N. 867 ORDINANZA (Atto di promovimento) 1 luglio 2003
Ordinanza emessa il 1° luglio 2003 dal tribunale di Roma nel procedimento penale a carico di Barletta Claudio ed altri Processo penale - Applicazione della pena su richiesta delle parti - Modifiche normative - Possibilita' per le parti di formulare la richiesta di cui all'art. 444 cod. proc. pen., come novellato, anche nei processi penali in corso di dibattimento, nei quali risulti decorso il termine previsto dall'art. 446, comma 1, cod. proc. pen. - Sospensione del dibattimento, su richiesta dell'imputato, per un periodo non inferiore a quarantacinque giorni per valutare l'opportunita' della richiesta - Decorrenza del termine per richiedere la sospensione del processo dalla prima udienza utile successiva alla data di pubblicazione della novella - Violazione del principio di ragionevolezza - Lesione del principio della ragionevole durata del processo. - Legge 12 giugno 2003, n. 134, art. 5, commi 1 e 2. - Costituzione, artt. 3 e 111. Processo penale - Applicazione della pena su richiesta delle parti - Modifiche normative - Ampliamento dell'ambito operativo dell'istituto - Conseguente sottrazione della maggioranza dei reati al giudizio di cognizione piena - Violazione del principio di ragionevolezza - Lesione del principio del contraddittorio. - Legge 12 giugno 2003, n. 134, art. 1. - Costituzione, artt. 3 e 111.(GU n.44 del 5-11-2003 )
IL TRIBUNALE Visti gli atti del procedimento penale a carico di: Barletta Claudio, Bianco Domenico, Bottone Leopoldo, Celani Duilio, Cirulli Amelio, Cirulli Mario, Corigliano Antonio, D'Amario Gino Valentino, Moauro Antonio Nino, Tucci Remo, Zanna Santino. Imputati il Bianco: a) artt. 81, 110, 319 c.p.; b) art. 81, 476 e 482 c.p.; c) art. 48, 81, 479 c.p.; d) artt. 81, 110, 314, 61 n. 2 c.p.; e) artt. 81, 624, 625 n. 7, 61 nn. 2 e 9 c.p.; fatti commessi in Roma fino al tutto il 1996. Barletta e Celani: f) art. 81, 110, 319 c.p.; in Roma fino al settembre 1996; Cirulli Amelio: i) art. 321 c.p. in relazione all'art. 319 c.p.; in Roma, nel novembre 1996; Corigliano: o) art. 321 in relazione all'art. 319 c.p.; in Roma nel gennaio 1996; Tucci: s) art. 321 in relazione all'art. 319 c.p.; in Roma nel 1995; D'Amario: v) art. 321 in relazione all'art. 319 c.p.; in Roma, nei primi mesi del 1995; Moauro: jj) art. 321 in relazione all'art. 319 c.p.; in Roma nel 1993; Bottone: kk) art. 321 in relazione all'at. 319 c.p.; in Roma, nel giugno 1994; Zanna: qq) art. 321 in relazione all'art. 319 c.p.; in Roma, nel marzo 1994; Cirulli Mario: xx) art. 321 in relazione all'art. 319 c.p.; in Roma, nel gennaio 1995. Premesso in fatto che: Gli odierni imputati sono stati rinviati a giudizio, dopo l'udienza preliminare, per rispondere dei reati sopra indicati e meglio descritti nei capi d'imputazione; Vi e' stata costituzione di parte civile; Il processo era oggi fissato per la sola discussione; All'odierno dibattimento l'imputato, Bianco, tramite difensore munito di procura speciale, ha chiesto la sospensione del processo ai sensi dell'art. 5, comma 2, della legge 12 giugno 2003, n. 134; i difensori degli imputati, D'Amario, Cirulli Mario, Celani e Barletta, privi di procura speciale, hanno chiesto ugualmente la sospensione del processo ai sensi della norma citata; Considerato in diritto che: 1. - L'art. 5, della legge 12 giugno 2003, n. 134, stabilisce che: 1) l'imputato, o il suo difensore munito di procura speciale, e il pubblico ministero, nella prima udienza utile successiva alla data di entrata in vigore della presente legge, in cui sia prevista la loro partecipazione, possono formulare la richiesta di cui all'articolo 444 del codice di procedura penale, come modificato dalla presente legge, anche nei processi penali in corso di dibattimento nei quali, alla data di entrata in vigore della presente legge, risulti decorso il termine previsto dall'art. 446, comma 1, del codice di procedura penale, e cio' anche quando sia gia' stata presentata tale richiesta, ma vi sia stato il dissenso da parte del pubblico ministero o la richiesta sia stata rigettata da parte del giudice, e sempre che la nuova richiesta non costituisca mera riproposizione della precedente; 2) su richiesta dell'imputato il