N. 274 SENTENZA 8 - 24 luglio 2003

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale.

Ricorso dello Stato - Impugnazione di legge regionale - Parametri del
  giudizio  -  Deduzione  di  parametri non riguardanti il riparto di
  competenze legislative tra Stato e Regione - Ammissibilita'.
- Costituzione,  artt. 3,  51, 81, 97, 117, 127, 5 e 120; legge cost.
  18 ottobre 2001, n. 3; legge cost. 9 febbraio 1948, n. 1, art. 2.
Ricorso  dello Stato - Impugnazione di legge della Regione Sardegna -
  Eccezione  di inammissibilita' basata sulla mancata indicazione del
  limite violato - Reiezione.
Ricorso  dello Stato - Impugnazione di legge regionale della Sardegna
  -   Generica   qualificazione  delle  norme  violate  quali  «norme
  fondamentali   di   riforme   economico-sociali»   -  Eccezione  di
  inammissibilita' - Rigetto.
Ricorso  dello  Stato  - Eccepita inammissibilita' sull'assunto della
  sopravvenuta abrogazione delle norme interposte - Reiezione.
Regione Sardegna - Personale regionale - Norme sugli inquadramenti in
  organico  -  Copertura degli oneri finanziari - Ritenuta necessita'
  di    verifica    -   Genericita'   della   censura   -   Manifesta
  inammissibilita' della questione.
- Legge della Regione Sardegna 8 luglio 2002, n. 11, art. 3, comma 5.
- Costituzione, art. 81.
Regione Sardegna - Personale regionale - Norme sugli inquadramenti in
  organico   -   Inquadramenti   di   soggetti  impiegati  in  lavori
  socialmente  utili  o  assunti  a  tempo  determinato - Ricorso del
  Presidente  del  Consiglio  dei ministri - Assunta inosservanza del
  limite statutario costituito dalle norme fondamentali delle riforme
  economico-sociali  della  Repubblica  -  Inoperativita' del limite,
  alla  luce  del  nuovo assetto operato dalla riforma costituzionale
  del titolo V - Non fondatezza della questione.
- Legge della Regione Sardegna 8 luglio 2002, n. 11, art. 3.
- Statuto   Regione   Sardegna,   art. 3,  lettera a);  Costituzione,
  art. 117; legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3, art. 10.
Regione Sardegna - Personale regionale - Norme sugli inquadramenti in
  organico   -   Inquadramenti   di   soggetti  impiegati  in  lavori
  socialmente  utili  o  assunti  a  tempo  determinato - Ricorso del
  Presidente   del   Consiglio   dei   ministri   Prospettata  deroga
  ingiustificata  alla  regola  del  pubblico  concorso per l'accesso
  nella pubblica amministrazione - Non fondatezza della questione.
- Legge della Regione Sardegna 8 luglio 2002, n. 11, art. 3.
- Costituzione, artt. 3, primo comma, e 97, primo e terzo comma.
Regione Sardegna - Personale regionale - Norme sugli inquadramenti in
  organico  -  Accesso  alla  dirigenza  - Deroga ingiustificata alla
  regola  del  concorso  pubblico  -  Illegittimita' costituzionale -
  Assorbimento di altri profili di censura.
- Legge   della   Regione  Sardegna 8  luglio  2002,  n. 11,  art. 4,
  lettere b), d) e).
- Costituzione, art. 97, primo e terzo comma.
(GU n.30 del 30-7-2003 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Riccardo CHIEPPA;
  Giudici:  Gustavo  ZAGREBELSKY,  Valerio  ONIDA,  Carlo MEZZANOTTE,
Fernanda   CONTRI,  Guido  NEPPI  MODONA,  Piero  Alberto  CAPOTOSTI,
Annibale   MARINI,  Franco  BILE,  Giovanni  Maria  FLICK,  Francesco
AMIRANTE,  Ugo  DE  SIERVO, Romano VACCARELLA, Paolo MADDALENA, Alfio
FINOCCHIARO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  degli articoli 3 e 4
della  legge della regione Sardegna 8 luglio 2002, n. 11 (Norme varie
in  materia  di  personale  regionale  e  modifiche  alla  legge reg.
13 novembre  1998,  n. 31),  promosso  con ricorso del Presidente del
Consiglio  dei  ministri, notificato il 17 settembre 2002, depositato
in cancelleria il 27 settembre 2002 ed iscritto al n. 60 del registro
ricorsi 2002.
    Visto l'atto di costituzione della regione Sardegna;
    Udito nell'udienza pubblica del 6 maggio 2003 il giudice relatore
Franco Bile;
    Uditi  l'avvocato  dello  Stato Giorgio D'Amato per il Presidente
del  Consiglio  dei  ministri  e  l'avvocato  Sergio  Panunzio per la
regione Sardegna.

                          Ritenuto in fatto

    1. - Con  il  ricorso in epigrafe il Presidente del Consiglio dei
ministri  ha  impugnato  in  via  principale gli articoli 3 e 4 della
legge  della  regione  Sardegna  8 luglio 2002, n. 11 (Norme varie in
materia    di    personale   regionale   e   modifiche   alla   legge
reg. 13 novembre  1998,  n. 31),  assumendo  che  essi  sarebbero  in
contrasto  con  gli articoli 3, primo comma, 97, primo e terzo comma,
51, primo comma, ed 81 della Costituzione, nonche' con l'art. 3 della
legge  costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la
Sardegna),   sotto  il  profilo  dell'inosservanza  dei  limiti  alle
competenze legislative della regione, desumibili:
        a) per  quanto  riguarda l'art. 3, dall'art. 12, comma 4, del
decreto   legislativo   1° dicembre  1997,  n. 468  (Revisione  della
disciplina  dei  lavori socialmente utili, a norma dell'art. 22 della
legge 24 giugno 1997, n. 196);
        b) e,  per  quel  che  concerne  l'art. 4,  dagli articoli 1,
comma 3,  e  28,  comma 1,  del  decreto legislativo 3 febbraio 1993,
n. 29  (Razionalizzazione  dell'organizzazione  delle amministrazioni
pubbliche  e  revisione  della  disciplina  in  materia  di  pubblico
impiego,  a  norma dell'art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421) e
dall'art. 51  della  legge  8 giugno 1990,  n. 142 (Ordinamento delle
autonomie locali).
