N. 598 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 gennaio 2003

Ordinanza  emessa  il  23  gennaio  2003  dal  tribunale di Monza nel
procedimento penale a carico di Dobre Doru

Straniero - Espulsione amministrativa - Reato di trattenimento, senza
  giustificato  motivo,  nel  territorio  dello  Stato  in violazione
  dell'ordine  di  allontanamento, entro il termine di cinque giorni,
  impartito  dal  questore  -  Arresto  obbligatorio  in  flagranza -
  Attribuzione  alla  polizia  giudiziaria  in  materia  di  liberta'
  personale  di  un  potere  autonomo  e  superiore rispetto a quello
  riconosciuto  alla autorita' giudiziaria - Irragionevole disparita'
  di trattamento rispetto ad ipotesi di reato analoghe o piu' gravi.
- D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5-quinquies, aggiunto
  dalla legge 30 luglio 2002, n. 189.
- Costituzione artt. 3 e 13, comma terzo.
Straniero - Espulsione amministrativa - Reato di trattenimento, senza
  giustificato  motivo,  nel  territorio  dello  Stato  in violazione
  dell'ordine  di  allontanamento, entro il termine di cinque giorni,
  impartito  dal  questore  -  Eccessiva afflittivita' della sanzione
  (arresto da sei mesi ad un anno) - Indeterminatezza della locuzione
  «senza   giustificato   motivo»   -   Violazione  dei  principi  di
  ragionevolezza,  di  tassativita'  della fattispecie penale e della
  funzione  rieducativa  della pena - Lesione del diritto inviolabile
  dello  straniero alla liberta' personale - Compressione del diritto
  di difesa.
- Legge  30 luglio  2002, n. 189, art. 14, comma 5-ter [recte: D.lgs.
  25 luglio  1998, n. 286, art. 14, comma 5-ter, aggiunto dalla legge
  30 luglio 2002, n. 189].
- Costituzione artt. 3, 13, 24, 25 e 27.
Straniero  -  Espulsione  amministrativa - Reato di trattenimento nel
  territorio  dello Stato in violazione dell'ordine di allontanamento
  impartito  dal  questore  -  Arresto  obbligatorio  in  flagranza -
  Obbligo   per  il  giudice  di  rilasciare  all'atto  di  convalida
  dell'arresto   il   nulla  osta  all'espulsione  -  Violazione  del
  principio di ragionevolezza - Contrasto con le norme costituzionali
  poste  a  tutela  della  condizione  giuridica  dello  straniero  -
  Contrasto con il principio di effettivita' del diritto di difesa.
- D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 13, comma 3-bis, aggiunto dalla
  legge 30 luglio 2002, n. 189.
- Costituzione artt. 3, 10, 24 e 111.
(GU n.35 del 3-9-2003 )
                            IL TRIBUNALE

    Pronunziando  nel procedimento n. 9841/02 RG 2827/02 DIB a carico
di  Dobre  Doru, arrestato in flagranza del reato di cui all'art. 14,
comma  5-ter,  d.lgs. n. 286/1998 cosi' come modificato dall'art. 13,
comma 5-ter e quinquies, legge n. 189/2002;
    Sciogliendo  la  riserva assunta in data 9 gennaio 2003 in ordine
alla  illegittimita' costituzionale della norma sopracitata sollevata
dal  pubblico  ministero  alla  predetta  udienza  laddove,  al comma
5-quinquies  prevede  l'arresto  obbligatorio in caso di flagranza di
reato per violazione degli artt. 3 e 13 della Costituzione;
    Sentite  le  osservazioni  del  difensore dell'imputato che si e'
associato, rileva quanto segue.
    La questione di illegittimita' sollevata dal pubblico ministero.
    La  questione sollevata, oltre ad apparire rilevante perche' deve
trovare concreta applicazione nel presente giudizio, appare anche non
manifestamente   infondata.  Infatti  l'art. 13  della  Costituzione,
secondo   la  lettura  che  ne  e'  stata  sempre  data  dalla  Corte
costituzionale  (si  vedano  per  tutte le pronunce n. 173 del 1971 e
n. 503  del 1989) e dalla Corte di cassazione (ad es. sentenza n. 297
del   1973),  legittima  il  potere  di  limitazione  della  liberta'
personale  da  parte  dell'autorita'  di  pubblica  sicurezza solo in
quanto   anticipazione   e   supplenza   del   potere  dell'autorita'
giudiziaria.
    Per  questo  ai sensi dell'art. 386 c.p.p. la polizia giudiziaria
di  ogni  arresto  deve dare immediata notizia al pubblico ministero,
cui deve porre a disposizione l'arrestato al piu' tardi entro 24 ore;
d'altra  parte il pubblico ministero ha il potere/dovere di sindacare
immediatamente  l'operato  della  polizia  giudiziaria,  sia sotto il
profilo della legittimita' che sotto quello delle esigenze cautelari,
ex art. 389 c.p.p. e 121 disp. att. c.p.p.
    Nel caso di specie, e' invece attribuito alla polizia giudiziaria
il dovere di procedere all'arresto - obbligatorio - dell'indagato per
un   illecito   contravvenzionale,   cui   non  puo'  seguire  quindi
l'applicazione  di  alcuna  misura  cautelare  (ex  art. 272  e segg.
c.p.p., ed in mancanza di previsione speciale).
