N. 804 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 maggio 2003

Ordinanza  emessa  il  22  maggio  2003  dal  tribunale  di  Asti nel
procedimento penale a carico di El Badr Mohammed

Straniero - Espulsione amministrativa - Reato di trattenimento, senza
  giustificato  motivo,  nel  territorio  dello  Stato  in violazione
  dell'ordine  di  allontanamento, entro il termine di cinque giorni,
  impartito  dal  questore  -  Arresto  obbligatorio  in  flagranza -
  Lesione del principio di offensivita' - Violazione del principio di
  ragionevolezza  -  Disparita' di trattamento rispetto ad ipotesi di
  reato di maggiore gravita' - Carenza del requisito della necessita'
  ed  urgenza  per  l'adozione  da parte della polizia giudiziaria di
  provvedimenti  provvisori  destinati  ad  incidere  sulla  liberta'
  personale.
- Decreto    legislativo    25 luglio    1998,    n. 286,    art. 14,
  comma 5-quinquies, aggiunto dalla legge 30 luglio 2002, n. 189.
- Costituzione, artt. 2, 3, 13, 25, comma secondo, e 27, comma terzo.
(GU n.40 del 8-10-2003 )
                            IL TRIBUNALE

    Ha  emesso  la seguente ordinanza nel procedimento a carico di El
Badr  Mohammed,  nato a Mohammedia il 1° giugno 1978 difeso d'ufficio
dall'avv.   Lattanzio   del  Foro  di  Asti,  per  il  reato  di  cui
all'art. 14,  comma  5-ter,  d.lgs. n. 286/1998 come modificato dalla
legge  n. 189/2002, perche', senza giustificato motivo, si tratteneva
nel ter-ritorio dello Stato in violazione dell'ordine del Questore di
Asti  di  allontanarsi dal territorio dello Stato entro cinque giorni
dalla notifica del provvedimento (notifica avvenuta in data 12 maggio
2003). Fatto accertato in San Damiano il 21 maggio 2003.
    Premesso:
        che  in data 21 maggio 2003 alle ore 9,20 il prevenuto veniva
tratto in arresto nella flagranza del reato di cui all'art. 14, comma
5-ter,  legge  n. 286/1998  perche'  sorpreso in territorio nazionale
dopo  la  scadenza  del  termine  di giorni cinque, entro cui gli era
stato  intimato dal Questore di Asti, con provvedimento del 12 maggio
2003, notificato in pari data, di allontanarsi dall'Italia attraverso
la frontiera aerea della Malpensa;
        che  all'udienza  del  22  maggio  2003,  il p.m. chiedeva la
convalida  dell'arresto ed il contestuale giudizio direttissimo e che
la difesa dichiarava di rimettersi al giudizio del giudice.
    Questo  giudice  rileva innanzitutto che sussistono i presupposti
formali  per  l'applicazione  della  norma  di cui all'art. 14, comma
5-quinquies  d.lgs.  n. 286/1998,  atteso  che  l'imputato  e'  stato
arrestato perche' sorpreso nella flagranza del reato contestatogli ed
atteso  il  rispetto da parte della p.g. che ha proceduto all'arresto
degli   obblighi   previsti   dall'art. 386  c.p.p.,  cosi'  come  le
prescrizioni normative poste dagli artt. 390 e 391 c.p.p.
    Dovrebbe  pertanto  trovare  applicazione  la norma dell'art. 14,
comma  5-quinquies, che imporrebbe di convalidare l'arresto in quanto
obbligatorio,  norma  peraltro  della cui legittimita' costituzionale
pare lecito dubitare per i seguenti motivi.
    La  fattispecie  penale  in  relazione  alla  quale  e'  previsto
l'arresto  de  quo  e' inserita nell'ambito del sistema relativo alla
esecuzione  del decreto di espulsione prefettizio di cui all'art. 13,
comma 2, legge n. 286/1998.
    Una   volta   decretata   da   parte  del  prefetto  l'espulsione
amministrativa  dello  straniero, l'esecuzione della stessa spetta al
questore  che, a norma dell'art. 13, comma 4, deve eseguirla mediante
accompagnamento   alla   frontiera  a  mezzo  della  forza  pubblica.
