N. 263 SENTENZA 3 - 22 luglio 2003

Giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.

Giudizio   per  conflitto  di  attribuzione  -  Atto  introduttivo  -
  Eccezione  di  inammissibilita', basata sulla carenza di attualita'
  dell'interesse  a ricorrere, in relazione alla tardiva proposizione
  del ricorso - Reiezione.
Giudizio   per  conflitto  di  attribuzione  -  Atto  introduttivo  -
  Eccezione  di  inammissibilita'  per  carenza  di interesse, basata
  sulla  duplice  circostanza  della  partecipazione  del deputato ai
  lavori parlamentari e della sua attuale estraneita' alla Camera dei
  deputati - Reiezione.
Giudizio per conflitto di attribuzione - Atto introduttivo - Eccepita
  inammissibilita',   basata  sulla  mancanza  della  materia  di  un
  conflitto - Reiezione.
Parlamento  -  Procedimento penale a carico di un membro della Camera
  dei  deputati  -  Assenza  dell'imputato,  giustificata  dai lavori
  parlamentari  -  Mancata valutazione, da parte della Corte d'assise
  di  primo  grado  di  Reggio  Calabria,  oltre  all'interesse  alla
  speditezza del processo di quello della Assemblea parlamentare alla
  partecipazione   del  deputato  allo  svolgimento  delle  attivita'
  parlamentari   -   Conseguente  lesione  delle  attribuzioni  della
  ricorrente  Camera  dei  deputati  -  Accoglimento  del  ricorso  -
  Annullamento della ordinanza impugnata.
- Ordinanza  della  Corte  d'assise di primo grado di Reggio Calabria
  16 novembre 1998.
- Costituzione, artt. 64, 67, 68 e 72.
(GU n.30 del 30-7-2003 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Riccardo CHIEPPA;
  Giudici:  Gustavo  ZAGREBELSKY,  Valerio  ONIDA,  Carlo MEZZANOTTE,
Fernanda   CONTRI,  Guido  NEPPI  MODONA,  Piero  Alberto  CAPOTOSTI,
Annibale   MARINI,  Franco  BILE,  Giovanni  Maria  FLICK,  Francesco
AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA, Paolo MADDALENA;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  per  conflitto  di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto a seguito dell'ordinanza emessa dalla Corte di assise di Reggio
Calabria  il  16 novembre  1998,  in  un procedimento penale a carico
dell'on.  Amedeo  Gennaro Matacena, promosso con ricorso della Camera
dei  deputati notificato il 20 giugno 2001, depositato in cancelleria
il  3 luglio  successivo  ed iscritto al n. 20 del registro conflitti
2001.
    Visti  gli  atti  di costituzione della Corte di assise di Reggio
Calabria e del Senato della Repubblica;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  19 novembre  2002  il Giudice
relatore Valerio Onida;
    Uditi  gli  avvocati  Massimo Luciani per la Camera dei deputati,
Giovanni  Pitruzzella  per  la  Corte  di assise di Reggio Calabria e
Stefano Grassi per il Senato della Repubblica.

                          Ritenuto in fatto

    1. - Con  ricorso  depositato  il 14 dicembre 2000, la Camera dei
deputati  ha  sollevato  conflitto  di  attribuzione tra poteri dello
Stato  nei  confronti  della Corte di assise di primo grado di Reggio
Calabria, chiedendo alla Corte:
        a) di  dichiarare che non spetta a quel giudice stabilire che
non costituisce impedimento assoluto alla partecipazione del deputato
alle  udienze  penali,  eppercio'  causa di giustificazione della sua
assenza,  il  diritto-dovere  di  assolvere  il  mandato parlamentare
attraverso la partecipazione a votazioni in assemblea;
        b) di annullare, per l'effetto, l'ordinanza 16 novembre 1998,
con  cui  lo stesso giudice aveva rigettato la richiesta della difesa
dell'on. Matacena di giustificare l'assenza dell'imputato all'udienza
in  ragione dell'impedimento parlamentare (attestato da un telegramma
del  Presidente  della  Camera dei deputati), disponendo procedersi e
dichiarando la contumacia dell'imputato.
    Nella  menzionata  ordinanza,  la  Corte d'assise faceva leva sul
fatto  che  l'on.  Matacena  aveva  giustificato  la  propria assenza
«adducendo  la  concomitanza  di  lavori  parlamentari», ma non aveva
specificato  se «partecipera' a detti lavori o se la sua presenza per
eventuali    votazioni   o   interpellazioni   prenotate   sia   oggi
indispensabile in Parlamento».
    La  Camera  dei  deputati  ritiene  che  sussistano  i  requisiti
soggettivi  ed  oggettivi del conflitto. In particolare, essa esclude
che  il  ricorso intenda censurare non gia' la carenza del potere del
giudice,   ma  un  semplice  error  in  iudicando:  cio'  che  e'  in
contestazione  e'  proprio  la  titolarita',  in capo al giudice, del
potere  di  negare che l'impegno in votazioni in assemblea sia valida
causa   di  giustificazione  dell'assenza,  all'udienza  penale,  del
parlamentare interessato.
    Sussisterebbe  anche l'interesse a ricorrere della Camera, che si
collega  alle  affermazioni  dell'ordinanza  impugnata,  la'  dove si
presuppone,  erroneamente,  che  vi  siano  votazioni per le quali la
presenza  del parlamentare e' indispensabile e votazioni per le quali
tale presenza indispensabile non e'.
    Nella  specie, dai resoconti parlamentari risulterebbe che, nella
giornata  del 16 novembre 1998, la Camera dei deputati ha iniziato la
propria seduta alle ore 12.05, con votazioni elettroniche, alle quali
il  deputato  Matacena  ha partecipato, in ordine ai disegni di legge
n. 5267  (Misure  di  finanza  pubblica  per  la stabilizzazione e lo
sviluppo)  e  5349 (Conversione in legge del decreto-legge n. 335 del
1998: lavoro straordinario).
