N. 783 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 luglio 2003

Ordinanza  emessa  il  3 luglio 2003 dal tribunale di sorveglianza di
Sassari sull'istanza proposta da Serra Pietro

Ordinamento   penitenziario   -  Benefici  penitenziari  -  Modifiche
  normative - Disposizioni transitorie - Inapplicabilita' delle nuove
  norme  ai  condannati  per  reati  compresi  nel  testo  previgente
  dell'art. 4-bis,  comma 1, primo periodo, della legge n. 354/1975 e
  commessi  prima  dell'entrata  in  vigore  del  d.l.  n. 306/1992 -
  Mancata  previsione Violazione del principio di eguaglianza (per la
  diversita'  di  regime  tra  gli autori dei reati gia' compresi nel
  vecchio testo e i condannati per i delitti inseriti a seguito della
  novella).
- Legge 23 dicembre 2002, n. 279, art. 4, comma 1.
- Costituzione, art. 3.
(GU n.40 del 8-10-2003 )
                            IL TRIBUNALE

    Emette  la  seguente  ordinanza  nel procedimento di sorveglianza
relativo alla istanza di affidamento in prova ai servizi sociali e di
ammissione al regime della semiliberta' in relazione alla pena di cui
a provvedimento di cumulo Procura generale della Repubblica presso la
Corte  d'apello di Cagliari, Procura generale della Repubblica presso
la  Corte d'appello di Roma n. 101/89 RES (condanna ad anni 30 e mesi
5 di reclusione per sequestro di persona a scopo di estorsione, furto
aggravato,  detenzione e porto abusivo di armi, decorrenza 9 febbraio
1980, fine pena 22 maggio 2004);
    Nei confronti di Serra Pietro, nato a Nuoro il 30 settembre 1953,
residente/detenuto in C.R. Mamone.
    Visti   gli   atti   del   procedimento   di  sorveglianza  sopra
specificato;
    Verificata   la   regolarita'   delle   comunicazioni   e   delle
notificazioni degli avvisi al rappresentante del p.m. all'interessato
ed al difensore;
    Considerate  le  risultanze delle documentazioni acquisite, degli
accertamenti  svolti, della trattazione e della discussione di cui al
separato processo verbale;
    Udite  le  conclusioni  (parere contrario) del rappresentante del
p.m., dott. Mossa e del difensore;

                            O s s e r v a

    Il  Serra ha proposto istanza di semiliberta' e di affidamento in
prova  ai  servizi sociali in relazione ad un provvedimento di cumulo
che  indicava  una pena di anni 30 e mesi 5 di reclusione della quale
residua da scontare meno di un anno.
    La  pena in espiazione si riferisce interamente ai reati compresi
nell'elenco di cui all'art. 4-bis o.p., comma 1, prima parte, poiche'
le  tre condanne subite per sequestro di persona furono contenute nei
limiti  di pena indicati dalla norma moderatrice dell'art. 78 c.p. e,
pertanto,  l'intera  pena  deve  ritenersi  riferita  ai  reati  c.d.
assolutamente ostativi l'ammissione ai benefici penitenziari.
    Non  risulta  infatti,  da  altre  decisioni giudiziarie, che sia
intervenuto  nei  confronti  del Serra l'accertamento dello status di
collaboratore  di  giustizia  ne'  che siano state accertate nei suoi
confronti fattispecie alternative alla collaborazione.
    In  particolare  questo  tribunale di sorveglianza, con ordinanza
del  27  gennaio  2000,  ha  escluso  la possibilita' che il Serra si
trovasse    nelle    condizioni    richieste    per    l'applicazione
dell'art. 58-ter o.p.
    Con  la  medesima  ordinanza  il  tribunale ha accolto il reclamo
avverso  il  diniego  del  permesso premio poiche' ha ritenuto, sulla
scorta    dell'insegnamento   della   Corte   costituzionale   (sent.
n. 137/1999),  che  il detenuto avesse raggiunto, gia' all'entrata in
vigore  della  normativa  restrittiva  (giugno  1992),  un  grado  di
rieducazione   adeguato   al   beneficio  penitenziario  minimo,  con
motivazione,  pero',  che porta ad escludere che il medesimo grado di
rieducazione  raggiunto  fosse anche adeguato a benefici penitenziari
ulteriori.
