e 278, primo comma, cod.
civ., in relazione agli artt. 2, 3 e 30 della Costituzione.

    3. - Ad  avviso  della  Cassazione  rimettente,  la  questione di
legittimita' costituzionale e' rilevante, poiche': a) l'art. 278 cod.
civ.  preclude  le indagini sulla paternita' nei casi in cui, a norma
dell'art. 251  dello  stesso  codice,  il  riconoscimento  dei  figli
incestuosi e' vietato; b) nella fattispecie ricorre uno di quei casi,
poiche' B. C. e la madre del ricorrente erano fratelli uterini; c) il
giudice di merito, con valutazione che la Corte di cassazione ritiene
"sufficientemente  motivata  ed  immune  da  vizi logici e giuridici,
risultando  cosi'  incensurabile in sede di legittimita'", ha escluso
che  ricorra  l'ipotesi  di  buona  fede  (ignoranza  del  vincolo di
parentela   al   tempo   del   concepimento)   che  consentirebbe  il
riconoscimento  del figlio incestuoso e dunque renderebbe ammissibili
le  indagini sulla paternita' previste dall'art. 278 cod. civ; d) che
pertanto  il  primo  e  il  terzo  motivo di impugnazione non possono
essere  accolti;  e)  che  le norme sospettate di incostituzionalita'
devono  essere  applicate  al  fine  di  decidere sull'ammissibilita'
dell'azione per la dichiarazione giudiziale di paternita'.

    4. - La  questione di legittimita' costituzionale sarebbe inoltre
non   manifestamente   infondata,   poiche':   a)   l'art. 30   della
Costituzione  prevede  che la legge assicuri "ai figli nati fuori del
matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti
dei membri della famiglia legittima" e detti "le norme e i limiti per
la  ricerca della paternita'"; b) la tutela in questione non e' pero'
accordata   ai   figli   incestuosi,  che  non  possono  ottenere  la
dichiarazione  giudiziale  della paternita' o della maternita'; c) le
responsabilita',  anche  penali (ex art. 564 cod. pen.), dei genitori
incestuosi non giustificano la limitazione dei diritti dei figli, che
non  possono  essere  pregiudicati  da  fatti  e  scelte  a  loro non
attribuibili;  d)  il  divieto  di  conseguire il riconoscimento o la
dichiarazione   giudiziale   di   paternita'  naturale  non  potrebbe
giustificarsi  neppure  alla luce delle esigenze di tutela dei membri
della  famiglia legittima, esigenze che non hanno d'altronde impedito
al  legislatore,  con  la  riforma del diritto di famiglia introdotta
dalla  legge  19 maggio  1975,  n. 151,  di  sopprimere i limiti alla
riconoscibilita'  dei  figli  adulterini;  e) le stesse esigenze, "se
esistessero",    dovrebbero   impedire   il   riconoscimento   e   la
dichiarazione giudiziale anche nei casi di buona fede e di matrimonio
dichiarato  nullo  (ipotesi in cui l'art. 251 cod. civ., derogando al
divieto,   consente  invece  il  riconoscimento  e  la  dichiarazione
giudiziale)  e quando vi sia stato ratto o violenza sessuale (ipotesi
in  cui  il  giudice, secondo l'art. 278 cod. civ., puo' ammettere le
indagini  sulla  maternita' o paternita' dei figli incestuosi); f) la
citata  norma  costituzionale  giustificherebbe  una  limitazione del
riconoscimento,  o della dichiarazione giudiziale di paternita', solo
per  specifiche esigenze di tutela dell'interesse del figlio, non per
la  necessita' di evitare occasioni di scandalo; g) l'art. 278, primo
comma,  cod. civ., in relazione all'art. 251, primo comma, cod. civ.,
contrasterebbe  anche  con  gli  artt. 2  e 3 della Costituzione, sia
perche'  violerebbe  il  diritto del figlio all'identita' personale -
riconosciuto anche dall'art. 8 della Convenzione dell'ONU sui diritti
del  fanciullo, stipulata a New York il 20 novembre 1989 e ratificata
con la legge n. 176 del 1991 - privandolo della possibilita' di avere
un  genitore,  un  nome  e  una  famiglia,  sia  perche' lederebbe il
principio di uguaglianza, dato che i figli incestuosi, pur trovandosi
nella  stessa  situazione  sostanziale  di quelli non incestuosi (non
essendo  loro  addebitabile  l'unico  elemento  di  differenziazione,
consistente   nel   rapporto  di  parentela  tra  i  genitori),  sono
assoggettati  a una disciplina diversa; h) l'art. 3 della Convenzione
europea  sullo  stato  giuridico dei figli nati fuori del matrimonio,
stipulata  a Strasburgo il 15 ottobre 1975 (firmata ma non ratificata
dall'Italia),  prevede  che  la  paternita'  di qualsiasi figlio nato
fuori  del  matrimonio  possa  essere  accertata  o  stabilita in via
giudiziaria o mediante riconoscimento volontario.
    Precisa  infine  la rimettente che le disposizioni censurate, per
la  chiarezza  della  loro  formulazione,  non consentono una diversa
interpretazione,   tale   da   superare   i   dubbi  di  legittimita'
costituzionale prospettati.

