N. 239 SENTENZA 30 giugno - 15 luglio 2003

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Oggetto  del giudizio - Sopravvenuto regolamento di «delegificazione»
  - Norme anteriori - Operativita' - Ammissibilita' della questione.
- D.Lgs.  30 aprile 1992, n. 285, artt. 120, comma 2, e 130, comma 1,
  lettera b); d.P.R. 19 aprile 1994, n. 575, artt. 5 e 11.
- Legge 24 dicembre 1993, n. 537, art. 2.
Circolazione  stradale  - Patente di guida - Revoca della patente nei
  confronti delle persone condannate a pena detentiva non inferiore a
  tre anni - Innovazione sostanziale introdotta dal decreto delegato,
  non  sorretta  da  alcuna  direttiva  del  legislatore  delegante -
  Violazione    della   legge   di   delegazione   -   Illegittimita'
  costituzionale in parte qua - Assorbimento di altro profilo.
- D.Lgs.  30 aprile 1992, n. 285, artt. 120, comma 2, e 130, comma 1,
  lettera b).
- Costituzione,  art. 76  (in  relazione  alla  legge 13 giugno 1991,
  n. 190) [e art. 4].
(GU n.29 del 23-7-2003 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Riccardo CHIEPPA;
  Giudici:  Gustavo  ZAGREBELSKY,  Valerio  ONIDA,  Carlo MEZZANOTTE,
Fernanda   CONTRI,  Guido  NEPPI  MODONA,  Piero  Alberto  CAPOTOSTI,
Annibale  MARINI,  Franco  BILE, Giovanni Maria FLICK, Ugo DE SIERVO,
Romano VACCARELLA, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei  giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 120, comma 2,
e  130,  comma 1, lettera b), del decreto legislativo 30 aprile 1992,
n. 285  (Nuovo codice della strada), promossi con ordinanze emesse il
19 febbraio  2002 dal Tribunale regionale di giustizia amministrativa
del  Trentino-Alto  Adige,  sede  di  Trento, sul ricorso proposto da
Alcide  Major  contro  il  Ministero  dell'interno  ed altro, e il 24
giugno 2002  dal  Tribunale amministrativo regionale della Lombardia,
sezione  staccata  di Brescia, sul ricorso proposto da Loris Savaresi
contro  il Prefetto di Brescia, rispettivamente iscritte ai nn. 149 e
382 del registro ordinanze 2002 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica nn. 15 e 36, 1ª serie speciale, dell'anno 2002.
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera di consiglio del 12 febbraio 2003 il giudice
relatore Gustavo Zagrebelsky.

                          Ritenuto in fatto

    1. - Con  ordinanza  del 19 febbraio 2002 (r.o. n. 149 del 2002),
il  Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino-Alto
Adige, sede di Trento, ha sollevato, in riferimento all'art. 76 della
Costituzione,   questione   di   legittimita'   costituzionale  degli
artt. 120,   comma 2,   e   130,  comma 1,  lettera b),  del  decreto
legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), nella
parte  in  cui  -  nel  loro combinato disposto - prevedono la revoca
della patente nei confronti delle persone condannate a pena detentiva
non  inferiore  a  tre  anni, quando l'utilizzazione del documento di
guida possa agevolare la commissione di reati della stessa natura.
    1.1. - Il  tribunale  rimettente e' chiamato a pronunciarsi sulla
richiesta di annullamento di un provvedimento di revoca della patente
di  guida  adottato,  in  applicazione  delle norme sopra citate, dal
Commissario del Governo per la Provincia di Trento, sulla base di una
valutazione  -  sorretta  da  un  rapporto informativo della questura
locale  -  di probabile commissione di ulteriori reati della medesima
natura  da parte del relativo titolare, gia' in precedenza condannato
alla  pena detentiva di anni quattro e mesi quattro di reclusione per
tentata rapina e detenzione illegale di armi.