    Il  ricorrente,  in  via  preliminare,  osserva  che questa Corte
(particolarmente  nelle  sentenze n. 1 del 1999 e n. 194 del 2002) ha
piu'  volte  ritenuto in contrasto con gli articoli 3, primo comma, e
97,   primo   e  terzo  comma,  della  Costituzione  le  disposizioni
legislative,  le  quali,  mediante riserve di posti od altrimenti, in
concreto  escludano o gravemente limitino l'effettivita' della regola
del  concorso  «aperto»  ad esterni per l'accesso agli impieghi nelle
amministrazioni pubbliche, in quanto le procedure concorsuali, quando
non    distorte    e    non   marginalizzate,   appaiono   funzionali
all'assicurazione   del   valore   costituzionale  della  parita'  di
trattamento  e  dell'eguaglianza  tra  piu'  soggetti aspiranti ad un
provvedimento  lato  sensu  concessorio  e di quello dell'efficienza,
imparzialita' e buon andamento dell'amministrazione.
    2. - Dopo  questa  premessa,  il  ricorrente  illustra  la  prima
censura, rilevando:
        a) che  il  citato  art. 3 della legge regionale ha previsto,
nel  comma 1, l'immissione nei «ruoli organici», dei soggetti addetti
a  lavori  socialmente  utili  operanti  alla data del 23 luglio 2002
presso  l'amministrazione  e  gli  enti  regionali e, nel comma 2, di
dipendenti  assunti  a  termine od a tempo determinato ed in servizio
alla anzidetta data;
        b) che tali inquadramenti dovrebbero avvenire «nei limiti dei
posti  che risulteranno vacanti a conclusione delle selezioni interne
previste dall'art. 2» della stessa legge per il personale dipendente,
ossia  con  riguardo  a  quel  50%  dei posti vacanti per il quale si
sarebbero  dovuti  -  se  non  fosse intervenuta la norma censurata -
bandire concorsi non riservati;
        c) che  in  tal  modo  si  assicurerebbe ai beneficiari della
«progressione   verticale»  mediante  le  «selezioni  interne»  anche
l'ulteriore  vantaggio  di  un  blocco  dei concorsi (e quindi di non
avere  in  anni  futuri  l'effettiva  concorrenza di elementi giovani
provenienti da concorsi «aperti»).
    Senonche',  pur  essendo la riduzione del numero degli addetti ai
lavori  socialmente  utili un obiettivo meritevole di considerazione,
esso  non  potrebbe,  pero',  essere  perseguito,  oltre  che in modo
casuale  (posto  che  ne  beneficerebbero  coloro  che  si trovano ad
operare  per  la regione), a scapito dell'effettivita' dei menzionati
parametri costituzionali.
    D'altro  canto,  il  legislatore statale, con l'art. 12, comma 4,
del  decreto  legislativo n. 468 del 1997, a suo tempo recepito dallo
stesso  legislatore sardo (art. 1, comma 1, della legge della regione
Sardegna 1° agosto  2000,  n. 16 «Provvedimenti relativi al personale
impiegato  dall'amministrazione  regionale e dagli enti regionali nei
lavori  socialmente  utili  e nei progetti-obiettivo e disciplina dei
compensi  spettanti  agli amministratori del fondo per l'integrazione
del  trattamento  di  quiescenza,  di  previdenza e di assistenza del
personale dipendente dall'amministrazione regionale») avrebbe fissato
un  limite  quantitativo,  cioe' una quota del 30%, per la riserva di
posti a favore degli addetti ai lavori in questione, e, quindi, anche
il  limite  massimo  di  comprimibilita' - in via eccezionale - degli
indicati valori costituzionali.
    Inoltre,  anche se la stabilizzazione di parte dei dipendenti non
a   tempo   indeterminato  potrebbe,  forse,  essere  considerata  un
obiettivo  da  tenere in considerazione, tuttavia, a pena di elusione
di  quei valori, non potrebbero legittimarsi «pratiche "non-virtuose"
(ed  anche  sovente  espressamente  vietate  dall'ordinamento)» e non
potrebbero   «esonerarsi   i   dipendenti  temporanei  dall'onere  di
competere con "esterni" in normali procedure concorsuali».
    D'altronde,  le  proroghe  dei  rapporti  del personale assunto a
termine e dei lavoratori addetti a lavori socialmente utili, disposte
dall'art. 2,  comma 2,  della  legge della regione Sardegna n. 16 del
2000,    dall'art. 1,    comma 1,    delle    legge   della   regione
Sardegna 13 agosto  2001,  n. 13  (Proroga  per un ulteriore periodo,
dell'utilizzazione  del  personale  impiegato  dall'amministrazione e
dagli  enti regionali nei progetti-obiettivo e nei lavori socialmente
utili)  ed  -  ora  -  dall'art. 3, comma 4, della legge in esame non
potrebbero  essere  ritenute produttive di «affidamenti» suscettibili
di consolidarsi malgrado opposte indicazioni costituzionali.
    Infine,   viene   rilevato   come   l'art. 3,   comma 2,  neppure
distinguerebbe  tra  dipendenti,  a  seconda delle «qualifiche per le
quali  erano  state  indette le selezioni o effettuato l'accertamento
dell'idoneita»;  e  che il comma 5 dell'art. 3 sarebbe illegittimo in
riferimento  «all'art. 81  Cost.  ed al patto di stabilita' interna»,
giacche'   «la  previsione  di  spesa  "a  regime"»  meriterebbe  una
verifica.
