N. 39 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 dicembre 2002

Ordinanza  emessa  il  5  dicembre 2002 dal tribunale di Torino, sez.
distaccata  di  Moncalieri  nel procedimento penale a carico di Fateh
Litim

Straniero  -  Espulsione  amministrativa - Reato di trattenimento nel
  territorio dello Stato in violazione dell'ordine di allontanamento,
  entro il termine di cinque giorni, impartito dal questore - Arresto
  obbligatorio in flagranza - Lesione del principio di ragionevolezza
  - Disparita' di trattamento rispetto ad ipotesi di reato analoghe o
  piu'  gravi - Carenza del requisito della necessita' ed urgenza per
  l'adozione  da  parte  della  polizia  giudiziaria di provvedimenti
  provvisori   destinati  ad  incidere  sulla  liberta'  personale  -
  Contrasto  con  il  principio  del  buon  andamento  della pubblica
  amministrazione.
- D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5-quinquies, aggiunto
  dalla legge 30 luglio 2002, n. 189.
- Costituzione, artt. 3, 13 e 97.
(GU n.7 del 19-2-2003 )
                            IL TRIBUNALE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nei  confronti di Fateh
Litim,  nato  a  Costantina  (Algeria)  il  19 ottobre 1964, di fatto
S.F.D.   in   Italia,   (alias   Litim  Fateh),  difensore  d'ufficio
avv. Claudio  Bragaglia  del Foro di Torino; indagato e presentato in
udienza  per  la  convalida  dell'arresto  ed il contestuale giudizio
direttissimo per il reato di cui all'art. 14 comma 5-ter in relazione
all'art.  14  comma  5-bis  d.lgs. 286/1998 per come modificato dalla
legge  n. 189/2002  perche', senza giustificato motivo, si tratteneva
nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine impartitogli dal
questore  di  Torino  in  data  11  novembre 2002 notificatogli nella
stessa  data, di lasciare il territorio nazionale entro il termine di
giorni cinque.
    Visto il verbale di arresto (avvenuto il 3 dicembre 2002 alle ore
11,30),  le  dichiarazioni  dell'ufficiale  di  p.g. che ha proceduto
all'arresto  di Fateh Litim e le dichiarazioni di quest'ultimo, vista
la  richiesta  di  convalida  del p.m, e la questione di legittimita'
costituzionale sollevata dalla difesa,

                            O s s e r v a

    L'indagato  e  stato  presentato  in  udienza  per  la  convalida
dell'arresto  nei  termini  di  legge  e  sussistono  presupposti per
procedere  all'arresto  in  quanto l'art. 5-quinqies d.lgs. 286/1998,
recentemente  modificato  dalla  legge n. 189/2002, prevede l'arresto
obbligatorio per l'ipotesi di reato per la quale si procede.
    Tuttavia  questo giudice ritiene che le questioni di legittimita'
costituzionale  sollevate  dalla  difesa  siano  condivisibili per le
seguenti ragioni:
    1. - Violazione dell'art. 3 Cost.
    L'arresto   obbligatorio   in  flagranza  di  reato  e'  istituto
esistente  da  gran  tempo  nel  nostro ordinamento. Attualmente esso
trova la sua disciplina nell'art. 380 del codice di procedura penale,
il  quale obbliga la polizia giudiziaria all'arresto di chi sia colto
nella  flagranza  di  un  delitto per il quale la legge stabilisca la
pena  dell'ergastolo ovvero della reclusione non inferiore nel minimo
a cinque anni e nel massimo a venti.