                       Considerato in diritto


    1. - La   Corte   di   cassazione   dubita   della   legittimita'
costituzionale  dell'art. 278,  primo  comma,  e dell'art. 251, primo
comma, del codice civile, "nella parte in cui non consentono indagini
sulla  paternita' di figli incestuosi". Ritiene il giudice rimettente
che  l'anzidetto  divieto  contrasti  con  gli artt. 2, 3 e 30, terzo
comma,  della  Costituzione, oltre che con l'art. 8 della Convenzione
dell'ONU  sui  diritti  del  fanciullo  (New York, 20 novembre 1989),
ratificata  e  resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, e con
l'art. 3  della  Convenzione  europea sullo stato giuridico dei figli
nati  fuori  del matrimonio (Strasburgo, 15 ottobre 1975), firmata ma
non ratificata dall'Italia.

    2. - I  termini  della  questione  cosi'  sottoposta all'esame di
questa Corte devono essere precisati come segue.
        a)  L'art. 278, primo comma, del codice civile, nel prevedere
i  casi  in  cui  le indagini sulla paternita' e sulla maternita' dei
"figli  incestuosi"  non  sono  ammesse,  rinvia  ai  casi  in cui il
riconoscimento  di tali figli e' vietato a norma dell'art. 251, primo
comma,   del   codice  civile.  Questa  tecnica  di  legiferazione  e
l'intreccio  normativo che ne deriva si riflettono sulla formulazione
della   questione  sollevata,  riguardante  due  norme  contenute  in
distinte sezioni della disciplina della filiazione naturale, dedicate
rispettivamente   alla   dichiarazione  giudiziale  di  paternita'  e
maternita'  (artt. 269  e  seguenti) e al riconoscimento da parte dei
genitori  (artt. 250  e  seguenti).  La  questione, peraltro, investe
esclusivamente    un   aspetto   della   disciplina   relativa   alla
dichiarazione  giudiziale  di  paternita'  e maternita'. Cio' risulta
dall'oggetto  del  giudizio  davanti  al giudice rimettente (riferito
nella  narrativa  dei  fatti  di  causa)  e si riflette nella formula
dispositiva  dell'ordinanza di rimessione (riportata testualmente nel
punto  1  di  questa  motivazione  in  diritto). Gli stessi parametri
costituzionali e i diritti che essi, in ipotesi, proteggono, per come
sono  configurati e invocati, riguardano, nel rapporto di filiazione,
il lato dei figli e non quello dei genitori.
        b)  La  questione  che la Corte si trova a decidere concerne,
entro  l'istituto  della  dichiarazione giudiziale di paternita' e di
maternita',  esclusivamente  la previsione dei casi in cui la prova e
quindi  necessariamente,  ancor prima, l'azione non sono ammissibili;
la   disciplina   della   titolarita'   del  diritto  di  azione  nel
procedimento  e  la  configurazione  del  procedimento medesimo e, in
questo, dei diritti e degli interessi dei soggetti coinvolti, restano
invece  fuori  dell'ambito  del  presente  giudizio  di  legittimita'
costituzionale.

    3. - La questione e' fondata.