    3. - Quanto  alla  censura  relativa  all'art. 4,  il  ricorrente
lamenta che esso ha introdotto modifiche all'art. 77 rubricato «prima
costituzione  della  dirigenza»  della  legge  della regione Sardegna
13 novembre   1998,  n. 31  (Disciplina  del  personale  regionale  e
dell'organizzazione  e degli uffici della regione), ed in particolare
che:
        aa)  modificandone  il  comma 2,  ha «attribuito» - ope legis
anche se in sede di prima applicazione della legge - «la qualifica di
dirigente»  a  dipendenti  in  possesso  (oltre che dell'anzianita' e
dell'appartenenza alle «fasce» ivi indicate) del diploma di laurea;
        bb)  aggiungendovi  [art. 4,  lett. b)]  il  comma 2-bis,  ha
aperto  anche a dipendenti non laureati l'accesso senza concorso alla
dirigenza,  posto  che tale norma non sarebbe di significato univoco,
laddove  recita  che  «hanno  comunque  titolo all'attribuzione della
qualifica»  anziche'  che  «e'  attribuita  la qualifica» ed inoltre,
sarebbe   contraddetto   dal  comma 7  del  citato  art. 77,  rimasto
invariato;
        cc)  modificandone  [art. 4  lett.  d)]  i  commi 5  e  9, ha
aumentato  la  gia'  troppo  elevata  quota  (75 per cento) dei posti
«rimasti»   vacanti   nella   dotazione   della  dirigenza  dopo  gli
inquadramenti  di  cui ai commi 1 e 2, riservata al concorso interno,
al 90 per cento;
        dd)  abrogandone  [art. 4  lett.  e)]  il  comma 10,  ove,  -
ancorche'  in  coda  alle procedure di «attribuzione» ope legis della
qualifica  di  dirigente  ed  al  concorso  interno  -  era  prevista
l'indizione  di  concorsi  pubblici  per l'accesso alla dirigenza, ha
eliminato tale possibilita'.
    Secondo il ricorrente, l'insieme delle tre disposizioni contenute
nelle lettere b), d) ed e) dell'art. 4 contrasterebbe con gli evocati
parametri  costituzionali  e  con  le  indicate  norme interposte, in
quanto  l'accesso  alla qualifica di dirigente di ruolo deve avvenire
mediante  concorso  o  procedura selettiva di pari serieta', ai quali
potrebbero  essere  ammessi  soltanto  soggetti  muniti di laurea. La
riserva  di  posti  ai  concorsi  interni  non  potrebbe,  del resto,
assorbire la quasi totalita' delle vacanze, giacche' la dirigenza non
potrebbe  divenire,  per  il  cumulo  di  attribuzioni ope legis e di
concorsi   interni,  un'ulteriore  prosecuzione  della  «progressione
verticale»,  non  essendo  i concorsi o le procedure equipollenti per
l'accesso  alla  dirigenza  promozioni,  bensi'  - anche agli effetti
dell'art. 68,  comma 4,  del  citato  d.lgs.  n. 29 del 1992 [rectius
1993] - procedure per l'assunzione.
    4. - Si   e'   costituita   in   giudizio  la  Regione  Sardegna,
depositando   memoria,   nella  quale  preliminarmente  ha  sostenuto
l'inammissibilita'  della  censura  di  violazione  dell'art. 3 della
legge  costituzionale  n. 3  del  1948, in quanto non sarebbero stati
individuati quali fra i limiti da tale norma indicati sarebbero stati
violati.
    In  secondo  luogo,  ha ulteriormente eccepito l'inammissibilita'
del  ricorso,  assumendo  che  esso eccederebbe l'ambito entro cui il
Governo  e'  legittimato  ad  impugnare  le leggi regionali, per come
emerge   dall'art. 127   della   Costituzione,  nel  testo  novellato
dall'art. 8   della   legge   costituzionale  18 ottobre  2001,  n. 3
(Modifiche  al  titolo V della parte seconda della Costituzione), che
sarebbe  applicabile  -  anche  ai  sensi  dell'art. 10  della  legge
costituzionale  ora  citata - alle leggi della deducente, non essendo
piu' applicabile l'art. 33, comma 2, dello statuto.
    Il ricorso sarebbe, altresi', infondato nel merito.
    Infatti,  la  disciplina  delle  competenze legislative regionali
prevista  dallo  statuto  ed  in  particolare quella di cui al citato
art. 3,  comma 1,  pur  essendo  in  rapporto  di  specialita' con la
Costituzione,  non  sarebbe  rimasta  indifferente  alla  riforma del
Titolo  V,  nel  senso  che, in forza dell'art. 10 della citata legge
costituzionale  n. 3  del  2001,  non  sarebbero piu' opponibili alla
competenza  legislativa  esclusiva regionale i limiti originariamente
previsti dallo stesso art. 3, che non trovino piu' corrispondenza nel
nuovo  articolo 117,  primo  comma,  della  Costituzione.  Poiche' la
competenza  regionale esclusiva o residuale spettante alle Regioni ad
autonomia ordinaria in base al quarto comma dello stesso art. 117 non
incontrerebbe limiti nella legislazione statale, altrettanto dovrebbe
valere  per  la  competenza  esclusiva  della  Regione Sardegna nella
materia  dell'ordinamento  degli  uffici  e  dello stato giuridico ed
economico   dei  dipendenti  regionali.  Essa,  ormai,  incontrerebbe
soltanto  il  limite  (oltre  che  delle  norme costituzionali) degli
obblighi  internazionali  e  quello  dei vincoli comunitari (ex primo
comma  dell'art. 117),  ma  non piu' quello delle «norme fondamentali
delle    riforme    economico-sociali»   e   quello   dei   «principi
dell'ordinamento  giuridico»  (che non abbiano rango costituzionale).
