N. 44 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 novembre 2002

Ordinanza  emessa  il  12  novembre  2002  dal  tribunale di Roma nel
procedimento penale a carico di Roshko Ivan

Straniero    -   Espulsione   amministrativa   -   Provvedimento   di
  accompagnamento alla frontiera emesso dal questore - Sottrazione al
  giudice del processo penale della diretta esplicazione di attivita'
  volte all'acquisizione di prove e della possibilita' di valutare la
  sussistenza   di   valide   ragioni   per  assicurare  la  presenza
  dell'imputato  nel  processo  al fine dell'esercizio del diritto di
  difesa  -  Incidenza  sul  diritto  di  difesa  e  sui  principi di
  presunzione  di  innocenza,  del  giusto  processo,  di autonomia e
  indipendenza della magistratura.
- Decreto  legislativo  25 luglio 1998, n. 289, art. 14, comma 5-ter,
  come   modificato   dalla   legge  30 luglio  2002,  n. 189  (e  di
  conseguenza degli artt. 13, comma 13 e 3, e 17).
- Costituzione, artt. 24, 27, 104 e 111.
(GU n.7 del 19-2-2003 )
                            IL TRIBUNALE

    Ha emesso la seguente ordinanza.
    Letti  gli atti del procedimento penale n. 46788/02 p.m. a carico
di  Roshko  Ivan  imputato del reato p. e p. dall'art. 14 comma 5-ter
d.lgs.  n. 286/1998 nel testo modificato dalla legge n. 189/2002, per
essersi  trattenuto  senza  giustificato  motivo nel territorio dello
Stato  in  violazione dell'ordine impartito dal questore ai sensi del
comma 5-bis;
    Rilevato  che  in  esito alla convalida dell'arresto non e' stata
richiesta  dal  p.m.  l'applicazione  di alcuna misura coercitiva nei
confronti  dell'imputato  e  cio'  in  ragione  della  pena  edittale
prevista  per  la  fattispecie  criminosa  (arresto da sei mesi ad un
anno),   inferiore   ai  limiti  indicati  dall'art. 280  c.p.p.  per
l'applicazione di dette misure.
    Considerato  che  si  procede  nei  confronti di imputato a piede
libero  che  ha  formulato  richiesta  di  termini  a difesa e che il
processo,  ex  art. 558  comma 7 c.p.p., e' stato rinviato alla prima
udienza disponibile per questo giudice, ovvero alla odierna udienza.

                            O s s e r v a

    Gli  articoli 13  comma  13 e 14 comma 5-ter del d.lgs. 25 luglio
1998  n. 286  nel testo modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189
istituiscono  due distinte ma analoghe ipotesi di reato per punire il
cittadino   straniero   colpito   da   provvedimento   di  espulsione
amministrativa  che  rientri  illegalmente nel territorio dello Stato
oppure  illegalmente  vi si trattenga senza ottemperare all'ordine di
allontanamento.
    In entrambi i casi e' previsto l'arresto in flagranza di reato ed
il processo deve svolgersi con rito direttissimo; e' previsto inoltre
che  lo  straniero  illegalmente  presente sul territorio dello Stato
venga   nuovamente   espulso   "con  accompagnamento  immediato  alla
frontiera"  (art. 13, comma 13) e "con accompagnamento alla frontiera
a mezzo forza pubblica" (art. 14, comma 5-ter).
    La  legge  non  precisa se alla espulsione si debba procedere non
appena  l'imputato  venga  rimesso  in  liberta'  o  se  l'espulsione
coattiva  debba essere realizzata solo una volta esaurito il processo
penale.
    Tuttavia  la  prima  soluzione  sembra  sostenuta  sia dal tenore
letterale  degli  articoli richiamati - i quali intendono impedire la
prosecuzione  della illegale permanenza nel territorio dello Stato ed
assicurare   la   cessazione   della   condotta   antigiuridica   con
l'esecuzione  coattiva  ed  immediata  della  espulsione  - sia dalla
previsione contenuta nell'art. 17 della legge (".. lo straniero parte
offesa  ovvero  sottoposto  a  procedimento  penale  e' autorizzato a
rientrare   in  Italia  per  il  tempo  strettamente  necessario  per
l'esercizio  del  diritto  di  difesa, al solo fine di partecipare al
giudizio  o  al  compimento  di atti per i quali e' necessaria la sua
presenza.  L'autorizzazione  e'  rilasciata dal questore anche per il
tramite  di una rappresentanza diplomatica o consolare su documentata
richiesta  della  parte  offesa  o  dell'imputato...") nella quale si
opera  una  precisa  scelta  di  priorita'  tra l'esigenza di rendere
effettivo  l'allontanamento  dal territorio dello Stato e l'esercizio
del diritto di difesa.
