N. 898 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 agosto 2003
Ordinanza emessa il 25 agosto 2003 dal tribunale amministrativo regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia sul ricorso proposto da Belghith Essaied Ben Braiek contro il Ministero dell'interno ed altro Straniero e apolide - Ingresso e permanenza nel territorio dello Stato - Divieto di rilascio o di rinnovo del permesso di soggiorno in caso di condanna per determinati reati (nella specie, reati in materia di stupefacenti e sostanzepsicotrope) - Subordinazione del divieto al previo accertamento della pericolosita' sociale - Mancata previsione - Ingiustificata diversa disciplina rispetto ad altre fattispecie criminose, di eguale gravita', previste dagli artt. 235 e 312 c.p. - Incidenza sul principio dell'inviolabilita' personale - Violazione del principio di uguaglianza, sotto il profilo dell'irragionevolezza e della disparita' di trattamento per l'applicabilita' della misura dell'espulsione anche in caso di sentenza di patteggiamento, in contrasto con l'art. 445 del c.p.p. - Incidenza sul diritto al lavoro, sul diritto alla libera circolazione nonche' sul «diritto all'unita' familiare». - D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, come sostituito dall'art. 4, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189, in relazione ai successivi artt. 5, comma 5, e 13, comma 2, lett. b). - Costituzione artt. 2, 3, 4, 13, 16, 29 e ss.(GU n.45 del 12-11-2003 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 738/2003 proposto da Belghith Essaied Ben Brajek rappresentato e difeso dall'avv. Stefano Orlandi ed elettivamente domiciliato presso la segreteria della sezione, in Brescia, via Malta n. 12; Contro: il Ministero dell'interno, il Questore di Mantova, rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato ed elettivamente domiciliati presso i relativi uffici, in Brescia, via S. Caterina n. 6, per l'annullamento del provvedimento n. 111/03 in data 19 maggio 2003, con il quale il Questore di Mantova ha disposto il rifiuto di rinnovo del permesso di soggiorno; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio delle amministrazioni intimate; Visti tutti gli atti della causa; Designato, quale relatore alla camera di consiglio dell'11 luglio 2003, il dott. Gianluca Morri; Uditi i difensori delle parti; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue: F a t t o Il ricorrente inoltrava al Questore della Provincia di Mantova, in data 6 marzo 2003, istanza per il rinnovo del permesso di soggiorno rilasciato per motivi di lavoro fino al 26 febbraio 2003. Il Questore ha negato il rinnovo del permesso di soggiorno ritenendo che lo straniero non possedesse le condizioni richieste dagli artt. 4, comma 3, 5 e 6 del 25 luglio 1998, n. 286, come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, accertato che a carico dello stesso risultavano i seguenti precedenti penali e di polizia: 16 gennaio 2000: sottoposto a fermo di p.g. da parte del personale della squadra mobile della Questura di Mantova per il reato di spaccio di sostanze stupefacenti; 22 febbraio 2000: tratto in arresto da parte del personale della squadra volante della Questura di Mantova per il reato di furto aggravato; 17 agosto 2000 - 17 gennaio 2002: tratto in arresto da parte del personale della Polizia di frontiera aerea di Malpensa in esecuzione dell'ordinanza di custodia cautelare in carcere n. 1168/1999 R.G.N.R. e n. 1625/00 R.G. g.i.p. emessa il 22 maggio 2000 dal Tribunale di Mantova; . 25 gennaio 2001: condannato alla pena di anni 1 e mesi 8 di reclusione e L. 3.500.000 di multa per il reato di detenzione a fine di spaccio di sostanze stupefacenti in concorso - sentenza del g.i.p. del Tribunale di Mantova irrevocabile il 28 febbraio 2001. Contro il citato provvedimento Belghith Essaied Ben Braiek proponeva ricorso avanti questa sezione, sostenuto da una serie di motivi volti, nella sostanza, a censurare la normativa posta a base del rifiuto sotto diversi profili di illegittimita' per violazione degli artt. 2, 3, 13, 25, comma 3 e 27, comma 3, della Costituzione, chiedendo a questo giudice di sollevare la relativa questione di legittimita' costituzionale, citando, al riguardo, la precedente ordinanza della sezione n. 683/2003 del 15 maggio 2003, con la quale sono state sollevate analoghe questioni. D i r i t t o 1. - Va preliminarmente evidenziata la rilevanza della questione per la decisione dell'odierno ricorso. Questo collegio in sede di decisione sull'istanza cautelare di sospensione del provvedimento impugnato, rilevava: