N. 51 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 novembre 2002

Ordinanza  emessa  il  20  novembre  2002 dal tribunale di Modena nel
procedimento penale a carico di Ahmetovic Jasna

Straniero  -  Espulsione  amministrativa - Reato di trattenimento nel
  territorio dello Stato in violazione dell'ordine di allontanamento,
  entro il termine di cinque giorni, impartito dal questore - Arresto
  obbligatorio in flagranza - Irragionevole disparita' di trattamento
  rispetto  all'analogo reato di rientro nel territorio dello Stato a
  seguito  di  espulsione  amministrativa  per  il  quale e' previsto
  l'arresto facoltativo in flagranza.
- D.lgs  25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5-quinquies, aggiunto
  dalla legge 30 luglio 2002, n. 189.
- Costituzione, art. 3.
(GU n.7 del 19-2-2003 )
                            IL TRIBUNALE

    Esaminati  gli  atti  del procedimento nei confronti di Ahmetovic
Jasna,  nata  a  Sarajevo  (Bosnia) il 20 marzo 1980, arrestata dalla
Squadra  Volante della questura di Modena il 30 ottobre 2002 alle ore
5,30,   per   il   reato  di  cui  all'art. 14,  comma  5-ter  d.lgs.
n. 286/1998,   modificato   dalla  legge  n. 189/2002;  esaminata  la
questione   di   legittimita'   costituzionale   dell'art. 14,  comma
5-quinquies,  d.lgs.  n. 286/1998 modificato dalla legge n. 189/2002,
sollevata  dal  pubblico  ministero  in  relazione  all'art. 3  della
Costituzione, osserva:
    Il regime introdotto da d.lgs. n. 286/1998 modificato dalla legge
n. 189/2002  prevede l'espulsione dello straniero che sia entrato nel
territorio   dello  Stato  sottraendosi  ai  controlli  di  frontiera
(art. 13, comma 2, lett. a).
    L'espulsione  e'  disposta  dal prefetto (art. 13, comma 2) ed e'
sempre  eseguita  dal  questore  con accompagnamento alla frontiera a
mezzo della forza pubblica (art. 13, comma 4).
    Fanno eccezione i casi di cui al comma 5 concernenti lo straniero
il  cui  permesso  di  soggiorno  sia scaduto di validita' da piu' di
sessanta giorni senza che ne sia stato chiesto il rinnovo.
    La  regola  fissata dal comma 4 dell'art. 13 puo' essere derogata
"quando  non  e'  possibile  eseguire  con  immediatezza l'espulsione
mediante accompagnamento alla frontiera ... perche' occorre procedere
al  soccorso dello straniero, ad accertamenti supplementari in ordine
alla   sua  identita'  o  nazionalita',  ovvero  all'acquisizione  di
documenti per il viaggio, ovvero per l'indisponibilita' del vettore o
altro mezzo di trasporto idoneo" (art. 14, comma 1).
    In  tal caso, il questore dispone che lo straniero sia trattenuto
per  il  tempo strettamente necessario presso il centro di permanenza
temporanea e assistenza piu' vicino ..." (art. 14, comma 1).
    E'  contemplato un rimedio estremo per l'eventualita' che non sia
possibile  eseguire  l'espulsione  immediata con accompagnamento alla
frontiera  e  non  si  riesca  neanche  a  trattenere, o a trattenere
ulteriormente,   lo   straniero   presso   un  centro  di  permanenza
temporanea.
    Qualora  questa  duplide impossibilita' si verifichi, il questore
ordina  allo straniero di lasciare il territorio dello Stato entro il
termine di cinque giorni (art. 14, comma 5-bis).
    L'apparato  sanzionatorio  predisposto  dal testo normativo tiene
conto delle differenti modalita' esecutive dell'espulsione.
    La  disobbedienza,  quando si realizzi la prima volta, integra un
illecito contravvenzionale.
    Le  condotte  incriminate  sono  il  rientro nel territorio dello
Stato  dopo  l'accompagnamento  alla  frontiera  e  senza la speciale
autorizzazione  del  ministro dell'interno (art. 13, comma 13) oppure
il  trattenimento  in  Italia senza giustificato motivo in violazione
dell'ordine impartito dal questore ai sensi dell'art. 14, comma 5-bis
(art. 14, comma 5-ter).
    Per entrambe le contravvenzioni e' comminata la pena dell'arresto
da  sei  mesi  ad  un  anno  ed  e' prevista una nuova espulsione con
accompagnamento immediato alla frontiera.
