N. 19 ORDINANZA 16 - 30 gennaio 2003

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo penale - Testimonianza - Facolta' di astensione dei prossimi
  congiunti  dell'imputato, e non anche dell'imputato in procedimento
  connesso  o  collegato - Prospettata, ingiustificata, disparita' di
  trattamento  -  Mancata  verifica  di  una interpretazione diversa,
  conforme   a   Costituzione   -  Manifesta  inammissibilita'  della
  questione.
- Cod. proc. pen., art. 199.
- Costituzione, artt. 3 e 24.
(GU n.5 del 5-2-2003 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Riccardo CHIEPPA;
  Giudici:  Gustavo  ZAGREBELSKY,  Valerio  ONIDA,  Carlo MEZZANOTTE,
Fernanda   CONTRI,  Guido  NEPPI  MODONA,  Piero  Alberto  CAPOTOSTI,
Annibale   MARINI,  Franco  BILE,  Giovanni  Maria  FLICK,  Francesco
AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA, Paolo MADDALENA;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 199 del codice
di procedura penale, promosso, nell'ambito di un procedimento penale,
dalla Corte di assise di Messina, con ordinanza del 12 febbraio 2002,
iscritta  al  n. 262  del  registro ordinanze 2002 e pubblicata nella
Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica  n. 22,  1a  serie  speciale,
dell'anno 2002.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 4 dicembre 2002 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.
    Ritenuto  che  la  Corte  di  assise  di Messina ha sollevato, in
riferimento  agli  artt. 3  e  24  della  Costituzione,  questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 199  del  codice di procedura
penale, "nella parte in cui non estende la facolta' di astensione dal
testimoniare   dei   prossimi  congiunti  dell'imputato  ai  prossimi
congiunti  dell'imputato  di  procedimento  connesso  o collegato, il
quale  possa  a  sua volta avvalersi, in base all'art. 210 cod. proc.
pen.,  della  facolta'  di non rispondere nell'ambito del processo in
cui   dovrebbe   essere   raccolta   la  testimonianza  del  prossimo
congiunto";
        che la Corte rimettente premette:
            -  di  procedere  nei confronti di alcuni soggetti per il
reato  di omicidio aggravato e nei confronti di altri per il reato di
favoreggiamento,  aggravato  ai  sensi  dell'art. 7 del decreto-legge
13 maggio 1991, n. 152, convertito nella legge 12 luglio 1991 n. 203;
            -  che nel corso del dibattimento le parti civili avevano
chiesto l'esame testimoniale di un soggetto che, ammesso a tale atto,
aveva   manifestato   la  volonta'  di  non  deporre  su  circostanze
concernenti  il padre, imputato nell'ambito di procedimento "connesso
o  collegato"  il  quale,  citato ex art. 210 cod. proc. pen., si era
avvalso della facolta' di non rispondere;
            -   che   la   testimonianza   doveva  vertere  anche  su
circostanze  che,  se  non  si  fosse  avvalso  della facolta' di non
rispondere, avrebbero formato specifico oggetto dell'esame del padre;
            - che i difensori degli imputati avevano prospettato "una
interpretazione  estensiva  o analogica della facolta' di astensione"
prevista   formalmente  dall'art. 199  cod.  proc.  pen. solo  per  i
prossimi congiunti dell'imputato;
        che,  ad  avviso  della  Corte  rimettente,  la  disposizione
censurata,  "per  interpretazione  assolutamente  dominante,  non  e'
suscettibile  di  interpretazione analogica o estensiva, in quanto il
rapporto  di  parentela  deve  sussistere  tra il teste e il soggetto
contro  cui  si  sta  procedendo  e la norma esaurisce i suoi effetti
nell'ambito del processo in questione";
        che  tale  disciplina  si  porrebbe  pero'  in  contrasto con
l'art. 3    Cost.,    in   quanto   "situazioni   assimilabili   sono
irragionevolmente disciplinate in maniera diversa";
        che,  infatti, se la ratio della facolta' di astensione e' di
"impedire il conflitto che si determina tra l'obbligo di testimoniare
e  la  volonta'  di  non compromettere, con le proprie dichiarazioni,
persone    legate   al   dichiarante   da   vincoli   particolarmente
significativi"  identica  ratio  si  rinviene  nel  "caso  in  cui il
rapporto che potrebbe indurre a rendere dichiarazioni non veritiere o
a  essere  reticenti  intercorra  tra  il  testimone  e altra persona
imputata   di  reato  connesso  o  collegato"  qualora  la  posizione
processuale di quest'ultima sia intimamente collegata all'oggetto del
processo nel quale le dichiarazioni dovrebbero essere raccolte;
        che  in quest'ultima ipotesi troverebbe comunque applicazione
la  specifica  causa di non punibilita' prevista dall'art. 384, primo
comma,  del  codice  penale,  si'  che  "non  si  intende  per  quale
plausibile  motivo non possa anticiparsi la soluzione del problema al
momento stesso dell'assunzione della testimonianza" evitando cosi' di
porre  il  dichiarante nell'alternativa di danneggiare il congiunto o
di deporre il falso;
        che   la   disposizione  censurata  si  porrebbe  inoltre  in
contrasto   con  l'art. 24  Cost.  in  quanto,  a  prescindere  dagli
eventuali  limiti  di  utilizzabilita'  delle  dichiarazioni rese nel
diverso   processo,   costringere   il   teste,   prossimo  congiunto
dell'imputato  di  reato  connesso, a deporre, potrebbe frustrare, in
ipotesi   come   quelle  in  esame,  le  ragioni  che  hanno  indotto
quest'ultimo,  esaminato  a  norma  dell'art. 210 cod. proc. pen., ad
avvalersi della facolta' di non rispondere;
        che  nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  che  ha chiesto, con riserva di dedurre, che la questione sia
dichiarata inammissibile o comunque non fondata.