dibattimento e' sospeso per un periodo non inferiore a quarantacinque giorni per valutare l'opportunita' della richiesta e durante tale periodo sono sospesi i termini di prescrizione e di custodia cautelare; 3) le disposizioni dell'art. 4 si applicano anche ai procedimenti in corso. Per tali procedimenti la Corte di cassazione puo' applicare direttamente le sanzioni sostitutive. Questo Tribunale dubita della legittimita' costituzionale della norma per contrasto con gli artt. 3 e 111 della Costituzione. La norma non appare ragionevole sotto diversi profili in particolare: a) in relazione al disposto del comma 1, che consente di formulare la richiesta anche oltre il termine fissato dall'at. 446, comma 1, c.p.p.; b) in relazione al disposto del comma 2, che impone, su richiesta dell'imputato, una sospensione di 45 giorni, fissando il termine di decorrenza dalla prima udienza utile successiva alla data di pubblicazione; c) in relazione al disposto del comma 3 che dispone applicarsi le disposizioni dell'art. 4 della medesima legge anche ai processi in corso; 2. - In primo luogo, in relazione al contrasto con il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. si osserva che l'istituto della pena concordata e' stato introdotto nel codice di rito vigente per determinare un effetto deflattivo del procedimento penale. In sostanza si e' concesso alle parti di concordare la pena per evitare i costi in termini di tempo, di risorse umane e finanziarie determinate dalla complessita' dell'udienza preliminare o del dibattimento; in cambio di tale risparmio, l'imputato gode di uno sconto di un terzo della pena. Tale principio e' stato affermato anche dalla Corte costituzionale con sentenza n. 129 del 1993, laddove afferma, con riferimento ai riti speciali, che «l'interesse dell'imputato a beneficiare dei vantaggi conseguenti a tali giudizi in tanto rileva, in quanto egli rinunzia al dibattimento e venga percio' effettivamente adottata una sequenza procedimentale che consenta di raggiungere l'obiettivo di una rapida definizione del processo». Il carattere premiale del rito previsto dall'art. 444 c.p.p. e' stato ancora confermato dall'ordinanza n. 172 del 1998 di codesta Corte. Ne consegue che lo sbarramento previsto dall'art. 446 comma 1 c.p.p. per l'introduzione del rito ha una sua logica ferrea ed ineludibile, altrimenti verrebbe meno il principio stesso su cui si fonda il rito premiale. Il legislatore, con la novella del 2003, avrebbe dovuto consentire di presentare la richiesta lasciando inalterato il limite di cui all'art. 446, comma 1, c.p.p. Invece non ha operato neppure una distinzione fra i processi per i quali e' stato aperto il dibattimento, ma non e' stata compiuta alcuna attivita' istruttoria e processi per i quali l'istruttoria e' gia' avanzata o addirittura e' stato dichiarato chiuso il dibattimento e si e' in fase di discussione. Consentire la riduzione della pena anche a chi non ha fatto risparmiare alcuna risorsa 1o Stato e ai cittadini, dopo che e' stata celebrata l'udienza preliminare o il dibattimento e' stato celebrato ed e' stato addirittura dichiarato chiuso ed e' addirittura in corso la discussione, non appare ragionevole e contrasta con i principi che sottendono l'istituto dell'applicazione della pena concordata. 3. - Si ravvisa l'ulteriore contrasto con l'art. 111 Cost. oltre che, sotto diverso profilo, con l'art. 3 Cost. Quest'ultimo, nella parte relativa alla ragionevole durata del processo, e' di recente introduzione e trae il suo fondamento nei principi enunciati dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, ratificata dalla legge 4 agosto 1955, n. 848. Appare opportuna qualche riflessione sull'interpretazione dell'art. 111 Cost. e sugli interessi che esso tutela. Occorre, cioe', chiarire se il principio della ragionevole durata del processo debba essere riferito solo all'interesse di ogni singolo imputato - anche nel caso si tratti di processo con piu' imputati - oppure si riferisca anche a tutte le altre parti processuali, oppure anche agli interessi dello Stato e dei cittadini in generale. E' ovvio che se la speditezza processuale va intesa con riferimento al singolo imputato il quale, a seconda dei casi, ha interesse ad un