N. 114 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 gennaio 2003

Ordinanza  emessa  il  17  gennaio  2003  dal  tribunale  di Roma nel
procedimento penale a carico di Ibrahima Ly

Straniero  -  Espulsione  amministrativa - Reato di trattenimento nel
  territorio dello Stato in violazione dell'ordine di allontanamento,
  entro il termine di cinque giorni, impartito dal questore - Arresto
  obbligatorio in flagranza - Irragionevole disparita' di trattamento
  nei  confronti  di  una  categoria di persone, peraltro socialmente
  sfavorite  -  Carenza del requisito della necessita' ed urgenza per
  l'adozione  da  parte  della  polizia  giudiziaria di provvedimenti
  provvisori destinati ad incidere sulla liberta' personale.
- Decreto    legislativo    25    luglio   1998,   n. 286,   art. 14,
  comma 5-quinquies, aggiunto dalla legge 30 luglio 2002, n. 189.
- Costituzione, artt. 3 e 13, comma terzo.
(GU n.12 del 26-3-2003 )
                            IL TRIBUNALE

    All'udienza  del  17  gennaio  2003  ha  pronunciato  la seguente
ordinanza  di  rimessione  alla  Corte costituzionale di questione di
legittimita' sollevata in via incidentale.
    In  data  16  gennaio 2003, personale della staz. dei C.C. Roma -
piazza  Bologna, traeva in arresto Ly Ibrahima, nato in Senegal il 31
marzo  1973,  ovvero 31 maggio 1973, per il reato di cui all'art. 14,
comma   5-quinquies,   decreto  legislativo  n. 286  del  1998,  come
modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189; presentato all'odierna
udienza  per  la  convalida  dell'arresto  ed il contestuale giudizio
direttissimo, sentita la relazione dell'agente operante ed effettuato
l'interrogatorio   dell'imputato,   il  pubblico  ministero  chiedeva
convalidarsi  l'arresto  ai  sensi del comma 5-quinquies dell'art. 14
del decreto legislativo cit.;
    Il difensore chiedeva non convalidarsi l'arresto.
    Ritiene  il  giudice  che  debba  essere  sollevata  questione di
legittimita'  costituzionale dell'art. 14, comma 5-quinquies, decreto
legislativo  cit.  in  riferimento  agli artt. 13, comma 3, e 3 della
Costituzione.
    Questo   giudice   pur  ritenendo  conforme  alle  norme  vigenti
l'operato  della  P.G.,  che  ha adottato la misura restrittiva della
liberta'  personale  nella  flagranza  di  un  reato  per il quale e'
attualmente  previsto l'arresto obbligatorio ed ha inoltre presentato
l'arrestato,  per la convalida, nei termini di legge, dubita di poter
convalidare  l'arresto,  ritenendo  non  manifestamente  infondata la
questione di legittimita' costituzionale sopra indicata.
    Si osserva che la rilevanza della questione non viene meno per il
fatto  che  l'arrestato  debba essere rimesso in liberta', atteso che
comunque  deve essere accertata la legittimita dell'arresto eseguito,
che   nella   fattispecie   verrebbe   meno   ove   fosse  dichiarata
l'illegittimita' costituzionale della disposizione in base alla quale
esso  e'  stato operato (si richiama, in proposito, la sentenza della
Corte costituzionale n. 54 del 16 febbraio 1993).
    Nel merito, si rileva che la norma di cui all'art. 13 Cost., dopo
l'affermazione  del  principio  della  inviolabilita'  della liberta'
personale,  oltre a stabilire, al secondo comma, una riserva di legge
in  materia,  prevede,  quale regola generale, che ogni provvedimento
restrittivo  della  liberta'  della  persona  debba  essere  comunque
adottato con "atto motivato dell'autorita' giudiziaria".
    Nel terzo comma essa contempla una deroga, limitata ai soli "casi
eccezionali  di necessita' e di urgenza indicati tassativamente dalla
legge",   in   presenza   dei   quali   e'  possibile  l'adozione  di
"provvedimenti   provvisori"  da  parte  dell'autorita'  di  pubblica
sicurezza.
