N. 817 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 giugno 2003
Ordinanza emessa il 5 giugno 2003 dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto da Bottari Cinzia ed altra Processo penale - Riparazione per ingiusta detenzione - Riconoscimento del diritto ad una equa riparazione in caso di archiviazione del procedimento per morte del reo, qualora nello stesso procedimento, o comunque sulla base dello stesso materiale probatorio, si accerti nei confronti dei coimputati che il fatto non sussiste - Mancata previsione - Irragionevole disparita' di trattamento - Lesione dei principi di solidarieta' e di inviolabilita' della liberta' personale - Violazione del principio della riparazione per ingiusta detenzione. - Cod. proc. pen., art. 314, comma 3. - Costituzione artt. 2, 3, 13 e 24, comma terzo (recte: comma quarto).(GU n.42 del 22-10-2003 )
LA CORTE DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto da Bottari Cinzia e Bottari Cristina avverso l'ordinanza in data 20 marzo 2002 della Corte d'appello di Messina, che ha rigettato la domanda di riparazione per ingiusta detenzione proposta nella qualita' di discendenti di Bottari Giuseppe; Sentita la relazione fatta dal consigliere Chiliberti Alfonso; Lette le conclusioni del procuratore generale in persona del dott. F. Hinna Danesi, che ha chiesto sollevarsi questione di legittimita' costituzionale; Fatto e diritto Con atto del 29 aprile 2002 Bottari Cinzia e Bottari Cristina hanno proposto ricorso avverso l'ordinanza in data 20 marzo 2002 della Corte d'appello di Messina, che ha rigettato la domanda di riparazione per ingiusta detenzione proposta nella qualita' di figlie di Bottari Giuseppe, sottoposto agli arresti domiciliari dal 21 febbraio al 15 maggio 1992, la cui posizione era stata archiviata per la morte, avvenuta il 6 dicembre 1992, sul presupposto che i coimputati erano poi stati assolti dal Tribunale di Messina con sentenza 5 luglio 2000 perche' il fatto non sussiste, formula che sarebbe stata applicata anche al genitore qualora non fosse premorto. La corte distrettuale ha rigettato l'istanza non rientrando l'ipotesi di archiviazione per morte del reo tra le formule di proscioglimento che consentono l'equo indennizzo. Lamentano le ricorrenti la violazione di legge per non esser stato applicato l'art. 12 delle disposizioni preliminari al codice civile, che opera quando la controversia non possa essere decisa sulla scorta di una precisa disposizione, imponendo il ricorso alle disposizioni che regolano casi simili o analoghi. Osserva questa Corte che - pur sussistendo la legittimazione delle istanti, in virtu' dell'art. 644, comma 1, c.p.p., richiamato dall'art. 315, comma 3, c.p.p. - il ricorso allo stato della legislazione e' infondato, in quanto la Corte d'appello non poteva estendere i casi normativamente previsti di riparazione, che costituiscono ius singulare, stante la loro natura indennitaria e non risarcitoria, cosa che ne esclude la ricomprensione in una norma a carattere generale qual e' quella dell'art. 2043 c.c.; in un sistema improntato alla casistica, le ipotesi indennitarie debbono necessariamente essere testuali e non virtuali. Deve infatti rilevarsi che l'art. 314, comma 3, c.p.p., regola le ipotesi in cui la riparazione compete per il caso di archiviazione con un rinvio alle disposizioni dei commi l e 2 dello stesso articolo, e dunque, qualora non si lamenti l'ingiustizia formale di cui al comma 2, la riparazione compete laddove l'archiviazione sia stata disposta perche' il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perche' il fatto non costituisce reato o perche' il fatto non e' previsto come reato. Non e' dunque ricompresa l'ipotesi in cui l'archiviazione sia disposta per morte del reo, il che in via generale e' conforme alla logica del sistema, che prevede un accertamento giudiziale della mancanza di causa della detenzione, discendente dall'adozione di una delle formule di proscioglimento anzidette. Si evidenzia pero' l'esistenza di una carenza di previsione normativa per le fattispecie del tipo di quella portata all'esame di questa Corte, in cui la formula con la quale viene escluso l'esercizio dell'azione penale ostativa all'indennizzo per ingiusta detenzione: se in linea di principio la mancanza di un accertamento definitivo (che e' altresi' irrevocabile, pur se il provvedimento