processo piu' lungo nella speranza della prescrizione del reato o piu' breve, attraverso riti alternativi, prescindendo dagli interessi delle altre parti di quel medesimo processo e anche da interessi superiori della cittadinanza a vedere celebrati tutti i processi con sollecitudine, la richiesta di rito alternativo effettuata anche in corso di un processo in cui l'istruttoria dibattimentale sia gia' iniziata o addirittura terminata, non incontrera' ostacoli nell'art. 111 della Cost. Se, invece, l'interpretazione della ragionevole durata va commisurata anche ad altri interessi, e' necessario svolgere alcune considerazioni. In primo luogo si osserva che nell'attuale sistema i poteri decisori del giudice sono stati ampiamente ridotti in favore di quelli delle parti. Ogni volta che sia disposta la rinnovazione del dibattimento, l'istruttoria dibattimentale deve ricominciare da capo, salvo nel caso in cui le parti prestino il consenso alla lettura. Nel caso, percio', di un processo con piu' imputati, di cui solo uno chieda la sospensione del processo, ai sensi dell'art. 5 comma 2 della legge n. 134/2003, e successivamente chieda l'applicazione della pena, il giudice deve, innanzitutto, stabilire se proseguire il processo nei confronti dei coimputati, effettuando uno stralcio della posizione del richiedente, che potrebbe rivelarsi poi inutile, con dispendio di energie e di attivita' processuali; se, poi, anziche' sospendere il processo anche nei confronti dei coimputati, lo rinvia in attesa del decorso dei 45 giorni prescritti e all'udienza successiva l'interessato richiede l'applicazione della pena, l'accoglimento dell'istanza renderebbe il giudice incompatibile a giudicare gli altri coimputati; il rigetto della richiesta lo renderebbe ugualmente incompatibile a giudicare l'imputato; in entrambi i casi il processo dovrebbe iniziare ex novo innanzi ad altro giudice, con rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale. In tal caso non vi sarebbe speditezza processuale ne' per l'interessato ne' per i coimputati, ma, anzi una dilatazione dei tempi della decisione (tra l'altro gia' maturi perche' l'istruttoria era esaurita); con la conseguenza che ad una decisione con rito ordinario ormai certa nel tempo, si sostituisce un'attivita' interlocutoria di sospensione che potrebbe concludersi con il rigetto della richiesta di applicazione della pena e con la necessita' di celebrare ex novo il processo con rito ordinario. Questo tribunale non ignora che la Corte, con sentenza n. 266 del 1992, ha affermato che «l'applicazione della pena concordata con il pubblico ministero da uno solo degli imputati di concorso nel medesimo reato costituisce un procedimento congegnato come pattuizione tra imputato richiedente e parte pubblica, in ordine al quale e' previsto un controllo giurisdizionale che non include pero' la valutazione delle posizioni dei coimputati». La questione, tuttavia, era stata esaminata solo con riferimento all'art. 3 della Costituzione ed inoltre, era afferente ad una disposizione ordinaria e non all'introduzione di una norma transitoria, come quella oggi denunciata, che mira ad applicare l'istituto a tutti i procedimenti in corso, anche se in fase dibattimentale. Sicche' e' questione nuova e diversa. Inoltre la sentenza citata era antecedente alla riforma dell'art. 111 della Costituzione. 4. - Si osserva, inoltre che, nel caso di applicazione della pena, la parte civile costituita vedrebbe crollare le proprie legittime aspettative, dovendo ricominciare il processo ex novo sia nei confronti dei coimputati innanzi ad altro giudice sia separatamente - in sede civile - nei confronti di colui che e' stato ammesso al «patteggiamento». E' vero che la Corte ha affrontato il problema relativo all'esclusione della parte civile nel rito de quo; (v. sent. n. 443/1990), ma e' pur vero che si trattava di decisioni che si riferivano al sistema «ordinario» di applicazione della pena e non di norma transitoria, come quella in esame che interviene a disciplinare un giudizio in corso in cui la parte civile sta gia' esercitando il proprio diritto con una legittima aspettativa di rapida e normale decisione. Sicche' anche sotto tale aspetto la frustrazione dei diritti della parte civile e della ragionevole durata - anche per lei - del processo finisce con il violare i principi di ragionevolezza e di giusto processo di ragionevole durata stabiliti dagli artt. 3 e 111 della Costituzione. 