    La  reiterazione  della  condotta  disobbediente  da  parte dello
straniero  realizza  una  fattispecie  piu'  grave,  qualificata come
delitto.
    Lo  straniero,  gia'  denunciato per il reato di cui all'art. 13,
comma  13  ed  espulso,  che  abbia  fatto  reingresso sul territorio
nazionale e' punito con la reclusione da uno a quattro anni (art. 13,
comma 13-bis).
    Analogamente,  lo  straniero espulso ai sensi dell'art. 14, comma
5-ter,  che viene trovato nel territorio dello Stato e' punito con la
reclusione da uno a quattro anni.
    Quanto agli aspetti processuali, gli artt. 13 e 14 prevedono, per
i   reati   in  ciascuna  disposizione  contemplati,  rispettivamente
l'arresto  facoltativo  in flagranza e l'arresto obbligatorio (per il
delitto  di  cui  all'art. 13,  comma 13-bis e' inoltre consentito il
fermo).
    In entrambi i casi e' imposta l'adozione del rito direttissimo.
    Che  la  disciplina processuale appena descritta sia in contrasto
con l'art. 3 della Costituzione e' di tutta evidenza.
    I reati contravvenzionali descritti dagli artt. 13 e 14 rivestono
quanto meno pari gravita'.
    Essi sono sanzionati con la medesima pena edittale.
    Identica   e'   la   previsione   delle   conseguenze  sul  piano
amministrativo,   cioe'  una  nuova  espulsione  con  accompagnamento
immediato alla frontiera.
    In  entrambi i casi, la reiterazione della condotta illecita dopo
la  denuncia  per l'ipotesi contravvenzionale comporta l'integrazione
di un delitto.
    Ma vi e' di piu'.
    La   fattispecie  descritta  dall'art. 14,  comma  5-ter,  appare
ontologicamente  meno  grave rispetto a quella inserita nell'art. 13,
comma 13.
    Lo   straniero  che  rientra  nel  territorio  dello  Stato  dopo
l'accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica pone in
essere una condotta attiva.
    Piu'  esattamente,  trasgredisce ad un ordine non solo legalmente
impartito  dalla  pubblica autorita' italiana ma addirittura eseguito
in  modo  coattivo, con impiego da parte dello Stato di risorse umane
ed economiche.
    Una  simile  condotta  e'  certamente  poco  compatibile  con  un
atteggiamento colposo.
    La  contravvenzione  di  cui  al  comma  5-ter,  dell'art. 14  si
realizza, invece, con una condotta meramente omissiva.
    La  trasgressione  posta  in  essere  dallo straniero non ha alle
spalle un accompagnamento coatto alla frontiera, ma un ordine scritto
del  questore di lasciare il territorio dello Stato nel breve termine
di cinque giorni.
    La disobbedienza e' sicuramente compatibile in questo caso con un
atteggiamento colposo, negligente.
    La   mancata  esecuzione  dell'ordine  non  vanifica  uno  sforzo
compiuto  dallo  Stato  per  attuare  in  maniera  forzata  i  propri
provvedimenti.
    Che  la  condotta  omissiva,  vale  a  dire la mancata esecuzione
spontanea  di un ordine, sia in generale valutata dal legislatore con
minor  rigore  si  ricava, ad esempio, dalla previsione dell'art. 13,
comma  5. Per lo straniero che si sia trattenuto nel territorio dello
Stato  nonostante  che  il  permesso  di  soggiorno  fosse scaduto di
validita'  e senza aver chiesto il rinnovo, l'espulsione e' eseguita,
in  deroga  all'art. 13,  comma 4, mediante intimazione a lasciare il
territorio  dello  Stato  entro  il  termine  di  quindi  giorni.  Lo
straniero  che non esegua spontaneamente l'intimazione in oggetto non
e' penalmente perseguibile.
    Nel  d.lgs.  n. 286/1998,  prima delle modifiche introdotte dalla
legge  n. 189/2002,  era incriminata solo la condotta dello straniero
espulso   che   fosse   rientrato   in   Italia   senza  la  speciale
autorizzazione del Ministero dell'interno (art. 13, comma 13).
    Se  e' vero che la contravvenzione introdotta dall'art. 14, comma
5-ter  riveste  gravita'  pari  o  minore rispetto a quella descritta
dall'art. 13,  comma  13, non vi e' alcuna ragione che giustifichi la
previsione  di  un  arresto obbligatorio nel primo caso e facoltativo
nel secondo.