    Le  previsioni  richiamate  non  sembrano rispondenti ai principi
affermati dagli articoli 24, 27, 104 e 111 della Costituzione.
    E'   innegabile   che  anche  in  presenza  di  reati  di  facile
accertamento  quali  quelli  in parola l'imputato abbia il diritto di
scegliere   i  percorsi  difensivi  piu'  adeguati,  in  primo  luogo
valutando l'opportunita', con l'ausilio del difensore, di accedere ai
riti  alternativi  e  in  secondo  luogo  di  predisporre  una difesa
articolata mediante la raccolta e l'indicazione di prove testimoniali
o  documentali  volte  a  dimostrare,  ad  es.,  la sussistenza di un
giustificato  motivo  alla  permanenza nel territorio dello Stato che
attesti  la  liceita'  della  condotta e renda insussistente il reato
contestato.
    Con  le  sentenze  nn. 125/79 e 188/90 la Corte costituzionale ha
escluso che diritto alla difesa significhi,nel processo penale, oltre
che diritto a farsi assistere da un difensore "tecnico" anche diritto
alla  autodifesa; e' tuttavia innegabile che un imputato, allontanato
dal  territorio  dello Stato prima della conclusione del processo, si
verrebbe  a trovare in condizione di grave disagio nel predisporre ed
articolare una adeguata difesa, peraltro nei ristretti tempi del rito
direttissimo, e che anche la difesa tecnica affidata al difensore non
potrebbe non risentire ed essere fortemente condizionata dall'assenza
dell'imputato dal territorio dello Stato.
    Le ipotizzabili attivita' difensive potrebbero essere predisposte
e  sollecitate  con  evidente  difficolta' da un imputato lontano dal
territorio   dello   Stato   e   per  il  quale,  a  prescindere  dal
discrezionale   provvedimento  di  autorizzazione  del  questore,  il
rientro potrebbe essere ostacolato o reso impossibile dalla scarsezza
o dalla mancanza di mezzi economici.
    La  formulazione  dell'art. 17 della legge sembra quindi limitare
la  portata  della  norma  ad  una generica affermazione di principio
senza  assicurare  nei  fatti  una concreta possibilita' di effettiva
difesa  mentre l'art. 24 Cost. - affermando la possibilita' per tutti
di agire in giudizio a tutela dei diritti e degli interessi legittimi
-  mira  a  concretizzare  il  diritto  di  azione  sul  piano  della
effettivita' e della pratica operativita'.
    Ne'  puo'  eludersi  il  problema della esatta qualificazione del
provvedimento  di  espulsione del quale si tratta ovvero della "nuova
espulsione disposta in caso di inottemperanza al provvedimento emesso
dal  questore; la "nuova" espulsione - per la sua diretta connessione
con  un  fatto-reato - sembra piu' correttamente definibile non quale
provvedimento   amministrativo   ma   quale   misura   di  sicurezza:
necessiterebbe    percio'    di   precise   garanzie   di   carattere
giurisdizionale e dovrebbe essere disposta in sede giurisdizionale.
    L'allontanamento  immediato e coattivo dal territorio dello Stato
si  sostanzia  nella  anticipazione  di effetti negativi in danno del
cittadino  extracomunitario  a prescindere dall'esito del processo ed
in  particolare  dalla  possibilita' che venga emessa una sentenza di
assoluzione in esito al dibattimento.
    L'art. 27   Cost.  precisa  che  l'imputato  non  e'  considerato
colpevole  sino  alla  condanna definitiva, con la conseguenza che il
legislatore  ordinario ha l'obbligo di regolamentare i processi e gli
istituti  processuali  in  modo  tale  da  evitare  che  il  soggetto
coinvolto  nella vicenda processuale abbia a subirne effetti negativi
anticipati   rispetto  al  momento  dell'accertamento  di  specifiche
responsabilita'.
    La normativa in esame invece, col prevedere l'esecuzione coattiva
ed  immediata  della  espulsione,  sembra  non tener conto almeno sul
piano  degli  effetti della possibilita' che l'imputato venga assolto
dal  reato  ascritto  e  che  venga  di  conseguenza  affermata  - ad
espulsione  gia'  avvenuta - la legittimita' della sua permanenza nel
territorio dello Stato.