5. - Questo Tribunale ritiene che l'interpretazione estensiva dell'art. 111 Cost. sia maggiormente fondata anche alla luce della produzione legislativa che ha fatto seguito alla modifica della norma costituzionale. E' noto, infatti, che l'Italia e' stata piu' volte condannata dalla Corte europea per l'eccessiva durata dei processi. La condanna prescinde da eventuali responsabilita' dei giudici, ma si fonda sul principio che ciascun Paese deve dotarsi di leggi processuali che consentano una rapida definizione dei processi. Gia' da molti anni vi sono Paesi, come la Danimarca e l'Olanda, che sono in grado di definire la maggior parte dei processi in primo grado nell'arco di tre mesi, esaurendo l'appello nel successivo trimestre. Cio' e' dovuto ad una semplificazione soprattutto del sistema delle notificazioni, all'esistenza di maggiori obblighi di diligenza delle parti processuali, ivi compresi gli imputati. E' chiaro che in sistemi siffatti la sospensione di un processo anche solo per 45 giorni, ossia oltre un terzo del tempo complessivo di definizione, sarebbe inaccettabile. Per ovviare alle condanne in sede europea in Italia e' stata introdotta la normativa statale (legge 24 marzo 2001, n. 89) che consente alle parti un'equa riparazione allorche' il processo abbia avuto una durata eccessiva, indipendentemente dalle ragioni che l'abbiano determinata. L'equa riparazione non spetta solo all'imputato, ma anche alla parte civile. Da cio' si evince che la ragionevole durata del processo non e' un diritto solo dell'imputato, ma anche delle altre parti processuali, ivi compresa la parte civile, ed assurge, quindi a principio generale. Assume rilievo, nel sistema, ad esempio, l'at. 477 c.p.p. che impone tempi rapidissimi per la definizione del dibattimento, stabilendo che il rinvio del processo deve essere effettuato al giorno successivo e che il processo puo' essere sospeso solo per ragioni «di assoluta necessita» e «per un termine massimo di dieci giorni», computate tutte le dilazioni. Si rileva, inoltre, che nel caso di giudizio immediato, e' previsto il termine di 15 giorni per la richiesta di pena concordata, ossia un tempo che e' esattamente un terzo di quello oggi previsto dalla novella, pur vertendosi in materia analoga. Se tale assunto e' corretto, deve ritenersi che non corrisponde ai parametri costituzionali di ragionevolezza (art. 3 Cost). e di ragionevole durata (art. 111 Cost.) la norma che consente di sospendere il processo per 45 giorni e di richiedere l'applicazione della pena anche nei processi in corso. 6. - Come s'e' prima precisato, l'at. 5, comma 2, della legge 12 giugno 2003, n. 134, stabilisce che: «su richiesta dell'imputato il dibattimento e' sospeso per un periodo non inferiore a quarantacinque giorni per valutare l'opportunita' della richiesta e durante tale periodo sono sospesi i termini di prescrizione e di custodia cautelare». Premesso che la disposizione s'applica a tutti i processi in corso, percio' perfino ai processi per in fase di discussione, si rileva che non appare ragionevole la concessione di un termine decorrente dalla prima udienza utile. Sotto tale profilo si osserva che ogni cittadino e' tenuto a conoscere le leggi pubblicate. Pertanto ogni imputato e' stato posto in grado, nel momento in cui la legge in esame e' stata pubblicata, di valutare l'opportunita' di avvalersi della pena concordata. A maggior conforto di tale assunto si rileva che ogni imputato e' assistito da un difensore, sicche' ha avuto modo di consultarsi con lo stesso per valutare l'opportunita' di avvalersi della pena concordata. La concessione di un termine di durata notevole, (ossia ben quarantacinque giorni), in rapporto ai parametri sopra esposti, decorrente dalla prima udienza anziche' dalla vigenza della legge, appare irragionevole. Tale irragionevolezza appare di tutta evidenza allorche' la fase istruttoria sia esaurita o il processo sia addirittura in fase di discussione, e, quindi, l'imputato ha potuto valutare tutto il materiale