che l'art. 4, comma 3 del d.lgs. 286 del 1998, come modificato dalla legge n. 189 del 2002, pone, quale elemento ostativo all'ingresso e alla permanenza in Italia dello straniero, la condanna per reati inerenti gli stupefacenti; che l'emanazione del provvedimento amministrativo e' vincolato al principio tempus regit actum anche se la domanda sia stata presentata prima della normativa sopravvenuta; che, nel caso in esame, appare preclusiva, al rinnovo del premesso di soggiorno, la condanna riportata dal ricorrente per violazione del d.P.R. n. 309 del 1990; che contro l'art. 4, comma 3 del citato d.lgs. 286 del 1998 e s.m.i., il ricorrente solleva molteplici censure di anticostituzionalita'. In ragione di quanto sopra concedeva la richiesta misura cautelare ritenendo che la suddetta disciplina legislativa apparisse di dubbia legittimita' costituzionale non solo con riferimento alle questioni gia' sollevate con la citata ordinanza 683/2003 del 15 maggio 2003, ma anche per ulteriori questioni che sarebbero state sollevate con separata ordinanza. Si deve evidenziare, al riguardo, che la legge n. 205 del 2000 ha attribuito al giudice amministrativo l'esercizio di poteri cognitivi di merito anche in sede cautelare, non solo al fine dell'emissione di eventuale sentenza in forma abbreviata nelle ipotesi in cui si ravvisi manifesta fondatezza ovvero manifesta irricevibilita', inammissibilita', improcedibilita' o infondatezza del ricorso, ma anche al fine della motivazione dello stesso provvedimento cautelare in caso di accoglimento dell'istanza. L'art. 21, comma 7 della legge n. 1034 del 1971, come sostituito dall'art. 3 della legge n. 205 del 2000, impone, infatti, che l'ordinanza cautelare motivi in ordine alla valutazione del pregiudizio allegato e, in particolare, indichi i profili che inducono ad una ragionevole previsione sull'esito del ricorso. La circostanza che tale delibazione possa avvenire ad un «sommario esame», non esclude che il giudice possa, comunque, effettuare tutte quelle valutazioni piu' approfondite, imposte dalla complessita' delle questioni trattate, al fine di garantire l'effettiva «ragionevolezza» della propria previsione sull'esito del ricorso, soprattutto sotto il profilo del fumus che costituisce, nella successiva fase di merito, l'oggetto principale di verifica attesa l'irrilevanza del periculum una volta scongiurato lo stesso attraverso la misura cautelare. Nel caso in esame, pertanto, il collegio ha ritenuto che il ricorso volto, nella sostanza, ad ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro quale bene della vita a cui ambisce il ricorrente, potesse essere accolto, garantendo cosi' l'effettivita' della tutela giurisdizionale, solo previa declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 3 del d.lgs. 286 del 1998, come modificato dalla legge n. 189 del 2002, per i motivi che saranno di seguito evidenziati sotto il profilo della non manifesta infondatezza. Come ha recentemente affermato anche il Consiglio di Stato (Sez. V, 7 febbraio 2003, n. 645), l'effettivita' della tutela giurisdizionale nel processo amministrativo deve essere garantita anche attraverso la puntuale applicazione dell'art. 112 del codice di procedura civile, a norma del quale il giudice deve pronunciarsi su tutta la domanda. In particolare da tale norma discende il principio che, nell'affrontare le diverse questioni prospettate dalla parte ricorrente, occorre procedere partendo dall'esame di quelle questioni o di quei motivi che appaiono idonei a soddisfare piu' pienamente ed efficacemente l'interesse sostanziale del ricorrente, per passare poi, soltanto in caso di rigetto di tali censure, all'esame degli ulteriori motivi contenuti in ricorso che, pur idonei a provocare l'annullamento del provvedimento, evidenziano profili meno radicali di illegittimita', potendo essere sanati con il rinnovo dell'azione amministrativa. 2. - Il Collegio ritiene, sotto il profilo della non manifesta infondatezza, che l'art. 4, comma 3 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, come modificato dall'art. 4, comma 1 della legge 30 luglio 2002, n. 189, applicato in correlazione con gli art. 5 e 13 dello stesso decreto legislativo, si ponga in contrasto con gli artt. 2, 3, 4, 13, 16, 29 e ss. della Costituzione nella parte in cui pone quale elemento ostativo all'ingresso e alla permanenza in Italia dello straniero la mera condanna per determinati reati, compresa quella subita a seguito di applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 del codice di procedura penale in epoca antecedente l'entrata in vigore della citata legge n. 189 del 2002. 