N. 262 SENTENZA 3 - 22 luglio 2003

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Consiglio  superiore  della  magistratura  -  Sezione  disciplinare -
  Composizione  -  Numero dei componenti supplenti inferiore a quello
  dei  componenti titolari - Conseguente impossibilita' di costituire
  un  collegio giudicante diverso da quello che abbia pronunciato una
  decisione  successivamente annullata con rinvio dalle Sezioni unite
  della  Cassazione  -  Necessaria  elezione,  da parte del Consiglio
  superiore  della  magistratura, di ulteriori membri supplenti della
  Sezione  disciplinare  -  Mancata  previsione  -  Contrasto  con il
  principio  della imparzialita' della giurisdizione - Illegittimita'
  costituzionale in parte qua.
- Legge   24 marzo   1958,   n. 195,  art. 4,  nel  testo  modificato
  dall'art. 2 della legge 28 marzo 2002, n. 44.
- Costituzione, artt. 3, 24 e 111.
(GU n.30 del 30-7-2003 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Riccardo CHIEPPA;
  Giudici:  Gustavo  ZAGREBELSKY,  Valerio  ONIDA,  Carlo MEZZANOTTE,
Fernanda   CONTRI,  Guido  NEPPI  MODONA,  Piero  Alberto  CAPOTOSTI,
Annibale  MARINI,  Franco  BILE, Giovanni Maria FLICK, Ugo DE SIERVO,
Romano VACCARELLA, Paolo MADDALENA;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale degli artt. 4 e 6 della
legge   24 marzo   1958,  n. 195  (Norme  sulla  costituzione  e  sul
funzionamento  del Consiglio superiore della magistratura), nel testo
modificato  dall'art. 2  della  legge  28 marzo 2002, n. 44 (Modifica
alla  legge 24 marzo 1958, n. 195, recante norme sulla costituzione e
sul   funzionamento  del  Consiglio  superiore  della  magistratura),
promosso  con  ordinanza del 25 giugno 2002 dalla Corte di cassazione
sul  ricorso  proposto  da  E. R. contro Ministero della giustizia ed
altro,  iscritta  al  n. 417 del registro ordinanze 2002 e pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale della Repubblica n. 39, 1ª serie speciale,
dell'anno 2002.
    Visto l'atto di costituzione di E. R.;
    Udito nell'udienza pubblica del 6 maggio 2003 il giudice relatore
Piero Alberto Capotosti.

                          Ritenuto in fatto

    1. - La  Corte di cassazione, Sezioni unite civili, con ordinanza
del  25  giugno 2002,  ha  sollevato  la  questione  di  legittimita'
costituzionale  degli  artt. 4  e 6 della legge 24 marzo 1958, n. 195
recante   le  «Norme  sulla  costituzione  e  sul  funzionamento  del
Consiglio  superiore  della magistratura» e successive modificazioni,
in riferimento agli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione.
    La  Corte  di  cassazione  rileva  che le norme in parola - nella
parte  in  cui non consentono una sostituzione, in un numero maggiore
di  quelli  nominati  dal  Consiglio,  di  componenti  della  Sezione
disciplinare  del  Consiglio  superiore  della magistratura, divenuti
incompatibili a giudicare in sede di rinvio per avere fatto parte del
collegio  che  aveva  pronunciato la decisione cassata - sarebbero in
contrasto con gli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione.
    2. - La  questione  trae  origine  da un giudizio di legittimita'
promosso,  con  ricorso  avverso la sentenza 30 maggio-12 luglio 2001
della    Sezione   disciplinare   del   Consiglio   superiore   della
magistratura, da un magistrato nei cui confronti era stato confermato
il   giudizio   di   responsabilita'   gia'  espresso  dalla  Sezione
disciplinare,  nella  medesima  composizione, ed annullato con rinvio
dalle Sezioni unite.
    Il  giudice  a  quo  precisa  che  il  magistrato,  al  quale con
decisione 16 luglio    1999    era   stata   inflitta   la   sanzione
dell'ammonimento,  proponeva  ricorso alle Sezioni unite della Corte,
che, con sentenza 14 novembre 2000, cassava la sentenza impugnata con
rinvio alla Sezione disciplinare per un nuovo esame.