    In  merito  al  significafo  del  termine  "eccezionale" la Corte
costituzionale  ha  ritenuto, nella sentenza n. 64 del 1977, che esso
non  e' "legato alla rarita' della fattispecie considerata, bensi' al
suo  porsi  al  di fuori della regola ordinaria", e che pertanto tale
requisito   "non   puo'  ritenersi  contraddetto  dalla  frequenza  e
prevedibilita' dei fatti di violazione" della norma incriminatrice, e
cosi'   motivando,  ha  gia'  ritenuto  manifestamente  infondata  la
questione  di legittimita' costituzionale sollevata con due ordinanze
di  rinvio relative alla fattispecie di reato di cui all'art. 9 della
legge  27 dicembre  1956,  n. 1423, come modificato dall'art. 8 della
legge  14 ottobre  1974,  n. 497,  norma  che  consente l'arresto dei
contravventori  agli  obblighi  inerenti  alla  sorveglianza speciale
anche fuori dei casi di flagranza.
    Se,  alla  luce  della  richiamata  decisione, non si evidenziano
dubbi  di  costituzionalita' della norma di cui trattasi in relazione
al   requisito   appena  considerato,  ad  opposta  conclusione  leve
pervenirsi  con riferimento agli altri due requisiti richiesti, ossia
quelli  della  necessita' e dell'urgenza che non appaiono ravvisabili
nella fattispecie in esame.
    La  Corte  ha  ritenuto, nella sentenza n. 173 del 1971, che "gli
estremi   della   necessita'   ed   urgenza,   affidati  al  prudente
apprezzamento  degli  organi  di  polizia,  nell'esercizio della loro
funzione  di pubblica sicurezza ... vanno visti sia in relazione alle
esigenze  dell'acquisizione  e  della conservazione delle prove, sia,
soprattutto,  alle qualita' morali del soggetto attivo cioe', piu' in
generale agli elementi subiettivi indicati dall'art. 133, cod. pen."
    Nel  sistema  delineato  dal  nostro  codice  di  rito  la misura
dell'arresto  obbligatorio e' prevista nei casi di flagranza di reati
connotati  da particolare gravita', ossia quelli per i quali la legge
stabilisce  la  pena  dell'ergastolo o della reclusione non inferiore
nel  minimo  a  cinque  anni  e nel massimo a venti (art. 380 c.p.p.,
primo  comma), e nei casi di flagranza di altri reati, specificamente
indicati  (art. 380,  secondo  comma), che sono stati individuati dal
legislatore   in  base  al  criterio  stabilito  nella  legge  delega
16 febbraio 1987, n. 81, che prevedeva 13 possibilita' di contemplare
l'arresto  obbligatorio,  oltre  che nelle ipotesi suddette, anche in
caso  di  flagranza  di reati puniti meno gravemente, in relazione ai
quali  la  misura fosse pero' imposta da "speciali esigenze di tutela
della   collettivita'".  Va  osservato  che  tale  individuazione  e'
avvenuta  nel  pieno  rispetto  della direttiva appena indicata, come
facilmente  riscontrabile  esaminando  i reati che sono stati inclusi
nella previsione, comunque connotati da particolare gravita'.
    In tutti questi casi la necessita' e l'urgenza, sono insite nella
stessa  natura  dei  reati  per  i  quali la misura in esame e' stata
prevista,  reati che sono oggettivamente e concretamente suscettibili
di compromettere le suddette esigenze di tutela.
    Il  reato  di  cui  all'art. 14, comma 5-quinquies, che ha natura
contravvenzionale,  consiste  invece nella semplice inottemperanza da
parte  dello  straniero "irregolare" all'ordine di espulsione emanato
dal questore, in assenza di giustificato motivo. Questa violazione si
pone,  dunque, su di un piano del tutto diverso rispetto a quello dei
reati appena considerati.
    In  particolare la condotta che lo integra non e' suscettibile di
destare,  ne'  oggettivamente ne' dal punto di vista della condizione
soggettiva   dell'agente,   astrattamente   considerata,  particolare
allarme  sociale,  tale cioe' da giustificare, di per se', l'adozione
immediata  di  un  provvedimento  limitativo della liberta' personale
quale quello previsto dalla nuova normativa.