    L'ordinanza  impugnata  avrebbe  avuto  come  effetto  quello  di
anteporre  le  esigenze  processuali  alla  funzione parlamentare. In
concreto,  i  valori  collegati alla funzione parlamentare sono stati
posti  su  un  gradino  inferiore  rispetto  a  quelli attinenti alla
funzione giurisdizionale. Di qui l'interesse della Camera ad ottenere
una  pronuncia  della Corte che ristabilisca il corretto rapporto tra
potere  giudiziario  e  potere  legislativo, in riferimento ai valori
costituzionali che detti poteri rappresentano.
    Su  questo  interesse non inciderebbe il fatto che l'on. Matacena
abbia   preso  parte  alle  votazioni  fissate  in  concomitanza  con
l'udienza   innanzi   alla   Corte  di  assise  di  Reggio  Calabria,
trattandosi  di  determinazione  strettamente personale del deputato,
che  ha sacrificato il proprio diritto di difesa al diritto-dovere di
partecipazione  ai  lavori  parlamentari;  determinazione  estrinseca
rispetto  alla  concreta  lesivita'  dell'atto  impugnato  e  che non
elimina  l'oggettiva  incertezza  circa  le condizioni alle quali gli
impegni parlamentari giustificano l'allegazione di un impedimento.
    Nel  merito,  la  ricorrente Camera dei deputati chiede che venga
considerato,  per i suoi componenti, impedimento assoluto a comparire
in  udienza, e quindi causa di giustificazione dell'assenza, non gia'
la  necessita'  di  partecipare  a  qualsivoglia lavoro parlamentare,
bensi'   soltanto   quella   di  assolvere  il  mandato  parlamentare
attraverso la partecipazione a votazioni in assemblea. L'attivita' di
votazione  infatti  non  e'  delegabile  ad  altro parlamentare, e va
esercitata  personalmente.  Ne'  sarebbe  possibile  che  il deputato
chieda  od ottenga lo spostamento della votazione, onde conservare la
possibilita'  di  partecipare,  non essendovi possibilita' di rimedio
all'assenza.  Diverso  e'  invece  il  regime  delle  altre attivita'
parlamentari.  Ove  infatti  il  deputato  intenda partecipare ad una
discussione,   ovvero   sia  programmato  un  suo  intervento  su  un
determinato  provvedimento,  ma  sia contemporaneamente convocato dal
giudice  penale  per  un procedimento nei propri confronti, egli puo'
ben   chiedere   lo   spostamento   ad   altra  data  dell'esame  del
provvedimento,  e  la  prassi  consolidata  e'  nel  senso  che - ove
possibile - il rinvio venga concesso.
    In    primo   luogo,   il   mancato   riconoscimento   giudiziale
dell'assoluto impedimento a comparire all'udienza penale del deputato
impegnato   in  una  votazione  assembleare,  determinando  un  grave
ostacolo  alla  partecipazione  ad  essa  del deputato, comprimerebbe
l'indipendenza  e l'autonomia della Camera, violando gli artt. 64, 68
e  72  della  Costituzione, i quali garantiscono quell'indipendenza e
quell'autonomia  sia  sotto  il  profilo  del  potere della Camera di
disciplinare  con autonomo regolamento la propria organizzazione e il
funzionamento  dei  propri  lavori,  con particolare riferimento alla
funzione  legislativa,  sia  per  quanto  attiene  alla  posizione di
indipendenza  dei  singoli  membri  della  Camera, riconosciuta dalla
Costituzione   quale   strumento   di  garanzia  dell'indipendenza  e
dell'autonomia dell'istituzione di appartenenza.
    L'atto  impugnato  porrebbe  inoltre  a  rischio la funzionalita'
dell'Assemblea, compromettendo la formazione dei quorum strutturali e
funzionali   richiesti  per  la  validita'  delle  deliberazioni.  La
ricorrente  denuncia,  al  riguardo,  la  violazione  delle  seguenti
disposizioni  della Costituzione: dell'art. 64, terzo comma, anche in
riferimento  agli artt. 64, primo comma, 73, secondo comma, 79, primo
comma,  83, terzo comma, 90, secondo comma, 138, primo e terzo comma;
nonche'  dell'art. 12 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1;
dell'art. 3  della legge costituzionale 22 novembre 1967, n. 2; degli
artt. 9,   comma 3,   e   10,  comma 3,  della  legge  costituzionale
16 gennaio  1989,  n. 1.  Essendo  la partecipazione dei parlamentari
alle  sedute  preordinate  alle  votazioni,  nonche'  alle  votazioni
medesime,  indispensabile,  nei  termini  quantitativi  imposti dalla
Costituzione,   per   la  validita'  degli  atti  deliberativi,  ogni
impedimento  a  tale  partecipazione  si  risolve in impedimento alla
funzionalita'   del  Parlamento,  e  dunque  nella  (pur  potenziale)
compromissione  delle  attribuzioni  del  potere  legislativo. Ne' si
potrebbe  opporre  che  la  lesione  delle  prerogative  parlamentari
deriverebbe,  comunque,  dalla scelta del singolo deputato. Ad avviso
della  ricorrente,  perche'  tale  obiezione  fosse fondata, infatti,
occorrerebbe che detta scelta fosse effettivamente libera, potendo il
deputato   optare,   senza   condizionamenti   di   sorta,   per   la
partecipazione  o  meno  alla votazione parlamentare. Ma detta scelta
non  sarebbe  affatto libera, ne' priva di condizionamenti, in quanto
il  deputato  sottoposto a procedimento penale esercita, partecipando
alle  udienze,  il  proprio  diritto  costituzionale  alla  difesa in
giudizio;  l'adempimento  del dovere di partecipazione alle votazioni
(funzionale  al  valido  esercizio  delle attribuzioni della Camera),
confliggerebbe  quindi,  in  questo  caso,  con  un  primario diritto
costituzionale.