    Viene  cosi',  in  contrasto  con l'art. l3, secondo comma Cost.,
riconosciuto   in   materia   di   liberta'  personale  alla  polizia
giudiziaria  un  potere autonomo e superiore rispetto a quello di cui
dispone l'autorita' giudiziaria.
    L'art. 14,  comma 5-quinquies d.lgs. n. 286/1998 prevede altresi'
che  si  proceda  con  rito direttissimo: con cio' parrebbe risultare
limitato  il  potere/dovere  del  p.m.  di  porre  immediatamente  in
liberta'  l'indagato  ex art. 121 disp. att. c.p.p. (infatti nel caso
in  esame  non  esercitato),  in contrasto con il dovere di controllo
dell'operato della p.g. ex art. 13, secondo comma Cost.
    Inoltre  si  viene  a  creare  una  ingiustificata  disparita' di
trattamento  fra  coloro  che,  indagati  per  la  contravvenzione in
questione, possono vedere limitata la propria liberta' personale fino
ad  un  massimo  di  48  ore, e coloro che, arrestati per reati anche
molto  piu'  gravi, possono essere comunque rimessi immediatamente in
liberta' secondo i principi generali.
    In  particolare  e'  stridente  la  disparita'  di trattamento in
relazione   a  quanto  previsto  dall'art. 13,  comma  13-ter  d.lgs.
n. 286/1998,  che  non  impone l'arresto obbligatorio dello straniero
espulso che rientri nel territorio dello Stato (ed e' punito con pena
identica  a  quella  prevista  per  lo  straniero  che  non ottempera
all'ordine  di  allontanarsi),  neppure  se  l'espulsione  era  stata
disposta dall'autorita' giudiziaria (delitto per il quale e' prevista
una  pena  ben  piu'  grave  e  che consente l'applicazione di misure
cautelari).
    Altre questioni di illegittimita' sollevate d'ufficio.
    Ritiene  altresi'  il  giudice  di  dovere  sollevare  altre  due
questioni  di illegittimita' costituzionale, la prima con riferimento
alla  fattispecie  incriminatrice  oggi in contestazione e la seconda
relativa  al  nullaosta  all'espulsione  che  il  giudice penale deve
rilasciare all'esito del giudizio di convalida.
    L'illegittimita'    della    fattispecie    incriminatrice   oggi
contestata.
    L'art. 14,    comma   5-ter,   d.lgs.   n. 286/1998   (introdotto
dall'art. 13,  legge  30  luglio  2002  n. 189) cosi' stabilisce: «Lo
straniero  che  senza giustificato motivo si trattiene nel territorio
dello Stato in violazione dell'ordine impartito dal questore ai sensi
del  comma  5-bis  e' punito con l'arresto da sei mesi ad un anno. In
tal  caso  si  procede  a  nuova  espulsione con accompagnamento alla
frontiera a mezzo della forza pubblica».
    La   norma  solleva  dubbi  di  legittimita'  costituzionale  per
violazione  degli  articoli 25 (principio di tassavita), 3 (principio
di   ragionevolezza),   27  (funzione  rieducativa  della  pena),  13
(liberta' personale) e 24 (diritto di difesa), Costituzione;
    Il  primo  dei  motivi  di  contrasto con la Carta costituzionale
sorge  per  l'estrema indeterminatezza della fattispecie. Infatti, il
legislatore  non  si  limita a sanzionare la condotta dello straniero
che  non  ottemperi  tout  court al provvedimento del questore, ma la
condotta  di  colui  che  ponga  in  essere tale comportamento «senza
giustificato motivo».
    Invero,   nessuna   indicazione  ermeneutica  viene  fornita  sul
significato  da  attribuire ai «giustificati motivi» che esonerano lo
straniero  rimasto  sul  territorio  dalla sanzione penale. Nel vuoto
legislativo  appare quindi concreta la reviviscenza della fattispecie
di cui all'art. 7-bis della legge Martelli (decreto-legge 30 dicembre
1989,  n. 416,  convertito, con modificazioni dalla legge 28 febbraio
1990, n. 39) che puniva, con la reclusione da sei mesi a tre anni, lo
straniero  destinatario  di un provvedimento di espulsione che non si
«adoperava»  per  ottenere  dalla  competente autorita' diplomatica o
consolare  il  rilascio del documento di viaggio; disposizione che la
Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittima con sentenza n. 34
del 1995.
    Invero,  l'espressione  impiegata  dal  legislatore nell'art. 14,
comma  5-ter cit., in mancanza di parametri oggettivi di riferimento,
impedisce  di  stabilire con precisione quando l'inerzia del soggetto
che   si   sia  intesa  sanzionare  raggiunga  la  soglia  penalmente
apprezzabile.
    Tale  indeterminatezza,  da un lato pone il soggetto destinatario
del  precetto nell'impossibilita' di rendersi conto del comportamento
doveroso  cui  attenersi  per  evitare di soggiacere alla conseguenze
della  sua  inosservanza,  tanto  piu'  che  il  precetto  e' rivolto
esclusivamente   a   stranieri,   e,   d'altro  canto,  non  consente
all'interprete di esprimere un giudizio di corrispondenza sorretto da
un   fondamento   controllabile   nella   operazione  ermeneutica  di
riconduzione della fattispecie concreta alla previsione normativa.