    Inoltre  non  e'  possibile effettuare il cosiddetto scioglimento
del  cumulo delle condanne al fine di considerare espiata la parte di
pena riferibile al reato ostativo poiche', per le considerazioni piu'
sopra  espresse,  l'intera  pena  in  esecuzione si riferisce a reati
ostativi.
    L'istanza   e'   dunque   inammissibile   non   potendo   trovare
accoglimento neppure l'interpretazione proposta dalla difesa la quale
ha,  con  argomentazioni  pregevoli ma non condivisibili, fatto perno
sulla   funzione   rieducativa   della   pena  cosicche'  apparirebbe
costituzionalmente  orientata l'interpretazione dell'art. 4-bis o.p.,
prima  parte,  che  tenesse conto dei progressi compiuti dal detenuto
nell'aderire  al programma di trattamento. Ma a ragionare in tal modo
si  forzerebbe il dato letterale della norma cardine della disciplina
di rigore che, introducendo una presunzione relativa di pericolosita'
sociale, considera assolutamente ostativa all'ammissione dei benefici
penitenziari  la  commissione, anche in data anteriore all'entrata in
vigore della legge, di taluni reati di grave allarme sociale. Infatti
per  superiore tale ostacolo normativo il legislatore ha individuato,
quale   unica   strada,  percorribile,  quella  della  collaborazione
(effettiva,  impossibile  o  inesigibile)  o  quella,  indicata dalla
giurisprudenza   costituzionale,   dell'accertamento   del  grado  di
rieducazione   adeguato  al  beneficio  richiesto  al  momento  della
introduzione dei divieti.
    Nessuna  altra  via  e'  percorribile  in  chiave interpretativa,
neppure  quella  che  ha  indicato la difesa, che salvaguarderebbe la
progressione  nel  trattamento compiuta dal condannato che ambisce ad
ottenere i benefici penitenziari. Infatti la Corte costituzionale ha,
a  piu'  riprese,  introdotto  correttivi  al  meccanismo  monolitico
dell'art. 4-bis   o.p.,   in   virtu'  del  principio,  di  rilevanza
costituzionale,  della non regressione nel trattamento penitenziario,
ma  non  ha  mai sancito il principio di progressione nel trattamento
penitenziario  valido  per  tutti i condannati atteso che, per coloro
che  si  sono macchiati dei reati piu' gravi, il trattamento previsto
dall'ordinamento  e',  per  scelta  del  legislatore,  esclusivamente
quello intramurario.
    Le  pronunce  della Consulta sono state recepite ed inserite, con
la legge 23 dicembre 2002 n. 279, nel testo novellato dell'art. 4-bis
o.p.  che  prevede  nuove  figure  di  reati  assolutamente  ostativi
(delitti   commessi  con  finalita'  di  terrorismo  o  di  eversione
dell'ordine  democratico, delitti di riduzione in schiavitu' e tratta
e   alienazione   di   schiavi)  e  che  introduce  le  figure  della
collaborazione impossibile per integrale accertamento dei fatti e per
la limitata partecipazione al delitto.
    Inoltre l'art. 4, comma 1, della legge citata stabilisce che, per
le   nuove  figure  di  reati  ostativi,  la  presunzione  legale  di
pericolosita'  sociale  sia  efficace esclusivamente nei confronti di
coloro che abbiano commesso tali reati dopo l'entrata in vigore della
legge sancendo cosi' l'irretroattivita' della norma sfavorevole.
    Prendendo  spunto  dalla  previsione espressa di irretroattivita'
della  norma  la  difesa  del  detenuto  ha  sollevato  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 4-bis o.p. nuova formulazione
per  contrasto con gli artt. 3, 25, comma 2 e 27, comma 3 della Carta
costituzionale.