    4. - La  disciplina  della  condizione  - per usare l'espressione
tuttora  impiegata  dalla legge - dei figli incestuosi, nati cioe' da
rapporti  sessuali  tra  soggetti  appartenenti  alla  stessa cerchia
familiare,  come  definita  dall'art. 251,  primo  comma,  del codice
civile  (il matrimonio tra i quali e' vietato dall'art. 87 del codice
medesimo),  e'  cio'  che  residua  del  tradizionale orientamento di
radicale disfavore nei confronti dei figli nati fuori del matrimonio.
Da  qui,  il  divieto  di  attribuire  al loro legame biologico con i
genitori naturali un valore giuridico formale, tramite riconoscimento
o  dichiarazione della pubblica autorita'. L'originaria tradizione di
chiusura  rispetto  ai  diritti  morali  dei  figli  nati  fuori  del
matrimonio, ispirata al codice Napoleone (artt. 171 - 173) e ribadita
dalla  legislazione  italiana  unitaria,  e'  stata  attenuata  e poi
superata  con  riguardo  ai figli naturali nati da genitori legati in
matrimonio  con  altra persona. L'art. 252 del codice civile del 1942
ha   introdotto   il   riconoscimento  dei  figli  allora  denominati
"adulterini",  ma  solo  da  parte  del  genitore  che, all'epoca del
concepimento,  fosse  libero  da vincoli matrimoniali. La riforma del
diritto  di  famiglia,  operata  con la legge 19 maggio 1975, n. 151,
poi,  ha  fatto  cadere  questa  limitazione.  I  figli  generati  in
violazione  del  dovere  di  fedelta' coniugale sono stati cosi' resi
riconoscibili  in ogni caso da parte dei loro genitori naturali e nei
confronti di questi ultimi, in forza dell'art. 269 del codice civile,
e'  esperibile l'azione per la dichiarazione giudiziale di paternita'
e maternita'.
    Quanto  ai  "figli  incestuosi", la riforma del 1975 ha mantenuto
invece  la  scelta  tradizionale  che li esclude dal riconoscimento e
dalla  dichiarazione  giudiziale di paternita' e maternita' naturali.
L'attuale  art. 251,  conformemente  al  corrispondente  articolo del
codice  civile del 1942, stabilisce che "i figli nati da persone, tra
le  quali  esiste un vincolo di parentela anche soltanto naturale, in
linea  retta  all'infinito  o in linea collaterale nel secondo grado,
ovvero  un  vincolo  di  affinita' in linea retta, non possono essere
riconosciuti   dai   loro   genitori".   La  stessa  cosa,  in  forza
dell'art. 269,  vale per la dichiarazione giudiziale. In conseguenza,
le  indagini sulla paternita' o sulla maternita' dei figli nati dalle
persone anzidette non sono ammesse (art. 278, primo comma, del codice
civile).  Questi divieti non operano soltanto in due casi, relativi a
situazioni  ed  eventi  che  riguardano  i rapporti tra genitori, sui
quali  comunque  il  figlio nulla puo': l'ignoranza in cui quelli, al
momento  del  concepimento, versassero circa il vincolo esistente tra
loro (nel caso in cui uno solo dei genitori fosse in buona fede, solo
questi  puo'  effettuare il riconoscimento; ipotesi cui e' assimilato
il  caso  di  chi  ha  subito  violenza  sessuale)  e, ovviamente, la
dichiarata  nullita'  del  matrimonio da cui il rapporto di affinita'
sarebbe derivato.
    I  figli  nati fuori del matrimonio indicati nell'art. 251, primo
comma,  del codice civile, salvi i limitati casi ora menzionati, sono
percio'   privati   della   possibilita'   di   assumere  uno  status
filiationis.
    Essi   non   mancano  totalmente  di  una  tutela,  essendo  loro
riconosciuta   l'azione  nei  confronti  dei  genitori  naturali  per
ottenere    il   mantenimento,   l'istruzione   e   l'educazione   o,
se maggiorenni  in  stato  di  bisogno,  per  ottenere  gli  alimenti
(art. 279,  primo  comma,  del  codice  civile).  In  conseguenza del
divieto  di  riconoscimento  e  di  dichiarazione,  pero',  nei  loro
confronti  non  puo' operare l'art. 261 del codice civile, secondo il
quale il riconoscimento e (per effetto del primo comma dell'art. 277)
la  dichiarazione  comportano  da  parte del genitore l'assunzione di
tutti  i  doveri  e  di tutti i diritti che egli ha nei confronti dei
figli legittimi, compresa la potesta' prevista dall'art. 317-bis; non
puo'   operare  l'art. 262,  secondo  il  quale  il  figlio  naturale
riconosciuto o dichiarato assume il cognome del genitore; non possono
operare  infine  le  disposizioni relative alla successione dei figli
naturali,  che  si applicano loro solo quando la filiazione sia stata
riconosciuta   o   giudizialmente  dichiarata  (art. 573  del  codice
civile), essendo previsto invece che ai figli naturali aventi diritto
al  mantenimento,  all'istruzione  e  alla  educazione,  a  norma del
ricordato  art. 279  del  codice  civile, spetti un assegno vitalizio
(artt. 580 e 594 cod. civ.).