    E'  importante  sottolineare  che  nei  confronti dello straniero
tratto in arresto per non aver ottemperato all'ordine del questore di
lasciare il territorio dello Stato non e' consentita, per carenza dei
presupposti  di  legge, l'applicazione di alcuna misura cautelare. La
misura  adottata  dalla  P.G.  e' quindi destinata ad esaurire i suoi
effetti ancor prima dell'udienza di convalida. La norma dell'art. 121
delle  disposizioni  di attuazione del c.p.p., stabilisce infatti che
quando il p.m. ritenga di non dover chiedere l'applicazione di misure
coercitive,  deve  disporre  l'immediata liberazione dell'arrestato o
del  fermato;  e' ovvio che tale disposizione deve trovare, a maggior
ragione,   applicazione   nell'ipotesi  in  cui  il  p.m.  non  possa
richiedere  dette misure, come nel caso di specie, a causa della pena
edittale prevista.
    Il  provvedimento  contemplato  dalla  norma  di  cui trattasi si
discosta, dunque, da quella che e' la finalita' propria dell'arresto,
che e' generalmente misura di natura precautelare, ossia da adottarsi
per  ragioni  di  necessita'  ed urgenza in funzione della successiva
applicazione,   da   parte   dell'autorita'  giudiziaria,  di  misure
privative o limitative della liberta' personale.
    La necessita' e l'urgenza dell'arresto non appaiono individuabili
neppure  con  riferimento  alla  finalita'  di  rendere concretamente
possibile l'instaurazione del giudizio direttissimo, atteso che, come
appena  visto,  quest'ultimo  dovra'  necessariamente  svolgersi  nei
confronti  dell'imputato  in  stato  di liberta'. Peraltro nel nostro
sistema   processuale,   come  noto,  il  rito  direttissimo  non  e'
necessariamente  collegato  ad  un  arresto  in flagranza, e ben puo'
essere  adottato  nei  confronti  di  un  imputato  libero  (esso  e'
previsto,  ad  esempio,  nei confronti dell'imputato libero che abbia
reso confessione e quindi nell'ipotesi di evidenza della prova).
    Tanto meno puo' profilarsi la necessita' e l'urgenza dell'arresto
in  relazione  al  fine,  estraneo,  peraltro, alle finalita' proprie
dell'istituto,   di   rendere  possibile  l'espulsione  prevista  per
l'ipotesi che lo straniero si trattenga senza giustificato motivo nel
territorio dello Stato.
    Il  comma  5-ter  dell'art. 14,  prevede infatti che in tale caso
l'espulsione avviene sempre mediante accompagriamento alla frontiera,
e  dunque,  in  base  a  tale disposizione, e' in ogni caso garantita
l'effettivita' dell'espulsione, e non si vede come quest'ultima possa
essere agevolata dall'arresto.
    L'inutilita'  dell'arresto  al  suddetto  fine,  attesa  la breve
durata   dei   suoi  effetti,  traspare  poi  con  maggiore  evidenza
nell'ipotesi  in  cui  non  sia  possibile  eseguire con immediatezza
l'espulsione,  ipotesi  nella  quale  il  questore,  in base al comma
5-quinquies   dell'art. 14,   puo'  disporre  che  lo  straniero  sia
trattenuto  in  un  centro di permanenza temporanea, per la durata di
trenta giorni, prorogabili per altri trenta.
    Da ultimo va sottolineato come sia del tutto da escludersi che il
provvedimento   coercitivo   in   questione  possa  presentarsi  come
necessario  ed  urgente  in  relazione allo scopo dell'acquisizione o
conservazione  della  prova  del reato, finalita' che non vi e' alcun
pericolo  che possa essere compromessa ove l'autore del reato rimanga
libero.
    La  restrizione della liberta' personale dello straniero prevista
dalla  norma  in  esame  e'  dunque  priva  di  qualsivoglia concreta
utilita',  e  appare,  in  definitiva, fine a se' stessa e quindi del
tutto irragionevole.