    La  ingiustificata  disparita'  di trattamento emerge poi in modo
eclatante  ove  si  raffronti la disciplina in tema di arresto tra la
contravvenzione  di cui all'art. 14, comma 5-ter ed il delitto di cui
all'art. 13, comma 13-bis.
    La  previsione dell'arresto obbligatorio per la contravvenzione e
dell'arresto  facoltativo  per  il  delitto  e'  del  tutto  priva di
ragionevolezza.
    L'obbligo  di arrestare l'autore di un reato contravvenzionale e'
istituto  sconosciuto  al  nostro  attuale  ordinamento giuridico. La
misura  precautelare dell'arresto obbligatorio e' riservata, ai sensi
dell'art. 380 c.p.p., agli autori di delitti e non di tutti i delitti
ma   di   quelli   particolarmente  gravi,  sanzionati  con  la  pena
dell'ergastolo  o  della reclusione non inferiore nel minimo a cinque
anni  e nel massimo a venti anni, oppure rientranti nelle fattispecie
specificamente elencate nel secondo comma della stessa disposizione.
    Un  solo  caso  di  arresto obbligatorio in flagranza e' previsto
dalle  leggi  speciali,  ed  esattamente dall'art. 12, comma 4 d.lgs.
n. 286/1998  (non modificato dalla legge n. 189/2002), in riferimento
comunque  a  delitti,  quelli  di  cui  ai commi 1 e 3 della medesima
disposizione.   Quanto   ai  reati  contravvenzionali,  l'arresto  in
flagranza  e'  possibile  secondo  l'attuale  ordinamento in una sola
ipotesi,  l'art. 6 d.l. n. 122/1993, convertito in legge n. 205/1993,
ma si tratta di arresto facoltativo e non obbligatorio.
    La previsione dell'arresto obbligatorio per la contravvenzione di
cui  all'art. 14,  comma  5-ter  d.lgs. n. 286/1998, modificato dalla
legge  n. 189/2002, contrasta in maniera eclatante con l'art. 3 della
Costituzione  in  quanto  concreta  una  ingiustificata disparita' di
trattamento  rispetto  all'art. 13,  comma 13 che, per fattispecie di
maggiore gravita' consente ma non impone l'arresto in flagranza.
    Vi  e'  un ulteriore profilo di illegittimita' costituzionale che
emerge   dalla   lettura   dell'art. 14,   comma  5-quinquies  d.lgs.
n. 286/1998, modificato dalla legge n. 189/2002.
    Esso   attiene  alla  introduzione  di  una  identica  disciplina
processuale (arresto obbligatorio e obbligo di giudizio direttissimo)
per  due  ipotesi di reato (quelle dei commi 5-ter e 5-quater) che lo
stesso  legislatore  ha sensibilmente differenziato quanto a gravita'
del fatto e della sanzione.
    E'  pacifico, e costantemente ribadito dalla giurisprudenza, che,
ferma  la  necessita'  di  ancorare  le scelte criminalizzatrici alla
tutela  di  beni  costituzionalmente  rilevanti, le valutazioni sulla
qualita' e quantita' della sanzione, in quanto di natura ideologica e
politica,   rientrano   nell'ambito   del  potere  discrezionale  del
legislatore.
    Nella   sfera  della  discrezionalita'  legislativa  devono  pure
ricondursi  le  scelte sui presupposti di applicabilita' delle misure
precautelari  e  cautelari,  nei  limiti  imposti  dall'art. 13 della
Costituzione (cfr. sentenze Corte cost. nn. 126/1972; 305/1996).
    E'    altrettanto    pacifico,    tuttavia,   che   l'uso   della
discrezionalita' legislativa possa essere censurato, sotto il profilo
della  legittimita'  costituzionale,  nei  casi  in cui non sia stato
rispettato  il limite della ragionevolezza (cfr. sentenze Corte cost.
nn. 26/1979, 103/1982, 409/1989, 341/1994).
    Nell'esercizio   del  suo  indiscusso  potere  discrezionale,  il
legislatore  ha  qualificato  come  contravvenzione la condotta dello
straniero  che per la prima volta disobbedisce all'ordine di lasciare
il   territorio   nazionale,   in   linea  con  fattispecie  omologhe
contemplate   dal   codice   penale  (cfr.  art. 650  c.p.,  2  legge
n. 1423/1956).