    5. - Dalla  disciplina  teste'  indicata  deriva,  in danno della
prole  nata  da  genitori  legati  dai  rapporti  familiari  indicati
dall'art. 251  del  codice  civile,  una capitis deminutio perpetua e
irrimediabile,  come  conseguenza oggettiva di comportamenti di terzi
soggetti;  una  discriminazione  compendiata,  anche  nel lessico del
legislatore,  nell'espressione  "figli incestuosi". La violazione del
diritto  a  uno  status  filiationis,  riconducibile all'art. 2 della
Costituzione,  e  del  principio  costituzionale di uguaglianza, come
pari  dignita'  sociale  di  tutti  i  cittadini  e  come  divieto di
differenziazioni   legislative   basate  su  condizioni  personali  e
sociali,  e'  evidente  e non richiede parole di spiegazione. Nessuna
discrezionalita'  delle scelte legislative, con riferimento al quarto
comma dell'art. 30 della Costituzione, che abilita la legge a dettare
norme  e limiti per la ricerca della paternita', puo' essere invocata
in  contrario:  non  e' il principio di uguaglianza a dover cedere di
fronte alla discrezionalita' del legislatore, ma l'opposto.
    Si  puo' aggiungere la seguente annotazione, circa le conseguenze
irragionevoli   della   normativa  vigente.  Il  figlio  che  intenda
richiedere  l'adempimento  nei propri confronti dei doveri "naturali"
che  gravano  sui  suoi  genitori  -  il mantenimento, l'istruzione e
l'educazione   -   dovrebbe  esercitare  un'azione,  quella  prevista
dall'art. 279  ricordato,  che  oggi  (dopo la riforma del diritto di
famiglia   del   1975   che  ha  reso  riconoscibili  e  dichiarabili
giudizialmente  tutti  gli  altri figli nati fuori del matrimonio) e'
riferibile  solo  ai  "figli  incestuosi", in quanto solo rispetto ad
essi  "non  puo' proporsi l'azione per la dichiarazione giudiziale di
paternita' o di maternita'" (ancorche' la giurisprudenza, talora, con
interpretazione  antiletterale, abbia riconosciuto l'azione in quella
norma   prevista   anche  ai  figli  naturali  riconoscibili  ma  non
riconosciuti  o  dichiarati).  Di  conseguenza,  il figlio nato da un
rapporto   tra   le  persone  indicate  nell'art. 251,  per  ottenere
l'adempimento  dei  doveri  di mantenimento, istruzione ed educazione
nei  suoi  confronti,  si  trova  nella necessita' di proclamare egli
stesso   la   propria   condizione   di  discriminato;  a  meno  che,
comprensibilmente, non preferisca invece rinunciare a cio' che a lui,
come  a  ogni  figlio,  e'  dovuto,  con  la conseguenza paradossale,
oltretutto,  che  i  genitori  -  essi  si' "incestuosi" - andrebbero
totalmente  indenni  da  quella  responsabilita'  alla  quale, con la
procreazione,  sono  soggetti,  secondo  cio'  che  e'  sancito  come
principio,  valido  rispetto  a  ogni  genere di prole, dall'art. 30,
primo comma, della Costituzione (v. sentenza n. 166 del 1998).