    La  Camera  lamenta  inoltre la coartazione (ab extrinseco) della
liberta'  dell'espletamento  del mandato parlamentare, denunciando la
violazione   degli   artt. 67  e  68  della  Costituzione,  anche  in
riferimento  ai  parametri  sopra  invocati.  Sulla  premessa  che le
prerogative  che  la  Costituzione  riconosce ai singoli deputati non
sono    loro    guarentigie   personali   ma   strumenti   funzionali
all'integrita'  della  posizione  costituzionale delle istituzioni di
appartenenza,  la  ricorrente sostiene che, ogni volta che viene leso
il  libero esercizio del mandato parlamentare, garantito dall'art. 67
della   Costituzione   in   una  con  l'art. 68,  si  ledono  percio'
l'autonomia  e  l'indipendenza  della  Camera di appartenenza, che in
tanto  possono  sussistere,  in  quanto  i  singoli  componenti siano
tutelati  nella  loro  liberta' di esercitare il mandato parlamentare
senza impedimenti.
    Infine,   l'ordinanza   della   Corte   d'assise  sacrificherebbe
integralmente, nel conflitto tra valori di pari rango costituzionale,
in  violazione dell'art. 3 Cost., quelli dell'autonomia, indipendenza
e  funzionalita'  delle  istituzioni  parlamentari, rispetto a quello
dell'efficienza   del  processo,  senza  consentire  di  raggiungere,
attraverso   il  bilanciamento  delle  contrapposte  esigenze  ed  il
rispetto  del  principio  di  leale collaborazione tra i poteri dello
Stato,  un  punto  di  equilibrio,  reso possibile dal non quotidiano
espletamento  delle  votazioni,  idoneo  a  garantire la certezza del
diritto.
    L'ordinanza  della  Corte  d'assise  di  primo  grado  di  Reggio
Calabria  provvederebbe in realta' alla salvaguardia d'uno solo degli
interessi in conflitto, sacrificando integralmente l'altro, mentre il
modello   disegnato   dalla   giurisprudenza  costituzionale  sarebbe
diverso,  occorrendo,  come  e' stato precisato dalla sentenza n. 379
del  1996,  un  «equilibrio razionale e misurato tra le istanze dello
Stato   di  diritto,  che  tendono  ad  esaltare  i  valori  connessi
all'esercizio  della giurisdizione ... e la salvaguardia di ambiti di
autonomia parlamentare ...».
    2. - Questa  Corte,  con ordinanza n. 178 del 2001, ha dichiarato
ammissibile  il  predetto  conflitto  di  attribuzione proposto dalla
Camera  dei  deputati,  estendendo la notifica del ricorso, oltre che
alla  Corte  di  assise  di  primo grado di Reggio Calabria, anche al
Senato   della   Repubblica,   stante   l'identita'  della  posizione
costituzionale   dei  due  rami  del  Parlamento  in  relazione  alle
questioni di principio da trattare.
    Il  ricorso  e'  stato  successivamente notificato e regolarmente
depositato con la prova delle avvenute notifiche.
    3. - Nel giudizio dinanzi alla Corte si e' costituita la Corte di
assise   di   primo   grado   di  Reggio  Calabria,  concludendo  per
l'inammissibilita'  del  ricorso  per carenza di interesse ovvero per
difetto  della  materia  del  conflitto  e,  nel  merito,  per la non
fondatezza del medesimo.
    In  relazione  alla carenza di interesse a ricorrere, la Corte di
assise resistente rileva che tra gli accadimenti assunti dalla Camera
come   lesivi   delle   proprie   attribuzioni  costituzionali  e  la
proposizione  del  conflitto  sono  trascorsi circa due anni. Sebbene
l'esperimento  del  ricorso  non  sia  sottoposto al alcun termine di
decadenza,  tuttavia  cio'  non potrebbe in alcun modo tradursi nella
perenne  precarieta'  degli  atti  dei  pubblici  poteri, sussistendo
interessi  di  primaria  importanza  che  spingono  verso una qualche
delimitazione  della  sfera  temporale  nel  cui  ambito  puo' essere
proposto il ricorso.
    In  ogni  caso,  ad  avviso  della  Corte d'assise, l'interesse a
ricorrere   per   la  Camera  dei  deputati,  ove  pure  fosse  stato
sussistente  al  momento  della  proposizione  del conflitto, sarebbe
ormai  indubbiamente  venuto  meno,  giacche', a seguito delle ultime
elezioni politiche che hanno portato al rinnovamento della Camera dei
deputati  e  del  Senato della Repubblica, l'on. Matacena non ricopre
piu'  la  carica  di  deputato.  La sopravvenuta estraneita' dell'on.
Matacena   alla   Camera   oggi   ricorrente   renderebbe  del  tutto
indipendenti  le  vicende  del  primo  da quelle della seconda e cio'
determinerebbe la sopravvenuta carenza di interesse.
    La  resistente  ritiene in conclusione che l'esigenza di certezza
dei rapporti giuridici - particolarmente forte la' dove essa riguarda
i  rapporti apicali nell'ordinamento costituzionale - e l'esigenza di
evitare  che  la  possibilita'  di sollevare il conflitto si presti a
strumentalizzazioni,   spingerebbero   a   considerare  il  conflitto
tempestivamente  proposto  anche  a  distanza  di  molto  tempo dagli
accadimenti    denunciati   solo   ove   sussistano   delle   ragioni
giustificatrici:   ragioni   che  invece  palesemente  non  sarebbero
sussistenti nel caso di specie.
    Inoltre,  ad  avviso  della resistente, che richiama in proposito
l'ordinanza  n. 101  del  2000  di  questa  Corte, il ricorso sarebbe
inammissibile  perche'  farebbe  assolutamente difetto la materia del
conflitto,   non   potendo   costituire   oggetto   di  conflitto  di
attribuzione  tra  poteri  dello  Stato  il  modo  in cui l'autorita'
giurisdizionale  conforma  il  concreto  atteggiarsi  del  diritto di
difesa nei procedimenti che si svolgono dinanzi a se'.