2.1. - Giova premettere che l'art. 5, comma 5 del d.lgs. n. 286 del 1998 stabilisce che il permesso di soggiorno o suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno e' stato rilasciato, esso e' revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l'ingresso e il soggiorno dello straniero nel territorio dello Stato. A sua volta l'art. 4, comma 3 dello stesso d.lgs. nel testo novellato, stabilisce che non e' ammesso in Italia lo straniero: «... che risulti condannato, anche a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per reati previsti dall'articolo 380, commi 1 e 2 del codice di procedura penale ovvero per reati inerenti gli stupefacenti, la liberta' sessuale, il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina verso l'Italia e dell'emigrazione clandestina dall'Italia verso altri stati o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attivita' illecite». La norma in esame considera, quindi, la sola condanna per determinati reati quale elemento ostativo per l'ingresso dello straniero in Italia e, relativamente allo straniero gia' presente sul territorio dello Stato, per il mancato rinnovo o la revoca del relativo permesso di soggiorno gia' rilasciato. Il procedimento amministrativo volto al rinnovo del permesso di soggiorno deve essere coordinato con il procedimento, disciplinato dall'art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998, volto all'espulsione amministrativa dello stesso straniero nell'ipotesi in cui (comma 2, lett. b) il relativo permesso di soggiorno sia stato revocato o annullato, ovvero risulti scaduto da piu' di 60 giorni e non sia stato chiesto il rinnovo. In sostanza il procedimento di rinnovo del permesso di soggiorno costituisce antecedente logico in forza del quale, in caso di rifiuto, viene poi avviato il successivo procedimento di espulsione amministrativa disposta dal prefetto a norma del citato art. 13, comma 2, lett. b) del testo unico sull'immigrazione. 2.2. - La prima questione che appare non manifestamente infondata, in relazione all'art. 3 della Costituzione, letto in correlazione con gli artt. 2, 4, 13, 16, 29 e ss. della stessa Carta fondamentale, sotto il profilo dell'irragionevolezza della scelta compiuta dal legislatore riguarda la fase di prima applicazione della legge n. 189 del 2002, nella quale vanno ritenute applicabili, ai fini della non ammissione in Italia dello straniero, anche le sentenze di patteggiamento pronunciate a norma degli articoli 444 e ss. del codice di procedura penale in epoca antecedente l'entrata in vigore della stessa, legge n. 189 del 2002 che ha introdotto detto elemento ostativo novellando l'art. 4 comma 3, del d.lgs. 286 del 1998. Con cio' emerge un sostanziale e irragionevole disconoscimento dell'effetto premiale proprio della sentenza di patteggiamento operato dalla legge n. 189 del 2002. La Corte costituzionale, con sentenza n. 394 del 25.7.2002, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 10, comma 1, della legge 27 marzo 2001, n. 97 (Norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche), nella parte in cui prevedeva che gli artt. 1 e 2 della stessa legge si riferivano anche alle sentenze di applicazione della pena su richiesta pronunciate anteriormente alla sua entrata in vigore. In tale sede e' stato ritenuto che la componente negoziale insita nell'istituto del patteggiamento esige una consapevole manifestazione di volonta' dell'imputato, ed impone di preservare la genuinita' dell'accordo non tanto quando viola una aspettativa generica e non titolata di permanente vigenza di una determinata disciplina legislativa (aspettativa che, in termini cosi' generali, la Corte ha sempre escluso potesse essere tutelata), ma quando invece lede un affidamento qualificato e costituzionalmente protetto (il caso trattato riguardava l'effettivita' del diritto di difesa nel procedimento disciplinare). Nel caso in esame l'aspettativa che appare rilevante, meritevole di tutela e di salvaguardia, analogamente al diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost., deriva dai riflessi che la sentenza di patteggiamento e' in grado di produrre sulle liberta' dell'uomo, in particolare sulla permanenza dello straniero nel territorio italiano e sulle opportunita' che essa offre in termini di attivita' lavorative (art. 4 Cost.), nonche' di esercizio di tutte le altre garanzie costituzionalmente riconosciute e protette contenute negli articoli della Costituzione sopra richiamati (artt. 13, 16 e 29 s.) quali espressioni di liberta' e