    Non  puo'  infine non rilevarsi la dubbia costituzionalita' della
legge  in  esame  anche  con riferimento alle regole dettate dall'111
Cost,  recente  riformulato  per la ritenuta necessita' di parificare
nel  processo  penale accusa e difesa,rendendo piu' incisivo il ruolo
della difesa e piu' efficace l'esercizio del relativo diritto.
    Giusto  procedimento  ai  sensi  del  novellato  art.111 Cost, e'
quello  che si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni
di  parita', davanti ad un giudice terzo ed imparziale e nel quale la
persona  accusata  di  un  reato dispone del tempo e delle condizioni
necessarie  per  preparare  la  sua difesa, ha la facolta' davanti al
giudice  di  interrogare  o di far interrogare le persone che rendono
dichiarazioni   a   suo   carico,   di  ottenere  la  convocazione  e
l'interrogatorio  di  persone  a  sua  difesa nelle stesse condizioni
dell'accusa  e  l'acquisizione  di  ogni  altro  mezzo di prova a suo
favore,  e'  assistita  da  un interprete se non comprende o parla la
lingua impiegata nel processo.
    La  procedura  ipotizzata per lo straniero immediatamente espulso
prima  della  conclusione  del  processo  si pone, a parere di questo
giudice,   in  palese  contraddizione  con  il  modello  di  processo
delineato    nella    norma    costituzionale    richiamata,   stante
l'eventualita' della partecipazione al processo e l'impossibilita' di
articolare  e realizzare una effettiva e tempestiva difesa e di farlo
in condizioni di parita' con l'accusa.
    Ma  vi  e'  un  ulteriore  profilo  che  induce  questo giudice a
dubitare della costituzionalita' della legge richiamata esso riguarda
il  rapporto  ed  il  raccordo  tra  i  provvedimenti della autorita'
amministrativa e quelli della autorita' giudiziaria.
    Stabilire  che  l'esercizio  di facolta' processuali difensive e'
materia sottratta alla valutazione del giudice del processo e rimessa
invece  alla valutazione del Questore - organo dell'amministrazione e
non  della  giurisdizione  -  e'  soluzione  legislativa  in evidente
contrasto   con  il  principio  affermato  dall'art. 104  Cost.,  che
configura  la  magistratura quale "ordine autonomo ed indipendente da
ogni altro potere".
    Con  la  sentenza n. 440/88 la Corte Costituzionale ha dichiarato
l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 9  primo  comma  legge 20
novembre   1971,   n. 1062  (Norme  penali  sulla  contraffazione  od
alterazione di opere d'arte) nella parte in cui venivano adoperate le
parole "deve avvalersi" anziche' le parole "puo' avvalersi".
    La   questione   sottoposta   all'esame  della  Corte  riguardava
l'obbligo   per  il  giudice  -  stabilito  dall'art. 9  della  legge
n. 1062/1971  -  di  avvalersi  di periti indicati dal Ministro per i
beni  culturali  e  ambientali  fino  alla  istituzione dell'albo dei
consulenti  tecnici in materia di opere d'arte e sottraeva al giudice
del  processo  la  possibilita' di scegliere liberamente il perito al
quale  affidare  la  valutazione  delle  opere  d'arte,  al  fine  di
accertarne la falsificazione.
    Nella  motivazione  della sentenza richiamata si e' affermato che
"...  il  principio  di  indipendenza  della magistratura sancito dal
primo  comma  dell'art. 104  cost.  -  con  riguardo ad ogni giudice,
singolo   o   collegiale,   in   stretta  correlazione  all'autonomia
dell'ordine  giudiziario  garantita  dal medesimo comma ed in diretta
derivazione dall'art. 101 secondo comma Cost. - non puo' considerarsi
non scalfito da una norma che condiziona ad un atto vincolante di una
autorita'  amministrativa  l'esercizio della funzione giurisdizionale
in  un  momento  particolarmente  delicato del processo, quale quello
della scelta del perito.... L'indipendenza del giudice penale risulta
compromessa  proprio dalla impossibilita' di provvedere direttamente,
una  volta  ritenuta  necessaria  la  perizia  artistica, alla nomina
dell'esperto,   stante   l'obbligo   di   rivolgersi  alla  autorita'
amministrativa  competente  e  di  seguirne le indicazioni senz'alcun
altro   margine   di  discrezionalita'  se  non  quello,  per  giunta
eventuale,   di  esprimere  una  preferenza  quando  la  designazione
ministeriale comprenda piu' nominativi in lista di attesa...".