L'accompagnamento  coattivo  viene previsto dalla legge come il mezzo
principale  e generale per l'esecuzione delle espulsioni, (tranne che
per  alcuni  casi  espressamente  previsti  dall'art. 13, comma 5), e
trattandosi  di  misura  che  incide  sulla  liberta'  personale,  e'
soggetto a convalida da parte della autorita' giurisdizionale.
    Ove   tuttavia   non   sia   possibile   eseguire  immediatamente
l'espulsione  (perche' occorre procedere al soccorso dello straniero,
ad   accertamenti  supplementari  in  ordine  alla  sua  identita'  o
nazionalita' ovvero alla acquisizione di documenti di viaggio, ovvero
vi  sia  indisponibilita'  di  vettore  o di altro mezzo di trasporto
idoneo),  a  norma dell'art. 14, comma 1, lo straniero, su ordine del
questore,  viene  trattenuto  presso un c.p.t. con una procedura che,
attesa   la  sua  giurisdizionalizzazione,  non  consente  abusi.  Il
questore  ha  a  disposizione  trenta giorni di tempo (rinnovabili di
altri   trenta)   per   eliminare   le  cause  che  avevano  impedito
l'espulsione immediata ed eseguirla.
    Se poi, «non e' stato possibile trattenere lo straniero presso un
centro di permanenza temporanea...» il legislatore prevede un sistema
residuale  di esecuzione dell'espulsione consistente nell'intimazione
da   parte  del  questore  allo  straniero  espulso  di  lasciare  il
territorio dello Stato entro cinque giorni.
    Il  legislatore  delega,  in  definitiva,  allo  stesso  soggetto
onerato,  l'esecuzione  del  provvedimento  di espulsione, rendendola
coattiva   attraverso   la   previsione   di   una  sanzione  penale.
L'inottemperanza  all'ordine del questore, senza addurre giustificato
motivo  e',  infatti,  sanzionata penalmente con l'applicazione della
pena  dell'arresto  da sei mesi ad un anno e comporta, da parte delle
forze  dell'ordine, l'arresto obbligatorio dell'autore del fatto e il
giudizio per direttissima (art. 14, comma 5-quinquies).
    La  norma  incriminatrice  appare essere legata da un rapporto di
species  ad genum rispetto alla fattispecie di cui all'art. 650 c.p.,
in  cui  la specialita' consiste nel fatto che l'ordine questorile e'
gia' normativamente predeterminato nei presupposti e nel contenuto.
    I  presupposti dell'intimazione entrano a far parte del contenuto
della  stessa,  rendendo  legittimo  l'uso del potere solo se vengono
rispettati. L'ordine questorile deve pertanto, contenere, nella parte
motiva,   l'espresso   riferimento   alle  condizioni  che  ne  hanno
determinato l'emissione.
    Dal  profilo strutturale, il reato in esame presuppone, pertanto,
non solo un preesistente valido decreto di espulsione amministrativa,
ma anche una complessa situazione di fatto, basata a sua volta su due
presupposti:    1)    impossibilita'    di    esecuzione    immediata
dell'espulsione  a  causa  della  sussistenza di una delle condizioni
ostative di cui all'art. 14, comma 1; 2) impossibilita' di trattenere
lo straniero presso un centro di permanenza temporaneo.
    Delimitato   in   questo  modo  l'ambito  di  operativita'  della
fattispecie  penale  e  la  sua  connotazione strutturale, l'art. 14,
comma  5-bis  e  ter  e,  conseguentemente, la norma che deve trovare
applicazione dell'art. 14, comma 5-quinquies appaiono confliggere con
gli  artt. 2,  13,  25,  comma  2,  e 27, comma 3, Cost. in quanto in
contrasto con il principio di offensivita' dagli stessi enucleato.
    Il   principio   nullum   crimen  sine  iniuria  trova,  infatti,
fondamento  nella Costituzione che all'art. 25, comma 2, ha costruito
una  nozione  di  reato come illecito tipico, comprensivo anche della
offesa al bene tutelato.
    Ogni  qual volta i diritti inviolabili dell'uomo, fra cui rientra
quello  della  liberta' personale, subiscono limiti in relazione alla
sussistenza  e  alla  necessita'  di tutelare altri diritti con cui i
primi  devono armonizzarsi, il loro sacrificio e' legittimo solo se i
secondi abbiano pari dignita' costituzionale.
