N. 1 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 12 febbraio 2003
Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 12 febbraio 2003 (del g.i.p. del Tribunale di Perugia) Parlamento - Immunita' parlamentari - Deliberazione del Senato della Repubblica in data 31 gennaio 2001, con la quale si dichiara che i fatti per cui si procede penalmente nei confronti dell'on. Giulio Andreotti per il reato di diffamazione a mezzo stampa nei confronti del dott. Mario Almerighi concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni - Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dal G.I.P. del Tribunale di Perugia per la ritenuta mancanza di nesso tra i fatti attribuiti e l'esercizio delle funzioni parlamentari. - Cost., art. 68, primo comma.(GU n.12 del 26-3-2003 )
Con querela presentata in data 24 gennaio 2000 il dott. Mario Almerighi chiedeva procedersi penalmente nei confronti del senatore Giulio Andreotti per il reato di diffamazione a mezzo stampa per talune dichiarazioni dal medesimo rese sulla sua persona, attribuendogli il fatto determinato di avere deposto il falso come teste, nel processo penale tenutosi a Palermo, a carico dello stesso senatore ed in particolare per le dichiarazioni rese nel corso dell'intervista del 25 ottobre 1999 all'agenzia ANSA riportata sui quotidiani "Il Giorno", "Il Resto del Carlino", "La Nazione" - ("qualcosa riguardera' un magistrato ... Almerighi ha detto infamie ... Per fortuna ha citato due testimoni. Virginio Rognoni ha smentito ma e' uno della mia parrocchia politica e pesa meno. Qui vorrei onorare la memoria di Piero Casadei Monti che poco prima di morire ha reso due pagine di verbale in cui ha chiarito ogni minimo dettaglio escludendo ogni mia interferenza. Ci tengo: era un comunista, un senatore poi del PDS. Lo hanno spremuto per quattro ore, dalle nove della sera all'una del mattino per tirar fuori due paginette che dimostrano le menzogne di Almerighi. E' il magistrato, questo Almerighi, che e' stato per qualche ora Presidente dell'Associazione Nazionale Magistrati. Intendo procedere contro di lui"); dell'intervista del 25 ottobre 1999 al programma "Viva voce" dell'emittente Radio 24, riportata sui quotidiani del giorno successivo, tra cui "Il Giornale" - ("si tratta di un falso testimone che purtroppo e' un magistrato in servizio. Non appartiene alle procure. Ma per il quale credo che dovremmo inviare le carte al C.S.M. Se non lo facessimo sarebbe come lasciare una miccia in mano a un bambino"); dell'intervista del 25 ottobre 1999 alla trasmissione "Porta a Porta" sul canale televisivo RAIUNO - ("si tratta di questo. Ho qui il verbale, quindi siccome tutto quello che dico e' documentabile ... questo magistrato, mentre io con i pentiti in fondo non ce l'ho, hanno tanto interesse ... ma che un magistrato vada a dire il falso in un processo questo e' grave ... Il senatore Casadei Monti e' morto in un incidente, ma per fortuna aveva testimoniato nel processo, e aveva con chiarezza - ecco qui il verbale - detto che mai era avvenuta una forma di qualsiasi interferenza mia, ne' sul caso di specie ne' su altri casi. E quindi, siccome preferisco dimenticare tutto quello che e' passato, ma almeno questo noi al Consiglio Superiore dobbiamo mandarlo. Perche'? Perche' mentre, ripeto, sui pentiti si puo' chiudere un occhio, un occhio e mezzo, su un magistrato in carica e' chiaro che non si puo' a mio avviso, non si puo' lasciar passare, perche' ha in atto delle funzioni e importanti"; "puo' valutare quello che vuole. Il verbale di Casadei Monti, che fra l'altro deve essere stato anche strigliato, se mi e' consentito, perche' un verbale di sei sette pagine, che comincia alle nove di sera e finisce all'una di notte! E quindi devono averlo anche abbastanza premuto perche' facesse qualche concessione. E qui