    Per  tali  ragioni  la  norma  impugnata  non  e'  rispettosa del
«principio  di tassativita' della fattispecie contenuta nella riserva
di   legge   in   materia   penale,   consacrato  nell'art. 25  della
Costituzione»  (sent.  n. 86 del 1981), rimanendo la sua applicazione
affidata all'arbitrio dell'interprete.
    Il  principio  secondo  cui  appartiene alla discrezionalita' del
legislatore  la  determinazione  della  quantita'  e  qualita'  della
sanzione  penale  costituisce  un  dato costante della giurisprudenza
costituzionale:  non  spetta  infatti alla Corte rimodulare le scelte
punitive  effettuate  dal  legislatore, ne' stabilire quantificazioni
sanzionatorie. Tuttavia, come e' stato sottolineato soprattutto nella
giurisprudenza   piu'  recente,  alla  Corte  rimane  il  compito  di
verificare  che  l'uso  della discrezionalita' legislativa in materia
rispetti il limite della ragionevolezza.
    In   particolare,   con  la  sentenza  n. 408/1989  la  Corte  ha
definitivamente  chiarito  che  «il  principio di uguaglianza, di cui
all'art.  3,  comma  1,  Cost. esige che la pena sia proporzionata al
disvalore  del  fatto  illecito  commesso,  in  modo  che  il sistema
sanzionatorio adempia nel contempo alla funzione di difesa sociale ed
a  quella  di  tutela delle posizioni individuali; ... le valutazioni
all'uopo  necessarie  rientrano  nell'ambito del potere discrezionale
del  legislatore,  il  cui  esercizio puo' essere censurato, sotto il
profilo  della  legittimita' costituzionale, soltanto nei casi in cui
non sia stato rispettato il limite della ragionevolezza» (cfr., nello
stesso senso, sentenze Corte costituzionale nn. 343 e 422 del 1993).
    La  pena  di  cui  all'art. l4,  comma 5-ter cit. in relazione ai
principi    delineati   dalla   nostra   Carta   costituzionale,   e'
assolutamente  sproporzionata  in  eccesso: di qui il sospetto di una
violazione  dell'art. 27, comma terzo Cost., poiche' l'irrogazione di
pene  sproporzionate  al  grado  di  effettivo  disvalore  dei fatti,
comprometterebbe la finalita' rieducativa della pena.
    Il   principio   di   proporzione   costituisce   per   la  Corte
costituzionale  uno  dei  criteri  guida  che  presiedono allo stesso
esercizio  della  potesta'  legislativa,  vincolando  il  legislatore
nell'attivita'  di predeterminazione del tipo e della misura edittale
della pena. In tal senso si esprime anche quella parte della dottrina
secondo cui la minaccia di una pena troppo severa corre il rischio di
suscitare  «sentimenti  di insofferenza nel potenziale trasgressore e
alterare  nei  consociati  la  percezione di quella corretta scala di
valori che dovrebbe riflettersi nel rapporto tra i singoli reati e le
sanzioni corrispondenti».
    Il  giudizio  di  proporzione  tra fatto tipico e sanzione penale
viene    quindi    a    costituire    «una   premessa   ineliminabile
dell'accettazione  psicologica  di  un trattamento diretto a favorire
nel  condannato  il  recupero  della capacita' di apprezzare i valori
tutelati  nell'ordinamento» (tale principio di proporzionalita' viene
quindi  a  costituire  il limite logico-giuridico del potere punitivo
dello Stato).
    In  applicazione  di  questi  principi la Corte costituzionale ha
dichiarato    costituzionalmente    illegittime,   come   palesemente
irragionevoli,  diverse  previsioni di sanzioni penali giudicando che
la   loro   manifesta   mancanza   di  proporzionalita'  rispetto  ai
fatti-reato si traduceva in arbitrarie e ingiustificate disparita' di
trattamento,  o  in  violazione  dell'art. 27,  comma  3,  Cost..  In
particolare,  la sentenza n. 343 del 1993 ha affermato che «la palese
sproporzione del sacrificio della liberta' personale» provocata dalla
previsione  di  una sanzione penale manifestamente eccessiva rispetto
al  disvalore  dell'illecito  «produce ... una vanificazione del fine
rieducativo della pena prescritto dall'art.27, comma 3, Cost., che di
quella  liberta'  costituisce una garanzia istituzionale in relazione
allo stato di detenzione».
    Relativamente  alla  violazione  dell'art. 13  Cost.,  la  Corte,
costituzionale  ha  affermato  in tema di diritti dello straniero sul
territorio dello Stato alcuni principi di cui bisogna tener conto.