    Il  principio  di offensivita' opera, pertanto, su due differenti
livelli:  1)  l'interesse  tutelato  dalla  norma  penale  deve avere
«significativita'  costituzionale»; 2) il reato deve estrinsecarsi in
un  fatto  necessariamente  lesivo,  o quantomeno pericoloso, di tale
interesse.
    Il   principio   in   esame   pone,   pertanto,  un  limite  alla
discrezionalita'  del  legislatore  impedendo  che vengano perseguite
condotte  prive  di  un  reale  disvalore e che il reato possa essere
strutturato a priori ed in astratto in modo tale da non essere lesivo
dell'interesse, oggetto giuridico della norma incriminatrice.
    Nel caso di specie, la norma denunciata e' volta a tutelare ed ha
ad  oggetto  quegli  stessi  interessi,  ordine  pubblico e sicurezza
pubblica, di sicuro rilievo costituzionale, a protezione dei quali e'
emanato  il  provvedimento  di  espulsione  e  rispetto  al  quale la
intimazione costituisce il mezzo di esecuzione.
    La  fattispecie  penale  e'  strutturata, tuttavia, fin dalla sua
previsione astratta, in modo tale da escludere anche in via meramente
ipotetica, la lesione del bene protetto.
    Il reato in questione, infatti, ha come presupposto un decreto di
espulsione  che il legislatore stesso all'art. 14, comma 1, definisce
«non  immediatamente  eseguibile»  a  causa  della sussistenza di una
delle condizioni ostative ivi espressamente previste.
    L'inottemperanza  all'ordine  questorile  appare,  pertanto,  fin
dalla  sua  previsione  astratta non idonea a ledere il bene protetto
dalla  norma,  atteso  che  e'  il  legislatore  stesso che definisce
ineseguibile  il  provvedimento  di  cui l'intimazione rappresenta il
mezzo di attuazione.
    La  norma penale, pertanto, cosi' strutturata, appare configurare
un  illecito  di  mera disubbidienza, disancorato dalla lesione di un
qualsiasi  bene  giuridico;  lo  straniero  espulso,  viene  infatti,
sottoposto all'arresto obbligatorio e punito con la pena dell'arresto
per il solo fatto di aver disubbidito all'intimazione del questore, a
prescindere  dal  fatto  che  gia'  a  priori  manca  la possibilita'
concreta di eseguire l'ordine e quindi di ledere il bene a protezione
del quale la nonna e' preposta.
    Occorre a tale proposito sottolineare che in base ai principi che
regolano il diritto amministrativo, perche' un ordine impartito dalla
pubblica  amministrazione  sia  vincolante  per  il  destinatario, lo
stesso  deve  essere  eseguibile  e cioe' non devono sussistere cause
ostative  alla sua diretta ed immediata attuazione. Fra i presupposti
dell'esecutivita',  rientra  la cosiddetta «possibilita' materiale» e
cioe'   la  possibilita'  che  l'atto  mandato  ad  esecuzione  possa
effettivamente  realizzare  il  suo  scopo.  L'ordinamento  entra  in
contraddizione  con  se stesso quando ordina di dare esecuzione ad un
provvedimento  che  per  sua  stessa  ammissione non e' eseguibile. A
maggior    ragione    la    contraddizione    sussiste,    diventando
irragionevolezza,  quando  all'ordine di attuazione del provvedimento
non eseguibile viene fatta conseguire, in caso di inottemperanza, una
sanzione penale.
    Il  reato  presupposto  dell'arresto (p. e p. dall'art. 14, comma
5-ter)  contrasta  pertanto,  sotto  questo  profilo,  anche  con 211
artt. 13  e  27,  comma  3,  Cost.  La  compressione  della  liberta'
personale   che   consegue   alla  inottemperanza,  diventa  infatti,
ingiustificata atteso che non e' bilanciata da alcun interesse che ne
giustifichi  la  limitazione. Nessuna finalita' di rieducazione della
pena  puo'  essere,  poi,  ravvisata  in una sanzione volta a rendere
coercibile  un  comportamento che lo stesso legislatore definisce non
eseguibile  e  che a cui la stessa pubblica amministrazione non e' in
grado di far fronte.