ha detto con chiarezza che questo fatto non e' esistito, che lui non ha avuto alcun rapporto, che il Ministro non gli ha mai parlato di questo rapporto, e che io non mi sono mai interessato di cose che riguardassero Carnevale o altre cose del suo ufficio. Su questo non ci piove! Mi dispiace molto, ma questo magistrato ... magari mi fa un'azione penale: mi farebbe guadagnare forse qualche cosa poi in sede civile"); dell'intervista del 26 ottobre 1999 riportata sul quotidiano "Il Giornale" - ("... posso capire che i pentiti abbiano fatto quel che hanno fatto per convenienza ... molto meno comprensibile appare la falsa testimonianza di un magistrato, cioe' di una persona che gestisce la giustizia ... magari Almerighi mi denunciasse. La sua deposizione era falsa dato che risulta dagli atti del processo la smentita fatta dal senatore Pierpaolo Casadei Monti. I p.m. lo avevano tenuto sotto torchio dalle nove di sera all'una del mattino ma lui aveva chiarito ogni minimo dettaglio escludendo ogni interferenza da parte mia ... La verita' e' emersa in modo molto netto e questo scredita la testimonianza di Almerighi. Devo aggiungere che se, come ha detto, lui decidesse di agire legalmente contro di me, potrei guadagnare qualcosa in sede civile e cio' non guasterebbe, viste le spese del processo che si e' appena concluso a Palermo ... che un magistrato dica il falso in un'aula di Tribunale e' grave e questo non si puo' lasciar passare"); infine dell'intervista del 4 novembre 1999 riportata sul settimanale "L'Espresso" - ("Almerighi e' pazzo, dica quello che vuole. Mi procura solo divertimento"). A seguito di detta querela la procura della Repubblica di Perugia formulava richiesta di rinvio a giudizio nei confronti del senatore Andreotti per il reato di cui agli artt. 81 c.p.v., 595, commi 1, 2 e 3, 61, n. 10 c.p., 13, legge n. 47/1948, 30, legge n. 223/1990, per avere con piu' azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, offeso la reputazione del dott. Mario Almerighi, magistrato in servizio presso il Tribunale di Roma, in relazione all'ufficio di testimone svolto da quest'ultimo nel processo penale tenutosi a Palermo nei confronti del medesimo senatore Andreotti, attribuendogli il fatto determinato di avere ivi deposto il falso, riportando le dichiarazioni rese cosi' come sopra indicate con i rispettivi organi di stampa interessati alla vicenda. Il Senato della Repubblica con delibera assunta nella seduta del 31 gennaio 2001 approvava la proposta della Giunta delle elezioni e delle Immunita' parlamentari dichiarando che il fatto oggetto del presente procedimento concerne opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni e ricade pertanto nell'ipotesi di cui all'art. 68, comma secondo, della Costituzione. In sede di udienza preliminare si prendeva atto di tale delibera e considerato che alla stessa consegue l'effetto inibitorio della prosecuzione del giudizio, salva la possibilita' per il giudice di sollevare conflitto di attribuzioni dinanzi alla Corte costituzionale, qualora ritenga contestabili le modalita' di esercizio del potere del Parlamento, per vizi del procedimento o per omessa o erronea valutazione dei presupposti di volta in volta richiesti ai fini della validita' del suddetto esercizio (Cass. pen., Sez. V, 16 novembre 1998, n. 1826), il giudice, sentite le parti, pronunciava ordinanza con la quale sospendeva il procedimento penale ritenendo di dover sollevare il conflitto di attribuzioni, riservandosi poi di sollevarlo con apposito ricorso dinanzi alla Corte costituzionale, ai sensi dell'art. 134 della Costituzione. O s s e r v a A parere di questo giudice, nel caso di specie, il Senato della Repubblica non ha legittimamente esercitato il proprio potere, in riferimento a quanto previsto dal citato art. 68, comma 1, Cost., stante