    In  particolare,  afferma  la  difesa,  la nuova norma si pone in
contrasto con l'art. 3 cost. perche' introduce indebite disparita' di
trattamento tra condannati per reati di pari allarme sociale. Infatti
sancendo,   correttamente   secondo   la   difesa   del   condannato,
l'irretroattivita'  delle  disposizioni  che  precludono l'accesso ai
benefici  per  coloro che si siano macchiati di delitti in materia di
terrorismo  e  di  schiavitu' crea una irragionevole differenziazione
nel  trattamento  tra  coloro  che  sono stati condannati per i reati
prima  compresi  nel  catalogo  di cui all'art. 4-bis, comma 1, prima
parte  (associati  di  stampo  mafioso  o  per  traffico  di  droga e
sequestratori   a   scopo  di  estorsione)  che  sono  colpiti  dalle
preclusioni   del   4-bis   o.p.   indipendentemente  dalla  data  di
commissione  del  reato  e  coloro  che, invece, che hanno commesso i
nuovi  reati  ostativi  prima  dell'entrata in vigore della norma che
vengono esclusi dall'applicazione della normativa di rigore.
    Inoltre  la difesa del Serra ribadisce le considerazioni, gia' da
piu'  parti  formulate,  relative  alla  supposta  contrarieta' della
normativa   restrittiva   introdotta  nel  giugno  del  1992  con  le
disposizioni  degli artt. 25, comma 2 e 27, comma 3, Cost., ma sempre
respinte  dalla Corte costituzionale per manifesta infondatezza della
questione.
    La   questione   di  legittimita'  costituzionale  sollevata  dal
detenuto,   limitatamente  al  profilo  riguardante  la  contrarieta'
dell'art. 4-bis  o.p.  con  il  principio  di  uguaglianza  contenuto
nell'art. 3  Cost.,  presenta  nel  caso  in  esame,  secondo  questo
Collegio,  entrambi  i  profili  di  rilevanza  e  di  non  manifesta
infondatezza.
    Sotto  il profilo della rilevanza, infatti, occorre rilevare come
il  Serra, detenuto sin dal 1980, debba ancora scontare circa 11 mesi
di  reclusione  e,  pertanto,  sia  stata  espiata  la  quota di pena
richiesta  dall'art. 50  o.p. per l'ammissione alla semiliberta' e la
pena  residua sia contenuta nei limiti indicati dall'art. 47 o.p. per
l'accesso all'affidamento in prova al servizio sociale.
    Inoltre  il  detenuto e' stato ammesso al beneficio penitenziario
minimo  sin  dal gennaio del 2000 ed ha convenientemente sfruttato le
opportunita'   trattamentali  che  gli  sono  state  sinora  offerte.
Potrebbe  quindi  accedere alle misure alternative richieste che sono
state  inserite  nel  programma  di trattamento redatto dagli esperti
della C.C. di Nuoro fin dall'ottobre del 2001.
    Infine  non  risultano  accertati  collegamenti  attuali  con  la
criminalita' organizzata o eversiva.
    Sotto  il  secondo  profilo  da esaminare la questione appare non
manifestamente infondata.
    La  riforma  introdotta  con  la  legge  n. 279/2002  ripropone -
ampliando  la  tipologia  dei  reati  ostativi  di  prima fascia - un
trattamento  differenziato  a  carico  del  condannati  per  reati di
criminalita' organizzata o comunque di elevato allarme sociale.
    Appare  pero'  immotivata  la differenza di regime che si viene a
creare  tra gli autori dei reati gia' compresi nel vecchio testo ed i
condannati  per delitti inseriti nell'art. 4-bis o.p. a seguito della
novella.   Infatti   per  i  primi  la  norma  e'  applicabile  anche
nell'ipotesi  di  reati commessi prima della riforma del 1992, mentre
per  i  secondi  sussiste  lo sbarramento dell'art. 4, comma 1, legge
n. 279/2002.
    Il  legislatore  nel  dettare quest'ultima disposizione, la quale
nel  caso  di  specie  viene  assunta  come tertium comparationis, ha
ritenuto    di    prevedere    espressamente   il   principio   della
irretroattivita'  solo  rispetto  alle  nuove fattispecie contemplate
dalla prima parte del primo comma dell'art. 4-bis o.p.