    Sempre  in via preliminare, la Corte di assise di Reggio Calabria
deduce  che  la  mancanza  di  interesse della Camera ricorrente alla
risoluzione  del  conflitto  risiederebbe  anche  nel fatto che l'on.
Matacena  avrebbe  regolarmente  partecipato  ai  lavori parlamentari
svoltisi  in  data  16 novembre  1998,  preferendo  adempiere  al suo
mandato rappresentativo anziche' presenziare all'udienza del processo
che  lo  vedeva  coinvolto in qualita' di imputato. Non sussisterebbe
quindi  in  alcun  modo  la  necessita' di ripristinare un assetto di
attribuzioni    vulnerato    dal   cattivo   esercizio   del   potere
giurisdizionale:  anche se la valutazione operata dal giudice dovesse
ritenersi  erronea,  essa  non si tradurrebbe comunque in una lesione
dell'attivita'  della  Camera, ma rimarrebbe mero error in iudicando,
contro   il   quale   l'unico   soggetto   eventualmente   leso   (il
deputato-imputato  on.  Matacena)  avrebbe  a disposizione i consueti
rimedi endoprocessuali.
    Osserva  la Corte d'assise resistente che il ricorso della Camera
dei deputati, ove accolto, avrebbe l'effetto non gia' di ripristinare
il  corretto  svolgimento  della  funzione  che  in forza delle norme
costituzionali   esercita  l'odierna  ricorrente,  bensi'  quello  di
ribaltare  la  posizione processuale dell'imputato. Si tratterebbe di
una  finalita'  del  tutto estranea allo strumento del conflitto, che
peraltro porrebbe il deputato sottoposto a procedimento penale in una
condizione  di vero e proprio privilegio, potendo costui usufruire di
un rimedio ulteriore per reagire ai provvedimenti giurisdizionali che
lo riguardano rispetto a quelli a disposizione dei comuni imputati.
    Nel  merito,  la  difesa  della Corte d'assise condivide la tesi,
sostenuta   dalla   Camera   ricorrente,  secondo  cui  l'impedimento
parlamentare  deve  essere  considerato assoluto ed insuperabile solo
nel   caso   in   cui   attenga   alla   partecipazione  a  votazioni
dell'Assemblea,  e  non  anche quando attenga a diverse attivita' dei
deputati.  Ma  proprio applicando la regola proposta dalla ricorrente
al  caso  in  questione, si dovrebbe concludere che la Corte d'assise
abbia  correttamente  esercitato  il  proprio potere. All'udienza del
16 novembre  1998,  infatti,  la difesa dell'on. Matacena chiedeva di
giustificare  l'assenza dell'imputato all'udienza medesima, motivando
detta  richiesta  sulla  base  di  un  telegramma  proveniente  dalla
Presidenza della Camera dei deputati, nel quale si faceva riferimento
a  semplici e generici lavori parlamentari previsti per quello stesso
giorno.
    Ne' d'altra parte potrebbe essere fatta valere la circostanza che
in effetti in data 16 novembre 1998 si sono svolte concrete attivita'
di votazione: sia perche' «il presente giudizio non puo' che prendere
in  considerazione  le  modalita' con le quali e' stato esercitato il
potere  da  parte  della  Corte  d'assise, e dunque il modo in cui e'
stato  calibrato  il  potere stesso in relazione agli elementi che il
giudice  poteva  utilizzare  nel  momento  in  cui il potere e' stato
esercitato»,  sia  perche'  l'onere  di  provare la sussistenza delle
circostanze   che   costituiscono  valida  causa  di  giustificazione
dell'assenza incombe sull'imputato, non potendo addossarsi alla Corte
d'assise  l'onere  di verificare se, per caso, tra i generici «lavori
parlamentari»  indicati  nel  telegramma proveniente dalla Presidenza
della Camera vi fossero anche votazioni.
    4. - Si  e'  costituito  innanzi  a  questa Corte anche il Senato
della  Repubblica,  il  quale  ha  concluso  chiedendo  che  la Corte
riconosca  la  fondatezza  dei  principi  affermati nel ricorso della
Camera   dei   deputati,   in  particolare  del  principio  di  leale
collaborazione fra i poteri titolari della funzione giurisdizionale e
i  poteri  titolari della funzione parlamentare, nelle ipotesi in cui
la  presenza  fisica  di  un  singolo  parlamentare sia necessaria al
corretto  esercizio  di  entrambe  le  funzioni, e, conseguentemente,
dichiari  l'annullamento  dell'ordinanza 16 novembre 1998 della Corte
di assise di primo grado di Reggio Calabria.
    In  particolare,  il  Senato  afferma  il  proprio interesse alla
definizione  del  presente  giudizio  per  conflitto di attribuzione.
Sostiene al riguardo che la Corte di assise, a fronte della richiesta
di  rinvio  dell'udienza  presentata  dalla difesa dell'on. Matacena,
avvalorata  da un telegramma del Presidente della Camera dei deputati
attestante  la  concomitanza  di lavori parlamentari, si e' limitata,
dopo  una  brevissima  camera  di  consiglio, a rilevare l'assenza di
qualunque  specificazione in ordine sia alla effettiva partecipazione
del  deputato ai lavori della Camera di appartenenza sia al carattere
di  «indispensabilita»  di quella partecipazione. In tal modo, pero',
il  giudice di Reggio Calabria avrebbe direttamente e unilateralmente
negato  la  posizione  di  autonomia  costituzionale  della Camera di
appartenenza  del  parlamentare  inquisito,  determinando una grave e
indebita  interferenza  sul  corretto  esercizio delle funzioni degli
organi  parlamentari,  almeno  da  tre  diversi  punti  di vista: per
l'erroneo  presupposto  che  si  possano  e  si  debbano  distinguere
attivita' degli organi parlamentari in cui la presenza dei componenti
l'organo  sia  «indispensabile»  rispetto  ad  attivita'  in cui tale
presenza  «indispensabile» non sia; per l'assoluta prevalenza data ai
valori   costituzionali  collegati  con  l'esercizio  della  funzione
giurisdizionale   rispetto   ai   valori   attinenti   alla  funzione
parlamentare,  con  integrale  sacrificio dei secondi; per la mancata
ricerca  del necessario coordinamento con gli organi della Camera dei
deputati   (e,   in   particolare,  con  la  Presidenza  che  si  era
appositamente  attivata inviando il telegramma), al fine di acquisire
le   ulteriori   informazioni   e   specificazioni  ritenute  assenti
nell'istanza di rinvio presentata dalla difesa del deputato.