consiste in un'archiviazione o in una sentenza di non luogo a procedere, in caso di morte, mancando i presupposti - salvo il caso che la morte sia erroneamente ritenuta - per la revoca del decreto di archiviazione o della sentenza) in ordine all'illegittimita' della detenzione osta alla riparazione, non appare ragionevole che la riparazione sia negata laddove, proseguendo il procedimento nei confronti dei coindagati, si accerti con provvedimento irrevocabile che il fatto non sussiste, essendo di palmare evidenza che l'insussistenza del fatto, per la sua essenza ontologica, non puo' non riguardare anche colui la cui posizione sia stata gia' definita con una pronuncia di estinzione del reato per morte del reo. Cio' vale sia per l'ipotesi di archiviazione, sia per l'ipotesi di sentenza di non luogo a procedere, sia ancora per l'ipotesi di sentenza predibattimentale o dibattimentale, ovviamente a condizione che l'accertamento dell'insussistenza del fatto avvenga nello stesso procedimento, o in altro procedimento, ma comunque sulla scorta del medesimo materiale probatorio. La ritenuta mancanza di ragionevolezza dell'omissione di una siffatta previsione, che fa apparire non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale, appare rilevante ai fini del decidere, ed impone di sollevare la questione innanzi alla Consulta: laddove infatti il giudice delle leggi ritenesse fondata la questione, spetterebbe la riparazione nel caso portato all'attenzione di questa Corte. Nessun problema si pone, infatti, in ordine alla tempestivita' del ricorso, in quanto il termine iniziale di decadenza per la proposizione dell'istanza riparatoria decorre dalla notificazione del provvedimento di archiviazione, notificazione che in caso di morte non e' prevista. Plurimi sono i profili di incostituzionalita' rilevabili, e da ritenersi non manifestamente infondati, anche perche' gia' valutati dalla Consulta nel senso della loro sussistenza in altre fattispecie: gia' la Corte costituzionale con sentenza 25 luglio 1996, n. 310 ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 314 c.p.p. laddove non prevede la riparazione per ingiusta detenzione patita a causa di erroneo ordine di esecuzione, e con la sentenza 2 aprile 1999, n. 109, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale della mancata previsione della riparazione in caso di arresto o fermo non convalidato dal giudice con decisione irrevocabile o la cui convalida sia stata annullata dalla Corte di cassazione sul ricorso promosso ai sensi dell'art. 391, comma 4, del codice di procedura penale, evidentemente in linea con il principio per cui l'ingiusta detenzione va comunque ristorata. Puo' escludersi l'incostituzionalita' in riferimento all'art. 76 Cost., in quanto la non completa attuazione, da parte del Governo delegato, della delega legislativa non e' violatrice della Costituzione, cosa che invece ha luogo quando si sia in presenza non gia' di un'incompleta esecuzione della delega, ma del caso inverso dell'eccesso. Ne' e' ravvisabile contrasto con l'art. 10 Cost., in relazione al fatto che l'obbligo di riparazione e' sancito in convenzioni internazionali cui l'Italia ha aderito, e segnatamente la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, ratificata dall'Italia con la legge 4 agosto 1955, n. 848, che prevede espressamente, all'art. 5, il diritto alla riparazione a favore della vittima di arresto o di detenzioni ingiuste senza distinzione di sorta, in quanto le norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, cui l'Italia si obbliga ad attenersi con la norma costituzionale detta, sono quelle consuetudinarie e non quelle pattizie. Deve invece ravvisarsi un primo profilo d'incostituzionalita' in relazione all'art. 3 Cost. La disposizione censurata contrasta, ad avviso di questa Corte, con l'art. 3 della Costituzione, per irragionevole disparita' di trattamento tra chi, privato della liberta' personale in forza di una misura custodiale ingiusta, non possa venire prosciolto con una delle formule che consentono l'indennizzo, essendo imposto al giudice (art. 129 c.p.p.) di dichiarare l'estinzione del reato non appena la causa estintiva si materializzi, se fino a quel momento non risulta evidente che il fatto non sussiste, che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o che non e' previsto dalla legge come