    1.2. - Dando  seguito  a una prospettazione subordinata formulata
dal  ricorrente,  il  giudice  rimettente  solleva  la  questione  di
legittimita' costituzionale sulla base della considerazione - desunta
direttamente dalla giurisprudenza costituzionale in materia: sentenze
n. 305 del 1996, n. 354 del 1998, n. 427 del 2000 e n. 251 del 2001 -
del  carattere  limitato  della  delega  conferita, sul punto, con la
legge  13  giugno 1991,  n. 190  (Delega  al Governo per la revisione
delle  norme  concernenti la disciplina della circolazione stradale):
se,  infatti, l'art. 1 di detta legge delegava in generale il Governo
ad   adottare  disposizioni  intese  a  «rivedere  e  riordinare»  la
legislazione   vigente   in  materia  di  circolazione  stradale,  la
lettera t)   del   successivo   art. 2   della   medesima  legge,  in
particolare, autorizzava il legislatore delegato a effettuare un mero
«riesame  della disciplina [...] della revoca della patente di guida,
anche  con  riferimento  ai soggetti sottoposti a misura di sicurezza
personale e a misure di prevenzione». In tal modo, osserva il giudice
a  quo,  la  legge  delega  ha  identificato,  quale base di partenza
dell'attivita' delegata, la legislazione preesistente, che non poteva
essere  modificata  in  termini  radicalmente  innovativi  se  non in
presenza di specifiche norme abilitanti.
    Ma  questa condizione, osserva il rimettente, non e' soddisfatta:
da  un lato, le disposizioni della cui legittimita' costituzionale si
tratta non hanno riscontro nella legislazione precedente, poiche' gli
artt. 82  e  91  del  codice  della strada approvato con il d.P.R. 15
giugno 1959,  n. 393  (Testo  unico  delle  norme  sulla circolazione
stradale),  non  consideravano  in alcun modo l'ipotesi di una revoca
della  patente  di guida in presenza di condanna a pena detentiva non
inferiore  a  tre anni, quando l'utilizzazione del documento di guida
potesse  agevolare  la  commissione  di  reati  della  stessa natura;
dall'altro,  manca  del  tutto, nel corpo della legge di delegazione,
una  previsione idonea a sostenere l'innovativa disciplina introdotta
dal Governo.
    Percio',  analogamente a quanto deciso dalla Corte costituzionale
nelle  menzionate pronunce, anche nella specie si deve riscontrare il
vizio di eccesso di delega.
    1.3. - Il  rimettente  conclude  svolgendo  alcune considerazioni
sulla   natura   della  normativa  che  e'  oggetto  della  questione
sollevata.
    Richiamando,   anche   sotto   tale  profilo,  la  giurisprudenza
costituzionale,  il  giudice  a  quo  sottolinea  che  la  disciplina
sottoposta  al  controllo della Corte deve intendersi quella di rango
legislativo,   contenuta  nei  due  articoli  del  codice  impugnati,
giacche'  l'intervento  di  «delegificazione»  operato  con il d.P.R.
19 aprile   1994,  n. 575  (Regolamento  recante  la  disciplina  dei
procedimenti per il rilascio e la duplicazione della patente di guida
di veicoli), che ha sostituito le disposizioni censurate con altre di
contenuto  analogo  ma  di rango secondario (artt. 5 e 11), e' andato
oltre   i  limiti  a  esso  assegnati  dalla  legge  abilitante  -  e
segnatamente  dall'art. 2,  comma 7,  della  legge  24 dicembre 1993,
n. 537  (Interventi  correttivi di finanza pubblica) -, regolando non
solo  la disciplina del procedimento, ma altresi' aspetti sostanziali
della   materia:   pertanto,   precisa  il  rimettente,  la  clausola
abrogativa  delle norme anteriori di rango legislativo, contenuta nel
comma 8  dell'art. 2  della  stessa  legge  n. 537  del  1993,  e' da
ritenersi  inoperante, e cio' consente, non essendosi perfezionato il
complessivo   intervento   di   «delegificazione»,  di  sollevare  la
questione sulla disciplina con forza di legge.
    2. - Con  ordinanza del 24 giugno 2002 (r.o. n. 382 del 2002), il
Tribunale  amministrativo regionale della Lombardia, sezione staccata
di  Brescia,  ha  sollevato,  in  riferimento agli artt. 4 e 76 della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 120,
comma 1,  del decreto legislativo n. 285 del 1992, nella parte in cui
prevede   la   revoca  della  patente  nei  confronti  delle  persone
condannate  a  pena  detentiva  non  inferiore  a  tre  anni,  quando
l'utilizzazione del documento di guida possa agevolare la commissione
di reati della stessa natura.