    Al  riguardo  si fa distinzione tra il diritto dello straniero in
ordine  alla  permanenza  nello Stato italiano ed il suo diritto alla
liberta'  personale  in  senso  stretto,  quale  diritto  inviolabile
dell'uomo.  Quanto  al primo profilo, la Corte, costituzionale con la
sentenza  n. 244  del  1974,  ha  affermato  che  «la  mancanza nello
straniero  di  un  legame  ontologico  con  la comunita' nazionale e,
quindi,  di  un  nesso  giuridico  costitutivo  con lo Stato italiano
conduce  a negare allo stesso una posizione di liberta' in ordine ...
alla  permanenza  nello  Stato  italiano,  dal  momento che egli puo'
soggiornarvi  solo  conseguendo  determinate autorizzazioni ....». La
ponderazione  degli svariati interessi pubblici che presiedono a tali
determinazioni  «spetta  in via primaria al legislatore ordinario, il
quale  possiede in materia ampia discrezionalita', limitata, sotto il
profilo della conformita' alla Costituzione, soltanto dal vincolo che
le scelte non risultino manifestamente irragionevoli».
    Quanto al secondo profilo, la stessa Corte, con la sentenza n. 62
del  1994 (che si rifa' a quella teste' citata) ha peraltro precisato
che  «quando  venga  riferito  al  godimento  dei diritti inviolabili
dell'uomo,  quale  e'  nel  caso  la liberta' personale, il principio
costituzionale di uguaglianza in generale non tollera discriminazioni
tra la posizione del cittadino e quello dello straniero».
    Il  legislatore,  infine, con la fattispecie in esame sembra aver
trascurato  che  il  reato  di cui all'art. 14, comma 5-ter cit., non
consente,  in  virtu'  della pena edittale (da sei mesi ad un anno di
arresto),  l'applicazione  di  misure  coercitive  e  che,  pertanto,
nell'impossibilita'  di  presentare (da parte del pubblico ministero)
richieste  in  tal  senso, lo straniero arrestato deve immediatamente
essere  liberato  ai sensi dell'art. 121 disp.att. c.p.p. (udienza di
convalida,  quindi,  con  indagato libero, giudizio direttissimo). In
questo  caso, l'espulsione verrebbe quasi sicuramente a precludere al
soggetto  la  possibilita'  di  difendersi  davanti  al  giudice e di
avanzare  richiesta  dei c.d. riti alternativi, cosi' subordinando la
garanzia  di  difesa  di  cui  all'art. 24  della  Costituzione  alle
esigenze poste alla base del provvedimento di espulsione.
    Ed  infatti la possibilita' per lo straniero espulso di rientrare
in  ltalia per partecipare al processo, prevista dall'art. 17, d.lgs.
n. 286/1998  diventa,  nel  caso  che  ci  occupa,  inevitabilmente e
assolutamente impraticabile.
    Per  altro  verso,  questa  possibilita' si presenta, anche nella
generalita'   dei   casi,   come  del  tutto  fittizia  e  illusoria,
assolutamente   inadeguata  a  garantire  l'esercizio  effettivo  del
diritto  di  difesa,  per  di piu' limitata dall'art. 17 cit. «per il
tempo  strettamente necessario per l'esercizio del diritto di difesa,
al solo fine di partecipare al giudizio o al compimento di atti per i
quali e' necessaria la sua resenza».
    L'illegittimita'    costituzionale    dell'art. 13   del   d.lgs.
n. 286/1998.
    La  previsione  di  cui  all'art. 13, comma 3 d.lgs. n. 286/1998,
cosi' come sostituito dalla legge n. 189/2002, dispone che «quando lo
straniero e' sottoposto a procedimento penale e non si trova in stato
di  custodia  cautelare  in  carcere, il questore, prima di eseguirne
l'espulsione,  richiede il nulla osta alla autorita' giudiziaria, che
puo'  negarlo  solo  in presenza di inderogabili esigenze processuali
valutate  in  relazione  all'accertamento  della  responsabilita'  di
eventuali  concorrenti nel reato o imputati in procedimenti per reati
connessi, e all'interesse della persona offesa.».
    Il  comma  3-bis  a sua volta prevede che «nel caso di arresto in
flagranza  o  di  fermo,  il  giudice rilascia il nulla osta all'atto
della   convalida,  salvo  che  applichi  la  misura  della  custodia
cautelare  in  carcere  ai sensi dell'art. 391 comma 5, del codice di
procedura  penale,  o  che  ricorra una delle ragioni per il quale il
nullaosta puo' essere negato ai sensi del comma 3».
    Dalla  rigorosa  applicazione  del disposto di cui al comma 3-bis
dell'art. 13  del  n. 286/1998 consegue l'obbligo, per il giudice che
ha  convalidato  l'arresto,  del  rilascio del nulla osta al questore
affinche'  venga disposta l'espulsione dell'imputato. Espulsione che,
nel  caso  in esame, consistera' nell'accompagnamento dello straniero
alla frontiera a mezzo della forza pubblica.
    L'imputato, dunque, ove venisse rilasciato il nulla osta dovrebbe
essere immediatamente espulso con accompagnamento alla frontiera.
    L'art.  17 del d.lgs. n. 286/1998, intitolato «diritto di difesa»
dispone,   a  sua  volta,  che  «lo  straniero  parte  offesa  ovvero
sottoposto a procedimento penale e' autorizzato a rientrare in Italia
per  il  tempo strettamente necessario per l'esercizio del diritto di
difesa,  al  solo  fine di partecipare al giudizio o al compimento di
atti  per  i quali e' necessaria la sua presenza. L'autorizzazione e'
rilasciata  dal  questore  anche per il tramite di una rappresentanza
diplomatica o consolare su documentata richiesta della parte offesa o
dell'imputato o del difensore».