D'altro canto, il limite dei principi fondamentali della legislazione
statale concernerebbe solo la competenza legislativa concorrente.
    Un'ulteriore  subordinata ragione di infondatezza emergerebbe per
il fatto che l'art. 3 apporterebbe una deroga ragionevole e come tale
consentita  dallo  stesso  art. 97  Cost.  al principio del concorso,
concernendo  soggetti  che hanno stabilito da lungo tempo un rapporto
con  l'amministrazione in base a procedure selettive, mentre l'art. 4
sarebbe  oggetto di censure che impingono nel merito della scelta del
legislatore regionale e non sarebbero suscettibili di sindacato.
    5. - Nell'imminenza  della  pubblica  udienza  entrambe  le parti
hanno depositato memorie illustrative.
    5.1. - Il   Presidente   del   Consiglio   dei  ministri  replica
preliminarmente   all'eccezione   di   inammissibilita'  del  ricorso
prospettata  dalla  Regione con riferimento alla non deducibilita' da
parte  dello  Stato con il ricorso in via principale della violazione
di qualsiasi norma costituzionale, assumendo che questa Corte avrebbe
disatteso  tale interpretazione del nuovo art. 127 della Costituzione
nella sentenza n. 94 del 2003.
    Con  riguardo  all'eccezione circa il venir meno del limite delle
«norme  fondamentali di riforme economico-sociali», di cui all'art. 3
Cost.,  se  ne  argomenta  l'infondatezza,  in quanto l'art. 10 della
legge  cost.  n. 3 del 2001 consentirebbe soltanto di «applicare alle
Regioni  a  statuto  speciale "parti" della legge costituzionale», ma
non  di  «operare  "ritagli"  demolitori alle disposizioni, esse pure
costituzionali, recate dagli Statuti speciali ...».
    5.2. - A sua volta, la Regione Sardegna insiste nell'eccezione di
inammissibilita'  del  ricorso  con  riferimento  alla  deduzione  di
parametri   costituzionali   non   inerenti  la  delimitazione  della
competenza  legislativa regionale, in ragione della identica dignita'
costituzionale fra Stato e Regioni e, quindi, della pari collocazione
dei  rispettivi  atti  legislativi nel sistema delle fonti, a seguito
della riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione.
    La  memoria,  quindi,  insiste  sul  venir  meno  per la potesta'
legislativa  esclusiva  regionale - in forza dell'art. 10 della legge
costituzionale  n. 3  del  2001  -  del limite delle norme di riforme
economico-sociali,  che  non sarebbe piu' configurabile, in quanto la
sua  permanenza,  in  contrasto con detta norma, porrebbe la potesta'
legislativa  regionale  esclusiva  (come quelle delle altre Regioni e
Province  a statuto speciale) in una posizione di soggezione a limiti
molto piu' incisivi di quelli che incontrerebbe nel nuovo ordinamento
costituzionale  la  potesta'  legislativa  esclusiva  delle Regioni a
statuto ordinario.
    In  subordine,  la Regione sostiene che, qualora si desse rilievo
alla  circostanza che la potesta' legislativa esclusiva delle Regioni
e  Province  a  statuto  speciale  d'autonomia e' molto piu' ampia di
quella  riconosciuta  alle  Regioni  ordinarie  dal  nuovo  art. 117,
dovrebbe  escludersi  il  venir meno del suddetto limite soltanto con
riferimento  a  quelle  materie  di  competenza legislativa esclusiva
degli  enti  ad  autonomia  speciale,  che  non coincidono con quelle
attribuite   alla   competenza  esclusiva  delle  Regioni  a  statuto
ordinario  dal  nuovo  art. 117, quarto comma, Cost., ma non potrebbe
negarsi  che  esso  sia  almeno  venuto  meno  per  quelle materie di
competenza  esclusiva secondo gli statuti di autonomia speciale, che,
invece,  coincidono con quelle ora affidate alla competenza esclusiva
delle Regioni ordinarie.
    Poiche'  la  disciplina dell'ordinamento degli uffici regionali e
dello stato giuridico ed economico del relativo personale, in base al
nuovo   art. 117   deve  considerarsi  attribuita  alla  legislazione
esclusiva  delle  Regioni  ordinarie  ex quarto comma di detta norma,
sarebbe,   dunque,   palese  -  in  forza  di  questa  argomentazione
interpretativa    subordinata    -   l'insussistenza   nella   specie
dell'operare   del   limite  delle  «norme  fondamentali  di  riforme
economico-sociale».
    Nel  merito,  la  Regione  ribadisce  le argomentazioni svolte in
ordine   alla   infondatezza   delle  censure  mosse  alla  normativa
impugnata,  di  cui  analiticamente  riafferma  la  legittimita',  in
considerazione  (per quanto concerne l'art. 5) della sua coerenza con
la  legislazione  statale  in  tema  di ammortizzatori sociali e (con
riferimento  all'art. 4) della peculiarita' della situazione fattuale
alla quale il legislatore regionale ha dovuto porre rimedio.

                       Considerato in diritto

    1. - Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato in via
principale    gli   artt. 3   e   4   della   legge   della   Regione
Sardegna 8 luglio  2002,  n. 11  (Norme varie in materia di personale
regionale  e modifiche alla legge regionale 13 novembre 1998, n. 31),
per  contrasto con gli artt. 3, primo comma, 97, primo e terzo comma,
51,  primo  comma,  e 81 della Costituzione, nonche' con le «relative
norme  interposte  e  per  inosservanza  dei limiti posti dall'art. 3
della  legge  costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale
per la Sardegna) alle competenze legislative della Regione».