    Nel  corso  del  giudizio  di  rinvio  l'incolpato,  prima  della
discussione, ricuso' otto dei nove componenti che avevano partecipato
alla   precedente  fase  processuale  e,  in  subordine,  propose  la
questione  di  legittimita'  costituzionale  degli  articoli 4, commi
primo e terzo, e 6 della legge n. 195 del 1958.
    La  Sezione  disciplinare,  con  ordinanza  del  30 maggio  2001,
dichiarava  inammissibile  l'istanza  di ricusazione e manifestamente
infondata la questione di legittimita' costituzionale.
    Con  sentenza  del  30 maggio  2001,  depositata il successivo 12
luglio,   la  Sezione  disciplinare  del  Consiglio  superiore  della
magistratura  -  nella  medesima  composizione  che aveva pronunciato
l'originaria sentenza, poi annullata con rinvio dalle Sezioni unite -
dichiarava l'incolpato responsabile dell'addebito.
    Il  magistrato  incolpato ha proposto ricorso avverso la sentenza
della    Sezione    disciplinare    -    denunciando   l'inosservanza
dell'art. 546,  comma primo, del codice di procedura penale del 1930,
nonche'   il   vizio   di   motivazione   sotto   il   profilo  della
contraddittorieta'  ed  insufficienza  circa  i  punti decisivi della
controversia - ed ha impugnato l'ordinanza con la quale fu dichiarata
manifestamente  infondata la questione di legittimita' costituzionale
degli   artt. 4  e  6  della  legge  n. 195  del  1958  e  successive
modificazioni.
    La  questione  -  si  rileva  nell'ordinanza  di rimessione - non
potrebbe  essere  risolta  in  applicazione  degli articoli 61, primo
comma,  64,  n. 6, del codice di procedura penale del 1930, in quanto
tale   normativa   non   puo'   ritenersi   applicabile  per  la  sua
incompatibilita'  con la natura del procedimento dinanzi alla Sezione
disciplinare,  non  essendo  altri organi competenti ad esercitare le
funzioni  di  giudice  di  rinvio  a seguito di annullamento da parte
della  Corte  di  cassazione,  e  non  consentendo  le speciali norme
dettate  per  il  procedimento dinanzi alla Sezione, in particolare i
citati  artt. 4  e  6 della legge n. 195 del 1958, la sostituzione di
componenti  in  posizione  d'incompatibilita', quando il numero degli
stessi  sia, come nel caso di specie, superiore a sei. Il primo comma
dell'art. 4  della  legge  n. 195  del  1958,  nella sua formulazione
originaria,  prevedeva,  infatti,  che  i  componenti effettivi della
Sezione  disciplinare  dovevano  essere  nove,  mentre  i  componenti
supplenti soltanto sei.
    3. - La  Corte rimettente ha ritenuto pregiudiziale l'esame della
questione  relativa  all'irregolare  costituzione  del giudice per la
rilevata  incompatibilita' dei componenti della Sezione disciplinare,
facenti  parte del collegio che aveva emanato la decisione cassata, a
giudicare in sede di rinvio.
    3.1. - Quanto  al  profilo  del  contrasto  con  l'art. 111 della
Costituzione,  il  giudice  a  quo  preliminarmente  osserva  di  non
condividere la decisione di manifesta infondatezza della questione di
legittimita' costituzionale, pronunciata dalla Sezione disciplinare.
    In particolare, il giudice a quo rileva che l'ordinanza in parola
avrebbe ritenuto che l'impossibilita' - dovuta al fatto che il numero
dei  componenti  previsto  dalla  legge  non  consente  una  completa
sostituzione  dei  componenti  incompatibili  - di una formazione del
collegio  giudicante per il giudizio di rinvio con componenti diversi
da  quelli  che  avevano  partecipato  alla decisione annullata, «non
avrebbe  alcuna  rilevanza,  dovendosi  privilegiare  l'interesse del
funzionamento   dell'organo   disciplinare»   e   dunque,  la  regola
dell'imparzialita'  e  terzieta' del giudice, stabilita dall'art. 111
della  Costituzione,  non  opererebbe  nel  caso in cui cio' potrebbe
determinare   una   paralisi  dell'organo  disciplinare,  poiche'  vi
dovrebbe  essere la prevalenza, rispetto al valore dell'imparzialita'
del  giudice,  dell'interesse  «ad una rapida decisione nella materia
disciplinare  dei  magistrati ordinari da parte dello speciale organo
indicato dalla Costituzione, espressione delle diverse componenti del
Consiglio».