    2.1. - Secondo   quanto   riferisce  il  giudice  rimettente,  il
giudizio  principale  ha  per  oggetto  l'impugnazione  di un decreto
prefettizio  di  revoca  della  patente  di  guida,  adottato in data
15 gennaio  2001,  fondato  su  tre  concorrenti  motivi:  (a) le due
condanne  del  titolare a pene detentive di anni tre e mesi otto e di
anni sette di reclusione, per rapina e porto illegale di armi, (b) la
pregressa  sottoposizione  a  liberta'  vigilata,  (c)  la  pregressa
sottoposizione a foglio di via obbligatorio.
    2.2. - Sul  punto  il  giudice  a quo rileva preliminarmente che,
alla  stregua  delle  dichiarazioni  di  incostituzionalita'  rese in
materia  dalla  Corte  (sentenze  n. 354  del 1998, n. 427 del 2000 e
n. 251  del  2001)  e  dei  relativi  effetti,  nonche' alla luce del
principio    della    rilevabilita'    d'ufficio    del    vizio   di
incostituzionalita',   anche  se  non  dedotto  nell'impugnazione  di
merito, l'atto amministrativo di revoca della patente contro il quale
e'  promosso  il ricorso deve ritenersi validamente sorretto solo dal
riferimento,  in  esso  contenuto,  alla  intervenuta condanna a pena
detentiva  superiore  a  tre  anni,  essendo  viceversa venuti meno i
presupposti ulteriori per effetto delle pronunce sopra indicate.
    2.3. - Inoltre,  il  rimettente  -  con argomentazioni analoghe a
quelle  formulate,  sul punto, nell'ordinanza di rimessione di cui al
r.o.  n. 149  del  2002  - precisa che la norma impugnata deve essere
sottoposta  al  vaglio  della  Corte  costituzionale  nella sua veste
legislativa.  Osserva al riguardo il giudice a quo che il regolamento
(d.P.R.   n. 575   del   1994)  poteva  disporre,  secondo  la  legge
abilitante,   solo   sul   piano   della   disciplina  degli  aspetti
procedimentali  del  rilascio  della  patente,  ma non poteva operare
alcuna  innovazione  di carattere sostanziale: l'avere il regolamento
medesimo   disposto   fuori  dell'ambito  consentito  rende  pertanto
inoperante  la  clausola  abrogativa  delle  norme di legge anteriori
contenuta nel comma 8 dell'art. 2 della legge n. 537 del 1993, con la
conseguenza   che,  indipendentemente  dall'apparente  «sostituzione»
dell'intera  disposizione  a  opera  dell'atto  secondario,  la norma
continua  a  rivestire  i  caratteri  e la forza della legge, secondo
l'originaria  fonte  che ha posto il testo del codice della strada, e
su di essa puo' quindi svolgersi il controllo di costituzionalita'.
    2.4. - Affermata  quindi  la rilevanza della questione, dalla cui
soluzione  dipende  l'esito del giudizio amministrativo, il Tribunale
amministrativo    regionale   prospetta   un   duplice   profilo   di
incostituzionalita'.
    Per  un  primo  aspetto, la disposizione sarebbe in contrasto con
l'art. 76   della  Costituzione,  in  relazione  alla  giurisprudenza
costituzionale formatasi al riguardo, che ha piu' volte rilevato come
la  legge  delega n. 190 del 1991 abbia identificato nella disciplina
preesistente la base di partenza della normativa delegata, ammettendo
la  possibilita'  di  interventi  innovativi  solo  in presenza di un
principio   o   di   un  criterio  direttivo  a  cio'  specificamente
abilitante,  il  che  non  e'  dato  riscontrare nella previsione del
«riesame»  della  materia contenuta nell'art. 2, comma 1, lettera t),
della stessa legge delega.
    Poiche'  la  previsione di una revoca della patente quale effetto
di  una  condanna  non  inferiore a tre anni di pena detentiva non ha
riscontro  nella disciplina anteriore (artt. 82 e 91 del codice della
strada  del  1959),  ne consegue, secondo il Tribunale amministrativo
regionale,  la violazione del parametro invocato, secondo la medesima
argomentazione   che   ha   condotto  la  Corte  costituzionale  alla
dichiarazione di incostituzionalita' della disciplina in argomento in
altrettanti  casi  di innovazioni introdotte dal legislatore delegato
in  assenza  di una specifica abilitazione nella legge di delegazione
(sentenze n. 354 del 1998 e n. 427 del 2000).