    A   questo  riguardo  va  richiamata  la  decisione  della  Corte
costituzionale  n. 244  del  1974, nella quale la stessa ha affermato
che  "la  mancanza  nello  straniero  di  un legame ontologico con la
comunita'  nazionale e, quindi, di un nesso giuridico costitutivo con
lo  Stato  italiano,  conduce  a  negare allo stesso una posizione di
liberta'  in  ordine  ...  alla  permanenza nello Stato italiano, dal
momento  che  egli  puo'  soggiornarvi  solo  conseguendo determinate
autorizzazioni  ...";  ha  poi  aggiunto  che  la  ponderazione degli
svariati  interessi  pubblici  che  presiedono  a tali determinazioni
"spetta  in  via primaria al legislatore ordinario, il quale possiede
in  materia  ampia discrezionalita', limitata, sotto il profilo della
conformita' alla Costituzione, soltanto dal vincolo che le scelte non
risultino" per l'appunto "manifestamente irragionevoli".
    La     ritenuta     non     ragionevolezza    della    previsione
dell'obbligatorieta'  dell'arresto,  nella  fattispecie  considerata,
consente  di  ritenere  manifestamente discriminatoria la stessa, nei
confronti di una categoria di persone peraltro socialmente sfavorite,
e  dunque  di  dubitare  della  conformita'  della  stessa al dettato
dell'art. 3 della Costituzione.
    La  Corte costituzionale, nella sentenza n. 64 del 1977, relativa
ad  una questione di legittimita' costituzionale concernente l'art. 9
della  legge  27 dicembre 1956, n. 1423 - nella parte in cui consente
che   l'autorita'   di   p.s.   possa   procedere   all'arresto   dei
contravventori  agli  obblighi  inerenti  alla  sorveglianza speciale
anche  fuori  dei  casi  di  flagranza  -  e sollevata in riferimento
all'art. 13,  comma terzo della Costituzione, ha dichiarato la stessa
manifestamente  infondata,  avendo  ritenuto  "sufficiente, perche' i
detti  estremi  siano realizzati, che la situazione contemplata dalla
legge  sia  tale  da  prospettare  come  possibile  la necessita' del
provvedimento  ...  salvo  poi  rimanendo  all'autorita'  di pubblica
sicurezza di verificare la ricorrenza in concreto della necessita' ed
urgenza  dell'intervento,  in  base  alla  valutazione degli elementi
indicati nella sentenza n. 173 del 1971".
    La   norma   e'   stata   quindi  ritenuta  conforme  al  dettato
costituzionale   in   quanto   prevede   l'arresto  come  misura  non
obbligatoria, ma facoltativa ed ancorata alla sussistenza in concreto
della necessita' ed urgenza del provvedimento.
    Tale  decisione  fa comprendere, con riferimento alla fattispecie
di  reato  di  cui  trattasi, come sarebbe stata ragionevole, tutt'al
piu',  la  previsione  dell'arresto  facoltativo, ossia di una misura
lasciata   al   potere   discrezionale   dell'autorita'  di  pubblica
sicurezza,  da  esercitarsi  in  presenza  di  determinate situazioni
soggettive, che rendessero urgente e necessario l'intervento di p.s.,
salvo  ovviamente  il controllo circa la effettiva ricorrenza di tali
estremi da parte dell'autorita' giudiziaria.
                              P. Q. M.
    Visti gli artt. 134 Cost., 23 e segg. legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 14,  comma  5-quinquies,  del
decretro  legislativo  n. 286/1998,  nel  testo come modificato dalla
legge  26 agosto  2002, n. 189, nella parte in cui dispone che per il
reato  previsto  dall'art.  14,  comma  5-ter,  stesso  decreto,  sia
obbligatorio  l'arresto  dell'autore  del fallo, per violazione degli
artt. 13, comma terzo e 3 della Costituzione come sopra motivato.
    Dispone  la  immediata  trasmissione dei relativi atti alla Corte
costituzionale e sospende il presente procedimento sino all'esito del
giudizio incidentale di legittimita' costituzionale.
    Dispone  che  la  presente ordinanza sia notificata, a cura della
cancelleria,   al  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  nonche'
comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della
Repubblica.
    Cosi' deciso in Roma, addi' 17 gennaio 2003
                         Il giudice: Callari
03c0218