    Le  Sezioni  unite  ritengono  che  non  sia  da condividere tale
conclusione  secondo  cui l'interesse al funzionamento dello speciale
organo  giurisdizionale  istituito  in attuazione dell'art. 105 della
Costituzione  avrebbe  «un  rango superiore a quello riconosciuto» ad
altri    valori    costituzionalmente    protetti,    quale    quello
dell'imparzialita'  della giurisdizione. Mentre, sarebbe fondamentale
«il  diritto di essere giudicato da un giudice terzo ed imparziale» e
la   sua  tutela  sarebbe  «particolarmente  rafforzata  da  obblighi
internazionali,   e  precisamente  dall'art. 6,  primo  comma,  della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta'  fondamentali,  resa  esecutiva  con la legge 4 agosto 1955,
n. 848».
    La Corte rimettente pone l'accento su alcune sentenze della Corte
costituzionale   che   hanno   affermato,  anche  nella  vigenza  del
precedente testo dell'art. 111 della Costituzione, il valore generale
del  principio  di  imparzialita'  e  terzieta'  della  giurisdizione
rispetto  a  qualunque specie di processo, in riferimento al quale e'
stata  dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale  di norme che non
prevedevano  l'incompatibilita'  alla partecipazione al dibattimento,
di giudici che avessero pronunciato provvedimenti in una diversa fase
del  processo,  anche  quando dagli stessi non sarebbe derivato alcun
vincolo per la decisione nel merito.
    Tale principio secondo il giudice a quo dovrebbe avere attuazione
per ogni tipo di processo.
    Si  osserva  che,  sebbene  il  nuovo  testo  dell'art. 111 della
Costituzione  non  abbia  aggiunto  altro rispetto a quanto affermato
dalla  giurisprudenza  costituzionale  in  tema di imparzialita' e di
terzieta'  del  giudice,  la  nuova  norma costituzionale conterrebbe
un'indubbia  «significativa  enfatizzazione  di  tali  principi».  Le
ragioni   per   le   quali   sarebbe  in  contrasto  con  i  principi
costituzionali «un sistema normativo che imporrebbe il sacrificio del
diritto   all'imparzialita'   del  giudice  di  rinvio  nel  caso  di
incompatibilita'  di  un  numero di componenti superiore a quello dei
supplenti»  sarebbero  -  ad  avviso  del giudice a quo - ancora piu'
manifeste   rispetto   alle   ipotesi   in   cui   si   e'   ritenuta
l'incostituzionalita'   di  norme  processuali  che  prevedevano  una
competenza  dello  stesso  giudice  a pronunciarsi su questioni dallo
stesso gia' decise.
    Nell'ordinanza  di  rimessione  -  posto  l'accento  sulla natura
giurisdizionale  e  sulla  conseguente  piena  attuazione di tutte le
garanzie  proprie  della giurisdizione, del procedimento dinanzi alla
Sezione  disciplinare del Consiglio superiore della magistratura - si
rileva altresi' che il giudizio di rinvio costituisce la seconda fase
dello  stesso procedimento che e' stato svolto davanti al giudice che
ha  pronunciato la sentenza annullata, e cio' comporta che le ragioni
d'incompatibilita'   siano   particolarmente   manifeste,  in  quanto
l'organo  disciplinare,  in una composizione pressoche' identica alla
precedente,  e'  chiamato  a  correggere  gli errori della sua stessa
decisione  cassata  che,  secondo  le  indicazioni  vincolanti  della
sentenza  della  Corte  di  cassazione,  riguarderebbero  proprio gli
elementi costitutivi dell'illecito disciplinare.
    3.2. - Le   Sezioni   unite  rilevano  un  ulteriore  profilo  di
illegittimita'  costituzionale  nella  violazione  del  principio  di
eguaglianza,  poiche'  il  vulnus al diritto di difesa - non presente
negli altri procedimenti giurisdizionali - non parrebbe adeguatamente
giustificato  dallo  speciale  oggetto del procedimento in esame, nel
quale  la  tutela  del  diritto all'imparzialita' del giudice sarebbe
negata.