    La  norma  da  applicare  appare  poi  in  contrasto  anche con i
principi  stabiliti  dagli  artt. 3  e  13 della Carta costituzionale
anche sotto altri profili.
    La  norma  in  questione  ad  avviso di questo giudice si pone in
contrasto innanzitutto con l'art. 13 della Costituzione.
    L'istituto dell'arresto, quale strumento di temporanea privazione
della  liberta'  personale,  soggiace  al rispetto dei principi posti
dall'art. 13  Cost.  che,  com'e'  noto,  prevede  la possibilita' di
comprimere  la  liberta'  personale  solo  in  forza di atti motivati
dell'autorita'  giudiziaria  e  limita  l'adozione  di  provvedimenti
provvisori  da  parte  della  p.g.  soltanto  ai  casi eccezionali di
necessita'   ed   urgenza.   Da  cio'  discende  come  corollario  la
tassativita'  delle ipotesi di arresto previste dagli artt. 380 e 381
c.p.p., non suscettibili di applicazione analogica.
    Nella disciplina codicistica la misura dell'arresto e' in stretto
legame e finalizzata all'applicazione di misure cautelari coercitive,
sia  pure  non  costituendo  queste  ultime il necessario esito della
procedura di convalida.
    Sintomatica  di  tale  necessario  collegamento tra la previsione
dell'arresto  e la sottoponibilita' dell'arrestato a misura cautelare
e'  del  resto  anche la nonna dell'art. 121, comma primo, disp. att.
c.p.p., che prevede che il pubblico ministero disponga la liberazione
immediata  dell'arrestato  quando  ritiene  di  non  dover richiedere
l'applicazione di misure coercitive.
    E'  chiaro  che  per  il  reato  in esame non sara' mai possibile
pervenire  all'emissione  di  misure coercitive, a cio' ostando sia i
limiti  edittali di pena (essendo punito con l'arresto da sei mesi ad
un  anno) sia la tipologia di reato (trattandosi di contravvenzione e
non di delitto).
    Se  cosi'  e',  si deve pervenire alla conclusione che per questo
tipo di contravvenzione e' previsto un arresto obbligatorio destinato
necessariamente a portare alla liberazione dell'arrestato ancor prima
dell'udienza  di  convalida  e  che  comporta quindi una compressione
della   liberta'   personale   non  giustificata  da  un'apprezzabile
necessita'  e dunque non conforme al criterio di cui al comma secondo
dell'art. 13 della Costituzione.
    Ma  la  norma da applicare appare anche in contrasto con l'art. 3
della Costituzione in quanto viola il principio di uguaglianza.
    In   particolare  non  conforme  al  criterio  di  ragionevolezza
(nell'accezione  ormai consolidatasi nella giurisprudenza della Corte
costituzionale)  si  rivela  il  diverso  trattamento dal legislatore
riservato  a due situazioni diverse, apparendo la disciplina prevista
per  la  condotta  di  cui  all'art. 14, comma 5-ter, legge cit. piu'
rigorosa   rispetto   a  quella  prevista  per  la  condotta  di  cui
all'art. 13, commi 13 e 13-bis, stessa legge, atteso che per il reato
di  cui  all'art. 14,  comma 5, e' previsto l'arresto obbligatorio in
flagranza  mentre  per i reati di cui all'art. 13, commi 13 e 13-bis,
e' previsto l'arresto come facoltativo.
    Risulta  prevista  l'obbligatorieta'  dell'arresto per il caso di
cittadino   extracomunitario   che   sia   stato   raggiunto   da  un
provvedimento  di  espulsione  del  questore  e  che sia sorpreso nel
territorio nazionale (art. 14, comma 5-ter, legge cit.).
    E'  invece  meramente  facoltativo  l'arresto  nel  caso  che  il
cittadino extracomunitario sia stato raggiunto da un provvedimento di
espulsione  da  parte del giudice, sia stato concretamente espulso ed
abbia  ciononostante fatto ritorno sul territorio nazionale sul quale
venga sorpreso (art. 13, commi 13-bis e ter, legge cit.).