    L'obbligo  dell'arresto trova una sua prima giustificazione, come
e'  evidente,  nella  gravita'  tutta particolare dei reati flagranti
considerati  dalla  norma; tale conclusione non e' contraddetta dalle
ulteriori previsioni, pure contenute nell'art. 380 c.p.p., di singoli
titoli di reato che obbligano all'arresto: trattasi infatti, anche in
tali  casi,  di  delitti  che  denotano  spiccatissima  pericolosita'
sociale,  quantunque  puniti,  con  pene  inferiori, nel minimo o nel
massimo,  ai  limiti  fissati  in via generale al primo comma. I piu'
modesti  di  tali  reati,  se  non  si  erra, sono quelli di furto in
abitazione e furto con strappo di cui all'art. 625-bis c.p., che sono
pur  sempre  colpiti dalla ragguardevole sanzione della reclusione da
uno a sei anni piu' multa.
    In  secondo  luogo,  tutti  i  reati  che  impongono l'arresto in
flagranza  ex  art. 380 c.p.p. hanno natura di delitti, e sono dunque
caratterizzati   dall'elemento   psicologico  del  dolo,  perche'  il
sacrificio   della  liberta'  personale  imposto  all'imputato  trova
fondamento   anche   nel   particolare   atteggiamento   dell'agente,
deliberatamente volto alla violazione della legge.
    L'art. 14  comma  5-quinquies  del  d.lgs.  286/1998,  nel  testo
risultante   dopo   l'entrata  in  vigore  della  legge  n. 189/2002,
introduce  invece  per  la  polizia giudiziaria un obbligo di arresto
nella  flagranza di un reato (quello di cui al comma 5-ter) che ha le
seguenti, peculiari caratteristiche:
        e'  un  reato  che  lo  stesso  legislatore configura come di
modesta gravita', essendo per esso stabilita la sanzione dell'arresto
da sei mesi a un anno;
        e'  un  reato contravvenzionale, punibile anche a mero titolo
di colpa.
    Queste  due  caratteristiche  allontanano  assai  la  fattispecie
incriminatrice  in  esame  da  tutte le altre ipotesi per le quali e'
stabilito  l'obbligo  di arresto in flagranza, e la avvicinano invece
ai  numerosissimi  reati  contravvenzionali  in relazione ai quali e'
escluso  non  solo  l'obbligo,  ma  anche  la facolta' di arresto: si
pensi,  a titolo meramente esemplificativo, ai reati di fabbricazione
senza  le  prescritte  cautele  di materie esplodenti (art. 678 c.p.:
arresto  fino  a  diciotto  mesi piu' ammenda), porto abusivo di armi
bianche  per  cui  non  e'  ammessa  licenza  (art. 699 comma 2 c.p.:
arresto  da  diciotto  mesi  a  tre anni), possesso ingiustificato di
chiavi  alterate  (art. 707  c.p.:  arresto  da sei mesi a due anni),
smaltimento  non  autorizzato  di rifiuti pericolosi (art. 51 comma 1
lett. b) d.lgs. 22/1997: arresto da sei mesi a due anni piu' ammenda)
e molti alti ancora.
    Sembra   dunque   innegabile  che  l'art.  14  comma  5-quinquies
introduce,  per  l'autore  del  reato  di  cui  al  comma  5-ter,  un
trattamento  assai diverso (e ben piu' afflittivo) da quello previsto
per  tutti  gli  altri  autori di reati contravvenzionali, anche piu'
gravi,  equiparando  la  sua  posizione  a  quella  degli  autori dei
gravissimi delitti dolosi di cui all'art. 380 c.p.p..
    Se  e'  vero  che  rientra nella discrezionalita' del legislatore
stabilire  i  casi  in cui e' imprescindibile incidere sulla liberta'
personale  dell'imputato, e' altrettanto vero che la nuova ipotesi di
arresto  in  flagranza  va  ad  inserirsi in un tessuto normativa del
quale sembra doveroso, anche per il legislatore ordinario, conservare
una  qualche  coerenza  interna,  proprio al fine di salvaguardare il
principio costituzionale di eguaglianza formale che vuole trattate in
modo non discriminatorio situazioni personali omogenee.
