N. 628 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 maggio 2003

Ordinanza  emessa  il  7  maggio  2003  dal  tribunale  di Milano nel
procedimento penale a carico di Aouini Hichem

Straniero - Espulsione amministrativa - Reato di trattenimento, senza
  giustificato  motivo,  nel  territorio  dello  Stato  in violazione
  dell'ordine  di  allontanamento, entro il termine di cinque giorni,
  impartito  dal  questore  -  Arresto  obbligatorio  in  flagranza -
  Attribuzione  alla  polizia  giudiziaria  di  un  potere autonomo e
  superiore rispetto a quello riconosciuto alla autorita' giudiziaria
  -  Disparita'  di  trattamento  sotto diversi profili - Carenza del
  requisito della necessita' ed urgenza per l'adozione da parte della
  polizia   giudiziaria  di  provvedimenti  provvisori  destinati  ad
  incidere sulla liberta' personale.
- D.Lgs.  25 luglio  1998,  n. 286,  art. 14, commi 5-quinquies, come
  aggiunto dalla legge 30 luglio 2002, n. 189.
- Costituzione, artt. 3 e 13, comma terzo.
(GU n.35 del 3-9-2003 )
                            IL TRIBUNALE

    Nel  procedimento  penale  nei confronti di Aouini Hichem, nato a
Gaza  (Bleshina)  il 9 settembre 1979, tratto in arresto in flagranza
per  il  reato di cui all'art. 14, comma 5-ter, in relazione al comma
5-quinquies, d.lgs. n. 286/1998, e presentato all'odierna udienza per
il giudizio di convalida, venendogli contestato di essersi trattenuto
nel  territorio  dello  Stato  in violazione dell'ordine impartito in
data  3 febbraio  2003  dal  questore  di  Lecce,  ha  pronunciato la
seguente ordinanza.
    All'odierna  udienza di convalida il p.m. ha chiesto la convalida
dell'arresto,  sottolineando  come  nel  caso  concreto  si  versi in
ipotesi di arresto obbligatorio in flagranza.
    Il  Tribunale,  peraltro,  chiamato a convalidare l'operato della
polizia  giudiziaria sulla base della previsione normativa introdotta
con  l'art. 14  commi 5-ter e 5-quinquies d.lgs. n. 28/1998, non puo'
non   rilevare   profili  di  incostituzionalita'  che  non  appaiono
manifestamente   infondati   e  che  sembra  pertanto  indispensabile
sottoporre al vaglio della Corte costituzionale.
    A)  Ravvisabile  contrasto  tra l'art. 14 comma 5-quinquies e gli
artt. 13 e 3 della Costituzione.
    Si  osserva,  in  primo  luogo, che l'art. 13 della Costituzione,
dopo  avere  stabilito  al  primo  comma che «la liberta' personale e
inviolabile»,  ammette  al  secondo  comma che restrizioni alla detta
liberta' (detenzione, ispezione e perquisizione) siano operabili solo
«per  atto  motivato  dell'autorita'  giudiziaria» e, al terzo comma,
consente all'autorita' di pubblica sicurezza, «in casi eccezionali di
necessita'  ed  urgenza» di adottare «provvedimenti provvisori», «che
devono  essere  comunicati (...) all'autorita' giudiziaria» e che «si
intendono revocati e restano privi di ogni effetto» «se questa non li
convalida».
    Sembra  corretto  ritenere  che  la  norma  attribuisca alla sola
autorita'  giudiziaria  la  competenza  ad operare restituzioni della
liberta'  personale,  invece  riservando  all'autorita'  di  pubblica
sicurezza  non  una analoga, seppur piu' limitata competenza, ma solo
il  potere  di intervenire in supplenza ed anticipazione dell'operato
dell'autorita' giudiziaria quando questa, per l'urgenza del caso, non
sia  in  grado  di  intervenire  tempestivamente. Depongono in questa
direzione    la    «provvisorieta»    del    provvedimento   adottato
dall'autorita' di pubblica sicurezza, provvedimento percio' destinato
fin  dall'origine  ad essere trasformato e superato da altro atto; la
«eccezionalita»  dei  casi,  evidenziante  la  natura  essenzialmente
derogatoria  dell'intervento  della  polizia  rispetto  al  principio
generale  dell'intervento  dell'autorita'  giudiziaria; la perdita di
ogni  effetto  del  provvedimento adottato dall'autorita' di pubblica
sicurezza,  qualora  questo  non  sia  tempestivamente  comunicato  e
convalidato;   la   stessa  configurazione  dell'atto  dell'autorita'
giudiziaria  come  atto di «convalida», che e' atto, di norma, inteso
come  diretto  all'eliminazione dei vizi insiti in un precedente atto
invalido.