    Sotto  altro  profilo,  il  giudice  a quo individua un contrasto
della normativa con il diritto al lavoro, garantito dall'art. 4 della
Costituzione: la revoca della patente appare al rimettente una misura
eccessiva  rispetto  all'esigenza  di  protezione dell'interesse alla
sicurezza  della collettivita', poiche' la norma sacrifica per intero
la  posizione  soggettiva  del  singolo;  inoltre,  data  la concreta
necessita'  della  utilizzazione del mezzo di trasporto privato in un
rilevante  numero  di  attivita'  lavorative, specie indipendenti, la
riduzione  della  mobilita'  che  segue  alla  revoca  della  patente
costituisce  un  reale  ostacolo al diritto-dovere di svolgere una di
dette  attivita',  con  un  effetto  controproducente  rispetto  alla
finalita' di reinserimento di soggetti gia' condannati.
    3. - In  entrambi  i  giudizi  cosi'  promossi  e' intervenuto il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato.
    3.1. - L'Avvocatura,    sulla   premessa   dell'oramai   avvenuta
«delegificazione»   della   materia,   ha   preliminarmente   dedotto
l'inammissibilita' di entrambe le questioni, perche' aventi a oggetto
norme di natura regolamentare.
    3.2. - Nel  solo  giudizio  di  cui  al  r.o.  n. 382  del  2002,
l'Avvocatura  ha  inoltre argomentato nel merito l'infondatezza della
questione.
    Se   la  scelta  del  legislatore  di  assegnare  «la  prevalenza
all'interesse  pubblico  allorche'  risulti chiaro e probabile che il
possesso  della  patente  possa  facilitare  la commissione di reati»
appare  in  se'  ragionevole,  sarebbe  comunque  da escludere che la
disciplina  della  revoca  sia in contrasto con il diritto al lavoro,
che  non si identifica con l'abilitazione alla guida di veicoli e che
comunque  puo'  essere  modulato  in  vista  della  tutela  di  altre
esigenze.
    Quanto alla censura di eccesso di delega, l'interveniente ritiene
che  la  disposizione  dell'art. 2,  comma 1, lettera t), della legge
n. 190  del  1991  debba essere letta nel senso della possibilita' di
una   parziale  innovazione.  Del  resto,  secondo  l'Avvocatura,  la
disciplina  in questione troverebbe riscontro nel codice previgente e
precisamente  nell'art. 82 del d.P.R. n. 393 del 1959, nella parte in
cui  esso  aveva  riguardo  all'ipotesi  di  revoca della patente nei
confronti  di soggetti dichiarati delinquenti abituali, professionali
o  per  tendenza:  l'ipotesi  ora  in  esame  della  condanna  a pena
detentiva  non  inferiore  a  tre  anni, posta nel nuovo codice della
strada,  si  salderebbe dunque con questa preesistente disciplina, di
cui costituirebbe uno sviluppo comunque di segno meno restrittivo.

                       Considerato in diritto

    1. - Il  Tribunale  regionale  di  giustizia  amministrativa  del
Trentino-Alto  Adige,  sede  di  Trento  (r.o. n. 149 del 2002), e il
Tribunale  amministrativo regionale della Lombardia, sezione staccata
di  Brescia  (r.o.  n. 382  del  2002),  hanno sollevato, entrambi in
riferimento  all'art. 76  della  Costituzione  e  il  solo  Tribunale
amministrativo  regionale  della  Lombardia  altresi'  in riferimento
all'art. 4    della    Costituzione,    questioni   di   legittimita'
costituzionale,  rispettivamente,  dell'art. 120,  comma 1  (rectius:
comma 2)  (r.o.  n. 382 del 2002), e degli artt. 120, comma 2, e 130,
comma 1,  lettera b),  del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285
(Nuovo codice della strada), nella parte in cui dette norme prevedono
che  il prefetto possa disporre la revoca della patente nei confronti
delle  persone  condannate a pena detentiva non inferiore a tre anni,
quando  ritenga  che  l'utilizzazione  del  documento  di guida possa
agevolare la commissione di reati della stessa natura di quelli per i
quali e' stata inflitta la condanna.