    Scegliendo il tipo meno grave di reato, il legislatore ha escluso
che potesse applicarsi all'imputato qualsiasi misura cautelare.
    La   disobbedienza  reiterata  nelle  forme  dell'art. 14,  comma
5-quater  e'  stata invece elevata al rango di delitto, punito con la
reclusione  da  uno  a  quattro  anni, quindi compatibile, secondo il
sistema   processuale,   con  il  ricorso  a  misure  precautelari  e
cautelari.
    Il  legislatore  ha  mostrato  da  un lato di voler differenziare
sensibilmente  le  due  condotte  in  esame, la prima disobbedienza e
quella   reiterata   nonostante  l'espulsione  coattiva,  addirittura
adottando   diverse   categorie   di   reato  e  comminando  sanzioni
significativamente  differenti,  con  tutta una serie di implicazioni
specifiche  quanto  ad elemento soggettivo, a termini di prescrizione
ecc..
    Tradendo questa impostazione e senza alcuna plausibile ragione ha
poi  dettato,  nel  comma 5-quinquies, una disciplina identica quanto
all'adozione di misure precautelari e al rito da seguire.
    Ha  in  tal modo introdotto una deroga enorme rispetto al sistema
del  codice  di  procedura  penale, prevedendo per la contravvenzione
l'arresto   obbligatorio   dell'autore,   caso   unico   nel   nostro
ordinamento.
    La   disarmonia  che  tale  disciplina  esprime  rileva  ai  fini
dell'art. 3   della   Costituzione  sotto  l'aspetto  della  assoluta
irragionevolezza.
    Il  principio  di  ragionevolezza  impone, per le fattispecie che
costituiscono   diversi   gradi  di  aggressione  del  medesimo  bene
giuridico, discipline proporzionatamente differenziate (cfr. sentenza
Corte  cost.  n. 26/1979, secondo cui: "E' giurisprudenza costante di
questa  Corte  che la configurazione delle fattispecie criminose e le
valutazioni  sulla congruenza fra i reati e le pene appartengono alla
politica  legislativa; salvo pero' il sindacato giurisdizionale sugli
arbitri  del  legislatore, cioe' sulle sperequazioni che assumano una
tale  gravita' da risultare radicalmente ingiustificate ... questo e'
appunto  il caso della norma impugnata ... l'art. 186 cpmp, nel primo
e,  in  parte,  nel  secondo  comma,  ricomprende  ed  appiattisce in
un'unica  ipotesi  delittuosa  -  quella  della  insubordinazione con
violenza  -  distinte  condotte tipiche, nettamente differenziate nei
loro elementi oggettivi e soggettivi").
    Coerentemente   a   tali  criteri,  l'art. 9  legge  n. 1423/1956
qualifica  come contravvenzione la violazione degli obblighi inerenti
alla sorveglianza speciale e come delitto l'analoga violazione quando
la  sorveglianza  speciale  includa  anche  l'obbligo o il divieto di
soggiorno.  Solo  per  la fattispecie delittuosa e' previsto, in base
all'art.  381  c.p.p., l'arresto facoltativo in flagranza e, ai sensi
dell'art. 9  legge  n. 1423/1956,  comma  3,  anche fuori dei casi di
flagranza.
    In  materia  di stupefacenti, l'art. 380 c.p.p. prevede l'arresto
obbligatorio  per  i  delitti  di cui all'art. 73 d.P.R. n. 309/1990,
inderoga  ai  limiti  di pena di cui al comma 1. La piu' grave misura
precautelare  non  e'  estesa alle ipotesi attenuate di cui al quinto
comma del citato art. 73.
    Nell'art. 14,  comma  5-quinquies,  il legislatore ha in sostanza
trattato  allo  stesso  modo,  imponendo l'arresto in flagranza ed il
rito  direttissimo,  fattispecie  che  egli stesso ha, nella medesima
disposizione, differenziato notevolmente quanto a gravita'.
    La   disarmonia  che  tale  disciplina  esprime  rileva  ai  fini
dell'art. 3   della   Costituzione  sotto  l'aspetto  della  assoluta
irragionevolezza  ("Non  si compiono valutazioni di natura politica e
nemmeno  si  controlla l'uso del potere discrezionale del legislatore
se  si dichiara che il principio dell'uguaglianza e violato quando il
legislatore  assoggetta  ad  una indiscriminata disciplina situazioni
che   esso   stesso   considera  e  dichiara  diverse",  Corte  cost.
n. 53/1958).