l'assoluta estraneita' della condotta tenuta dal senatore Andreotti rispetto ai concetti di "opinione" e di "esercizio delle funzioni", proprie quale membro del Parlamento. Al riguardo occorre evidenziare che le dichiarazioni fatte dal senatore a vari organi di stampa in merito alla deposizione resa dal dott. Almerighi come teste, nel corso del processo tenutosi a suo carico a Palermo e le valutazioni dal medesimo espresse circa una pretesa falsita' di tale deposizione, possono certamente inquadrarsi nell'ambito di un dibattito, avente tra l'altro anche connotati politici, considerato il carattere pubblico della vicenda che ha interessato lo stesso senatore. Non possono infatti negarsi le indiscusse ripercussioni che il processo celebratosi a Palermo ha avuto a livello nazionale per la gravita' delle accuse mosse al senatore Andreotti, proprio per il ruolo dal predetto da sempre svolto nell'ambito delle Istituzioni, ma tale considerazione non permette di qualificare le dichiarazioni dal medesimo rese, come espressione di un qualche atto di natura parlamentare, inerente alle funzioni proprie del Senato, non essendo stato svolto nelle sedi istituzionali, bensi' dinanzi a diversi organi di stampa. Ma al di la' di tale aspetto formale, le dichiarazioni non risultano assolutamente collegate, sotto un profilo sostanziale e di contenuto, ad una particolare attivita' parlamentare. Tale osservazione non puo' essere smentita dalle considerazioni emerse durante il dibattito svoltosi nella seduta del Senato del 31 gennaio 2001, nella parte in cui si rileva come proprio il processo di Palermo ha determinato l'occasione di un vivace dibattito nelle sedi istituzionali, in riferimento alle associazioni mafiose e ai loro collegamenti con il mondo politico, in quanto comunque con cio' non si evidenzia una attivita' parlamentare specifica, relativamente alla vicenda del giudice Almerighi, la quale rimane pertanto nel ristretto ambito privatistico del senatore Andreotti, che, nel caso specifico, non ha fatto altro che esprimere una sua personalissima opinione che non puo' diventare espressione di una funzione parlamentare, solo per la qualifica di membro del Parlamento dal medesimo rivestita. Per giurisprudenza ormai costante sul punto l'art. 68, comma 1, Cost., trova invece il suo presupposto di operativita' nella connessione funzionale tra le opinioni espresse e l'esercizio delle attribuzioni proprie del parlamentare, con la conseguenza che e' il nesso funzionale che viene a segnare il discrimine fra le varie manifestazioni dell'attivita' politica dei parlamentari, tanto che non e' possibile ricondurre nella sfera dell'attivita' parlamentare l'intera attivita' politica dei membri delle Camere in quanto una tale interpretazione allargata verrebbe a vanificare il requisito stesso del nesso funzionale, al punto da trasformare la prerogativa in un privilegio personale (vedi Corte cost., sentenza n. 329 del 20 luglio 1999, Cass. pen., Sez. V, n. 11667 del 24 settembre 1997, Corte cost. 18 luglio 1998, n. 289, Corte cost. 23 giugno 1999, n. 252). Da ultimo la stessa Corte costituzionale ha ulteriormente chiarito che per nesso funzionale deve intendersi non un "semplice collegamento di argomenti o di contesto fra attivita' parlamentare e dichiarazione" ma una vera e propria "identificabilita' della dichiarazione stessa quale espressione di attivita' parlamentare" ed in particolare una "identita' sostanziale di contenuto fra l'opinione espressa in sede parlamentare e quella manifestata nella sede esterna" (Corte costituzionale sentenze nn. 10 e 11 del 17 gennaio 2000, nn. 56 e 58 del 15 febbraio 2000). E' evidente pertanto che non puo' bastare, al fine di integrare detto nesso funzionale, la ricorrenza di un contesto politico in cui la dichiarazione stessa si inserisca, ne' la