    La  disciplina  richiamata  determina  infatti un automatismo nel
rilascio  del  nulla  osta, al quale consegue la espulsione immediata
dello  straniero  eseguita dal questore mediante accompagnamento alla
frontiera.
    Tale  disciplina  contrasta  con  la  possibilita'  e  il diritto
(costituzionalmente garantito) per l'imputato di difendersi, e dunque
di  fare emergere anche ed eventualmente il proprio diritto ad essere
nel territorio dello Stato italiano.
    La  questione  sollevata deve essere ritenuta, pertanto rilevante
sia  con  riferimento  all'art. 10  della  Costituzione,  e dunque in
considerazione    della    condizione   giuridica   dello   straniero
(soprattutto  ove  vengano  in  rilievo, a seguito della applicazione
della normativa censurata, lesioni di diritti e liberta' fondamentali
democratiche  garantite  dalla  nostra Costituzione, e cio' nel senso
che una immediata espulsione potrebbe portare il soggetto straniero a
rientrare  in  uno Stato dove appunto per la sua condizione personale
tali  liberta' non siano attribuite e garantite), che con riferimento
all'art. 24  (  correlato per i motivi che seguono all'art. 111 della
Costituzione).
    Difatti la applicazione rigorosa della disciplina di legge di cui
all'art. 13  del  d.lgs.  n. 286/1998 comporterebbe una sostanziale e
concreta lesione del diritto dell'imputato in un procedimento penale,
qualunque  sia  la  nazionalita' dello stesso, ad una piena difesa ex
art. 24  della  Costituzione  e  ad  un  giusto  processo  (con pieno
svolgimento  delle  funzioni  connesse alla difesa) ex art. 111 della
Costituzione.
    In  particolare,  quanto  all'art. 10,  occorre  considerare come
sebbene  sia  stata  per  lungo tempo sostenuta la teoria del dominio
riservato dello Stato quanto alla gestione della condizione giuridica
dello  straniero, tuttavia tale principio abbia subito una costante e
progressiva   erosione  in  virtu'  di  interpretazione  sopravvenuta
secondo  la  quale  lo  Stato  italiano  e'  tenuto  a  parificare la
condizione  giuridica dello straniero a quella dei cittadini tutte le
volte che cio' non contrasti con i suoi preminenti interessi.
    Tale  principio e' chiaramente deducibile dalla previsione di cui
all'art. 10,  comma  secondo  e  comma  terzo della Costituzione, che
richiama  la  tutela  dei  diritti inviolabili dell'uomo e il diritto
all'asilo,  con l'unico limite rappresentato dalla impossibilita' per
lo   straniero  di  esercitare  diritti  e  doveri  politici,  ovvero
situazioni   giuridiche   strettamente   connesse  alla  qualita'  di
cittadino.
    Dalla  applicazione  di  tali principi consegue il riconoscimento
del  diritto  dello  straniero a soggiornare nello Stato italiano sia
alle  condizioni  ordinarie  previste  dalla  legge  (per effetto del
rilascio  del  permesso  di  soggiorno)  che  in  considerazione  del
riconoscimento   di   eventuale   diritto  di  asilo  (o  diritto  al
ricongiungimento familiare o altre ipotesi previste dalla legge).
    Tali  principi  interpretativi  risultano  tra  l'altro  recepiti
nell'ordinamento  giuridico  italiano  anche  nella previsione di cui
all'art.  2  del  d.lgs.  n. 286/1998,  nonche' dall'art. 10 comma 4,
d.lgs.  n. 286/1998, secondo il quale le norme sul respingimento alle
frontiere e sulla espulsione non si applicano nei casi previsti dalle
disposizioni   vigenti   che   disciplinano   l'asilo   politico,  il
riconoscimento dello status di rifugiato ovvero la adozione di misure
di protezione temporanea per motivi umanitari.
    In  tal  senso  si ritiene rilevante la questione di legittimita'
costituzionale  nel  senso che occorra verificare la irragionevolezza
una  disposizione  che  mediante  un automatismo «irrazionale» (Corte
cost.  174/1997)  impedisce al giudice una verifica del bilanciamento
degli  interessi  coinvolti  (ovvero  gestione efficace dei flussi di
immigrazione  clandestina  e diritto di difesa e partecipazione dello
straniero al processo, anche per fare valere la ricorrenza di diritti
tutelati ex art. 10 della Costituzione).
    Inoltre si valuta in senso positivo la fondatezza della questione
sollevata  poiche'  l'automatismo previsto appare limitativo e avulso
dal  contesto dei diritti fondamentali del nostro ordinamento, mentre
sembrerebbe  opportuno  riscontrare  la  necessita' o meno che sia il
giudice  in  sede  giurisdizionale,  sulla base del suo apprezzamento
prudente,  a  distinguere  le  diverse  condotte  da  sussumere nella
astratta   previsione   di   legge   (Corte   cost.  n. 24/1989),  od
eventualmente  per  assicurare  in  caso  di vuoto normativo adeguata
tutela dei diritti costituzionali.
    In   concreto   la  previsione  di  cui  all'art. 17  del  d.lgs.
n. 286/1998  non  appare  adeguata  allo  scopo di garantire un pieno
diritto   di   difesa   del   soggetto  straniero  oggetto  di  nuovo
provvedimento   di   espulsione  (art. 14,  comma 5-ter,  d.lgs.  n.