    Conforto  a  questa  lettura  si rinviene in pronunce della Corte
costituzionale,  della  Corte di cassazione e nella disciplina che il
legislatore ha voluto adottare nel codice di procedura penale.
    La Corte costituzionale ha avuto modo di osservare che:
        vi  e'  una regola, che attribuisce all'autorita' giudiziaria
la  competenza  ad  emettere  provvedimenti coercitivi della liberta'
personale, ed una eccezione, rappresentata dal fatto «in se' previsto
dal   testo   costituzionale,  che  gli  organi  di  polizia  debbono
provvedere   in   sostituzione   dell'autorita'  giudiziaria»  e  che
«l'obbligo del decreto motivato di convalida e' disposto nell'art. 13
comma  terzo  della  Costituzione  per ogni provvedimento provvisorio
preso dall'autorita' di pubblica sicurezza in sostituzione de giudice
e   quindi   per   ogni  provvedimento  di  arresto  (obbligatorio  o
facoltativo) o di fermo» (Corte cost. n. 71/173);
        le   finalita'   sottese   all'arresto   in   flagranza  sono
perseguibili     «soltanto    attraverso    l'immediato    intervento
dell'autorita'   di   polizia   in   temporanea  vece  dell'autorita'
giudiziaria,  lontana  normalmente  dalla flagranza o quasi flagranza
dei reati» (Corte cost. n. 89/503)
    La  Corte  di  cassazione ha affermato che nel caso di arresto in
flagranza  (secondo  la  sentenza 14 luglio 1971, n. 173, della Corte
costituzionale) il titolo legittimo della detenzione e' costituito da
una   fattispecie   complessa,   in  cui  l'attivita'  della  polizia
giudiziaria   deve   collegarsi   al   provvedimento   di   convalida
dell'autorita'  giudiziaria, il quale soltanto costituisce l'atto con
cui  si  esercita  il controllo della legittimita' dell'operato della
polizia   giudiziaria  e,  ad  un  tempo,  il  titolo  formale  della
detenzione  stessa,  cui la legge conferisce efficacia ex tunc (Cass.
n. 73/297).
    Il  sistema  introdotto  dal legislatore con il vigente codice di
procedura  penale  prevede  infine  che la polizia giudiziaria che ha
eseguito l'arresto:
        ne  dia  immediata  notizia  al pubblico ministero (art. 386,
primo comma, c.p.p.);
        ponga  l'arrestato  a  disposizione del pubblico ministero al
piu'  presto  e  comunque  non  oltre  ventiquattro  ore dall'arresto
(art. 386,  terzo  comma, c.p.p.), a pena di inefficacia dell'arresto
medesimo (art. 386, ultimo comma, c.p.p.)
    e,   correlativamente,   attribuisce  al  pubblico  ministero  il
potere/dovere   di   sindacare  da  subito  l'operato  della  polizia
giudiziaria:
        sotto  li  profilo della legittimita', disponendo l'immediata
liberazione  della  persona  che  sia stata arrestata al di fuori dei
casi consentiti (art. 389 c.p.p.);
        sotto  il  profilo  dell'insussistenza di esigenze cautelari,
disponendo,   anche   in   questo   caso,   l'immediara   liberazione
dell'arrestato (art. 121 disp. att. c.p.p.).
    Anche  le scelte operare dal legislatore nella materia in oggetto
sembrano dunque orientate inequivocabilmente nel senso di configurare
l'operato   della   polizia   giudiziaria   come  mera  anticipazione
dell'attivita'   giuridica   dell'autorita'  giudiziaria,  la  quale,
infatti,  in  tempi tassativamente assai brevi, e' chiamata ad essere
investita  della  questione  e  ad  intervenire  con  le  piu'  ampie
valutazioni,  anche  e  soprattutto  se  dissonanti rispetto a quelle
della polizia medesima.
    Una  lettura  nel  senso  anzidetto appare del resto in linea con
quanto  affermato,  sia  pure con riferimento a problematica diversa,
dalla Corte costituzionale, secondo la quale «la presentazione per il
giudizio  direttissimo  da parte degli ufficiali ed agenti di polizia
giudiziaria non rappresenta una attivita' ad iniziativa della polizia
giudiziaria ma una sorta di attivita' delegata del pubblico ministero
che  si esplica sotto il costante controllo di quest'ultimo, al quale
deve  essere  data  immediata  notizia dell'arresto e che e' tenuto a
formulare l'imputazione» (Corte cost. n. 98/374).