    Non  vi  e' dubbio che il principio di uguaglianza, nonostante il
riferimento letterale dell'art. 3 Cost. ai cittadini, debba ritenersi
esteso  agli  stranieri, allorche' si tratti della tutela dei diritti
inviolabili dell'uomo (Corte cost. n. 104/1969).
    Pacifica e' la rilevanza della questione.
    L'imputata   e'  stata  arrestata  ai  sensi  della  disposizione
impugnata.
    Sulla rilevanza della questione non puo' avere effetto l'avvenuta
liberazione  della  persona  arrestata,  imposta  dall'art. 391 u.c.,
richiamato dall'art. 558 c.p.p..
    Il giudizio di convalida dell'arresto non e' stato esaurito ma e'
stato   sospeso   al   fine   di  trasmettere  gli  atti  alla  Corte
costituzionale.
    La  decisione  sulla  questione di legittimita' costituzionale ha
incidenza   diretta  sulla  pronuncia  di  legittimita'  dell'arresto
eseguito  dalla  polizia  giudiziaria  ai  sensi  della  disposizione
impugnata  (cfr.  al riguardo sentenza Corte cost. n. 54/1993 "... il
provvedimento  di  liberazione  dell'arrestata  era imposto ... dalla
disposizione  di  cui  all'art. 391  settimo comma, ultima parte, del
codice  di rito ... Poiche' tale disposizione ricollega la perdita di
efficacia  dell'arresto  alla  carenza,  per qualsiasi ragione, di un
provvedimento  positivo  di  convalida nello stesso termine, e' ovvio
che  l'impossibilita' di rispettarlo conseguente all'elevazione della
questione  comportava  (o  avrebbe  di  li'  a  poco  ineludibilmente
comportato)  l'intervento di tale autonoma causa di carenza di valido
titolo di detenzione, a prescindere dall'esaurimento del procedimento
di  convalida,  che  ...  era  stato  contestualmente  sospeso.  Tale
procedimento  non  puo'  percio'  ritenersi  esaurito,  ne' di esso i
giudici  si  sono  spogliati:  e  la  sua  persistenza  nonostante la
liberazione  trova  ragione  nell'interesse generale ad una pronuncia
sulla  legittimita'  dell'arresto,  che ha pur sempre determinato una
privazione  della  liberta'.  La  rilevanza  della questione, dunque,
permane,  trattandosi  di  stabilire se la liberazione dell'arrestata
debba considerarsi conseguente all'applicazione dell'art. 391 settimo
comma,  ovvero,  piu'  radicalmente,  alla  caducazione  con  effetto
retroattivo  della disposizione in base alla quale gli arresti furono
eseguiti").
    La  rilevanza  della  questione  esiste, nel caso concreto, anche
qualora   si   ritenesse   conforme   a  Costituzione  la  previsione
dell'arresto  facoltativo anziche' obbligatorio, poiche' l'assenza di
specifici  indici  di  gravita'  della  condotta  e  di pericolosita'
dell'imputata    renderebbe   comunque   ingiustificata,   ai   sensi
dell'art. 381, comma 4 c.p.p., la misura precautelare in oggetto.
    Sulla  base  delle considerazioni fin qui svolte, la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 14,  comma 5-quinquies d.lgs.
n. 286/1998,   modificato   dalla  legge  n. 189/2002,  in  relazione
all'art. 3 Cost., appare non manifestamente infondata e rilevante.
                              P. Q. M.
    Visti gli artt. 23 e ss. legge n. 87/1953;
    Dichiara non manifestamente infondata e rilevante la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 14,  comma 5-quinquies d.lgs.
n. 286/1998,  come modificato dalla legge n. 189/2002, per violazione
dell'art. 3 della Costituzione.
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla  Corte
costituzionale e sospende il giudizio in corso.
    Dispone   che,   a   cura   della   cancelleria,  l'ordinanza  di
trasmissione  degli  atti  alla  Corte  costituzionale sia notificata
all'imputata,  al  difensore  e  al  pubblico  ministero  nonche'  al
presidente del Consiglio dei ministri.
    Dispone  inoltre  che  la citata ordinanza sia comunicata, a cura
della cancelleria, ai presidenti delle due camere del Parlamento.
        Modena, addi' 31 ottobre 2002
                        Il giudice: Ponterio
03C0127