286/1998):  sembra  predisporre  una  garanzia  di  difesa  meramente
formale  e non volta a rendere possibile una sostanziale ed effettiva
difesa e partecipazione del soggetto straniero imputato al processo.
    In  tal  senso non puo' non essere rilevato come dalla espulsione
con  accompagnamento  alla  frontiera conseguano per lo straniero una
serie  di effetti onerosissimi e tali da rendere di fatto impossibile
la  partecipazione  dell'imputato al processo e la predisposizione di
una valida difesa dello stesso.
    Sara'  difatti estremamente improbabile che i soggetti arrestati,
perche'  nelle  condizioni  di  cui  all'art. 14, comma 5-ter, d.lgs.
n. 286/1998  come  il Sali Habib, riescano ad essere nelle condizioni
economiche  e  materiali  necessarie  per  ottenere  il  permesso dal
questore,  mediante  rappresentanza  diplomatica e consolare e previa
adeguata  giustificazione,  per  rientrare  in  Italia  per  il tempo
strettamente   necessario  per  l'esercizio  del  diritto  di  difesa
(concetto   questo  quanto  mai  vago  e  con  cio'  suscettibile  di
interpretazioni varie e in senso restrittivo quanto al rientro) o per
gli altri incombenti previsti dalla norma.
    L'interprete  della  norma non puo' non considerare le condizioni
materiali  dei  soggetti coinvolti e destinatari della disciplina del
presente  procedimento,  e  dunque  la oggettiva impossibilita' degli
stessi,  una  volta  espulsi, di trovare adeguata protezione e tutela
nel  disposto di cui all'art. 17 del d.lgs. n.286/2002 contrariamente
a quanto previsto per ogni cittadino o straniero comunitario ai sensi
dell'art. 24  e  111 della Costituzione. Le previsioni costituzionali
citate  appunto  prevedono  per  l'imputato la possibilita' di essere
informato  nel  piu'  breve tempo possibile della natura e dei motivi
della  accusa  elevata  a suo carico, di avere a disposizione tempo e
condizioni  tali  da rendere possibile una adeguata difesa, di essere
interrogato o rendere dichiarazioni al giudice, di interrogare o fare
interrogare  le  persone  che  rendono dichiarazioni a suo carico, di
riuscire ad acquisire ogni altro mezzo di prova a suo favore.
    Ne'  si puo' ritenere concretamente realizzabile una tale ipotesi
per  il  tramite  di  mandato  espletato  dal difensore (molto spesso
nominato  d'ufficio  ai  sensi  della legge n. 60/2001), che dovrebbe
dunque  assumersi  l'onere  di  ricercare il soggetto imputato (nella
maggioranza   dei   casi   privo  di  fissa  dimora  e  di  mezzi  di
sussistenza),  di  predisporre i contatti tra lo stesso imputato e la
rappresentanza  consolare  o  diplomatica,  di apportare una adeguata
motivazione  allo  scopo  del rientro con conseguenti oneri economici
(che poi probabilmente andrebbero a gravare in capo allo Stato ove lo
straniero goda dei requisiti per accedere al patrocinio a spese dello
Stato ex art. 1 comma 6 della legge n. 271/1990 e seguenti modifiche,
con    ulteriore   irragionevolezza   evidente   quanto   all'aumento
esponenziale dei costi di un tale procedimento penale).
    Ancora  occorre  evidenziare come la disposizione di cui all'att.
17  si  presenti  in  contrasto,  e  dunque  foriera  di  equivoci  e
difficolta'  per  il  destinatario  quanto  all'esercizio del proprio
diritto di difesa, con la previsione di cui all'art. 13 comma 13 come
modificato  dalla  legge  n. 189/2002  secondo il quale «lo straniero
espulso  non  puo'  rientrare  nel  territorio  dello Stato senza una
speciale autorizzazione del Ministro dell' interno».
    Emerge  dunque  una disciplina ambigua o comunque contraddittoria
con  la  conseguenza che lo straniero potrebbe trovarsi a chiedere la
autorizzazione  al questore e poi essere ritenuto in difetto e dunque
passibile  di  nuova  e piu' grave sanzione per non aver richiesto la
autorizzazione anche al Ministro dell'interno.
    Una   ulteriore   previsione   di   legge   vale  a  rendere  non
manifestamente  infondata  a  parere  di  questo giudice la questione
sollevata  quanto  all'automatismo  del meccanismo di concessione del
nulla osta, dal quale consegue la espulsione con accompagnamento alla
frontiera.
    L'art. 13, comma 3-quarter prevede infatti che «nei casi previsti
dai  commi 3, 3-bis (caso in esame) e 3-ter, il giudice, acquisita la
prova  della  avvenuta  espulsione,  se non e' ancora stato emesso il
provvedimento  che  dispone  il  giudizio,  pronuncia sentenza di non
luogo a procedere».