    La  rilevata  disparita'  di trattamento risulta confermata, poi,
laddove  la previsione normativa in esame sia confrontata con l'altro
caso  di  arresto in flagranza per reato contravvenzionale introdotto
dalla  legge n. 189/2002: ci si riferisce all'ipotesi di cui al nuovo
art. 13  comma  13  del d.lgs. 286/1998, come modificato dalla "legge
Bossi  -  Fini",  che punisce con l'identica pena dell'arresto da sei
mesi a un anno lo straniero espulso che rientri nello Stato prima del
termine  consentito e senza autorizzazione del Ministro dell'interno:
in   questa   ipotesi,   caratterizzata  oltretutto  da  un  elemento
intenzionale   particolarmente   evidente   (mentre   per   lo   piu'
l'inottemperanza  all'ordine  di  allontanamento e' dovuta a condotta
semplicemente  negligente  o  passiva),  e'  previsto  (art. 13 comma
13-ter)   solo   l'arresto  facoltativo  in  flagranza,  e  non  gia'
obbligatorio.
    Passando  poi a valutare se le rilevate disparita' di trattamento
abbiano  una  ragionevole giustificazione, la risposta, ad avviso del
remittente,  sembra  dover  essere  radicalmente negativa. Tuttavia i
profili  riguardanti  la  ragionevolezza  del  trattamento  cautelare
particolarmente  rigoroso previsto dall'art. 14 comma 5-quinquies per
la  contravvenzione  di  cui  al  comma  5-ter  possono  essere  piu'
compiutamente  valutati  in relazione al parametro di cui all'art. 13
della Costituzione.
    2. - Violazione dell'art. 13 comma 3 Cost.
    Poiche'  la  disposizione  di legge sopra indicata e' destinata a
comprimere   la   liberta'   personale,  la  verifica  circa  la  sua
legittimita'  costituzionale  deve  essere  condotta non soltanto con
riferimento  al  principio  di eguaglianza, ma anche in rapporto agli
ulteriori  e  piu' pregnanti parametri costituzionali di cui all'art.
13  Cost.,  a norma del quale i provvedimenti provvisori destinati ad
incidere    sullo   status   libertatis   possono   essere   adottati
dall'autorita' amministrativa solo "in casi eccezionali di necessita'
ed urgenza" indicati tassativamente dalla legge.
    Con   questa   disposizione   il  costituente,  nell'affidare  al
legislatore ordinario la disciplina dell'intervento dell'autorita' di
p.s.  sulla  liberta'  personale,  ha  contemporaneamente  fissato un
preciso  limite  alla  discrezionalita'  del legislatore: occorre che
l'intervento  degli organi di p.g. sia giustificato da condizioni che
io rendano necessario ed urgente.
    Ebbene,  pare al remittente che proprio la complessiva disciplina
positiva   dettata   dal   legislatore   per   le   fasi   successive
all'obbligatorio  arresto  in  flagranza dell'autore del reato di cui
alIart. 14   comma   5-ter   renda   evidente  la  totale  inutilita'
dell'arresto medesimo.
    E'  incontroverso  che,  nell'impostazione  generale  del  nostro
sistema  penale,  l'arresto  in  flagranza  di  reato  ad opera della
polizia giudiziaria e' connotato da una finalita' anticipatoria degli
effetti  dell'applicazione,  da  parte  del  giudice,  di  una misura
cautelare.  Cio' emerge con evidenza dal disposto dell'art. 391 comma
5  c.p.p. il quale istituisce una corrispondenza diretta fra facolta'
di  arresto  per  delitto flagrante e potere del giudice di applicare
una misura cautelare.
    Ne consegue che in linea generale l'arresto in flagranza e' privo
di  senso laddove sia esclusa ab origine la possibilita' di applicare
una  misura  cautelare in sede di convalida. Se non ci si inganna, il
nostro  ordinamento  conosce  una  sola  altra  ipotesi di arresto in
flagranza  (peraltro  facoltativo) in cui sia esclusa la possibilita'
di  applicazione di una misura cautelare: quella in cui il conducente
di  un veicolo si dia alla fuga dopo un sinistro stradale con lesioni
(art.  189  comma  6  del nuovo codice della strada). In questo caso,
pero',  e'  agevole  individuare il motivo, estremamente ragionevole,
per  cui  e'  comunque possibile procedere all'arresto: vi e' infatti
l'impellente  necessita'  della fisica apprensione di un soggetto che
si  sta  dileguando,  sottraendosi alle sue responsabilita' di natura
penale e risarcitoria.