    E' evidente che seppur il legislatore sia libero nell'individuare
le categorie dei reati ad elevato allarme sociale ed i corrispondenti
regimi  di  esecuzione  delle  pene  che si riferiscono a tali reati,
tuttavia,   nell'effettuare   tali  scelte,  non  puo'  sottrarsi  al
principio   di   ragionevolezza   che  e'  sotteso  al  principio  di
uguaglianza di cui all'art. 3 Cost.
    In  sostanza  il  principio di uguaglianza esprime un giudizio di
relazione  tra  piu'  situazioni  e poiche' ogni disciplina innovando
l'ordinamento   introduce   delle   distinzioni,  la  disamina  della
conformita'  di  una  norma  all'art 3 Cost. non puo' che incentrarsi
sulla ragione della distinzione.
    Il  giudizio  di  uguaglianza  diviene,  quindi,  un  giudizio di
ragionevolezza  vale  a  dire  un apprezzamento di conformita' tra la
regola e la ratio ad essa sottesa.
    Nel  caso  in  esame  sembra  che  il  legislatore,  reputando la
modifica legislativa una sorta di reformatio in peius del trattamento
penitenziario  dei  condannati per i nuovi reati ostativi contemplati
dall'art. 4-bis   o.p.,   abbia   voluto   espressamente   escluderne
l'applicazione  ai fatti commessi in epoca antecedente la sua entrata
in vigore.
    Sembrerebbe,  quindi,  che la ratio della norma si identifichi, o
quanto  meno,  si  ispiri al principio in base al quale il condannato
non  puo'  veder  aggravata la punizione prevista dall'ordinamento in
base   ad   una  legge  emanata  successivamente  alla  sua  condotta
criminale.
    Ma  se  cosi'  e',  questo  principio dovrebbe valere anche per i
delitti ostativi gia' contemplati dall'art. 4-bis o.p. ovviamente per
quanto  attiene ai reati consumati prima dell'entrata in vigore della
riforma del 1992.
    Vero  e'  che  solo una situazione piu' tranquillizzante sotto il
profilo   dell'ordine   pubblico  e  della  lotta  alla  criminalita'
organizzata  ha consentito attualmente una opzione diversa rispetto a
quella  adottata  dal  legislatore  del 1992; il che, pero', non puo'
giustificare  una  disparita'  di trattamento: ogni disposizione deve
presentare  una  ragione  obbiettiva  la  quale sia avulsa dai motivi
storicamente  contingenti  che  possono aver indotto il legislatore a
formulare una specifica opzione.
    Ci  si  chiede  peraltro  se  nel  dettare  la  norma in esame il
legislatore  abbia  ritenuto  di adottare solo una scelta di politica
criminale   nel   caso   concreto   o   se   invece  abbia  condiviso
quell'orientamento secondo cui il principio di irretroattivita' della
norma  penale  incriminatrice  gia'  disciplinato  dall'art. 2 c.p. e
quindi  assurto  a rango costituzionale in virtu' dell'art. 25, comma
2,  Cost.,  vada  riferito  non  solo  alle norme che disciplinano le
fattispecie astratte di reato e le conseguenze sanzionatorie ma anche
a tutte quelle che formano il diritto dell'esecuzione della pena.
    Qualunque sia la risposta a questo quesito, resta l'irragionevole
disparita'  di  trattamento.  Ne'  vale  rilevare  che  si  tratta di
condannato per reati diversi.
    In primo luogo non vi e' alcun dato obbiettivo su cui fondare una
presunta maggiore pericolosita' sociale degli autori dei delitti gia'
ricompresi  nel  c.d.  primo  gruppo dell'art. 4-bis o.p. rispetto ai
detenuti  per  i  reati specificati dall'art. 4 comma 1 della novella
(forse  che  la  riduzione  in  schiavitu'  punibile  nel massimo con
quindici  anni  di reclusione e' meno grave dell'associazione di tipo
mafioso  sanzionata  -  nell'ipotesi di semplice partecipazione - con
una pena nel massimo a sei anni?).
    E  comunque  anche se si volessero adottare dei «distinguo» sotto
il  profilo  della  pericolosita'  non  avrebbe alcun senso prevedere
degli  effetti  differenti  solo  in ordine all'epoca dell'entrata in
vigore della norma.