di sviluppo della personalita' umana dell'individuo sia come singolo che nelle formazioni sociali in cui essa si svolge (art. 2 Cost.). Infatti il ricorrente, avendo riportato in data 25 gennaio 2001 condanna patteggiata ai sensi dell'art. 444 del codice di procedura penale, divenuta irrevocabile il 28 febbraio 2001, si vede oggi rifiutato il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato in forza di una norma entrata in vigore nell'anno 2002 dei cui effetti, certamente non secondari per un lavoratore cittadino extracomunitario, non ha obiettivamente potuto tener conto in sede di valutazione costi-benefici nella scelta del rito alternativo proposto dall'ordinamento italiano. A sua volta il mancato rinnovo del permesso di soggiorno comportera' l'espulsione dello straniero dal territorio nazionale, secondo la sequenza procedimentale descritta al precedente punto 2.1. L'accordo allora concluso tra Stato italiano e imputato extracomunitario, sigillato con il patteggiamento di pena, ha comportato benefici in capo ad entrambe le parti, propri di un rapporto sinallagmatico in cui il primo contraente ha conseguito un risparmio di energie processuali ed il secondo ha potuto contare sulla permanenza in Italia, ancorche' penalmente condannato, per lo svolgimento di attivita' lavorativa. Tuttavia, con la legge n. 189 del 2002 il bilanciamento degli interessi raggiunto con l'accordo sulla pena, compresi tutti gli ulteriori effetti connessi con la sentenza di condanna, viene irragionevolmente vanificato a vantaggio di una sola parte che mantiene i propri benefici derivanti dall'accordo a discapito di quelli della controparte i quali, tuttavia, non possono ritenersi secondari e cedevoli in forza delle argomentazioni sopra svolte sul fondamento dell'attuale quadro costituzionale. 2.3. - In secondo luogo appare rilevante e non manifestamente infondata la dedotta questione di costituzionalita' dell'art. 4, comma 3 citato, per violazione degli artt. 3 e 13 della Costituzione sotto il profilo della irragionevolezza e disparita' di trattamento, nella parte cui pone quale elemento ostativo all'ingresso e alla permanenza in Italia dello straniero la condanna per determinati reati senza imporre l'ulteriore verifica di pericolosita' sociale dello stesso. Si tratta della medesima questione gia' sollevata con la citata ordinanza n. 683/2003 del 15 maggio 2003 che appare necessario riproporre in questa sede in ottemperanza al principio dell'autosufficienza della motivazione dell'ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale (ex multis, Corte cost., 28 febbraio 2003, n. 60), ponendo in evidenza anche profili non compiutamente sviluppati in precedenza. Giova rilevare, al riguardo, che l'art. 15 dello stesso d.lgs. 286 del 1998, nel disciplinare l'espulsione a titolo di misura di sicurezza, consente al giudice di ordinare la stessa qualora lo straniero sia stato condannato per taluno dei delitti previsti degli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale, sempre che lo stesso risulti «socialmente pericoloso». Sul punto, ritiene il collegio che non pare pertinente l'eventuale obiezione che essendo distinto e successivo il procedimento di espulsione rispetto a quello di rinnovo o rilascio del permesso di soggiorno e dovendo essere motivato il decreto espulsivo, e' in tale sede che debba avvenire il giudizio di pericolosita' sociale, atteso che apparirebbe illogica la situazione in cui lo straniero, che si trova in Italia privo dei requisiti per l'ottenimento del permesso di soggiorno, non possa essere espulso dallo Stato italiano per carenza di pericolosita' sociale. Appare quindi coerente la conclusione che, qualora ritenuto necessario, il giudizio sulla pericolosita' sociale dello straniero condannato per determinati reati debba essere anticipato al momento in cui l'autorita' amministrativa sia chiamata a valutare i requisiti per il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno, non, potendosi rinviare detta verifica alla fase successiva di espulsione, la quale segue automaticamente per l'assenza del titolo che legittima la permanenza in Italia dello stesso come evidenziato al precedente punto 2.1. Nel caso in esame risulta ostativa al rinnovo del permesso di soggiorno la condanna per il reato di detenzione illecita di sostanze stupefacenti, pronunciata dal g.i.p. presso il Tribunale di Mantova ai sensi dell'art. 444 del codice di procedura penale, divenuta irrevocabile il 28 febbraio 2001, senza che, al riguardo, l'autorita' amministrativa sia tenuta a svolgere l'ulteriore giudizio