    1.1. - L'art. 3  autorizza l'amministrazione e gli enti regionali
ad  inquadrare  nei propri ruoli organici i soggetti impiegati presso
di  essi  in  lavori socialmente utili alla data di entrata in vigore
della  legge,  e i dipendenti assunti a termine o a tempo determinato
il  cui  rapporto  a  quella  data  sia in atto o sia stato prorogato
almeno  una  volta  (commi 1 e 2); limita tali inquadramenti ai posti
risultati  vacanti  a  conclusione  delle  selezioni interne previste
dall'art. 2 per la copertura del 50 per cento dei posti dell'organico
(comma 3); proroga fino a tale inquadramento i rapporti del personale
in  esame  (comma  4);  e prevede la copertura degli oneri finanziari
(comma 5).
    Secondo il ricorrente, siffatta immissione di personale nei ruoli
organici  si  risolve  in  una  deroga ingiustificata alla regola del
concorso   pubblico  per  l'accesso  agli  impieghi  nelle  pubbliche
amministrazioni,  posta  dall'art. 97  della  Costituzione;  e  viola
altresi'  la  legislazione  statale  in  tema  di  addetti  a  lavori
socialmente  utili, per i quali la riserva e' limitata al solo 30 per
cento   dei   posti   (art. 12,   comma 4,  del  decreto  legislativo
1° dicembre  1997,  n. 468,  Revisione  della  disciplina  dei lavori
socialmente  utili,  a norma dell'art. 22 della legge 24 giugno 1997,
n. 196).
    Infine   il   comma 5  dell'art. 3  e'  censurato  «con  riguardo
all'art. 81 della Costituzione ed al patto di stabilita' interna», in
quanto «la previsione di spesa "a regime" merita una verifica».
    1.2. - L'art. 4  introduce  una  serie  di  modifiche all'art. 77
della  legge  regionale 13 novembre 1998, n. 31 (poi modificato dalla
legge  n. 6  del  2000),  che  attribuiva  ope  legis la qualifica di
dirigente   al   personale   regionale  avente  qualifica  funzionale
dirigenziale   in   base  alla  legislazione  previgente  (comma  1);
prevedeva   poi   l'attribuzione   di  tale  qualifica,  con  decreto
dell'assessore  competente,  ai  dipendenti  laureati  inquadrati nel
ruolo  speciale  apicale,  con particolari requisiti di anzianita' di
servizio  e  di  esercizio delle funzioni (comma 2); disponeva infine
che,  dopo questi inquadramenti, il 75% dei posti di dirigente ancora
vacanti  sarebbe  stato  coperto  con  concorsi interni per titoli ed
esami  (commi  5  ss.), dopo i quali sarebbero stati indetti concorsi
pubblici (comma 10).
    Le  modifiche apportate a tali disposizioni - non impugnate dallo
Stato  -  dalle  lettere  b,  d  ed  e)  dell'art. 4, oggi censurato,
riguardano    rispettivamente    l'introduzione    nell'art. 77   del
comma 2-bis,  secondo  cui  «hanno  comunque titolo alla qualifica di
dirigente»  i  dipendenti  con determinati requisiti, fra i quali non
ricorre  la  laurea;  l'aumento  dal  75 al 90% della quota dei posti
dirigenziali,  rimasti  vacanti  dopo gli inquadramenti, riservata al
concorso interno; e l'abrogazione del comma 10 dell'art. 77, che (sia
pure  dopo l'espletamento delle procedure di cui ai commi precedenti)
prevedeva concorsi pubblici per l'accesso alla dirigenza.
    Secondo   il  ricorrente,  questa  normativa  contrasta  con  gli
artt. 3,   primo   comma,  97,  primo  e  terzo  comma,  e  51  della
Costituzione, integrati da norme interposte, quali l'art. 1, comma 3,
e  l'art. 28, comma 1, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29
(Razionalizzazione    dell'organizzazione    delle    amministrazioni
pubbliche  e  revisione  della  disciplina  in  materia  di  pubblico
impiego,  a  norma dell'art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421) e
l'art. 51  della  legge  8  giugno 1990,  n. 142  (Ordinamento  delle
autonomie  locali): questi parametri infatti - esigendo che l'accesso
alla  qualifica  di  dirigente  di  ruolo avvenga mediante concorso o
procedura  selettiva  di  pari  serieta',  aperti soltanto a soggetti
muniti  di  laurea - non consentono che si ricorra a concorsi interni
per  coprire  la  quasi  totalita'  delle vacanze, e che la dirigenza
divenga,  per  il  cumulo  di  attribuzioni  ope  legis e di concorsi
interni, un'ulteriore prosecuzione della «progressione verticale».
    2. - La   Regione   resistente   ha  sollevato  talune  eccezioni
preliminari di inammissibilita' del ricorso.
    2.1. - La  prima  di  esse  pone  il  problema  se - nell'assetto
derivato  dalla  riforma  del  titolo  V  della  seconda  parte della
Costituzione,  introdotta dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001,
n. 3  -  lo  Stato, impugnando in via principale una legge regionale,
possa  dedurre come parametro violato qualsiasi norma costituzionale,
ovvero   solo   quelle   concernenti   il  riparto  delle  competenze
legislative.
    Il  problema  e'  prospettato  in  quanto  il ricorso dello Stato
denuncia  la  violazione  non  solo  dell'art. 3  dello statuto della
Regione  Sardegna,  relativo  ai  limiti  della  potesta' legislativa
regionale,  ma  anche  degli artt. 3, 51, 81 e 97 della Costituzione,
che non riguardano direttamente tali limiti.
    Prima  della  ricordata  riforma  costituzionale, questa Corte, a
partire dalla sentenza n. 30 del 1959, aveva ritenuto che lo Stato, a
differenza  delle  Regioni,  fosse  legittimato  ad evocare qualsiasi
parametro   costituzionale,   pur  se  non  direttamente  relativo  a
delimitazioni di competenze.