    5. - In  prossimita'  dell'udienza  hanno  depositato  memorie la
Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica.
    5.1. - Replicando  alle eccezioni sollevate dalla Corte di assise
nell'atto  di  costituzione,  la  Camera  dei deputati esclude che il
ricorso presenti alcun profilo di inammissibilita'.
    Quanto  alla  pretesa  tardivita' del ricorso, si osserva che nei
conflitti  di attribuzione fra poteri dello Stato vi e' (al contrario
di  quanto  accade  per  i  conflitti  tra  Stato e Regione) completa
assenza  di  un termine di decadenza per la promozione del conflitto.
Cio'  significa  che  il  conflitto  puo'  essere  proposto quando il
soggetto  leso  lo  ritiene  opportuno, senza che il fluire del tempo
possa minimamente condizionare tale decisione.
    La  decisione  della  Camera  dei  deputati  in ordine al quando,
pertanto,  non  sarebbe sindacabile ne' censurabile, ma costituirebbe
esercizio   di  quella  discrezionalita'  che  i  Costituenti  hanno,
consapevolmente,  inteso  conferire  ai  protagonisti dei (possibili)
conflitti interorganici.
    Ne'  potrebbe sostenersi che l'interesse al ricorso abbia perduto
la  propria  attualita',  in  ragione della perdita della qualita' di
deputato  dell'on. Matacena, non riconfermato alle elezioni politiche
del    13 maggio   2001.   Infatti,   il   conflitto   e'   strumento
funzionalizzato  alla  tutela  delle  attribuzioni  dei  poteri dello
Stato,  non  certo  dei  singoli  loro componenti, sicche' le vicende
personali di costoro non inciderebbero minimamente sul vulnus inferto
alle  loro  prerogative,  ne' sull'interesse a restaurare il corretto
rapporto tra i poteri.
    La  Camera  esclude altresi' che il conflitto sia stato impiegato
per   contestare  il  modo  in  cui  l'autorita'  giurisdizionale  ha
conformato   il   diritto   di   difesa   nel   singolo  procedimento
giurisdizionale. Al riguardo, la ricorrente osserva che la Corte, con
la  sentenza  n. 225  del 2001, avrebbe definitivamente chiarito che,
mentre  per  quanto  riguarda  un singolo parlamentare, «le posizioni
giuridiche  protette nella sua qualita' di imputato ... e i correlati
diritti  di  impugnazione e di difesa, restano sempre suscettibili di
essere  fatti  valere  con  gli  ordinari  strumenti processuali», le
prerogative  della  Camera  di  appartenenza,  invece, possono essere
salvaguardate  solo  con  lo  strumento  del ricorso per conflitto di
attribuzione.
    Priva di rilievo sarebbe infine l'eccezione che fa leva sul fatto
che   «l'on.   Matacena   ha   regolarmente   partecipato  ai  lavori
parlamentari   svoltisi   in  data  16 novembre  1998».  Anche  nella
fattispecie  scrutinata  con  la sentenza n. 225 del 2001, invero, il
parlamentare  destinatario  del  provvedimento  giudiziale  impugnato
dalla  Camera  aveva  partecipato  ai  lavori  parlamentari  anziche'
all'udienza penale, ma tale scelta e' stata considerata irrilevante.
    Nel  merito, la Camera ricorrente richiama la sentenza n. 225 del
2001   ed   afferma  che  tale  pronuncia  «costituisce  un  puntuale
precedente  in  termini,  dal  quale  l'esigenza  di accoglimento del
ricorso  esce  decisivamente  rafforzata».  Ribadisce  inoltre che la
Corte  di  assise  avrebbe  operato  una  distinzione  tra  votazioni
meritevoli  e  votazioni non meritevoli di determinare un impedimento
assoluto.  L'ordinanza  da  cui e' sorto il conflitto avrebbe infatti
inteso  richiedere  al  parlamentare  di  provare  se  alla Camera si
tenessero  votazioni  (ovvero,  fossero previste non meglio precisate
«interpellazioni»)   alle   quali   fosse   indispensabile   che   il
parlamentare  medesimo  partecipasse, con cio' dando per scontato che
potessero   e   possano   darsene   di   altre,  per  le  quali  tale
indispensabilita' non ricorra. Il che sarebbe non soltanto errato, ma
anche lesivo delle prerogative costituzionali della ricorrente Camera
dei deputati.
    In  ogni  caso,  alla  luce  della  sentenza  n. 225 del 2001, il
giudice  e'  tenuto  a valutare l'assolutezza o meno dell'impedimento
derivante  dai  lavori  parlamentari  quale  che  sia il contenuto di
questi,  poiche'  e'  arduo  operare  una  netta «distinzione ... fra
diversi  aspetti dell'attivita' del parlamentare, tutti riconducibili
egualmente  ai  suoi  diritti  e  doveri funzionali». Fermo restando,
dunque,  che per la ricorrente Camera dei deputati solo la previsione
di   votazioni   dovrebbe   determinare  sempre  l'insorgenza  di  un
impedimento  assoluto  a  partecipare ad udienze giudiziarie, sarebbe
comunque (ed almeno) dovere del giudice procedente valutare sempre la
natura  dell'impedimento,  tanto piu' che il generale dovere di leale
cooperazione  tra  soggetti  istituzionali  avrebbe dovuto indurre il
giudice  procedente  ad  accertare  quali lavori parlamentari fossero
previsti, in concreto, per il 16 novembre 1998.