    Infatti,  se  si  prendono  le  mosse dalle decisioni del Giudice
delle  leggi in materia di irretroattivita' dell'art. 4-bis o.p., con
le  quali si e' affermato il principio della aderenza dell'art. 4-bis
o.p.  al  dettato  costituzionale  perche'  introduttivo  di  un mero
criterio   interpretativo   (la  non  collaborazione  e'  indice  del
persistere   della   pericolosita'   sociale   dell'autore  di  reati
gravissimi) e non di una norma penale sfavorevole, non si comprendono
le ragioni che hanno indotto il legislatore del 2002 ad introdurre la
clausola  di  non  retroattivita' della norma sfavorevole realizzando
cosi' una irragionevole disparita' di trattamento non solo tra autori
di reati diversi ma anche tra gli autori dei medesimi fatti di reato,
disparita',  quest'ultima,  fondata  sul  momento  di commissione del
reato  e  non  giustificata alla luce delle ricordate decisioni della
Corte costituzionale.
    Alla  luce  delle  considerazioni  fin qui svolte questo Collegio
reputa  rilevante  e  non  manifestamente  infondata  la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 4, comma 1, legge 23 dicembre
2002,  n. 279,  nella  parte  in  cui non prevede che le disposizioni
dell'art. 1  della  legge  citata non si applichino ai detenuti per i
reati  gia'  compresi  nel testo previgente dell'art. 4-bis, comma 1,
prima  parte  o.p.  e  commessi prima dell'entrata in vigore del d.l.
8 giugno  1992,  n. 306  (delitti  posti  in essere avvalendosi delle
condizioni   previste   dall'art. 416-bis  c.p.  ovvero  al  fine  di
agevolare   l'attivita'  delle  associazioni  previste  dallo  stesso
articolo  nonche'  delitti  di  cui  agli  artt. 416-bis  e 630 c.p.,
291-quater  del  T.U.  approvato  con  d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 3 e
art. 74, d.P.R. 309/1990).
    Di  conseguenza,  conformemente al dettato costituzionale ed alla
legge n. 87/1953, questo tribunale ritiene necessario investire della
questione   la  Corte  costituzionale  cui  gli  atti  devono  essere
trasmessi previa sospensione del procedimento in corso.
                              P. Q. M.
    Visti  gli artt. 3 e 104 Cost., 23, legge n. 87/1953, 1 e 4 della
legge 23 dicembre 2002, n. 279, 666, 678 c.p.p.;
    Dichiara  con riferimento all'art. 3 della Costituzione rilevante
e   non   manifestamente   infondata  la  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 4,  comma  1  della legge 23 dicembre 2002,
n. 279,  nella  parte  in  cui non prevede che le disposizioni di cui
all'art. 1  legge  citata non si applichino ai condannati per i reati
gia'  compresi  nel  testo previgente dell'art. 4-bis, comma 1, primo
periodo   della  legge  26  luglio  1975,  n. 354  e  commessi  prima
dell'entrata  in vigore del legge 8 giugno 1992 n. 306 (delitti posti
in  essere  avvalendosi  delle  condizioni previste dall'art. 416-bis
c.p.  ovvero  al  fine  di  agevolare  l'attivita' delle associazioni
previste  dallo  stesso  articolo  nonche'  delitti di cui agli artt.
416-bis  e  630  c.p.,  291-quater  del  T.U. approvato con d.P.R. 23
gennaio 1973, n. 43 e art. 74 d.P.R. 309/1990).
    Dispone la trasmissione degli atti del presente procedimento alla
Corte costituzionale per la decisione relativa alla citata censura di
incostituzionalita'.
    Ordina   sospendersi  il  procedimento  in  corso  mandando  alla
cancelleria  per gli adempimenti di competenza e per la comunicazione
della  presente  ordinanza al Procuratore generale presso la Corte di
appello  di  Sassari,  al Presidente del Consiglio dei ministri ed ai
Presidenti di Camera e Senato.
        Cosi' deciso in Sassari, il 19 giugno 2003
                                                Il presidente: Deiana
                 Il giudice estensore: De Magistris
03C1063