    6. - L'attribuzione  dell'azione  per la dichiarazione giudiziale
di  paternita' e maternita' naturale ai figli di genitori incestuosi,
alla stessa stregua di quanto spetta ai figli naturali riconoscibili,
e'  conforme alla classificazione operata dalla Costituzione. Questa,
come  avviene  nella  stragrande maggioranza  degli  ordinamenti oggi
vigenti,   conosce,  all'art. 30,  primo  e  terzo  comma,  solo  due
categorie  di  figli:  quelli  nati  entro  e  quelli  nati fuori del
matrimonio,   senza  ulteriori  distinzioni  tra  questi  ultimi.  La
possibilita'   di   prevedere   sub-distinzioni,   entro  la  seconda
categoria,  e'  stata tuttavia sostenuta sulla base di due argomenti:
a)  l'ordine  pubblico  familiare  e  b)  i  diritti dei membri della
famiglia legittima.
    6.   1.   -   Come   misura  di  ordine  pubblico  familiare,  la
discriminazione  dei  figli  di genitori incestuosi varrebbe a tutela
della  concezione  costituzionale stessa della famiglia, esigente che
fatti tanto gravi come quelli di endogamia, dalla "coscienza sociale"
considerati   alla  stregua  di  attentati  all'ordine  naturale  dei
rapporti  interpersonali  e,  a  certe condizioni, puniti come reato,
restino   fuori  dell'ordine  giuridico  e  non  possano  determinare
l'attribuzione di status filiationis.
    La   Costituzione   contiene  bensi'  una  clausola  generale  di
riconoscimento  dei  diritti  della  famiglia, come societa' naturale
fondata  sul  matrimonio  (art. 29,  primo comma), e cio' consente di
esigere  comportamenti  conformi e di prevedere conseguenze e misure,
anche  penali,  nei  confronti  degli  autori  di  condotte che della
famiglia  compromettano l'identita', cio' che avviene, per l'appunto,
nel  caso  dell'incesto.  Ma l'adozione di misure sanzionatorie al di
la'  di  questa  cerchia,  che coinvolga soggetti totalmente privi di
responsabilita'  -  come  sono  i  figli di genitori incestuosi, meri
portatori  delle  conseguenze  del  comportamento dei loro genitori e
designati  dalla sorte a essere involontariamente, con la loro stessa
esistenza,  segni  di  contraddizione  dell'ordine  familiare  -  non
sarebbe  giustificabile se non in base a una concezione "totalitaria"
della  famiglia.  Lo  stesso  codice  civile prende in considerazione
ipotesi  di  involontarieta',  riferite  ai  genitori, di fronte alle
quali  la  difesa della famiglia come istituzione si arresta per fare
posto  alle  posizioni  individuali:  il  primo  comma  dell'art. 251
attribuisce  rilievo, ai fini del riconoscimento, alla buona fede dei
genitori  incestuosi  e  il  secondo  comma  dell'art. 278  deroga al
divieto  di  indagini sulla paternita' e sulla maternita' nel caso di
forza maggiore  (ratto  e  violenza  carnale).  La  Costituzione  non
giustifica  una  concezione della famiglia nemica delle persone e dei
loro  diritti: nella specie, il diritto del figlio, ove non ricorrano
costringenti   ragioni   contrarie   nel  suo  stesso  interesse,  al
riconoscimento  formale  di un proprio status filiationis, un diritto
che,  come  affermato  da questa Corte (sentenza n. 120 del 2001), e'
elemento  costitutivo  dell'identita'  personale, protetta, oltre che
dagli artt. 7 e 8 della citata Convenzione sui diritti del fanciullo,
dall'art. 2   della   Costituzione.   E   proprio   da   tale  ultima
disposizione,  conformemente  a  quello  che  e'  stato  definito  il
"principio  personalistico  che  essa proclama, risulta che il valore
delle  "formazioni  sociali", tra le quali eminentemente la famiglia,
e'  nel  fine  a  esse  assegnato, di permettere e anzi promuovere lo
svolgimento della personalita' degli esseri umani.
    6.  2.  -  Come misura di protezione della famiglia legittima, il
divieto  di  agire  per  la  dichiarazione  della  filiazione, con le
connesse  limitazioni  delle  indagini  sulla paternita' e maternita'
naturali,   varrebbe   a   escludere  un  evento  perturbatore  della
tranquillita'  della  vita familiare tanto grave, quale e' l'ingresso
in  essa,  per atto formale, di figli nati da genitori incestuosi. Il
fondamento  costituzionale  di tale protezione sarebbe il terzo comma
dell'art. 30  e  la  riserva  ivi  prevista  a favore dei diritti dei
membri della famiglia legittima.
    Sennonche'  tale  riserva  mal si presta a essere interpretata in
modo  tanto  generico e atecnico, fino a ricomprendervi la protezione
di  condizioni di serenita' psicologica, cio' che potrebbe condurre a
negare   del  tutto  il  riconoscimento  giuridico  della  filiazione
naturale,  premessa della tutela che la Costituzione vuole assicurare
nel  modo  piu'  pieno possibile a tutti i figli nati al di fuori del
matrimonio.  I  diritti  dei  membri della famiglia legittima, di cui
all'art. 30,  terzo  comma, della Costituzione, sono diritti in senso
proprio  e  il  problema  della  loro compatibilita' con la tutela da
assicurare  ai figli nati fuori del matrimonio nasce logicamente solo
in  quanto  vi  sia  stata  una constatazione formale del rapporto di
filiazione. In ogni caso, l'ingresso di figli naturali in un rapporto
coniugale  e  in  una  vita familiare legittima di per se' non e' una
violazione di diritti ma un incerto del mestiere di vivere.