    5.2. - Anche il Senato della Repubblica replica alle eccezioni di
inammissibilita'   sollevate  dalla  Corte  d'assise,  escludendo  in
particolare   che  la  Camera,  attraverso  l'atto  introduttivo  del
presente  giudizio,  abbia  utilizzato  il  conflitto di attribuzione
semplicemente  per  richiedere  alla  Corte  di  correggere l'erronea
applicazione  da  parte del giudice ordinario delle norme processuali
sul  legittimo  impedimento a comparire alle udienze, giacche' con il
ricorso   della   Camera   si   chiede   in   realta'  l'accertamento
dell'interferenza   nelle   attribuzioni  costituzionali  del  potere
ricorrente  derivata  dall'ordinanza  della Corte di assise di Reggio
Calabria.  Del  resto,  anche questa Corte, nella sentenza n. 225 del
2001,  avrebbe  pienamente  condiviso questa impostazione, sindacando
l'atto emanato dal potere giurisdizionale solo attraverso elementi di
carattere   estrinseco,   relativi  non  al  merito  della  decisione
adottata,  ma  piuttosto  al  corretto esercizio del potere spettante
all'autorita'  giudiziaria, secondo lo schema tipico dei conflitti da
menomazione   o   da  interferenza.  Le  censure  mosse  dal  giudice
costituzionale  alle  ordinanze  annullate nella richiamata pronuncia
risultano  chiaramente finalizzate, in via esclusiva, ad accertare la
sussistenza  della lamentata compressione della sfera di potere delle
due  Camere  e  non hanno affatto lo scopo di sanzionare un errore di
interpretazione della legge.
    Nel  merito - richiamati i principi che questa Corte ha enunciato
nella  sentenza n. 225 del 2001 - il Senato della Repubblica sostiene
che  la  Corte  di  assise, anziche' seguire un equilibrato uso degli
strumenti  di  leale  coordinamento,  che permettono di stabilire una
corretta  relazione  tra  le  sfere di autonomia costituzionale della
giurisdizione  e  del  Parlamento,  avrebbe provocato direttamente la
lesione delle attribuzioni costituzionali della Camera ricorrente.
    In  primo luogo, perche' la scarna motivazione della decisione di
non   giustificare   l'assenza   del  deputato  Matacena  all'udienza
presupporrebbe    erroneamente   una   distinzione   tra   «attivita'
parlamentari  a  presenza indispensabile» e «attivita' parlamentari a
presenza non indispensabile».
    In  secondo  luogo,  perche'  il  comportamento  complessivo  del
giudice  di  Reggio  Calabria  non  risulterebbe propriamente leale e
collaborativo.   In   una   breve  camera  di  consiglio  e  con  una
formalistica, quasi laconica, motivazione dell'ordinanza, la Corte di
assise  si e' limitata a considerare il dato meramente testuale della
mancata  specificazione  del  telegramma inviato dal Presidente della
Camera.  Sono  elementi  che  renderebbero  evidenti,  da un lato, la
sostanza  di  una  decisione  volta  a  salvaguardare  interamente  e
pregiudizialmente  i  valori  costituzionali  collegati all'esercizio
della  giurisdizione  e  a  sacrificare  -  altrettanto interamente e
pregiudizialmente  -  i  valori attinenti alle funzioni parlamentari;
dall'altro,  la  totale negazione della stessa materiale possibilita'
di   ricercare  il  necessario  coordinamento  con  la  posizione  di
autonomia  costituzionale  del Parlamento, attraverso, ad esempio, la
diretta  consultazione  del  calendario dei lavori della Camera (come
noto,  disponibile  in  rete),  oppure  l'attivazione  di un contatto
diretto   con   la   Presidenza  dell'organo  che  aveva  inviato  il
telegramma.
    Ne',  al  riguardo, potrebbe sostenersi che l'onere di provare la
sussistenza  delle  circostanze  che  costituiscono  valida  causa di
giustificazione  dell'assenza  incombe  sull'imputato e che dunque il
giudice sarebbe tenuto a decidere esclusivamente sulla base di quanto
risulti  dagli  atti di causa. Tale assunto - si osserva - puo' forse
valere  per  le  ipotesi in cui non vengano in questione interferenze
tra  la  funzione giurisdizionale e le attribuzioni costituzionali di
altri poteri dello Stato; ma non puo' certamente valere quando queste
interferenze vi siano, giacche' in queste ipotesi sul giudice incombe
il   preciso   obbligo   di  assicurare  (anche,  evidentemente,  con
l'adozione  di  proprie  autonome  iniziative)  il  corretto  e leale
contemperamento di tutte le esigenze costituzionali.
    Infine, la lesione delle attribuzioni costituzionali della Camera
ricorrente  ad opera della Corte di assise di Reggio Calabria sarebbe
resa palese dal fatto che il giudice non avrebbe mostrato di prendere
in considerazione alcuna soluzione alternativa idonea a consentire il
corretto  bilanciamento  tra le attribuzioni costituzionali in gioco,
ne'  avrebbe  sentito il bisogno di motivare in alcun modo la propria
decisione  in  ordine  all'impraticabilita' di una qualunque forma di
contemperamento  che  fosse  in grado di evitare il sacrificio totale
delle esigenze parlamentari.

                       Considerato in diritto

    1. - Il  ricorso  per conflitto di attribuzioni e' stato proposto
dalla  Camera  dei deputati, con atto depositato il 14 novembre 2000,
contro  la  Corte  d'assise  di  primo  grado  di Reggio Calabria, in
relazione   all'ordinanza   da  questa  emessa  il  16 novembre  1998
nell'ambito  del  processo  nei confronti di Amedeo Gennaro Matacena,
all'epoca componente della Camera dei deputati.