    Passando  ora ad esaminare l'art. 14, commi 5-ter e quinquies del
testo  unico  sugli  stranieri,  va  detto  innanzitutto  che  non si
rinviene  alcuna norma che consenta al giudice, una volta convalidato
l'arresto,  di  adottare  una  qualche  misura  cautelare.  L'arresto
obbligatorio  in  flagranza,  pertanto,  e'  destinato per sua stessa
natura  a sfociare immediatamente nella liberazione dell'arrestato. E
si  badi che a cio' potra' e dovra' provvedere non solo il giudice in
sede  di  convalida,  - ma ancor prima - lo stesso pubblico ministero
che  venga  informato  dell'arresto: come e' noto, infatti, la regola
generale  e'  che laddove il p.m. non intenda chiedere l'applicazione
di   misure   coercitive   dovra'  disporre  l'immediata  liberazione
dell'arrestato  (art.  121  disp. att. c.p.p., applicabile a fortiori
nelle  ipotesi  in cui l'applicazione di misure cautelari sia vietata
ex lege a prescindere da ogni valutazione discrezionale del p.m.).
    Posto   che   il  provvedimento  coercitivo  in  esame  non  puo'
conseguire  quello che dovrebbe esserne lo scopo naturale (anticipare
gli  effetti  dell'applicazione  di una misura cautelare da parte del
giudice),   occorre   allora   chiedersi   quale  sia,  non  solo  la
"eccezionale  necessita' ed urgenza", ma anche soltanto l'utilita' di
procedere  a  siffatto  arresto,  i  cui  effetti sono destinati alla
immediata cessazione.
    E'  forse  possibile pensare a due risposte, nessuna delle quali,
peraltro, appare minimamente convincente:
    A)  L'arresto  obbligatorio  sarebbe  finalizzato alla successiva
instaurazione del giudizio direttissimo.
    La  lettura  delle  citate disposizioni parrebbe suggerire che il
legislatore  abbia  vagheggiato  un congegno procedurale fulmineo: lo
straniero    viene    obbligatoriamente   arrestato,   immediatamente
processato  subito  dopo la convalida, condannato, nuovamente espulso
ed  accompagnato  alla  frontiera.  Ma  si  tratta  di un intento non
compatibile  con  il  nostro  sistema  processuale: basti pensare che
l'imputato,  dopo la convalida e la sua liberazione, ha il diritto di
ottenere un termine a difesa (art. 558 comma 7 c.p.p.), il diritto di
lasciare   liberamente   l'aula,   il  diritto  di  difendersi  nelle
successive  udienze  adducendo  l'esistenza di un giustificato motivo
per  la  propria  inottemperanza  all'ordine  del questore, infine il
diritto   di  impugnare  l'eventuale  condanna  in  primo  grado.  Il
meccanismo  vagheggiato  dal  legislatore  e'  dunque  di impossibile
funzionamento  perche' si scontra con le regole generali del processo
e con il diritto di difesa costituzionalmente garantito.