    La  norma  sembra quasi prevedere un obbligo per il giudice e per
il pubblico ministero di bloccare l'esercizio della azione penale ove
sia  stata  effettivamente  eseguita  la  espulsione,  e  dunque  una
impossibilita'  per  lo  straniero arrestato di accedere ad un giusto
processo   quanto   ai   fatti   contestati   con  chiara  violazione
dell'art. 111 della Costituzione, dell'art. 24 Costituzione quanto al
diritto  di  difesa,  ed  ancora  dell'art. 3  della  Costituzione in
relazione  al  disposto  di  cui  agli art 5, comma 4 e 6 della legge
n. 848/1955  (ratifica  della  Convenzione  per  la  salvaguardia dei
diritti   dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali),  che  appunto
prevedono  il diritto per ogni persona privata della propria liberta'
con  un  arresto  a  presentare  un  ricorso  davanti ad un tribunale
affinche'  decida  sulla legittimita' della sua detenzione, ed ancora
il   diritto  a  che  la  sua  causa  sia  esaminata  imparzialmente,
pubblicamente  e  in  un  tempo  ragionevole da parte di un tribunale
indipendente e imparziale costituito dalla legge quanto al fondamento
di ogni accusa penale.
    In  sostanza la previsione predetta sembra superare tali principi
giungendo tra l'altro a configurare anche una ipotesi di contrarieta'
alla  previsione di cui all'art. 13 della Costituzione ipotizzando un
caso  di  restrizione della liberta' personale (arresto obbligatorio)
che  non  trova  il  suo naturale sbocco nel vaglio giurisdizionale e
nell'esercizio  della  azione  penale, che viene invece sostituita da
una  pronunzia  di  non  luogo  a procedere conseguente alla avvenuta
esecuzione della espulsione che consegue dal rilascio, obbligatorio e
sostanzialmente  automatico,  del nulla osta da parte della autorita'
giudiziaria.
    La   norma   predetta   poi  rivela  la  sua  irragionevolezza  e
incongruenza,  con  conseguenti difficolta' applicative e lesione del
diritto  di  difesa, anche in relazione al disposto dell'art. 14 come
modificato comma 5-quinquies del d.lgs. n. 286/1998, il quale prevede
che  «per  i reati previsti ai commi 5-ter e 5-quater e' obbligatorio
l'arresto  dell'autore  del fatto e si procede con rito direttissimo.
Al  fine  di  assicurare  l'espulsione  il  questore  puo' disporre i
provvedimenti di cui al comma l del presente articolo».
    La  scelta  del legislatore con la quale si impone la adozione di
un  anomalo rito direttissimo «obbligatorio» si presenta in contrasto
non  solo  con  il principio di uguaglianza come sopra richiamato, ma
anche con il diritto di difesa.
    La  previsione  predetta  infatti non consente in concreto da una
parte  l'esercizio della azione penale secondo i canoni ordinamentali
generali  (il  pubblico  ministero  ex art. 449 c.p.p. «se ritiene di
dover  procedere» puo' presentare direttamente l'imputato in stato di
arresto  davanti al giudice del dibattimento, cosa che potrebbe anche
non  accadere  ove,  acquisite  le necessarie informazioni, sentiti i
soggetti coinvolti, si renda conto che ricorrono circostanze concrete
che  possano  in  effetti  far  ritenere giustificata la presenza sul
territorio   dello   Stato   del  soggetto  arrestato  straniero),  e
dall'altra   un   pieno  esercizio  del  diritto  di  difesa  con  la
conseguente  possibilita'  di svolgere quelle indagini difensive (che
trovano  poi  il  loro referente e fondamento normativo nell'art. 111
della  Costituzione) che potrebbero condurre la autorita' giudiziaria
a riscontrare la presenza di una serie di cause giustificative quanto
alla  imputazione  contestata.  Quanto  osservato  evidenzia  come la
disciplina  richiamata si presenti lesiva delle garanzie fondamentali
dell'imputato   per   come  sancite  dalla  Costituzione,  situazione
certamente  aggravata  dall'automatismo del meccanismo di concessione
del nulla osta conseguente espulsione dell'imputato.
    Ed  ancora  e a conforto di quanto sopra esposto occorre rilevare
come  la  disciplina  di  cui  all'art. 13, comma 3-quater non appare
coordinata  con  quanto  previsto  dall'art  14, comma 3-quinquies in
ordine alla eventuale necessita' di pronunziare sentenza di non luogo
a  procedere  quando  non e' ancora stato emesso il provvedimento che
dispone il giudizio.
    Appare  infatti  fuorviante,  e  certamente  crea  incertezza, la
coesistenza  tra  questa previsione e la disciplina appena richiamata
di rito obbligatorio direttissimo, con la conseguenza che il soggetto
straniero  imputato  ed  arrestato  si  trova  a  confronto con norme
contraddittorie  che  rallentano  la  possibilita'  di  un  effettivo
esercizio   del   diritto   di  difesa  per  come  costituzionalmente
garantito.
    In  tal  senso  e  concludendo  non  puo'  in generale non essere
richiamata   da   questo  giudice  la  irragionevolezza  della  norma
presupposto  della  disciplina  oggetto  di questione di legittimita'
costituzionale;  infatti  la  concessione del predetto nulla osta, in
sostanza  automatica,  consegue  alla  previsione  di  una ipotesi di
arresto  obbligatorio  per un reato contravvenzionale (art. 14, comma
5-ter) al quale non potra' mai conseguire alcuna misura cautelare per
come  previsto dal nostro ordinamento, con l'effetto che l'espulsione
dello   straniero   e'   una   conseguenza  necessaria  del  rilascio
sostanzialmente  dovuto  da  parte  del  giudice  del  nulla osta con
evidente impossibilita' per l'imputato di difendersi adeguatamente.