di pericolosita' sociale del ricorrente. La Corte costituzionale, con sentenza 24 febbraio 1995, n. 58, ha gia' avuto modo di dichiarare costituzionalmente illegittimo l'art. 86, comma 1 del 9 ottobre 1990, n. 309, per violazione dell'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui obbligava il giudice ad emettere, senza l'accertamento della sussistenza in concreto della pericolosita' sociale, prevista in via generale dall'art. 31 della legge 10 ottobre 1986, n. 663, contestualmente alla condanna, l'ordine di espulsione dello straniero, condannato per uno dei reati in materia di stupefacenti e sostanze psicotrope, previsti dal t.u. stesso, e con conseguente preclusione della sospensione condizionale della pena, in quanto per le altre ipotesi di espulsione dello straniero, previste dagli art. 235 e 312 c.p., per reati altrettanto gravi, sarebbe stata consentita al giudice la valutazione in concreto della pericolosita' dello straniero condannato. Come gia' evidenziato in precedenza, tale principio e' stato recepito dall'art. 15 dello stesso d.lgs. 286 del 1998, il quale, nel disciplinare l'espulsione a titolo di misura di sicurezza, consente al giudice di ordinare la stessa qualora lo straniero sia stato condannato per taluno dei delitti previsti degli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale, sempre che lo stesso risulti «socialmente pericoloso». A giudizio del collegio l'art. 4, comma 3 del d.lgs. 286 del 1998 applicato in correlazione con i successivi artt. 5, comma 5 e 13, comma 2, lett. b) appare pertanto in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo della irragionevolezza e disparita' di trattamento, poiche' consentirebbe all'autorita' amministrativa di disporre l'espulsione dello straniero dal territorio italiano in presenza della sola condanna per determinati reati senza imporre la valutazione, in concreto, della pericolosita' sociale dell'individuo, cosa che invece e' tenuto a fare il giudice nell'applicazione della stessa espulsione a titolo di misura di sicurezza, risultando analoghi, nel concreto, i relativi presupposti ed effetti. Infatti, pur essendo diverse le situazioni e i procedimenti sopra descritti (amministrativo l'uno e giurisdizionale l'altro), appare necessario, al fine di garantire il rispetto dell'art. 3 della Costituzione, attribuire la medesima rilevanza allo stesso provvedimento (condanna per determinati reati) che costituisce, in ultima analisi, presupposto dell'espulsione, indipendentemente dal fatto che la stessa venga disposta nella sede amministrativa o in quella giurisdizionale poiche', in entrambi i contesti, identici risultano i conseguenti risultati, consistenti nell'allontanamento dello straniero dal territorio italiano e la conseguente impossibilita' di esercitare i diritti e godere delle liberta' che la Carta costituzionale riconosce all'individuo (art. 13 citato, ma anche quelli di cui agli artt. 2, 4, 16, 29 ss.). La violazione dell'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo dell'irragionevolezza e della disparita' di trattamento in relazione a quanto sopra illustrato, risulta altresi' evidente col fatto che l'art. 445 del codice di procedura penale non consente l'applicazione di misure di sicurezza per le sentenze pronunciate a seguito di patteggiamento, stante il carattere di premialita' attribuito dal legislatore a tale rito, come contropartita alla economia processuale che la scelta delle parti consente. Nel caso in esame, pertanto, il ricorrente, essendo stato condannato per reati inerenti gli stupefacenti con sentenza pronunciata ai sensi dell'art. 444 del codice di procedura penale, non potrebbe subire, in sede giudiziaria, l'applicazione della misura di sicurezza dell'espulsione dal territorio dello Stato, mentre potrebbe subirla, ancorche' assistita dalle garanzie di cui si censura l'assenza, nella sede amministrativa a seguito di diniego del rinnovo del permesso di soggiorno, in applicazione dell'art. 13 comma 2 lettera b) del d.lgs. n. 286 del 1998, vanificando cosi' l'effetto premiale riconosciuto in sede giudiziaria. Trattandosi di misura che incide sulla liberta' personale dell'individuo, sia l'espulsione disposta in via amministrativa, che l'espulsione disposta dal giudice a titolo di misura di sicurezza, non assistite dal previo giudizio generale sulla pericolosita' sociale, risulterebbero in contrasto anche con l'art. 13 della Costituzione applicabile a tutti gli individui cittadini e non cittadini come riconosciuto dalla stessa Corte costituzionale (sent. n. 62 del 1994). 