    4. - Quanto  al  profilo  della  rilevanza,  la  Corte rimettente
osserva  che  la  vigente disciplina non conterrebbe alcuno strumento
normativo  per  integrare  il  numero  complessivo  dei componenti la
Sezione  disciplinare, preventivamente designati dal Consiglio e cio'
non   consentirebbe  il  rispetto  del  principio  costituzionale  di
imparzialita'  e  della terzieta' del giudice, nell'ipotesi in cui il
numero  dei  componenti  incompatibili  sia  superiore  a  quelli non
utilizzati per la formazione del collegio.
    Osserva,  infine,  il  giudice  a  quo  che  la  recente  riforma
dell'organizzazione  del  Consiglio  superiore  della  magistratura e
della  Sezione  disciplinare,  introdotta con la legge 28 marzo 2002,
n. 44,  non  richiederebbe  un  ulteriore  esame  della non manifesta
infondatezza  e della rilevanza della questione di costituzionalita',
in   quanto  l'art. 2,  lett. a),  della  legge  in  parola,  recante
modifiche  all'art. 4  della legge n. 195 del 1958, prevede un numero
di  componenti  insufficiente  a sostituire il piu' elevato numero di
componenti  incompatibili,  tenuto  conto  anche  della riduzione del
numero dei membri della Sezione disciplinare, introdotta dallo stesso
art. 2, lett. a).
    5. - Nel   giudizio  innanzi  alla  Corte  si  e'  costituito  il
magistrato  ricorrente  nel  processo  principale,  il quale ha fatto
proprie  le argomentazioni svolte dal rimettente ed ha chiesto che la
Corte dichiari l'illegittimita' costituzionale delle norme impugnate.

                       Considerato in diritto

    1. - La  questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 4 e
dell'art. 6   della   legge   24 marzo   1958,  n. 195  (Norme  sulla
costituzione  e  sul  funzionamento  del  Consiglio  superiore  della
magistratura)  e  successive  modificazioni  e' stata sollevata dalla
Corte  di  cassazione,  Sezioni  unite  civili,  con  l'ordinanza  in
epigrafe,  in  riferimento  alla  parte  in cui le predette norme non
consentono una sostituzione, in un numero maggiore di quelli nominati
dal Consiglio, di componenti della Sezione disciplinare del Consiglio
superiore  della  magistratura  divenuti incompatibili a giudicare in
sede  di  rinvio  per  avere  fatto  parte  del  collegio  che  aveva
pronunciato la decisione cassata.
    Tali  norme sarebbero in contrasto, secondo il giudice a quo, con
gli  artt. 3,  24  e  111 della Costituzione, sotto il profilo che la
garanzia  del  principio  generale della imparzialita-terzieta' della
giurisdizione  dovrebbe operare, per la tutela del diritto di difesa,
anche nel procedimento - avente natura giurisdizionale - dinanzi alla
Sezione  disciplinare  del  Consiglio  superiore  della magistratura,
tanto  piu'  nel  momento  in  cui l'organo disciplinare e' chiamato,
nella  stessa  composizione,  a  correggere  gli errori della propria
precedente   decisione   successivamente   cassata.   Ad  avviso  del
rimettente,  infatti,  il giudizio di rinvio costituirebbe la seconda
fase dello stesso procedimento che e' stato svolto davanti al giudice
che  ha  emesso  la  sentenza poi annullata, cosicche' le prospettate
ragioni  di incompatibilita' sarebbero, nella specie, particolarmente
evidenti.
    2. - La questione e' fondata nei termini di seguito precisati.
    Lo  scrutinio  di costituzionalita' degli artt. 4 e 6 della legge
n. 195  del  1958  -  nel testo modificato dalle relative norme della
legge  28 marzo  2002,  n. 44  (Modifiche  alla  legge 24 marzo 1958,
n. 195)   -  si  deve  incentrare,  secondo  il  giudice  rimettente,
essenzialmente   sul   profilo   dell'insufficienza  del  numero  dei
componenti   supplenti   della  Sezione  disciplinare  riguardo  alla
costituzione   di   un   secondo   collegio  giudicante  in  caso  di
annullamento con rinvio per nuovo esame, da parte delle Sezioni unite
civili della Corte di cassazione, di modo che risulterebbero violati,
sotto  diversi  profili,  i  precetti  degli  artt. 3, 24 e 111 della
Costituzione.