    In   sintesi,  sembra  corretto  concludere  che  sia  il  tenore
letterale della norma, sia l'orientamento interpretativo espresso con
le decisioni citate, sia l'impostazione che l'ordinamento positivo e'
andato  via  via  assumendo  nel  tempo,  soprattutto nell'ambito del
procedimento   penale,   convergono   nell'escludere   che  l'art. 13
Costituzione  attribuisca  all'autorita'  di  pubblica  sicurezza  un
autonomo  potere  di  limitazione  della  liberta'  personale, mentre
invece  inducono  a  ritenere  che  esso legittimi l'anzidetto potere
esclusivamente   in  quanto  anticipazione  e  supplenza  del  potere
dell'autorita'  giudiziaria:  con l'ovvia, necessaria conseguenza che
all'autorita'  di  pubblica  sicurezza  non  puo' essere conferito un
potere piu' esteso di quello riconosciuto all'autorita' giudiziaria.
    Ebbene,  nei  confronti di chi sia indagato per il reato previsto
dall'art. 14,  comma  5-ter  d.lgs.  n. 286/1998,  come  recentemente
modificato,  l'autorita'  giudiziaria  non dispone di alcun potere di
limitazione della liberta' personale in quanto:
        l'illecito  e'  configurato  come  contravvenzione punita con
pena  dell'arresto  da  sei mesi ad un anno e dunque, in quanto tale,
risulta  completamente  estraneo  alla  previsione  degli artt. 272 e
seguenti c.p.p. in materia di misure cautelari;
        non    si    rinvengono   norme   speciali   che   consentano
l'applicazione   di   misura   cautelare  in  deroga  alle  anzidette
disposizioni generali.
    Appare  dunque seriamente ipotizzabile un contrasto dell'art. 14,
d.lgs.  n. 286/1998,  come  modificato dalla legge n. 286/1998, nella
parte  in  cui, attribuendo alla polizia giudiziaria il potere/dovere
di  procedere  all'arresto  (per  giunta obbligatorio) dell'indagato,
conferisce  alla  stessa  un  potere  autonomo e superiore rispetto a
quello di cui dispone l'autorita' giudiziaria.
    Non  vale ad escludere la sussistenza di un ravvisabile contrasto
tra la norma in esame e l'art. 13 Costituzione la considerazione che,
attraverso l'attivazione dell'art. 121 disp. att. c.p.p., la liberta'
dell'indagato   verrebbe   comunque   salvaguardata:   il  meccanismo
approntato  dalle  disposizioni del codice di procedura penale e' si'
congegnato   in   modo   da   determinare  il  tempestivo  intervento
dell'autorita'  giudiziaria  ma  certamente non e' idoneo ad impedire
che una sia pur temporanea limitazione della liberta' personale abbia
luogo:  trattandosi  di una limitazione che, come si e' detto, appare
consentita  dalla  legge  in  contrasto con la previsione dell'art.13
Cost.,  non  sembra  che  possano avere rilievo «soglie quantitative»
piu'  o meno basse, soprattutto considerando che la limitazione viene
arrecata nella forma piu' grave, quella della detenzione.
    Ma,  in verita', si ha perfino ragione di dubitare che l'art. 14,
d.lgs.  n. 286/1998  introduca  una  implicita  ma  necessaria deroga
all'art. 121  disp.  att. c.p.p., la' ove dispone che «si procede con
rito   direttissimo».   Invero,  sebbene  non  sia  astrattamente  da
escludere  che  un  giudizio  direttissimo  possa  celebrarsi,  entro
quarantotto  ore,  nei  confronti di indagato rimesso in liberta', si
deve  prendere  atto  del  fatto che la norma non disciplina in alcun
modo come, nei ristrettissimi tempi anzidetti, debba essere formulata
la  contestazione  da  parte  del pubblico ministero, la stessa debba
essere  portata  a  conoscenza  dell'imputato  e  questi debba essere
convenuto  in giudizio: e lascia dunque desumere che la ratio ad essa
sottostante  sia in realta' quella di condurre l'imputato al giudizio
direttissimo in stato di detenzione.
    Ebbene, interpretata in questo senso, la norma risulterebbe ancor
piu' in contrasto con le disposizioni costituzionali perche':
        prevederebbe  in  sostanza che il pubbblico ministero abdichi
al  suo  potere/dovere  di controllare, almeno sotto il profilo della
sussistenza   di   esigenze   cautelari,   l'operato   della  polizia
giudiziaria,   facendogli   in   tal   modo  dismettere  la  funzione
assegnatagli  dalla Costituzione, e, corrispondentemente, esalterebbe
ancor  piu'  l'espansione  dei  poteri della polizia giudiziaria, con
ancora piu' accentuato contrasto con l'art. 13 Costituzione;
        introdurrebbe  una  grave  disparita'  di  trattamento tra la
persona    che,    arrestata   per   il   reato   in   considerazione
(contravvenzione   punita   con  pena  edittale  non  particolarmente
afflittiva)  e  certamente  non  soggetta  all'applicazione di alcuna
misura   cautelare,   si  vedrebbe  comunque  esposta  alla  concreta
possibilita'  di  necessaria  detenzione fino a quarantotto ore; e la
persona che, arrestata per delitto ben piu' grave ma rientrante nella
disciplina generale, potrebbe confidare in una tempestiva liberazione
sebbene per l'illecito commesso sia astrattamente applicabile perfino
la  custodia  in  carcere:  con  conseguente  violazione  dell'art. 3
Costituzione.