    Entrambi  i  giudici  rimettenti dubitano della costituzionalita'
della disciplina sotto il profilo della violazione dell'art. 76 della
Costituzione,  ritenendo,  anche alla stregua di precedenti decisioni
di questa Corte in materia, che il legislatore delegato, introducendo
la  menzionata ipotesi di revoca della patente di guida, non prevista
nella  legislazione  anteriore, sia andato oltre i limiti posti dalla
legge di delegazione 13 giugno 1991, n. 190 (Delega al Governo per la
revisione  delle  norme  concernenti la disciplina della circolazione
stradale).
    Il  solo Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, poi,
denuncia  di  incostituzionalita'  la disciplina anche per violazione
del  diritto  al lavoro (art. 4 della Costituzione), che risulterebbe
compresso  -  sotto  il  profilo  della  possibilita' di svolgere una
attivita' anche attraverso l'uso di un mezzo personale di trasporto -
in  misura  eccedente  rispetto  a  quanto  sarebbe  giustificato  da
finalita' di sicurezza.
    1.1. - Stante l'identita' di oggetto delle questioni, sorrette da
argomentazioni  in  larga  misura  coincidenti,  i  relativi  giudizi
possono essere riuniti e decisi con unica pronuncia.
    1.2. - L'eccezione di inammissibilita' delle questioni, sollevata
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato  nell'assunto  del  carattere
regolamentare delle norme impugnate, non puo' essere accolta.
    Entrambi  i  giudici  rimettenti, con argomentazioni coincidenti,
hanno  ritenuto  che  la  sostituzione  delle  disposizioni  di rango
legislativo  [art. 120, comma 2, e art. 130, comma 1, lettera b), del
codice  della  strada]  con  altre  di contenuto analogo ma di natura
secondaria,  in  base  alle  previsioni degli artt. 5 e 11 del d.P.R.
19 aprile   1994,  n. 575  (Regolamento  recante  la  disciplina  dei
procedimenti per il rilascio e la duplicazione della patente di guida
di   veicoli),   non  si  sia  perfezionata,  in  quanto  l'anzidetto
regolamento  e'  intervenuto  su aspetti sostanziali della disciplina
della  patente di guida, tra cui quello in esame, cosi' andando oltre
i  limiti  della  materia procedurale - sulla quale soltanto esso era
abilitato  a  disporre,  a  norma  dell'art. 2,  comma 7, della legge
24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica),
e  del relativo elenco allegato n. 4 -, risultando percio' inoperante
la  clausola  abrogatrice  delle  norme di legge anteriori, prevista,
quale  effetto di «delegificazione» conseguente all'entrata in vigore
del  citato regolamento, dall'art. 2, comma 8, della legge n. 537 del
1993.
    La  giurisprudenza  costituzionale ha gia' chiarito che spetta ai
giudici  rimettenti  valutare  i  rapporti  tra le norme con forza di
legge e le disposizioni che le riproducono o le modificano in atti di
natura  regolamentare  adottati  fuori  della  materia  che  la legge
prevede  come suscettibile di «delegificazione» (ordinanza n. 230 del
1999).  Di  conseguenza, questa Corte ha dato ingresso a questioni di
costituzionalita'  sollevate sulle norme di rango primario, una volta
che  i rimettenti abbiano motivatamente ritenuto inoperante l'effetto
di  sostituzione  della  norma primaria a opera di quella secondaria,
secondo  lo schema dell'art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988,
n. 400  (Disciplina  dell'attivita'  di  Governo  e ordinamento della
Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri) (sentenza n. 251 del 2001;
ordinanze  n. 440  del 2001 e n. 587 del 2000) (mentre lo ha negato -
ovviamente   -   nei   casi   di   censure  rivolte  direttamente  ed
esclusivamente  nei  riguardi delle norme di carattere regolamentare:
sentenza  n. 427  del 2000, punto 4 del diritto; ordinanza n. 554 del
2000).
    Conformemente   all'anzidetta   giurisprudenza,   pertanto,   non
sussiste  ostacolo  all'ammissibilita' delle questioni, essendo state
motivatamente sollevate sulle norme con forza di legge e precisamente
sul  combinato  disposto  degli  artt. 120,  comma 2, e 130, comma 1,
lettera b),  del  decreto legislativo n. 285 del 1992, che entrambi i
giudici  rimettenti  ritengono  essere  tuttora  in  vigore nel testo
legislativo anteriore al regolamento.