    Questo  orientamento  si riconduceva alla differenza tra il testo
(originario)  dell'art. 127  della Costituzione e quello dell'art. 2,
comma 1,  della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 (Norme sui
giudizi   di   legittimita'   costituzionale   e  sulle  garanzie  di
indipendenza   della   Corte  costituzionale).  Infatti  il  primo  -
prevedendo  il  ricorso dello Stato contro la legge della regione che
«ecceda  la  competenza»  regionale  -  consentiva  di ravvisare tale
«eccesso» nel contrasto della legge impugnata con qualsiasi principio
costituzionale. Invece il secondo - relativo al ricorso della Regione
contro  la  legge dello Stato o di altra Regione che «invada la sfera
di  competenza»  della  ricorrente  - induceva a ritenere che potesse
essere  dedotta  solo  la  violazione  di parametri (costituzionali e
interposti)  incidenti,  direttamente  o  indirettamente, sul riparto
delle   competenze.   Era   evidente  l'asimmetria  fra  i  parametri
rispettivamente deducibili.
    Nel  nuovo testo dell'art. 127 della Costituzione, il primo comma
continua  a prevedere l'impugnazione da parte del Governo della legge
regionale  che «ecceda la competenza» della Regione. Il secondo comma
invece  concerne  l'impugnazione, da parte della Regione, della legge
dello  Stato  (o  di  altra  Regione)  che  «leda la sua [cioe' della
Regione  ricorrente]  sfera  di  competenza»,  cosi'  conservando  la
diversita'  rispetto alla disciplina del ricorso dello Stato, con una
formulazione  sostanzialmente simile a quella dell'art. 2 della legge
costituzionale n. 1 del 1948.
    Certamente  il  mero  dato testuale - gia' richiamato dalla Corte
nella  sentenza  n. 94  del  2003  -  non  e'  decisivo ai fini della
soluzione del problema, ben potendo una norma conservare nel tempo la
formulazione   originaria   e   tuttavia   consentire   una   diversa
interpretazione  in ragione del successivo mutamento del contesto nel
quale essa sia inserita.
    E  proprio  sul  piano  sistematico  si  e'  talora rilevato come
l'insieme  delle modifiche apportate dalla riforma costituzionale del
2001  al quadro complessivo dei rapporti fra Stato e Regioni porti ad
escludere  la  persistenza  della  ricordata  asimmetria.  In  questa
prospettiva  sono  apparsi  particolarmente rilevanti l'art. 114, che
pone  sullo  stesso  piano  lo  Stato  e  le  Regioni,  come  entita'
costitutive   della   Repubblica,  accanto  ai  comuni,  alle  Citta'
metropolitane  e  alle  Province; l'art. 117, che ribalta il criterio
prima  accolto,  elencando  specificamente  le competenze legislative
dello  Stato  e  fissando  una  clausola  residuale  in  favore delle
Regioni;  e  infine  l'art. 127, che configura il ricorso del Governo
contro le leggi regionali come successivo, e non piu' preventivo.
    Ma  -  ai  fini  di  individuare  il  contenuto  di  tale ricorso
governativo   -   e'   decisivo  rilevare  come,  nel  nuovo  assetto
costituzionale  scaturito  dalla  riforma,  allo Stato sia pur sempre
riservata,  nell'ordinamento generale della Repubblica, una posizione
peculiare desumibile non solo dalla proclamazione di principio di cui
all'art. 5  della Costituzione, ma anche dalla ripetuta evocazione di
un'istanza  unitaria,  manifestata  dal  richiamo  al  rispetto della
Costituzione,   nonche'   dei   vincoli   derivanti  dall'ordinamento
comunitario  e dagli obblighi internazionali, come limiti di tutte le
potesta'   legislative   (art. 117,  comma 1)  e  dal  riconoscimento
dell'esigenza   di   tutelare   l'unita'   giuridica   ed   economica
dell'ordinamento  stesso  (art. 120, comma 2). E tale istanza postula
necessariamente  che  nel  sistema  esista  un  soggetto  - lo Stato,
appunto - avente il compito di assicurarne il pieno soddisfacimento.
    Lo  stesso  art. 114  della Costituzione non comporta affatto una
totale equiparazione fra gli enti in esso indicati, che dispongono di
poteri  profondamente  diversi  tra  loro: basti considerare che solo
allo  Stato  spetta  il  potere  di  revisione costituzionale e che i
comuni,  le  Citta'  metropolitane  e  le Province (diverse da quelle
autonome) non hanno potesta' legislativa.
    In  conclusione,  pur dopo la riforma, lo Stato puo' impugnare in
via  principale  una  legge  regionale  deducendo  la  violazione  di
qualsiasi parametro costituzionale.
    2.2. - La Regione Sardegna ha eccepito poi l'inammissibilita' del
ricorso  sotto  il  profilo che esso non precisa in relazione a quale
parte dell'art. 3 dello statuto la legge impugnata abbia ecceduto dai
limiti  della  potesta'  legislativa  regionale e, in particolare, se
abbia  violato  «norme  fondamentali  delle riforme economico-sociali
della Repubblica».
    L'eccezione   non  e'  fondata,  perche'  -  malgrado  una  certa
genericita'  delle  censure  - da esse si ricava comunque la denuncia
del  mancato  rispetto di norme assunte come rientranti nell'indicata
categoria.
    Infatti, l'invocazione degli altri limiti di cui all'art. 3 dello
statuto  non sarebbe comprensibile, in ragione della loro estraneita'
rispetto  all'oggetto  della normativa impugnata, e d'altro canto - a
proposito  della questione relativa all'accesso alla dirigenza di cui
all'art. 4   -  il  ricorso  evoca  l'art. 1,  comma 3,  del  decreto
legislativo  n. 29  del  1993, il quale a sua volta richiama testi da
cui    sono    desumibili    principi    fondamentali    di   riforme
economico-sociali.