rilevanza pubblica dell'argomento trattato, elementi questi che possono eventualmente legittimare l'esercizio di un diritto di critica, da inquadrare nel piu' generale diritto di manifestazione del pensiero di cui all'art. 21, Cost., riconosciuto e tutelato nei confronti di tutti i cittadini con il preciso limite della corrispondente tutela degli altrui diritti (vedi al riguardo anche sentenza Corte cost. 24 marzo 2000, n. 82). D'altro canto la prerogativa di cui all'art. 68, comma 1, Cost., trascende da tale piu' ampio e generale diritto di manifestazione del pensiero e rientra invece fra le garanzie dell'autonomia parlamentare, rendendo insindacabili le opinioni espresse dal parlamentare nell'esercizio delle sue funzioni tipiche, prescindendo, da un punto di vista formale, dalla sede nella quale dette opinioni vengono espresse, purche' comunque nella sostanza riproducano il contenuto di quelle espresse in sede parlamentare, nell'ambito dell'attivita' tipica di tale organo dello Stato (Cass. pen., Sez. V, 16 novembre 1998, sentenza Corte cost. nn. 10 e 11 del 17 novembre 2000). Chiariti tali aspetti e passando ad esaminare le dichiarazioni rese dal senatore Andreotti emerge senza dubbio che le stesse contengono valutazioni prettamente soggettive, le quali giungono oltre all'attribuzione ad una determinata persona, in particolare al dott. Almerighi, di un illecito penalmente rilevante, quale e' la falsa testimonianza ("Almerighi ha detto infamie", "si tratta di un falso testimone", "che un magistrato vada a dire il falso in un processo, questo e' grave", "La falsa testimonianza di un magistrato"), ma anche ad un vero e proprio giudizio di colpevolezza nel momento in cui il senatore testualmente afferma: "la sua deposizione era falsa, dato che risulta dagli atti del processo la smentita fatta dal senatore Pierpaolo Casadei Monti", "la verita' e' emersa in modo molto netto e questo scredita la testimonianza di Almerighi". E' ovvio che tali giudizi relativi alla sussistenza di illeciti penali non possono in alcun modo essere espressione di una funzione parlamentare, trattandosi, tra l'altro, di giudizi esclusivamente rimessi al magistrato, a seguito di regolare procedimento penale, nel quale risulti garantito il diritto di difesa dell'eventuale imputato, ne', sulla base della prerogativa costituzionale, puo' essere consentito ad un parlamentare additare all'opinione pubblica un soggetto quale colpevole di un reato e nel caso particolare di una falsa testimonianza, che ha colpito esclusivamente la sua persona, evitando, nel contempo, di svolgere regolare denuncia all'Autorita' competente, solo in quanto la vicenda, per i personaggi che vi sono implicati, riveste carattere di interesse pubblico. Ma vi e' di piu', in quanto la prerogativa parlamentare non puo' in ogni caso essere estesa fino a comprendere gli insulti, solo perche' rientranti in un preteso dibattito politico, dovendosi rilevare che comunque per gli insulti e' senz'altro dubbia anche la loro qualificazione come opinioni, dal momento che, come gia' sopra ricordato, qualsiasi manifestazione di pensiero deve rispettare i limiti determinati dalla tutela dei diritti altrui, tra i quali l'onore e il decoro della persona. Al riguardo non puo' certamente negarsi il carattere a dir poco pesante di talune espressioni usate dal senatore Andreotti per definire la persona del dott. Almerighi quali, ad esempio "si tratta di un falso testimone che purtroppo e' un magistrato in servizio. Non appartiene alle procure. Ma per il quale credo che dovremmo inviare le carte al C.S.M. Se non lo facessimo sarebbe come lasciare un miccia in mano ad un bambino", e ancora "Almerighi e' pazzo, dica quello che vuole. Mi procura solo divertimento". Ulteriore elemento che fa sorgere serie perplessita' sulla