    Alla  prima udienza del processo, che in seguito e' stato riunito
con  altro  pendente nei confronti di diversi imputati, la difesa del
deputato  Matacena  chiedeva  di giustificare l'assenza del medesimo,
producendo  un telegramma del Presidente della Camera dei deputati in
cui,  in  relazione al processo in questione, fissato presso la Corte
d'assise   di  Reggio  Calabria  per  lunedi'  16 novembre  1998,  si
comunicava che in detta data erano «previsti lavori parlamentari». La
Corte  decideva  nel  modo  seguente:  «Ritenuto  che  l'imputato  ha
giustificato  la  propria assenza adducendo la concomitanza di lavori
parlamentari,  atteso  che  non  appare  specificato se esso Matacena
partecipera'  a  detti  lavori  o  se  la  sua presenza per eventuali
votazioni  o  interpellazioni  prenotate  sia  oggi indispensabile in
Parlamento, (...) attesa la genericita' delle giustificazioni addotte
non  le  ritiene  fondate, conseguentemente essendo stata la notifica
del  decreto  che  dispone  il  giudizio  regolarmente effettuata, ed
essendo    il    Matacena   oggi   assente   non   adducendo   valide
giustificazioni, ne dichiara la contumacia».
    La Camera ricorrente, premesso di ritenere doversi considerare in
ogni  caso  assoluto l'impedimento del parlamentare imputato solo nel
caso  -  verificatosi  nella specie - di concomitanza di votazioni in
assemblea, lamenta in primo luogo la violazione degli articoli 64, 68
e  72  della  Costituzione  in relazione alla lesione della autonomia
organizzativa  della  Camera  stessa  e  della  indipendenza dei suoi
membri;  in  secondo  luogo, la violazione dell'art. 64, terzo comma,
della   Costituzione   anche   in   riferimento   alle   altre  norme
costituzionali   che   prescrivono   speciali   maggioranze   per  le
deliberazioni   delle   Camere,   a   causa   dell'impedimento   alla
funzionalita'   del   Parlamento   che   discenderebbe  dall'ostacolo
frapposto  alla  partecipazione  del  parlamentare alle votazioni; in
terzo luogo, la violazione degli artt. 67 e 68 della Costituzione per
la  lesione  al  libero  esercizio  del  mandato parlamentare, che si
tradurrebbe  in  lesione  dell'autonomia  e  dell'indipendenza  della
Camera.  Lamenta ancora, infine, la mancanza, nell'atto impugnato, di
un   bilanciamento   fra   le   esigenze,   entrambe   di   rilevanza
costituzionale,   della   speditezza  del  processo  e  della  libera
esplicazione  del  mandato  parlamentare  nonche' della funzionalita'
delle   assemblee;   e   la   violazione   del   principio  di  leale
collaborazione.
    La  Camera chiede pertanto dichiararsi che «non spetta alla Corte
d'assise  di  primo  grado  di  Reggio  Calabria  stabilire  che  non
costituisce  impedimento  assoluto  alla  partecipazione del deputato
alle  udienze  penali,  e  percio' causa di giustificazione della sua
assenza,  il  diritto-dovere  del  deputato  di  assolvere il mandato
parlamentare  attraverso la partecipazione a votazioni in assemblea»,
e conseguentemente annullarsi l'ordinanza impugnata.
    2. - Il  ricorso  e' stato dichiarato ammissibile con l'ordinanza
n. 178  del  2001,  ed  e' stato in seguito regolarmente notificato e
depositato. Questa Corte ha disposto la notifica del ricorso anche al
Senato  della  Repubblica, che si e' a sua volta costituito chiedendo
che  la  Corte  riconosca  la  fondatezza  dei principi affermati nel
ricorso,  in  particolare del principio di leale collaborazione fra i
poteri  titolari  della  funzione giurisdizionale e i poteri titolari
della  funzione parlamentare, nella ipotesi in cui la presenza fisica
di  un  singolo  parlamentare sia necessaria al corretto esercizio di
entrambe  le  funzioni,  e  che  conseguentemente annulli l'ordinanza
impugnata.
    3. - Non  possono essere accolte le eccezioni di inammissibilita'
del ricorso, avanzate dalla difesa della resistente Corte d'assise di
primo grado di Reggio Calabria.
    Non   quella,  in  primo  luogo,  fondata  sulla  non  attualita'
dell'interesse  fatto  valere  dalla ricorrente in relazione al lungo
tempo  trascorso  (circa due anni) dall'emissione dell'atto impugnato
alla  proposizione  del  ricorso,  poiche',  in assenza di un termine
perentorio  per  la  proposizione  del  conflitto di attribuzioni fra
poteri,  non  puo'  escludersi, in linea di principio, la sussistenza
dell'interesse solo per il decorso del tempo.
    Ne'  puo'  condividersi  l'eccezione  di  carenza di interesse al
ricorso in ragione della duplice circostanza che il deputato Matacena
prese  parte,  nel  giorno  indicato, alla seduta della Camera e alle
votazioni  in  essa  indette,  e  che  egli non e' piu', attualmente,
membro  della  Camera,  non  essendo  stato  rieletto  nella presente
legislatura.   Infatti,   per   quanto  riguarda  il  primo  aspetto,
l'eventuale  lesione  delle attribuzioni della Camera puo' sussistere
anche  indipendentemente  dalla effettiva partecipazione del deputato
ai lavori dell'assemblea; quanto al secondo aspetto, la lesione delle
attribuzioni della Camera, che si fosse verificata, non verrebbe meno
per  il  solo  fatto  che, successivamente, il parlamentare non venga
rieletto.
    Nemmeno,  infine,  puo'  condividersi  la tesi secondo cui non vi
sarebbe  materia  di  un  conflitto  quando  si  controverta sul modo
concreto  in  cui  l'autorita' giudiziaria ha conformato «il concreto
atteggiarsi  del  diritto di difesa nei procedimenti che si svolgono»
innanzi  ad essa, poiche', se da un lato il singolo parlamentare puo'
far  valere  nel  processo le eventuali violazioni del suo diritto di
difesa,  non e' escluso che una pronuncia dell'autorita' giudiziaria,
in  ragione  del  suo  specifico  contenuto  o della sua motivazione,
risulti  lesiva  delle  attribuzioni costituzionali del Parlamento, e
come   tale   sia   suscettibile   di   dar  luogo  ad  un  conflitto
costituzionale.