probatorio e rendersi conto della convenienza eventuale di concordare la pena. Una volta accertato che il rapporto esistente tra imputato e difensore consente ad entrambi di valutare momento per momento le opportunita' di scelte processuali e che, dunque, non v'e' lesione del diritto di difesa ammettere che l'imputato, alla prima udienza utile, debba dichiarare se intende «patteggiare» o no, anziche' chiedere un lungo termine di riflessione, deve ritenersi che la sospensione obbligatoria per 45 giorni incida sulla ragionevole durata del processo. Nel bilanciamento tra l'interesse dell'imputato e l'interesse generale ad una durata ragionevole - posto che nessun danno deriva all'imputato nella dichiarazione alla prima udienza utile se intende concordare la pena - sembra dover prevalere la ragionevole durata del processo. 7. - Il Tribunale prospetta il dubbio di legittimita', per contrasto con gli artt. 3 e 111 della Costituzione, anche dell'art. 1 della legge 12 giugno 2003, n. 134, il quale stabilisce quanto segue: «il comma 1 dell'art. 444 del codice di procedura penale e' sostituito dai seguenti: «1) l'imputato e il pubblico ministero possono chiedere al giudice l'applicazione, nella specie e nella misura indicata, di una sanzione sostitutiva o di una pena pecuniaria, diminuita fino a un terzo, ovvero di una pena detentiva quando questa, tenuto conto delle circostanze e diminuita fino a un terzo, non supera cinque anni soli o congiunti a pena pecuniaria; 1-bis) sono esclusi dall'applicazione del comma 1 i procedimenti per i delitti di cui all'art. 51, commi 3-bis e 3-quater, nonche' quelli contro coloro che siano stati dichiarati delinquenti abituali, professionali e per tendenza, o recidivi ai sensi dell'art. 99, quarto comma, del codice penale, qualora la pena superi due anni soli o congiunti a pena pecuniaria». Con la norma in esame si sottrae al giudizio di cognizione piena la maggioranza assoluta dei reati, molti dei quali di notevole gravita', trasformando di fatto il rito speciale di applicazione della pena in un rito generalizzato, in violazione dei principi costituzionali di ragionevolezza e di formazione della prova in contraddittorio di cui agli artt. 3 e 111 della Cost., gia' consacrati nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo. L'art. 6, primo comma, primo periodo della legge 4 agosto 1955, n. 848, di ratifica della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, stabilisce che: «Ogni persona ha diritto che la sua causa sia esaminata imparzialmente, pubblicamente e in un tempo ragionevole, da parte di un tribunale indipendente ed imparziale, costituito dalla legge, che decidera' sia in ordine alle controversie sui suoi diritti ed obbligazioni di natura civile, sia sul fondamento di ogni accusa in materia penale elevata contro di lei». Il terzo comma del medesimo articolo, in particolare alla lettera d), sancisce «il diritto di interrogare o fare interrogare i testimoni a carico ed ottenere la citazione e l'interrogatorio dei testimoni a discarico a pari condizioni dei testimoni a carico». In sostanza l'articolo citato sancisce il principio del contraddittorio nel processo, poi recepito dall'art. 111, commi 1, 2 e 4 della Cost. come novellato nel 1999. In altri termini il principio che regola l'accertamento della responsabilita' penale e' fondato su di un giusto processo che preveda una fase di cognizione piena con un contraddittorio che ponga le parti «in condizioni di parita», come espressamente stabilito dal comma 2° della norma costituzionale in esame. Ne' sembra ragionevole ritenere che il principio generale possa essere derogato dal comma 5 dell'art. 111, laddove afferma che «la legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell'imputato» e cio' per due ragioni. In primo luogo perche' la modifica dell'art. 444 c.p.p. consente per un elevatissimo numero di reati, in sostanza la maggioranza, di concordare la pena, cosi' introducendo di fatto il principio generale che la responsabilita' penale non va accertata - infatti la sentenza cosiddetta di patteggiamento non e' sentenza di condanna, ma solo a questa equiparata sotto alcuni aspetti - mentre soltanto per un ristretto numero di reati si perviene ad un accertamento