ricorrenza nel caso di specie dell'esercizio della funzione parlamentare, e' determinato dal fatto che dal contesto delle dichiarazioni emerge un chiaro interesse personale del senatore, che niente ha a che fare con la sua qualita' di membro del parlamento ma che, al contrario, riguarda esclusivamente la sua persona fisica nella prospettiva di un'eventuale richiesta di risarcimento del danno da svolgere nei confronti del giudice Almerighi, nel caso in cui questo avesse reagito ai suoi attacchi. Chiare al riguardo sono le testuali parole del senatore che piu' volte ribadisce "magari mi fa un'azione penale: mi farebbe guadagnare forse qualche cosa poi in sede civile", "devo aggiungere che, se come ha detto, lui decidesse di agire legalmente contro di me, potrei guadagnare qualcosa in sede civile e cio' non guasterebbe ...", parole che denotano nello sfondo un interesse patrimoniale che certamente non puo' rientrare nelle finalita' proprie della funzione parlamentare, tanto piu' che il preteso danno che viene ventilato dallo stesso senatore e' un danno alla propria persona fisica e non inerisce alla sua qualita' di membro del Parlamento. Dalle considerazioni sopra svolte deriva che nella delibera assunta dal Senato nella seduta del 31 gennaio 2001 si e' avuta un'estensione abusiva della garanzia prevista dalla citata norma costituzionale, al di la' dei casi ai quali detta garanzia si riferisce (esercizio della funzione parlamentare), estensione che si traduce in una vera e propria violazione delle attribuzioni dell'Autorita' Giudiziaria, quali determinate dalla Costituzione L'art. 68, comma 1, Cost., sintetizza senza dubbio i principi costituzionali che regolano la materia in oggetto, segnando il confine tra immunita' e giurisdizione, nonche' definendo e limitando le rispettive sfere della prerogativa parlamentare e della giurisdizione, con la conseguenza che ogni estensione non consentita dell'una, determina automaticamente una lesione della sfera dell'altra e viceversa (Corte costituzionale sentenze nn. 320-321 del 2000, n. 420 del 2000, n. 137 del 2001). Inoltre nel caso di specie stante l'illegittima estensione della prerogativa costituzionale, riservata esclusivamente al parlamentare nell'ambito dell'esercizio delle proprie funzioni, risulta anche leso il principio costituzionale dell'autonomia della Magistratura, di cui all'art. 101, Cost., nella parte in cui afferma che i "giudici sono soggetti soltanto alla legge", nonche' il fondamentale principio di uguaglianza di cui all'art. 3, Cost., in quanto la prerogativa costituzionale, al di fuori dei limiti di una interpretazione restrittiva del citato art. 68, comma 1, Cost., si trasformerebbe inevitabilmente da esenzione di responsabilita' legata alla funzione, in privilegio personale (sentenza Corte costituzionale n. 417 del 1999, n. 10 del 2000, Cass. pen., Sez. V, 24 settembre 1997, n. 11667), trasformazione assurda e assolutamente non consentita dalle stesse norme costituzionali.
P. Q. M. Alla luce delle considerazioni sopra esposte, solleva il conflitto di attribuzioni fra poteri dello Stato, in particolare tra l'Autorita' Giudiziaria Ordinaria, attuale ricorrente, e il Senato della Repubblica, ai sensi del disposto di cui all'art. 134 Cost., 37 legge 11 marzo 1953, n. 87, 26, delle norme integrative e, per l'effetto, ricorre alla Corte costituzionale, affinche', previo giudizio di ammissibilita', Dichiari che non spettava al Senato della Repubblica la valutazione della condotta attribuita al senatore Andreotti, in quanto estranea alla previsione dell'art. 68 comma 1 Cost.; Annulli pertanto la deliberazione assunta dal Senato della Repubblica in data 31 gennaio 2001. In allegato si trasmettono gli atti del procedimento in oggetto. Perugia, addi' 5 ottobre 2001 Il giudice: Claudia Matteini 03C0136