    Ma,   quel   che   piu'  rileva,  ipotizzare  una  finalizzazione
necessaria   dell'arresto   obbligatorio   al   successivo   giudizio
direttissimo  e'  frutto  di  una  arbitraria confusione di piani non
sovrapponibili,  perche'  ai  fini  dell'instaurazione  del  giudizio
direttissimo  non e' affatto necessario che vi sia stato, a monte, un
arresto  (obbligatorio  o facoltativo) in flagranza; come e' noto, il
rito  direttissimo  presuppone  semmai  una situazione di particolare
evidenza   della   prova   a   carico,   non  lo  status  detentionis
dell'imputato:   lo   stesso  art. 449  c.p.p.  prevede,  in  termini
generali,  il  rito  direttissimo  nei  casi  in  cui l'imputato, mai
arrestato  e  mai  detenuto,  abbia  reso  confessione;  e il comma 2
dell'art.  450  c.p.p.  contiene disposizioni procedurali proprio per
l'ipotesi  di citazione a giudizio direttissimo dell'imputato a piede
libero;  giudizi  direttissimi  senza  previo  arresto  sono altresi'
previsti  da  disposizioni  speciali, quali l'art. 6 ult. comma legge
n. 122/1993   (relativo   ai   reati  aggravati  dalla  finalita'  di
discriminazione razziale o religiosa) e, prima del 1991, dall'art. 21
legge n. 47/48 in tema di reati commessi col mezzo della stampa.
    Il legislatore, pertanto, ben avrebbe potuto prevedere un'ipotesi
di  giudizio  direttissimo  obbligatorio  senza  alcuna necessita' di
imporre il previo arresto in flagranza dello straniero contravventore
all'art. 14 comma 5-ter.
    B)  L'arresto  obbligatorio  sarebbe  finalizzato alla successiva
esecuzione  dell'espulsione  dell'arrestato  con accompagnamento alla
frontiera.
    Come  e'  noto,  la  legge  n. 189/2002, nel modificare l'art. 13
d.lgs.  286/1998  (comma  4),  ha  stabilito che, diversamente che in
passato,  l'espulsione viene sempre eseguita mediante accompagnamento
alla frontiera.
    La  velleitaria  disposizione  si  scontra  peraltro,  sul  piano
attuativo,  con  innumerevoli  difficolta'  pratiche,  di  talche' il
legislatore  ha  previsto  che  ove  l'immediato accompagnamento alla
frontiera  non  possa  aver  luogo  lo straniero sia trattenuto in un
centro  di  permanenza  temporanea,  per  la durata di trenta giorni,
prorogabili per altri trenta (art. 14 comma 5).
    Questa  premessa  e'  importante  perche' permette di evidenziare
che:
        1)     l'amministrazione     puo'    sempre,    autonomamente
dall'autorita'   giudiziaria   ed   in  qualunque  momento,  eseguire
coattivamente l'espulsione;
        2)  l'amministrazione  puo' fare affidamento su un periodo di
complessivi  60  giorni  per  risolvere  le  difficolta' pratiche che
ostacolano l'esecuzione dell'espulsione.
    In questo quadro appare totalmente fuori della realta' immaginare
che l'esecuzione dell'espulsione possa essere facilitata dall'arresto
in  flagranza  dello straniero colpito da provvedimento di espulsione
che si trattiene in territorio nazionale in violazione del successivo
ordine  di  allontanamento  del  questore.  Se la polizia, al momento
dell'arresto  dello straniero, e' in condizione di procedere alla sua
effettiva    espulsione   (per   sopravvenuta   identificazione   del
clandestino,  reperimento di un vettore, ecc.) la miglior cosa e' che
vi  dia corso senz'altro, e non ha alcuna utilita' che conduca invece
lo  straniero in carcere (per vederlo poi liberare poco dopo dal p.m.
o   dal   giudice);   se   invece   la  possibilita'  di  allontanare
effettivamente lo straniero non sussiste, non saranno certo poche ore
di  custodia  (che  oltretutto  obbligano  le  forze  di  polizia  ad
occuparsi  non  piu'  dell'espulsione,  bensi'  degli atti di polizia
giudiziaria!) che potranno modificare tale situazione di impotenza.
    Da  qualunque punto di vista lo si consideri, pertanto, l'arresto
obbligatorio   in   esame   risulta   essere  un'attivita'  priva  di
qualsivoglia utilita'. Esso non appare giustificato da alcuna ragione
di  necessita'  o  urgenza,  onde  la  sua  introduzione ad opera del
legislatore si pone in contrasto con la citata norma costituzionale.