    2. - Nel   merito   la   questione   di  costituzionalita'  degli
artt. 120,   comma 2,   e   130,  comma 1,  lettera b),  del  decreto
legislativo  n. 285  del  1992,  sollevata in riferimento all'art. 76
della Costituzione, e' fondata.
    2.1. - Questa  Corte  ha  piu'  volte  rilevato  che  la legge di
delegazione  n. 190  del  1991,  abilitando in generale il Governo ad
adottare  disposizioni,  aventi valore di legge, intese a «rivedere e
riordinare  [...]  la  legislazione vigente concernente la disciplina
[...] della circolazione stradale» (art. 1, comma 1), ha identificato
direttamente,  quale  base  di  partenza  dell'attivita' delegata, il
codice  della  strada  previgente,  cioe'  il testo unico delle norme
sulla  circolazione  stradale approvato con il d.P.R. 15 giugno 1959,
n. 393 (sentenze n. 305 del 1996, n. 427 del 2000, n. 251 del 2001).
    Nell'ambito  di una delega cosi' configurata, la «revisione» e il
«riordino»,   in   quanto   possono   comportare   l'introduzione  di
innovazioni  della  preesistente disciplina, esigono la previsione di
principi  e  di  criteri  direttivi, idonei a circoscrivere le scelte
discrezionali  del  Governo;  relativamente alla materia della revoca
della  patente  di  guida  che  qui  interessa,  peraltro,  lo stesso
legislatore  delegante  ha  prefigurato  l'attivita'  del legislatore
delegato  nei termini di un mero «riesame» della disciplina anteriore
[art. 2,  comma 1,  lettera t), della legge n. 190], senza porre, sul
punto,  alcuna specifica direttiva tale da giustificare un intervento
di carattere innovativo sulla stessa materia.
    La  lettera t)  dell'art. 2  e'  dunque da intendersi in un senso
«minimale»,  cioe'  tale  da  non consentire di per se' l'adozione di
norme  delegate  di  sostanziale  modifica  del  quadro  preesistente
(sentenza n. 354 del 1998); e, su tale premessa, questa Corte - nelle
decisioni   alle   quali  fanno  richiamo  i  giudici  a  quibus  per
argomentare   il   dubbio   d'incostituzionalita'  -  ha  piu'  volte
dichiarato    l'illegittimita'    costituzionale    delle    medesime
disposizioni  oggi impugnate, per le parti in cui consideravano quali
motivi di revoca della patente di guida altrettanti casi non presi in
considerazione  nel  previgente  codice della strada del 1959: cosi',
l'«essere stati» sottoposti a misura di sicurezza personale (sentenza
n. 354  del  1998)  o  a  misura  di prevenzione (sentenza n. 251 del
2001),   o   l'essere  sottoposti  alla  misura  del  foglio  di  via
obbligatorio (sentenza n. 427 del 2000).
    2.2. - Alla medesima conclusione deve giungersi in relazione alla
questione in esame.
    Nel  sistema  del  codice  precedente,  infatti,  l'ipotesi della
condanna  penale  quale ragione del venir meno dei requisiti «morali»
di   abilitazione   alla  guida  (subordinatamente  alla  valutazione
dell'autorita'   di  pubblica  sicurezza  circa  la  probabilita'  di
reiterazione  di  reati della stessa natura) non era affatto prevista
in  relazione  al  rilascio  (art. 82  del  d.P.R. n. 393 del 1959) e
quindi,  stante  il  meccanismo  di rinvio, neppure in relazione alla
revoca (art. 91, tredicesimo comma, dello stesso d.P.R. n. 393) della
patente.