    Considerato  che  il rimettente lamenta che l'art. 199 del codice
di  procedura  penale, limitando la facolta' di astenersi dal deporre
ai  prossimi  congiunti  dell'imputato,  e  non  prevedendo quindi la
medesima  facolta'  in  capo  ai  prossimi congiunti dell'imputato in
procedimento  connesso  o  collegato,  si  ponga in contrasto con gli
artt. 3 e 24 della Costituzione;
        che il giudice a quo rileva che, se la ratio della disciplina
censurata  e'  quella  di  impedire  il  conflitto  tra  l'obbligo di
testimoniare   e   la   volonta'   di   non   esporre  a  conseguenze
pregiudizievoli  persone legate al testimone da vincoli di parentela,
adozione  o convivenza, e' irragionevole non estendere la facolta' di
astenersi  dal deporre alla situazione, sorretta dalla medesima ratio
in  cui  sia  chiamato  a  testimoniare  il  prossimo congiunto di un
imputato in procedimento connesso o collegato;
        che, ad avviso del rimettente, la disparita' della disciplina
processuale  appare tanto piu' ingiustificata ove si consideri che la
specifica  causa  di  giustificazione  prevista  dall'art. 384, primo
comma,  cod.  pen. trova  applicazione  anche  in favore del prossimo
congiunto dell'imputato in procedimento connesso o collegato;
        che  il giudice a quo - malgrado ritenga che, ove l'esame del
teste  riguardi,  come  nel  caso  di  specie, "fatti coinvolgenti la
posizione e la responsabilita' del congiunto" la ratio della facolta'
di  astensione  dovrebbe  comportare  l'applicazione della disciplina
dettata  dall'art. 199  cod.  proc.  pen. anche al prossimo congiunto
dell'imputato  in  procedimento  connesso o collegato - rileva che la
disposizione  censurata non e' suscettibile di integrazione analogica
o   interpretazione   estensiva,  in  quanto  per  la  giurisprudenza
"assolutamente  dominante"  il  rapporto di parentela deve sussistere
tra il testimone e l'imputato contro cui si procede;
        che, peraltro, l'unica decisione di legittimita' (Cassazione,
Sezione  quarta  penale,  12 giugno  1996,  n. 8007)  menzionata  dal
rimettente  a  conferma  dell'interpretazione  che  precluderebbe una
diversa lettura della disciplina censurata non appare pertinente;
        che,  infatti,  la  sentenza  richiamata  si  riferisce  alla
situazione  del  tutto  diversa  in cui l'avviso circa la facolta' di
astenersi  ex  art. 199 cod. proc. pen. era stato omesso in quanto la
persona  nei  cui  confronti  sussisteva  il vincolo di parentela non
aveva  mai  assunto  la  qualita' di imputato ne' nel procedimento in
corso, ne' in altri eventualmente connessi;
        che  inoltre il giudice a quo nell'adeguarsi a tale supposto,
e   da   lui   non   condiviso,  "diritto  vivente",  non  prende  in
considerazione    altri    orientamenti   della   giurisprudenza   di
legittimita'   che   gli  avrebbero  consentito  di  interpretare  la
disciplina  censurata  alla luce della ratio che sorregge la facolta'
di astensione prevista dall'art. 199 cod. proc. pen., cosi' omettendo
di  esplorare  la  possibilita'  di pervenire, in via interpretativa,
alla soluzione che egli ritiene conforme a Costituzione;
        che   questa   Corte  ha  avuto  ripetutamente  occasione  di
affermare  che  il  giudice  e' abilitato a sollevare la questione di
legittimita'   costituzionale   solo  dopo  avere  accertato  che  e'
impossibile  seguire  una interpretazione costituzionalmente corretta
(cfr.,  da ultimo, sentenza n. 202 del 1999, nonche' ordinanze n. 116
del 2002, n. 233, n. 27 e n. 13 del 2000);
        che   la  questione  va  pertanto  dichiarata  manifestamente
inammissibile.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta  inammissibilita'  della  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 199  del  codice di procedura
penale,   sollevata,   in   riferimento   agli  artt. 3  e  24  della
Costituzione,  dalla  Corte  di assise di Messina, con l'ordinanza in
epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 16 gennaio 2003.
                       Il Presidente: Chieppa
                     Il redattore: Neppi Modona
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 30 gennaio 2003.
               Il direttore della cancelleria:Di Paola
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