reato. Nondimeno, qualora il procedimento prosegua nei confronti di coimputati e si accerti che il fatto non sussiste, non appare ragionevole che quell'accertamento che e' mancato nei confronti del deceduto, ma che risulta a posteriori non giovi ai fini riparatori, con iniqua diversificazione di posizioni a fronte della stessa risultanza processuale ed eventualmente delle stesse conseguenze in tema di liberta' personale. Diversa e' l'ipotesi in cui l'imputato venga prosciolto per prescrizione, in quanto avrebbe avuto modo di ottenere l'accertamento utile ai fini dell'indennizzo rinunciando alla prescrizione. Ulteriore profilo di incostituzionalita' e' ravvisabile nel contrasto con gli artt. 2 e 13 della Costituzione: si rileva che nella disciplina censurata sono simultaneamente coinvolti il principio di solidarieta' e quello della inviolabilita' della liberta' personale, che se violata va comunque ristorata. Come gia' rilevato in altri casi dalla Consulta (sent. n. 446/1997; sent. n. 109/1999) la riparazione per l'ingiusta detenzione ha un fondamento squisitamente solidaristico, ed in presenza di una lesione della liberta' personale rivelatasi comunque ingiusta con accertamento ex post in ragione della qualita' del bene offeso si deve avere riguardo unicamente alla oggettivita' della lesione stessa. Orbene, l'accertamento dell'ingiustizia della detenzione non puo' non comportare lo stesso diritto quando, per cause non imputabili a chi ha sofferto l'ingiusta detenzione, detto accertamento non abbia luogo direttamente in suo favore, ma si debba necessariamente estendere a lui. Va poi rilevato che l'orientamento della Consulta e' significativamente volto a porre riparo ai vuoti legislativi discendenti da una previsione testuale anziche' virtuale delle ipotesi di equo indennizzo: si ricorda infatti la sentenza n. 109/1999 della Consulta, che - a proposito della mancata previsione del diritto all'indennizzo per la detenzione conseguente ad arresto in flagranza o fermo - ha evidenziato come, in una materia che non tollera franchigie temporali a favore di alcuna autorita', tale ipotesi e' trattata dal legislatore, ai fini dell'equa riparazione, come se fosse un provvedimento che non lede la liberta' personale, ma un simile trattamento contrasta con la legge di delegazione n. 81 del 16 febbraio 1987, nella quale e' ben presente l'esigenza che tutte le offese arrecate alla liberta' personale mediante ingiusta detenzione siano riparate, indipendentemente dalla durata di questa e quale che sia l'autorita' dalla quale la restrizione provenga. L'indirizzo impartito al Governo al punto 100 dell'art. 2, comma l, di tale legge e' infatti nel senso di introdurre, accanto alla riparazione dell'errore giudiziario, vale, a dire del giudicato erroneo, gia' oggetto della disciplina del codice previgente, anche la riparazione per la «ingiusta detenzione» senza distinguere tra i fattori genetici di essa: cio' che rende palese l'intento del legislatore delegante che non venissero a determinarsi, su questo piano, differenze che sarebbero risultate difficilmente giustificabili. Tale rilievo, relativo ai fattori genetici della detenzione, non puo' non ritenersi ugualmente valido in relazione alle modalita' dell'accertamento dell'ingiustizia della detenzione, potendo non parificarsi all'accertamento con provvedimento reso nei confronti dell'interessato l'ipotesi in cui l'accertamento non sia diretto, ma derivato, per causa non imputabile al soggetto che ha patito la restrizione.
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infonda la questione di legittimita' dell'art. 314, comma 3, c.p.p. in relazione agli artt. 2, 3, 13 e 24, comma terzo, Cost. nella parte in cui non prevede, in caso di archiviazione del procedimento per morte del reo, la spettanza della riparazione per ingiusta detenzione qualora nello stesso procedimento o comunque sulla base dello stesso materiale probatorio si accerti nei confronti dei coimputati che il fatto non sussiste; Sospende il giudizio e manda alla cancelleria di notificare alle parti ed al p.m., nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri ed ai Presidenti delle due camere del Parlamento la presente ordinanza; Ordina trasmettersi gli atti alla Corte costituzionale. Cosi' deciso in Roma, addi' 28 marzo 2003 Il Presidente: Battisti Il consigliere estensore: Chiliberti 03C1101