    Questa Corte ha da tempo affermato che la Costituzione, regolando
solo  i  tratti  essenziali del disegno del Consiglio superiore della
magistratura,  ha  lasciato  alla  discrezionalita'  del  legislatore
ordinario,  pur  senza vincolarlo ad alcuna forma di attuazione, ampi
spazi  nella  disciplina delle funzioni e dell'organizzazione interna
del Consiglio. E cosi' l'art. 4 della legge 24 marzo 1958, n. 195, ha
stabilito  che il Consiglio, cui spetta, ai sensi dell'art. 105 della
Costituzione,  il potere disciplinare, debba esercitarlo, anziche' in
sede  plenaria,  in una composizione piu' ristretta costitutiva della
Sezione  disciplinare (cfr. sentenza n. 12 del 1971 ed anche sentenza
n. 52 del 1998), la quale peraltro non da' vita ad un organo autonomo
dal Consiglio stesso, ne' a forme di frazionamento del potere, di cui
il Consiglio e' e resta unico titolare (sentenza n. 270 del 2002).
    Fermo   dunque   il   presupposto   della  spettanza  del  potere
disciplinare al Consiglio superiore, il legislatore, nell'attribuirne
l'esercizio   alla   Sezione   disciplinare,   e'   stato  indotto  a
«configurare  il  procedimento  disciplinare per i magistrati secondo
paradigmi  di  carattere  giurisdizionale»  dall'esigenza precipua di
tutelare  in  forme  piu'  adeguate  specifici interessi e situazioni
connessi  allo  statuto  di indipendenza della magistratura (sentenze
n. 497  del  2000 e n. 289 del 1992). I caratteri giurisdizionali del
procedimento  disciplinare  non comportano peraltro, in base alle sue
peculiarita'  e  finalita',  un riferimento automatico alle norme del
processo  penale,  «l'utilizzo dei cui moduli procedurali (d'altronde
previsti  solo  in  via  integrativa dagli artt. 32 e 34 del r.d.lgs.
n. 511  del  1946)  non e' affatto sintomatico di una coincidenza che
abiliti  ad  assimilarne  i  presupposti  e a confrontarne gli esiti»
(sentenza n. 119 del 1995). In realta', il procedimento disciplinare,
pur ispirandosi ad un modello giurisdizionale, ha profili strutturali
e  funzionali  del  tutto  atipici e peculiari, come, in particolare,
dimostra  la  fase  della  decisione, che e' demandata ad un apposito
collegio   elettivo  -  alla  cui  scelta  partecipano  anche  i  due
magistrati   titolari  delle  funzioni  di  vertice  della  Corte  di
cassazione  -  composto  in  prevalenza  da  «pari»,  in  funzione di
garanzia   dell'indipendenza  e  dell'autonomia  della  magistratura,
mentre   la   relativa  pronuncia  e'  sottoposta  ad  un  regime  di
impugnazione costituito dal ricorso diretto alle Sezioni unite civili
della Corte di cassazione (sentenza n. 289 del 1992).
    La  peculiarita'  e  l'atipicita'  del  procedimento disciplinare
trovano giustificazione essenzialmente nel fatto che esso si incentra
necessariamente  sulla  Sezione  disciplinare,  espressione diretta -
«emanazione»  -  del Consiglio superiore della magistratura (sentenza
n. 145  del 1976), cosicche' sussiste un interesse costituzionalmente
protetto  a  che  il  procedimento  stesso,  comunque configurato dal
legislatore  ordinario,  si  svolga  in  modo  tale da non ostacolare
l'indefettibilita'  e  la  continuita'  della  funzione  disciplinare
attribuita dalla Costituzione direttamente al Consiglio superiore.
    Occorre  pero',  nella  vicenda in esame, porre a raffronto detto
interesse   con   il   principio   di   imparzialita-terzieta'  della
giurisdizione,  che  ha  pieno  valore  costituzionale ai sensi degli
artt. 24  e  111 della Costituzione, con riferimento a qualunque tipo
di  processo,  «pur  nella  diversita'  delle  rispettive  discipline
connessa  alle  peculiarita' proprie di ciascun tipo di procedimento»
(sentenza  n. 305  del 2002). Le soluzioni legislative per realizzare
questo  principio,  ferma  comunque  la regola che il giudice rimanga
sempre  super  partes ed estraneo rispetto agli interessi oggetto del
processo, non debbono prefigurare moduli necessariamente identici per
tutti  i  tipi  di  processo,  purche'  sia  comunque assicurato quel
«minimo»  di  garanzie  ragionevolmente  idonee  allo scopo (sentenza
n. 78  del 2002). E' certo, peraltro, che in tutti i tipi di processo
-  quindi  anche  in  quello  disciplinare  a carico dei magistrati -
debbono   essere   previste   regole  sull'esercizio  delle  funzioni
giudicanti  valide  a  proteggere in ogni caso il valore fondamentale
dell'imparzialita'   del   giudice,   in  particolare  impedendo  che
quest'ultimo   possa   pronunciarsi  due  volte  sulla  medesima  res
iudicanda (sentenza n. 335 del 2002).