    3. - Violazione dell'art. 97 Cost.
    La rilevata inutilita' dell'arresto obbligatorio in flagranza del
reato  di  cui  all'art. 14 comma 5-ter t.u. stranieri si accompagna,
nella  quotidiana  applicazione concreta dell'istituto, a conseguenze
pratiche   sulle   quali  sembra  doveroso  insistere,  perche'  esse
evidenziano come la norma denunciata contrasti anche con il principio
di   buon   andamento   della   pubblica  amministrazione  consacrato
nell'art. 97 Cost.
    La nuova norma ha comportato un sensibile aggravio' di lavoro per
ufficiali  ed  agenti di p.g., i quali sono ora obbligati a procedere
all'arresto  (con  tutti  gli  incombenti  conseguenti: redazione del
verbale   di  arresto,  informativa  alle  autorita'  diplomatiche  o
consolari,  al  p.m.,  al  difensore,  conduzione  in  carcere  ecc.)
ogniqualvolta   si   imbattano  in  uno  straniero  che  versi  nelle
condizioni   di   cui   al   comma  5-ter,  senza  alcuno  spazio  di
discrezionalita'.
    A    cio'    si    aggiunge   l'impegno   di   mezzi   e   uomini
dell'amministrazione  penitenziaria,  che  deve  curare le formalita'
matricolari  per  gli  arrestati  nonche'  provvedere  alle  numerose
traduzioni presso l'autorita' giudiziaria e ritorno.
    Infine, viene sovraccaricata anche l'attivita' dei tribunali, con
un  sensibile  aumento  delle  udienze di convalida, nelle quali, tra
l'altro, e' quasi sempre necessaria la nomina di un interprete (con i
conseguenti costi).
    Questo  consistente  e  articolato dispendio di energie e risorse
sarebbe  tollerabile  da  parte della collettivita' se permettesse di
conseguire risultati apprezzabili; ma la liberazione degli arrestati,
ineluttabilmente  disposta  in esito al giudizio di convalida, lascia
in  tutti  i  protagonisti  del  procedimento l'amara quanto evidente
sensazione di aver profuso un impegno vano.
    Non potendo la convalida aver luogo nei termini improrogabilmente
stabiliti  dalla  legge,  l'arrestato  dovra'  essere  immediatamente
liberato se non detenuto per altra causa. E' appena il caso di notare
che  cio'  non  fa venir meno l'utilita' di una pronuncia della Corte
costituzionale  sulla questione sopra esposta, perche' permane la sua
rilevanza  ai  fini dell'accertamento della legittimita' dell'operato
della  p.g.  e della conseguente convalida dell'arresto (il principio
e' stato espressamente affermato dalla Corte costituzionale decidendo
la questione di costituzionalita' dell'art. 380 lett. e) c.p.p.).
                              P. Q. M.
    Visti gli artt. 134 Cost., 23 e segg. legge 11 marzo 1953 n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  14,  comma  5-quinquies  del
d.lgs.  n. 286/1998  come  sostituito  dalla legge n. 189/2002, nella
parte  in  cui  prevede che per il reato previsto dal comma 5-ter sia
obbligatorio  l'arresto  dell'autore  del fatto, per violazione degli
artt. 3, 13 e 97 Cost. come esplicitato in motivazione;
    Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Sospende  il  giudizio  di  convalida sino all'esito del giudizio
incidentale di legittimita' costituzionale;
    Ordina   l'immediata   liberazione   di   Fateh   Litim   (meglio
generalizzato in epigrafe), se non detenuto per altra causa;
    Manda  la  cancelleria  a  notificare  la  presente  ordinanza al
Presidente  del  Consiglio dei ministri, nonche' per la comunicazione
ai Presidenti delle Camere.
        Moncalieri, addi' 5 dicembre 2002
                         Il giudice: Ferrero
03C0115