    2.3. - Anche  le  altre  eccezioni  di  inammissibilita' proposte
dalla Regione sono infondate.
    Quanto  al rilievo che lo Stato avrebbe genericamente qualificato
«norme fondamentali di riforme economico-sociali» quelle assunte come
violate,  e'  decisivo  che  -  spettando  a questa Corte valutare la
fondatezza   di   tale   qualificazione   -  l'eventuale  difetto  di
motivazione  del  ricorso  sul  punto non preclude l'esame del merito
della censura.
    Quanto  poi  alla  mancata considerazione da parte del ricorrente
della  gia'  intervenuta abrogazione, all'atto della proposizione del
ricorso,  di  alcune fra le norme evocate come interposte a proposito
dell'impugnato art. 4, la Regione non considera che il loro contenuto
risulta  in  sostanza  trasferito  in  altre disposizioni, pur se non
sempre  del  tutto coincidenti e talora modificate dalla legislazione
successiva.  Infatti  il  contenuto  degli  artt. 1  e 28 del decreto
legislativo  n. 29  del  1993  -  abrogati  dall'art. 72  del decreto
legislativo  30 marzo  2001,  n. 165 (Norme generali sull'ordinamento
del  lavoro  alle  dipendenze  delle  amministrazioni pubbliche) - e'
stato  trasfuso  negli  artt. 1  e 28 di tale decreto; e il contenuto
dell'art. 51  della  legge  8  giugno 1990, n. 142 (Ordinamento delle
autonomie  locali)  -  abrogato  dall'art. 274, lett. q), del decreto
legislativo   18 agosto   2000,   n. 267  (Testo  unico  delle  leggi
sull'ordinamento  degli  enti  locali)  -  e'  stato  trasfuso  negli
artt. 107 ss. del decreto stesso.
    3. - Passando   all'esame   delle   questioni   di   legittimita'
costituzionale  relative all'art. 3 della legge sarda n. 11 del 2002,
la censura di violazione dell'art. 81 della Costituzione (prospettata
in  relazione  al comma 5 della norma impugnata) e' inammissibile per
assoluta genericita'. La motivazione sulla non manifesta infondatezza
si   riduce   infatti  all'apodittico  richiamo  all'opportunita'  di
verificare  la  previsione  di  spesa,  in  riferimento  al «patto di
stabilita' interna».
    3.1. - Le altre questioni di legittimita' costituzionale relative
all'art. 3 della legge regionale non sono fondate.
    3.2. - Con  riferimento  alla  censura  di violazione dell'art. 3
dello  statuto  sardo,  la  Regione  ritiene  che  la recente riforma
costituzionale  abbia  fatto  venir meno - relativamente alle aree di
potesta'  legislativa  esclusiva  delle Regioni (e Province) autonome
coincidenti   con  aree  ora  attribuite  alla  potesta'  legislativa
esclusiva   («residuale»)   delle   Regioni  ordinarie  -  il  limite
costituito  dall'obbligo  (ove  previsto  dai  relativi statuti, come
appunto  quello  sardo)  di  rispettare  le  norme fondamentali delle
riforme economico-sociali della Repubblica.
    La tesi e' fondata.
    Infatti,  se  -  in  riferimento alle citate aree - il vincolo di
quel  limite  permanesse  pur  nel  nuovo  assetto costituzionale, la
potesta'  legislativa  esclusiva  delle Regioni (e Province) autonome
sarebbe  irragionevolmente  ristretta  entro  confini piu' angusti di
quelli  che  oggi  incontra la potesta' legislativa «residuale» delle
Regioni ordinarie.
    Per esse infatti - nelle materie di cui al quarto comma del nuovo
art. 117  della  Costituzione  -  valgono soltanto i limiti di cui al
primo   comma   dello   stesso  articolo  (e,  se  del  caso,  quelli
indirettamente  derivanti  dall'esercizio  da parte dello Stato della
potesta' legislativa esclusiva in «materie» suscettibili, per la loro
configurazione,  di  interferire  su  quelle  in  esame), onde devono
escludersi   ulteriori   limiti   derivanti  da  leggi  statali  gia'
qualificabili come norme fondamentali di riforma economico-sociale.
    Pertanto  - ai sensi dell'art. 10 della legge costituzionale n. 3
del  2001  -  la particolare «forma di autonomia» cosi' emergente dal
nuovo  art. 117  della Costituzione in favore delle Regioni ordinarie
si  applica  anche alle Regioni a statuto speciale, come la Sardegna,
ed  alle  Province autonome, in quanto «piu' ampia» rispetto a quelle
previste dai rispettivi statuti.
    Da   questa   ricostruzione   (pienamente  conforme  al  criterio
interpretativo enunciato dalla sentenza n. 103 del 2003) discende che
- essendo la materia dello stato giuridico ed economico del personale
della   Regione   Sardegna,   e   degli   enti  regionali,  riservata
dall'art. 3,  lett.  a),  dello  statuto  alla legislazione esclusiva
della Regione, ed essendo l'analoga materia, per le Regioni a statuto
ordinario,  riconducibile  al  quarto  comma  dell'art. 117 - la tesi
sostenuta  nel ricorso, secondo cui la legge regionale avrebbe dovuto
rispettare  le  disposizioni  statali  recanti  norme fondamentali di
riforme economico-sociali, non puo' essere accolta.
    3.3. - L'art. 3  della  legge regionale in esame non lede nemmeno
gli   artt. 3,  primo  comma,  e  97,  primo  e  terzo  comma,  della
Costituzione.