    Il  tutto,  si  noti,  in  un  contesto  nel quale le esigenze di
carattere  amministrativo  potrebbero  comunque  essere adeguatamente
salvaguardate, atteso che, espressamente, la norma stabilisce che «al
fine  di  assicurare  l'esecuzione dell'espulsione», il questore puo'
disporre  il  trattenimento  dello  straniero  presso  un  centro  di
permanenza temporanea (art. 14, comma 5-quinquies).
    B)  Ravvisabile  contrasto  tra  l'art. 14,  comma  5-quinquies e
l'art. 3 della Costituzione
    Sotto  diverso  ed  ulteriore profilo la previsione dell'art. 14,
comma 5-quinquies appare suscettibile di censura.
    La  disposizione  in  esame,  infatti,  introduce  la  previsione
dell'arresto obbligatorio nei confronti di chi sia indagato del reato
previsto dal precedente comma 5-ter.
    Ora, e' ben vero che la valutazione circa la gravita' del fatto e
la conseguente necessita' di procedere comunque all'arresto di chi ne
appaia   responsabile,   e'   valutazione  rimessa  al  discrezionale
apprezzamento  del  legislatore,  come tale sottratto in genere ad un
giudizio  di  costituzionalita' in relazione all'eventuale violazione
dell'art. 3 Costituzione.
    Nel  caso  di  specie,  peraltro,  il  confronto  tra  le diverse
fattispecie  e'  cosi'  ravvicinato  e  stringente  da  far  apparire
possibile una diversa soluzione.
    Invero,  l'art. 13,  comma 13-ter introduce l'arresto facoltativo
(in  tal  senso  sembra  corretto  intendere l'espressione «e' sempre
consentito»):
        in  relazione al reato previsto dal precedente comma 13, che,
in  quanto  sostanziantesi nella condotta dello straniero espulso che
fa rientro nello Stato ed in quanto punito con pena identica a quella
comminata   al  reato  previsto  dall'art. 14,  comma  5-ter,  appare
valutato   dal   legislatore   di   pari  gravita',  per  sostanziale
omogeneita' della condotta e per identita' di sanzione;
        in  relazione  al reato previsto dal precedente comma 13-bis,
che,  nella  stessa,  evidente  valutazione del legislatore, e' assai
piu'  grave,  trattandosi di trasgressione ad un divieto espresso dal
giudice,  configurato  come  delitto punito con pena della reclusione
fino  a quattro anni e dunque perfino suscettibile di applicazione di
misura cautelare.
    Sembra dunque corretto ritenere che l'art. 14, comma 5-quinquies,
prevedendo  l'arresto  obbligatorio  del  contravventore,  riservi al
medesimo   un   trattamento  decisamente  piu'  affittivo  di  quello
riservato,  per fatti analoghi o addirittura piu' gravi, nel medesimo
testo   normativo,   senza   che,  dalle  norme,  sia  desumibile  la
sussistenza  di  una  indicazione  di  ragionevolezza  di  una simile
scelta.
    Per i motivi ora esposti, ritiene questo tribunale che sussistano
seri  dubbi  di  legittimita'  della  norma  in esame e che, da cio',
consegua   la   necessita'   di'  sospensione  del  procedimento  per
sottoporre la questione al giudice delle leggi.
    La  necessita'  di  sospensione  del procedimento impone comunque
l'immediata  remissione  in  liberta'  dell'imputato  in mancanza di'
adeguato titolo detentivo.
                              P. Q. M.
    Visti gli artt. 134 Cost. e 23 legge n. 87/1953;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 14,  comma  5-quinquies legge
n. 189/2002  nella  parte  in  cui  prevede, per il reato previsto al
comma  5-ter,  l'arresto  obbligatorio  dell'indagato, per violazione
degli artt. 3 e 13 comma terzo della Costituzione;
    Dispone l'immediata remissione in libera' dell'imputato;
    Sospende  il presente procedimento e ordina la trasmissione degli
atti alla Corte costituzionale.
      Milano, addi' 7 maggio 2003
                          Dott.ssa: Busacca
03C0935