    7. - Nemmeno  varrebbe  concepire  la  disciplina  in  esame come
protezione  dell'interesse del figlio medesimo, contro l'eventualita'
che,  con  l'accertamento  del carattere incestuoso del concepimento,
anziche'  vantaggi  possano  derivargli  nocumenti  morali e sociali.
L'interesse  del figlio a evitare l'accertamento formale del rapporto
di  filiazione,  nel  caso  dell'azione proposta per la dichiarazione
giudiziale   della   paternita'   e   della   maternita'  naturali  -
quest'ultimo soltanto, si ripete, oggetto del presente giudizio -, e'
in   re  ipsa  protetto  dal  fatto  che  il  diritto  di  azione  e'
riconosciuto  a  lui  solo (e, in caso di morte, ai suoi discendenti)
(art. 270  del  codice civile), mentre, per il figlio minore, possono
agire,  ma  nel  suo  esclusivo  interesse,  il genitore esercente la
potesta' o - previa autorizzazione del tribunale per i minorenni - il
tutore  (o  il  curatore speciale) (art. 273, primo comma, del codice
civile). Inoltre, se il minore e' ultrasedicenne, occorre comunque il
suo consenso (art. 273, secondo comma), mentre, se e' infrasedicenne,
la  rispondenza  al  suo interesse dell'azione promossa e' oggetto di
valutazione  da  parte del tribunale per i minorenni (art. 274, primo
comma, e sentenza n. 341 del 1990 di questa Corte).

    8. - Dall'accoglimento della questione nei termini precisati alla
lettera  a)  del  punto  2 di questa motivazione in diritto, e quindi
dalla  conseguente  riconosciuta  esperibilita'  dell'azione  per  la
dichiarazione giudiziale della paternita' e della maternita' naturali
nelle  ipotesi previste dall'art. 251, primo comma, del codice civile
e   dalla   connessa   ammissibilita'   delle   relative  indagini  -
accoglimento che non coinvolge il parallelo divieto di riconoscimento
nelle  medesime  ipotesi  -  deriva,  come conseguenza della presente
decisione,  che  l'art. 269,  primo  comma,  del  codice civile, deve
essere interpretato (secondo la sua formulazione letterale) nel senso
che  la paternita' e la maternita' naturali possono essere dichiarate
nelle  ipotesi  in cui il riconoscimento e' ammesso, ma non nel senso
reciproco:  cioe'  anche  che  il  riconoscimento sia effettuabile in
tutte le ipotesi in cui vi possa essere la dichiarazione giudiziale.
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 278,  primo
comma, del codice civile, nella parte in cui esclude la dichiarazione
giudiziale della paternita' e della maternita' naturali e le relative
indagini,  nei  casi  in cui, a norma dell'art. 251, primo comma, del
codice civile, il riconoscimento dei figli incestuosi e' vietato.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 novembre 2002.
                       Il Presidente: Ruperto
                      Il redattore: Zagrebelsky
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 28 novembre 2002.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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