    In  concreto  a  fronte  di una previsione quanto mai anomala che
dispone  (contrariamente  a  quanto  in  generale previsto nel nostro
ordinamento)  un  arresto obbligatorio per un reato contravvenzionale
solo  perche'  reato «proprio» dello straniero, il soggetto arrestato
avrebbe  avuto  maggiori  possibilita'  di  difesa  ove  fosse  stata
prevista  anche la applicazione di una misura cautelare piuttosto che
con l'espulsione immediata con accompagnamento alla frontiera.
    Ad   ulteriore   conforto   della   rilevanza   e  non  manifesta
infondatezza  della  questione  occorre poi ricordare come secondo il
disposto  di  cui  all'art. 13, comma 3, d.lgs. come modificato dalla
legge   n. 189/2002   «il   nullaosta  si  intende  concesso  qualora
l'autorita' giudiziaria non provveda entro quindici giorni dalla data
del  ricevimento  della  richiesta»  (e  conseguentemente  dalla data
dell'arresto per interpretazione analogica e secondo criteri generali
della norma).
    Quanto  alle  finalita'  della  normativa  citata,  e dunque alla
efficace  realizzazione dell'allontanamento dei soggetti sottoposti a
provvedimento   di   espulsione,   si   deve  osservare  come  appare
suscettibile  di  considerazione  una  normativa  con  la quale nuove
ipotesi  di  reato  a carico degli stranieri vengono ipotizzate senza
pero'  apprestare  quelle forme minima di tutela e garanzie di difesa
che  il  nostro ordinamento attribuisce ad ogni soggetto sottoposto a
procedimento penale.
    E  dunque  si pone il problema di una composizione di interessi e
finalita'  ordinamentali  sancite  sia  nella  legge che nei principi
costituzionali,  e  relativi  da  una parte alla concreta ed efficace
gestione  dei  flussi  di  immigrazione clandestina e dall'altra alla
tutela   dell'imputato   a   partecipare  al  proprio  processo  e  a
predisporre una adeguata difesa.
    Tale    finalita'    sarebbe   ovviamente   frustrata   a   causa
dell'automatismo del meccanismo di concessione del nullaosta previsto
e  oggetto della odierna censura, considerato altresi' che al giudice
penale  adito con rito direttissimo obbligatorio non e' presentata la
documentazione relativa al provvedimento di espulsione e di tutti gli
atti  del  procedimento  relativo,  con  la  conseguente  e oggettiva
impossibilita' di valutarne la legittimita' e di rendere possibile al
riguardo l'esercizio un completo diritto di difesa.
    Da  cio'  consegue  che  l'accertamento  del giudice designato si
risolverebbe  nel mero riscontro della ricorrenza di un provvedimento
di  espulsione  e nella impossibilita' di vagliare, quale conseguenza
dell'esercizio  del  diritto  di  difesa,  la  esistenza di eventuali
elementi  e  cause  di  giustificazione  quanto alle nuove ipotesi di
reato  introdotte,  con  emissione  obbligatoria  del  nulla  osta  e
conseguente espulsione dello straniero arrestato.
                              P. Q. M.
    Visti gli artt. 134 Cost. e 23 legge n. 87/1953;
    Dichiara,  rilevante  e non manifestamente infondata la questione
di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 14,  comma 5-quinques del
d.lgs.  n. 286/1998  come modificato dalla legge n. 189/2002, laddove
prevede l'arresto obbligatorio dell'indagato con riferimento al reato
di  cui  all'art. 14,  comma 5-ter, per violazione degli artt. 3 e 13
comma terzo della Costituzione;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'   costituzionale   dell'art. 14,   comma   5-ter   legge
n. 189/2002,    per    irragionevolezza    della   sanzione   e   per
indeterminatezza  della  condotta  in  violazione  degli  articoli 25
(principio   di  tassavita),  3  (principio  di  ragionevolezza),  27
(funzione  rieducativa  della  pena),  13  (liberta'  personale) e 24
(diritto di difesa) della Costituzione.
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 13,  legge  n. 286/1998 comma
3-bis  cosi' come modificato dalla legge n. 189/2002, laddove prevede
il nulla osta del giudice all'espulsione per violazione degli art. 3,
10, 24, 111 della Costituzione;
    Dispone   la   sospensione   del   procedimento  e  la  immediata
trasmissione   degli   atti  del  presente  procedimento  alla  Corte
costituzionale;
    Dispone  la  sospensione di ogni effetto e conseguenza allo stato
legato  alla  emissione  del nulla osta nei confronti dell'imputato e
dispone  che del presente disposto venga data immediata comunicazione
alla Questura territorialmente competente;
    Ordina  che  a  cura  della cancelleria la presente ordinanza sia
notificata  all'imputato, al difensore e al pubblico ministero, e che
venga  altresi'  comunicata al Presidente della Camera dei deputati e
al Presidente del Senato della Repubblica.
        Monza, addi' 23 gennaio 2003
                        Il giudice: Lo Gatto
03C0903