    Il   maggior  rigore  riservato  alla  prima  situazione  non  si
giustifica,  ad  avviso  di  questo  giudice, sotto nessun plausibile
motivo,  apparendo anzi la condotta sanzionata dall'art. 13 cit. piu'
grave  di  quella punita dall'art. 14, stessa legge: prova ne sia che
si  tratta, nell'un caso, di un delitto punito con la reclusione fino
a  quattro  anni,  nell'altro  caso di una contravvenzione punita con
l'arresto fino ad un anno.
    A  fondare  tale  diversita'  di  trattamento non appare emergere
neppure una valida ragione di ordine pratico.
    Nel  caso di espulsione disposta dal giudice, il trasgressore del
divieto  di  reingresso che faccia ritorno nel territorio dello Stato
non  si  trova  in una situazione fattuale diversa da colui che da un
simile  provvedimento  non  sia  mai  stato raggiunto e che sia stato
invece colpito dal provvedimento del questore ai sensi del successivo
articolo 14.
    Anzi appare certamente piu' riprovevole la condotta di colui che,
dopo  essere  stato  concretamente  espulso dal territorio nazionale,
illegittimamente  e  per la seconda volta vi faccia ritorno, rispetto
alla  condotta di chi, spesso introdotto per la prima volta in Italia
con scarsa o nessuna consapevolezza (si pensi alle giovani da avviare
alla  prostituzione,  sovente  condotte  in Italia da terzi contro la
loro  volonta),  si  trovi  a  dover  ottemperare  ad  un  ordine  di
espulsione senza neppure avere i mezzi materiali per poterlo fare (e'
frequente  nell'esperienza  di  questo  giudice  il caso di cittadino
extracomunitario  che  ha  dichiarato  di  non  avere  il  denaro per
affrontare  il  viaggio  ovvero  di avere difficolta' a rientrare nel
proprio paese in quanto privo di documenti).
    Anche  nel  caso del cittadino espulso che rientri nel territorio
dello  Stato  sussistono  inoltre  le medesime ragioni di urgenza che
sussistono  per  il cittadino al quale un provvedimento di espulsione
del questore sia stato notificato.
    Appare  quindi evidente che la disciplina difforme riservata alle
due  fattispecie  non  e'  ragionevole  e  come  la  norma  in esame,
prevedendo  il  trattamento piu' rigoroso per la condotta meno grave,
appare  in  contrasto con l'art. 3 della Costituzione, ove tale norma
si raffronti con quella dell'art. 13, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286.
    E'  da aggiungersi, ancora sotto il profilo della rilevanza della
questione  che,  ove  la  previsione dell'arresto fosse in termini di
facoltativita',  non  vi sarebbero nel caso di specie gli estremi per
poterlo  ritenere  giustificato  e quindi per convalidarlo, attese le
particolarita'  del caso (cittadino privo di mezzi e documenti per il
quale  anche  le  autorita'  di polizia hanno difficolta' ad eseguire
l'espulsione).
    Si  sottolinea  al riguardo che l'intimazione del questore motiva
la     necessita'     del    provvedimento    facendo    riferimento:
all'impossibilita'  di  procedere  all'accompagnamento immediato alla
frontiera  perche'  sprovvisto  di  documento  idoneo  all'espatrio e
all'impossibilita'   trattenerlo   presso  un  centro  di  permanenza
temporanea e di assistenza.
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87, d'ufficio.
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale in ordine all'art. 14, comma 5-quinquies
d.lgs.  n. 286/1998,  come  modificato  dalla  legge  n. 189/2002  in
relazione  agli  artt. 2,  3,  13,  25,  comma  2 e 27, comma 3 della
Costituzione.
    Sospende   il   giudizio  di  convalida  dell'arresto  e  dispone
l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
    Ordina la notificazione, a cura della cancelleria, della presente
ordinanza  al  Presidente  del  Consiglio  ed ai Presidenti delle due
Camere del Parlamento.
    Ordina   l'immediata  liberazione  di  El  Badr  Mohamed  se  non
ristretto per altra causa.
    Riserva  la  motivazione  della presente ordinanza nel termine di
legge.
        Asti, addi' 22 maggio 2003
                        Il giudice: Polidori
03C1078