    L'unica previsione di revoca della patente direttamente collegata
alla  pronuncia  di  una  sentenza  di condanna era quella, contenuta
nell'art. 91,  settimo  comma,  della  revoca disposta dall'autorita'
giudiziaria  per  l'ipotesi  di  investimento  di  persona  - tale da
determinare  la  morte o lesioni personali gravissime o gravi, ovvero
con  successiva inottemperanza del conducente all'obbligo di fermarsi
e  di  assistere  la  persona investita - e limitatamente ai «casi di
particolare  gravita»; ma questa previsione e' del tutto diversa, per
presupposti  e ratio, e trova ora riscontro in altre disposizioni del
codice  vigente  (cfr.  artt. 189, commi 6 e 7, 222 e 223 del decreto
legislativo  n. 285  del  1992).  Indipendentemente dalle ragioni che
hanno   determinato  la  scelta  del  legislatore  delegato,  quindi,
l'inclusione della condanna a pena detentiva non inferiore a tre anni
quale  motivo  di  revoca  della  patente costituisce una innovazione
sostanziale,  che  avrebbe  dovuto necessariamente essere sorretta da
una  direttiva del legislatore delegante; cosi' non essendo, la nuova
previsione e' posta in violazione della legge di delegazione e dunque
dell'art. 76 della Costituzione.
    2.3. - Ne' varrebbe, in senso contrario rispetto alla conclusione
ora  detta,  il rilievo dell'esistenza - anteriormente - di una norma
come  quella  contenuta nell'art. 84 del codice della strada del 1933
(r.d.  8 dicembre 1933, n. 1740), che, nella sua versione originaria,
considerava  quale  ipotesi  di  «indegnita», ai fini dell'ammissione
agli   esami   di   idoneita'  per  il  rilascio  della  «patente  di
abilitazione»  (e, dato anche in questo caso un meccanismo di rinvio,
altresi'  ai fini del «ritiro» della patente: art. 94 del citato r.d.
n. 1740), quella di chi avesse «riportata condanna per delitto a pena
restrittiva  della  liberta'  personale  per  durata  superiore a tre
anni»;  tale  previsione  - nel  frattempo  modificata  con  la legge
18 febbraio  1953,  n. 243  (Modificazioni al testo unico delle norme
per la tutela delle strade e per la circolazione, approvato con regio
decreto 8 dicembre 1933, n. 1740, relativamente ai requisiti fisici e
morali   di   cui   devono   essere  in  possesso  gli  aspiranti  al
conseguimento  delle  patenti  di guida e i titolari delle stesse, in
sede  di  revisione)  -  era  stata  infatti  abrogata gia' dal tempo
dell'entrata  in  vigore  del  codice  del  1959  (v.  l'art. 145  di
quest'ultimo),   cosicche'   essa   non   potrebbe   in   alcun  caso
ricomprendersi   nella   legislazione   «vigente»,   quale  presa  in
considerazione  dall'art. 1,  comma 1,  della legge delega n. 190 del
1991, ai fini dell'elaborazione del nuovo codice.
    2.4. - Ne',  infine,  ha pregio l'argomento dell'Avvocatura dello
Stato,  circa il preteso collegamento tra la disciplina ora censurata
e  le norme del codice precedente riguardanti i casi di dichiarazione
di   abitualita'  o  professionalita'  nel  reato  e  di  tendenza  a
delinquere (art. 82, primo comma, del d.P.R. n. 393 del 1959): queste
ipotesi  sono  infatti  ora espressamente e autonomamente riprese nel
comma 1   dell'art. 120   del   codice   della   strada  vigente,  e,
indipendentemente  da  ogni  possibile rilievo circa la differenza di
contenuto,  non  si  prestano  pertanto  a  giustificare  la distinta
normativa di riforma oggetto delle presenti questioni.
    3. - La   dichiarazione  di  incostituzionalita'  per  violazione
dell'art. 76 della Costituzione assorbe la censura sollevata (solo da
r.o. n. 382 del 2002) in riferimento all'art. 4 della Costituzione.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riuniti i giudizi,
    Dichiara   l'illegittimita'   costituzionale   degli   artt. 120,
comma 2,   e   130,  comma 1,  lettera b),  del  decreto  legislativo
30 aprile  1992,  n. 285  (Nuovo codice della strada), nella parte in
cui  prevedono  la  revoca  della patente nei confronti delle persone
condannate  a  pena  detentiva  non  inferiore  a  tre  anni,  quando
l'utilizzazione del documento di guida possa agevolare la commissione
di reati della stessa natura.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 30 giugno 2003.
                       Il Presidente: Chieppa
                      Il redattore: Zagrebelsky
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 15 luglio 2003.
               Il direttore della cancelleria:Di Paola
03C0815