    La  norma  di  cui all'art. 17 legge cit. preclude al giudice del
processo  la diretta esplicazione di attivita' volte all'acquisizione
di  prove, quali l'accompagnamento coattivo dell'imputato ex art. 490
c.p.p.,  e sottrae al medesimo giudice la possibilita' di valutare la
sussistenza   di   valide   ragioni   per   assicurare   la  presenza
dell'imputato   nel   processo   stesso,  per  garantire  l'esercizio
effettivo  del  diritto  di  difesa,per  consentire  all'imputato  di
prospettare  i  mezzi  istruttori  necessari  ad articolare la difesa
ammissibili  e  rilevanti  al  fine di emettere una decisione giusta,
senza  dimenticare  che resterebbe paralizzato o limitato l'esercizio
dei  poteri  ex  art. 507  c.p.p., comunque subordinati e conseguenti
all'esaurimento delle acquisizioni probatorie proposte dalle parti.
    Il  problema  della  forzata  assenza  dell'imputato dal processo
quale  delineato  dalle  norme  in  esame  non  sembra  poter trovare
adeguata   soluzione  attraverso  una  attivita'  di  interpretazione
estensiva  della  legge  in  esame,  che  consenta  di  renderla piu'
aderente ai valori costituzionali.
    In  tale ottica potrebbe infatti ipotizzarsi che il giudice abbia
il  potere  di  consentire all'imputato di trattenersi nel territorio
dello  Stato  per  il tempo necessario alla trattazione del processo:
una  simile  possibilita' interpretativa sembra tuttavia preclusa dal
regime dettato dal novellato art. 13 d.lgs. n. 286/1998.
    Mentre  il  testo  previgente  prevedeva  la  possibilita' per il
giudice  di negare il nulla osta alla espulsione "...per inderogabili
esigenze  processuali..."  il  testo  modificato  -  nel  regolare  i
rapporti  tra  attivita'  amministrativa ed attivita' giurisdizionale
nel  caso  in  cui  il prefetto debba procedere alla espulsione di un
cittadino  straniero  libero  o liberato, a carico del quale penda un
procedimento penale - stabilisce che il giudice ha la possibilita' di
bloccare  il  provvedimento  di espulsione nelle sole ipotesi di "...
inderogabili    esigenze    processuali    valutate    in   relazione
all'accertamento  della  responsabilita' di eventuali concorrenti nel
reato   o   di   imputati  in  procedimenti  per  reati  connessi,  e
all'interesse della persona offesa...".
    Ne  consegue  che nei casi indicati dall'art. 13 il giudice - che
il  novellato  art. 111  Cost.  vuole  "terzo  ed  imparziale" - puo'
assicurare  la presenza dell'imputato nel processo solo per garantire
le  esigenze  dell'accusa  pubblica o privata e non puo' invece farlo
per  assicurare  l'esercizio  del diritto alla difesa ed un effettivo
contraddittorio tra le parti.
    Gli  argomenti  trattati,  confermando  la  rilevanza ai fini del
decidere  delle  questioni  proposte  e la non manifesta infondatezza
della stesse, inducono questo giudice a rimettere gli atti alla Corte
costituzionale per le valutazioni di competenza
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Ritenuto   che   ai  fini  del  presente  giudizio  non  appaiono
manifestamente  infondate le questioni di legittimita' costituzionale
dell'art. 14  comma 5-ter del d.lgs. n. 286/1998 nel testo modificato
dalla  legge  n. 189/2002  (e di conseguenza degli articoli 13, comma
13,   comma   13  e  17  della  medesima  legge)  in  relazione  agli
articoli 24, 27, 104 e 111 Cost;
    Che le stesse sono rilevanti ai fini del decidere;
    Sospende il giudizio in corso;
    Ordina   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale;
    Ordina  altresi'  che,  a  cura  della  cancelleria  la  presente
ordinanza  sia notificata all'imputato, al difensore, al p.m. in sede
nonche'  al  Presidente  del  Consiglio  dei ministri; inoltre che la
stessa   venga   comunicata   ai  Presidenti  delle  due  Camere  del
Parlamento.
        Roma, addi' 12 novembre 2002
                        Il giudice: Ianniello
03C0120