    3. - Proprio  in  riferimento  a  questo  specifico profilo vanno
esaminate le doglianze in oggetto, le quali censurano la possibilita'
che  la  Sezione  disciplinare del Consiglio superiore sia chiamata -
come  e'  avvenuto  nel caso di specie - a pronunciarsi per due volte
sulla  medesima  res iudicanda, con un collegio giudicante pressoche'
identico,  in  caso di annullamento con rinvio per nuovo esame di una
precedente  decisione, da parte delle Sezioni unite della Cassazione.
Al  riguardo  appare  evidente  che  le  disposizioni  denunciate non
assicurano   affatto   quel  «minimo»  di  tutela,  costituito  dalla
necessaria   applicazione   di  tutti  quegli  strumenti  processuali
indispensabili  a garantire il diritto fondamentale dell'incolpato ad
un   giudizio   equo   ed  imparziale,  ferme  naturalmente  restando
l'indefettibilita'   e   la   continuita'   del  potere  disciplinare
attribuito,  per dettato costituzionale, al Consiglio superiore della
magistratura.
    Le  norme  denunciate violano quindi gli invocati parametri degli
artt. 3,   24   e   111   della   Costituzione   sotto   il   profilo
dell'imparzialita'  della  giurisdizione,  poiche'  non prevedono una
soluzione  organizzativa che impedisca, nelle ipotesi di annullamento
con rinvio di una decisione della Sezione disciplinare da parte delle
Sezioni  unite della Cassazione, che lo stesso collegio giudicante si
pronunci  due  volte sulla medesima res iudicanda. Secondo il giudice
rimettente,  infatti,  non  solo  la  previgente  normativa  ma anche
l'art. 2,  lettera a),  della  legge 28 marzo 2002, n. 44 prevede «un
numero di componenti insufficiente a sostituire un numero maggiore di
componenti  incompatibili,  anche  tenuto  conto  della riduzione del
numero  dei  componenti  la  Sezione  disciplinare».  La questione di
legittimita'    costituzionale    proposta   deve   essere   pertanto
circoscritta  all'art. 4,  comma  terzo,  della  legge 24 marzo 1958,
n. 195,  nel  testo appunto modificato dall'art. 2, lettera a), della
citata legge 28 marzo 2002, n. 44.
    A  questo  riguardo,  in  relazione  al necessario bilanciamento,
prospettato  anche  nell'ordinanza  di  remissione, tra il bene della
imparzialita-terzieta'    della    giurisdizione   e   quello   della
indefettibilita'  della  funzione  disciplinare,  la dichiarazione di
illegittimita'  costituzionale  della predetta norma va limitata alla
parte in cui non prevede l'elezione, da parte del Consiglio superiore
della  magistratura,  in  aggiunta  ai membri supplenti della Sezione
disciplinare  gia'  previsti,  di  ulteriori  componenti,  in modo da
consentire  la  costituzione, per numero e categoria di appartenenza,
di un collegio giudicante diverso da quello che abbia pronunciato una
decisione  successivamente  annullata  con rinvio dalle Sezioni unite
della Cassazione.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  l'illegittimita' costituzionale dell'art. 4 della legge
24 marzo  1958,  n. 195 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento
del  Consiglio  superiore  della  magistratura), nel testo modificato
dall'art. 2  della legge 28 marzo 2002, n. 44 (Modifica alla legge 24
marzo   1958,   n. 195,   recante  norme  sulla  costituzione  e  sul
funzionamento  del  Consiglio  superiore  della  magistratura), nella
parte  in cui non prevede l'elezione da parte del Consiglio superiore
della  magistratura  di  ulteriori  membri  supplenti  della  Sezione
disciplinare.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 3 luglio 2003.
                       Il Presidente: Chieppa
                       Il redattore: Capotosti
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 22 luglio 2003.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
03C0859