    4. - Nel  merito,  il  ricorso  e'  fondato  nei  termini  di cui
appresso.
    I  principi  di ordine costituzionale che connotano la materia in
questione  sono  stati  individuati  da  questa  Corte nella sentenza
n. 225  del  2001,  in  termini  che  debbono  qui essere interamente
confermati.
    Secondo  tali  principi,  «la  posizione  dell'imputato,  che sia
membro  del  Parlamento,  di fronte alla giurisdizione penale ( ... )
non  e'  assistita  da  speciali  garanzie  costituzionali diverse da
quelle   stabilite»   dall'art. 68,  primo  e  secondo  comma,  della
Costituzione,  onde  al di fuori delle ipotesi ivi stabilite «trovano
applicazione,  nei  confronti dell'imputato parlamentare, le generali
regole del processo, assistite dalle correlative sanzioni, e soggette
nella  loro  applicazione  agli  ordinari rimedi processuali». Non e'
compito   di   questa   Corte,   ma   dei   competenti  organi  della
giurisdizione,  interpretare  e  applicare  le  regole processuali, e
nemmeno  dunque  «stabilire  se  e  in  che  limiti  gli  impedimenti
legittimi  derivanti  (  ... ) dalla sussistenza di doveri funzionali
relativi  ad attivita' di cui sia titolare l'imputato, rivestano tale
carattere  di  assolutezza  da  dover  essere  equiparati, secondo il
dettato  dell'art. 486  del  codice  di  procedura penale, a cause di
forza  maggiore».  Non  v'e'  dunque  luogo  ad  individuare  «regole
speciali,  derogatorie  del  diritto  comune»,  e nemmeno, quindi, la
regola  che la Camera dei deputati vorrebbe fosse introdotta, per cui
costituirebbe   impedimento  assoluto  solo  quello  derivante  dalla
necessita'  dell'imputato di prendere parte a votazioni in assemblea:
il  che  significherebbe  introdurre  una  distinzione  «fra  diversi
aspetti   dell'attivita'   del   parlamentare,   tutti  riconducibili
egualmente  ai  suoi  diritti  e  doveri  funzionali»,  non potendosi
inoltre «escludere che l'esigenza di indire votazioni insorga in ogni
momento  nel  corso  delle  attivita'  delle  assemblee parlamentari,
indipendentemente dalla preventiva programmazione dei lavori».
    Tuttavia   l'autorita'   giudiziaria,  come  ogni  altro  potere,
«allorquando  agisce nel campo suo proprio e nell'esercizio delle sue
competenze»,   deve  tener  conto  «non  solo  delle  esigenze  delle
attivita'   di   propria   pertinenza,   ma  anche  degli  interessi,
costituzionalmente   tutelati,   di  altri  poteri,  che  vengano  in
considerazione  ai  fini  dell'applicazione  delle  regole comuni», e
cosi'  «ai  fini  dell'apprezzamento  degli  impedimenti invocati per
chiedere  il  rinvio  dell'udienza»  (tutte  le citazioni sono tratte
dalla  sentenza n. 225 del 2001). Pertanto il giudice non puo', al di
fuori  di  un ragionevole bilanciamento fra le due esigenze, entrambe
di  valore  costituzionale,  della  speditezza  del  processo e della
integrita'  funzionale  del  Parlamento, far prevalere solo la prima,
ignorando totalmente la seconda.
    5. - Nella  specie,  la  Corte  d'assise di primo grado di Reggio
Calabria non ha rispettato tali principi.
    Di  fronte alla allegazione di un impedimento, accompagnata da un
telegramma  del  Presidente  della Camera dei deputati, che attestava
inequivocabilmente  la  concomitanza  di  «lavori parlamentari» nella
stessa  data,  l'autorita'  giudicante (che si trovava a celebrare la
prima  udienza  del  processo)  non  ha operato alcuna valutazione in
concreto atta a confrontare o bilanciare l'interesse del processo con
l'interesse  della  Camera  alla partecipazione del suo componente ai
lavori  in  programma, o a rendere compatibili le due esigenze, ma si
e'  limitata  a  osservare  che  non  sarebbe stato specificato se il
deputato  avrebbe  effettivamente  partecipato  ai lavori o se la sua
presenza fosse «indispensabile in Parlamento».
    Essa  non  ha  dunque adeguatamente valutato, in correlazione con
l'interesse   del   processo,   quello   a  non  privare  l'assemblea
parlamentare   della   partecipazione  del  suo  componente,  il  cui
diritto-dovere  di  prendere  parte  ai  lavori sussiste, in linea di
principio,  rispetto  ad ogni attivita' della Camera di appartenenza:
con cio' ha leso le attribuzioni costituzionali della ricorrente.
    Alla  constatazione dell'avvenuta lesione consegue l'annullamento
del  provvedimento  impugnato,  fermo  restando  che  spettera'  alle
competenti   autorita'   giurisdizionali   investite   del   processo
(essendosi  questo nel frattempo concluso in primo grado) valutare le
eventuali conseguenze di tale annullamento sul piano processuale.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    a) dichiara,  in  accoglimento  del  ricorso in epigrafe, che non
spettava alla Corte d'assise di primo grado di Reggio Calabria, senza
una  valutazione  del  caso  concreto  che  tenesse  conto, oltre che
dell'interesse  alla  speditezza  del  processo, dell'interesse della
Camera  dei  deputati  alla  partecipazione  del  suo componente allo
svolgimento   delle   attivita'  parlamentari,  negare  la  validita'
dell'impedimento addotto a giustificazione dell'assenza dell'imputato
componente della Camera medesima; e conseguentemente
    b) annulla  l'impugnata  ordinanza  16 novembre  1998 della Corte
d'assise di primo grado di Reggio Calabria.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 3 luglio 2003.
                       Il Presidente: Chieppa
                         Il redattore: Onida
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 22 luglio 2003.
               Il direttore della cancelleria:Di Paola
03C0860