di responsabilita' con cognizione piena. In secondo luogo la deroga stabilita dal quinto comma dell'art. 111 non sembra possa riferirsi ad una sentenza di applicazione di pena, ma solo intendersi come rinuncia alla formazione della prova in contraddittorio, in un regolare processo di cognizione, quando l'imputato vi consenta. Tale interpretazione e' fondata sulla circostanza che altrimenti il comma quinto dell'at. 111 si porrebbe in contrasto con il comma secondo del medesimo articolo, laddove stabilisce dapprima il principio secondo cui il contraddittorio tra le parti e' la regola generale a fondamento del processo e poi stabilisce che le parti debbono essere in condizioni di parita'. A tal riguardo la sentenza di codesta Corte n. 129 del 1993 gia' affermava che il nostro sistema processuale e' «imperniato sulla formazione della prova in dibattimento». 8. - A cio' si aggiunge che la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, stabilisce che il processo debba essere celebrato «pubblicamente». La pubblicita' del processo e' anche un carattere essenziale di uno Stato democratico ed e' garanzia di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. L'applicazione della pena avviene in camera di consiglio. Se, dunque, per un numero ridotto di reati e, in particolare per quelli di minore gravita' puo' avere una sua logica il procedimento previsto dall'at. 444 c.p.p., che non prevede la pubblicita' dell'udienza e un accertamento pieno di responsabilita', trasformare quest'ultimo nel procedimento di piu' vasta applicazione, riducendo il rito ordinario di cognizione piena ad ipotesi minoritaria e relativa solo a reati di massima gravita', e limitando fortemente i casi in cui il processo e' pubblico sembra contrastare con il principio di ragionevolezza e con principio che il processo e' condotto in contraddittorio e con formazione della prova in dibattimento mediante un «giusto processo» e con pari dignita' di tutte le parti (att. 3 e 111 Cost.). Reati con pena edittale molto elevata, come il tentato omicidio, la rapina aggravata o la violenza sessuale aggravata, con il giudizio di comparazione con le attenuanti e la riduzione prevista per il rito prescelto possono essere definiti con una sentenza che non e' di condanna, ma solo equiparata a questa, con estromissione della parte civile e ponendo la parte offesa ai margini del processo che pur la vede vittima. 9. - Le eccezioni oggi proposte sono rilevanti per le seguenti ragioni: a) e' stata richiesta dal difensore, munito di procura speciale, di uno solo degli imputati la sospensione del processo ai sensi dell'art. 5, comma 2, della legge 12 giugno 2003, n. 134; i difensori di altri imputati, pur privi di procura speciale, hanno chiesto ugualmente la sospensione, sicche' questo giudice non avrebbe alcun potere discrezionale in ordine alla richiesta; b) il dibattimento e' stato chiuso e per l'udienza era prevista solo la discussione delle parti, dopo un'istruttoria dibattimentale molto impegnativa; c) vi e' parte civile gia' costituita; d) la norma che prevede la sospensione obbligatoria e' strettamente correlata alla facolta' di richiedere la pena concordata disciplinata dalla norma transitoria. Sicche' appare attualmente rilevante anche l'eccezione che concerne l'estensione ai processi in corso della facolta' di richiedere l'applicazione della pena. Ne consegue che, ove si ritenesse l'irrazionalita' dell'impianto normativo almeno con riguardo alla disposizione transitoria di cui all'art. 5, comma 1, resterebbe addirittura assorbita la questione relativa al termine di sospensione. L'eccezione non e' manifestamente infondata per le ragioni sopra esposte.
P. Q. M. Vista la legge cost. 9 febbraio 1948, n. 1 e l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Ritenuta non manifestamente infondata e rilevante ai fini del presente giudizio la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, e dell'art. 5, commi 1 e 2, della legge 12 giugno 2003, n. 134, per contrasto con gli artt. 3 e 111 della Costituzione nei limiti e nei termini di cui in motivazione; Sospende il giudizio in corso; Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Roma, addi' 1° luglio 2003 Il Presidente: Bresciano 03C1130