2.4. - Sotto altro aspetto la violazione dell'art. 3 della Costituzione appare non manifestamente infondata in relazione all'irragionevolezza ed alla sproporzione della scelta compiuta dal legislatore che intende, nella sede amministrativa, sanzionare automaticamente con il diniego di rinnovo o il rifiuto del permesso di soggiorno e, in ultima istanza, con l'espulsione dal territorio dello Stato, anche fatti di lieve e lievissima entita', ancorche' penalmente rilevanti ed ascrivibili ai reati di cui all'art. 4, comma 3 del d.lgs. n. 286 del 1998 nel testo modificato dalla legge n. 189 del 2002, che non sono stati ritenuti meritevoli di analoga misura in quest'ultima sede in cui, addirittura, potrebbero aver goduto di attenuanti oltre alla sola sanzione pecuniaria, in quanto. comportanti un minore allarme sociale che non giustifica misure repressive che incidono su diritti costituzionalmente garantiti espressione, piu' in generale, dei diritti dell'uomo riconosciuti a livello sovranazionale. In assenza di un ragionevole giudizio di pericolosita' sociale quale necessario momento di valutazione e di applicazione di una misura proporzionale alla gravita' dei fatti commessi, anche fatti di lieve o lievissima entita' possono cosi' incidere nella sede amministrativa, al pari delle sanzioni penali e delle misure di sicurezza, sulla sfera soggettiva dell'individuo, che vede cosi' compromessi i propri diritti costituzionalmente garantiti quali diritti inviolabili dell'uomo che la Repubblica intende riconoscere e garantire a norma dell'art. 2 della Costituzione e, in particolare, il diritto al lavoro (art. 4), alla libera circolazione (art. 16), all'unita' familiare (artt. 2 e 29 ss.) ed alla liberta' personale (art. 13). Ed e' proprio dalla giurisprudenza della Corte costituzionale che si rileva il principio secondo cui, di fronte all'incisione di beni di tal pregio, il controllo di costituzionalita' delle norme di legge contestate deve avvenire in modo da garantire che il sacrificio della liberta' sia giustificato dall'effettiva realizzazione di altri valori costituzionali o non vada incontro a ostacoli insormontabili costituiti dalla protezione di altri valori costituzionali (sentt. nn. 63 del 1994, 81 del 1993, 368 del 1992, 366 del 1991 richiamate dalla sentenza 24 febbraio 1995 n. 58 citata) riconosciuti, con riferimento al caso in esame, dagli artt. 2, 4, 13, 16, 29 e ss. della Costituzione. 2.5. - Quest'ultimo aspetto, concernente la violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalita' in ragione della gravita' dei fatti commessi, appare, inoltre, non manifestamente infondato anche valutato in correlazione con quanto evidenziato al precedente punto 2.2., circa la valenza inibitoria, al rinnovo o al rilascio del permesso di soggiorno, delle sentenze pronunciate ai sensi dell'art. 444 del c.p.p. in epoca antecedente l'entrata in vigore della legge n. 189 del 2002. La scelta compiuta in sede legislativa, volta a vanificare unilateralmente, da parte dello Stato italiano, gli effetti negoziali caratteristici della sentenza patteggiata, appare ancora piu' irragionevole e sproporzionata ogni qual volta cio' avvenga in presenza di fatti, ancorche' penalmente rilevanti, di lieve e lievissima entita', che vengono cosi' sanzionati, in ultima analisi, con l'espulsione amministrativa dello straniero dal territorio nazionale senza che lo stesso abbia potuto valutare la possibilita' di escludere il rito alternativo in ragione di questi effetti pregiudizievoli; irragionevolezza e sproporzione ancora piu' marcate quando l'alterazione del quadro negoziale, e quindi l'espulsione, avvenga automaticamente, senza che sia svolto un giudizio di pericolosita' sociale dell'individuo come evidenziato al precedente punto 2.3.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 2, 3, 4, 13, 16, 29 e ss. della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 3, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, come sostituito dall'art. 4, comma 1 della legge 30 luglio 2002 n. 189, applicato in correlazione con i successivi articoli 5, comma 5 e 13, comma 2, lett. b), nei sensi di cui in motivazione. Ordina la sospensione del presente giudizio e la rimessione degli atti alla Corte costituzionale, nonche' la notifica della presente ordinanza alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei ministri e la comunicazione della medesima ai Presidenti dei due rami del Parlamento. Cosi' deciso in Brescia, il giorno 11 luglio 2003, in camera di consiglio. Il Presidente: Mariuzzo Il giudice relatore estensore: Morri 03C1155