    La  giurisprudenza  di  questa  Corte ritiene che alla regola del
pubblico  concorso  -  quale  metodo che, per l'accesso alla pubblica
amministrazione,  offre  le  migliori  garanzie di selezione dei piu'
capaci,  in  funzione  dell'efficienza  della  stessa amministrazione
(art. 97,  comma 1,  della  Costituzione)  -  sia possibile apportare
deroghe  (come del resto ammette il terzo comma dell'art. 97) qualora
ricorrano particolari situazioni che le rendano non irragionevoli (da
ultimo, ordinanza n. 517 del 2002).
    Ai   fini  di  una  valutazione  di  non  irragionevolezza  della
disciplina  in  esame  e'  rilevante  considerare  come essa riguardi
l'inserimento  in  posti di ruolo di soggetti i quali si trovavano da
tempo,  nell'ambito  dell'amministrazione  regionale  (o  degli  enti
regionali),  in  una  posizione  di  precarieta', perche' assunti con
contratto a termine o con la particolare qualificazione connessa alla
figura   degli   addetti   a   lavori  socialmente  utili;  e  quindi
verosimilmente  avevano,  nella  precarieta',  acquisito l'esperienza
necessaria  a  far  ritenere  la stabilizzazione della loro posizione
funzionale  alle  esigenze  di  buon  andamento  dell'amministrazione
(art. 97, comma 1, della Costituzione).
    In  questo  senso  e'  significativo  che,  in  base  al  comma 3
dell'impugnato   art. 3,  all'inquadramento  nei  ruoli  consegua  la
stabilizzazione   in   posizioni   corrispondenti  al  profilo  delle
prestazioni espletate in via precaria.
    D'altronde  plurimi  indici  normativi  mostrano  come  anche  il
legislatore   statale   abbia   ritenuto   siffatta   stabilizzazione
meritevole   di   considerazione:  l'art. 78,  comma 6,  della  legge
23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale   e   pluriennale   dello  Stato.  Legge  finanziaria  2001),
modificato  da  ultimo  dall'art. 50  della  legge  27 dicembre 2002,
n. 289  (Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio  annuale  e
pluriennale  dello  Stato.  Legge finanziaria 2002), ha previsto, per
gli  anni 2001-2003, l'assunzione da parte delle Regioni di addetti a
lavori  socialmente  utili;  e  ancor  prima  l'art. 6,  comma 3, del
decreto legislativo 28 febbraio 2000, n. 81 (Integrazioni e modifiche
della  disciplina dei lavori socialmente utili, a norma dell'art. 45,
comma 2,  della legge 17 maggio 1999, n. 144), aveva stabilito che le
Regioni,   per  agevolare  la  stabilizzazione  di  questi  soggetti,
«possono utilizzare risorse proprie».
    4. - L'art. 4  della legge regionale - concernente l'accesso alla
dirigenza nell'amministrazione della Regione (e degli enti regionali)
- viola l'art. 97, primo e terzo comma, della Costituzione.
    La  norma  ha  notevolmente  ampliato  la deroga al principio del
concorso  pubblico gia' introdotta dall'art. 77 della legge n. 31 del
1998  (retro, n. 1.2.), introducendo in tale articolo il comma 2-bis,
che,  in  presenza  di  taluni requisiti, attribuisce il «titolo alla
qualifica di dirigente» anche al personale apicale non laureato (art.
4,  lett.  b);  aumentando  dal 75 al 90 per cento la percentuale dei
posti  rimasti  vacanti  riservati al concorso interno (art. 4, lett.
d);  ed  eliminando del tutto la previsione del concorso pubblico per
la  copertura  della pur minima quota residua di posti (art. 4, lett.
e).
    Questa  Corte ha spesso affermato (da ultimo, sentenza n. 218 del
2002)  che l'accesso dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni a
funzioni  piu' elevate non sfugge, di norma, alla regola del pubblico
concorso,  cui  e'  possibile  apportare  deroghe solo se particolari
situazioni  ne  dimostrino la ragionevolezza; ed ha precisato che, di
regola,  questo  requisito  non  e'  configurabile  - con conseguente
violazione del parametro evocato - a proposito di norme che prevedano
scivolamenti  automatici  verso posizioni superiori (senza concorso o
comunque   senza  adeguate  selezioni  o  verifiche  attitudinali)  o
concorsi  interni  per la copertura della totalita' dei posti vacanti
(da ultimo, sentenza n. 373 del 2002).
    Siffatta  violazione ricorre nella specie, in quanto la normativa
censurata   introduce   per  l'accesso  alla  qualifica  dirigenziale
dell'amministrazione   regionale   (e   degli   enti  regionali)  una
disciplina  che  -  per l'effetto congiunto dell'attribuzione di tale
qualifica  senza concorso, dei concorsi riservati, e dell'abrogazione
della  previsione  legislativa  di  concorsi  pubblici  per  i  posti
dirigenziali residui - comporta una deroga ingiustificata all'art. 97
della Costituzione.
    Gli altri profili di censura restano assorbiti.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta  inammissibilita'  della  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 3, comma 5, della legge della
Regione  Sardegna 8 luglio  2002,  n. 11  (Norme  varie in materia di
personale  regionale  e  modifiche  alla  legge regionale 13 novembre
1998, n. 31), sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri, in
riferimento  all'art. 81  della Costituzione, con il ricorso indicato
in epigrafe;
    Dichiara  non fondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 3  della legge della Regione Sardegna 8 luglio 2002, n. 11,
sollevata  dal  Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento
agli  artt. 3,  primo  comma,  e  97,  primo  e  terzo  comma,  della
Costituzione,   nonche'   all'art. 3   della   legge   costituzionale
26 febbraio  1948,  n. 3  (Statuto  speciale per la Sardegna), con il
ricorso indicato in epigrafe;
    Dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 4, lettere b),
d) ed e), della legge della Regione Sardegna 8 luglio 2002, n. 11.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'8 luglio 2003.
                       Il Presidente: Chieppa
                         Il redattore: Bile
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 24 luglio 2003.
               Il direttore della cancelleria:Di Paola
03C0871