N. 898 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 agosto 2003

Ordinanza  emessa  il  25  agosto  2003  dal tribunale amministrativo
regionale  della  Lombardia,  sezione staccata di Brescia sul ricorso
proposto   da   Belghith  Essaied  Ben  Braiek  contro  il  Ministero
dell'interno ed altro

Straniero  e  apolide  -  Ingresso  e permanenza nel territorio dello
  Stato  - Divieto di rilascio o di rinnovo del permesso di soggiorno
  in  caso  di condanna per determinati reati (nella specie, reati in
  materia  di stupefacenti e sostanzepsicotrope) - Subordinazione del
  divieto  al  previo  accertamento  della  pericolosita'  sociale  -
  Mancata  previsione - Ingiustificata diversa disciplina rispetto ad
  altre  fattispecie  criminose,  di  eguale gravita', previste dagli
  artt. 235  e 312 c.p. - Incidenza sul principio dell'inviolabilita'
  personale  -  Violazione  del  principio  di  uguaglianza, sotto il
  profilo dell'irragionevolezza e della disparita' di trattamento per
  l'applicabilita'  della  misura  dell'espulsione  anche  in caso di
  sentenza  di patteggiamento, in contrasto con l'art. 445 del c.p.p.
  -  Incidenza  sul  diritto  al  lavoro,  sul  diritto  alla  libera
  circolazione nonche' sul «diritto all'unita' familiare».
- D.lgs.  25  luglio 1998, n. 286, come sostituito dall'art. 4, comma
  1,  della  legge 30 luglio 2002, n. 189, in relazione ai successivi
  artt. 5, comma 5, e 13, comma 2, lett. b).
- Costituzione artt. 2, 3, 4, 13, 16, 29 e ss.
(GU n.45 del 12-11-2003 )
                IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul ricorso n. 738/2003
proposto  da  Belghith  Essaied  Ben  Brajek  rappresentato  e difeso
dall'avv.  Stefano  Orlandi  ed  elettivamente  domiciliato presso la
segreteria della sezione, in Brescia, via Malta n. 12;
    Contro:  il  Ministero  dell'interno,  il  Questore  di  Mantova,
rappresentati  e  difesi  dall'Avvocatura distrettuale dello Stato ed
elettivamente  domiciliati  presso i relativi uffici, in Brescia, via
S.  Caterina  n. 6, per l'annullamento del provvedimento n. 111/03 in
data  19 maggio 2003, con il quale il Questore di Mantova ha disposto
il rifiuto di rinnovo del permesso di soggiorno;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto  l'atto  di  costituzione in giudizio delle amministrazioni
intimate;
    Visti tutti gli atti della causa;
    Designato, quale relatore alla camera di consiglio dell'11 luglio
2003, il dott. Gianluca Morri;
    Uditi i difensori delle parti;
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

                              F a t t o

    Il  ricorrente  inoltrava al Questore della Provincia di Mantova,
in  data  6 marzo  2003,  istanza  per  il  rinnovo  del  permesso di
soggiorno rilasciato per motivi di lavoro fino al 26 febbraio 2003.
    Il  Questore  ha  negato  il  rinnovo  del  permesso di soggiorno
ritenendo  che  lo  straniero  non possedesse le condizioni richieste
dagli  artt. 4,  comma  3,  5  e  6  del 25 luglio 1998, n. 286, come
modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, accertato che a carico
dello stesso risultavano i seguenti precedenti penali e di polizia:
        16  gennaio  2000:  sottoposto  a  fermo di p.g. da parte del
personale della squadra mobile della Questura di Mantova per il reato
di spaccio di sostanze stupefacenti;
        22  febbraio  2000:  tratto in arresto da parte del personale
della squadra volante della Questura di Mantova per il reato di furto
aggravato;
        17  agosto 2000 - 17 gennaio 2002: tratto in arresto da parte
del  personale  della  Polizia  di  frontiera  aerea  di  Malpensa in
esecuzione   dell'ordinanza   di   custodia   cautelare   in  carcere
n. 1168/1999  R.G.N.R.  e  n. 1625/00 R.G. g.i.p. emessa il 22 maggio
2000 dal Tribunale di Mantova; .
        25  gennaio  2001: condannato alla pena di anni 1 e mesi 8 di
reclusione  e L. 3.500.000 di multa per il reato di detenzione a fine
di spaccio di sostanze stupefacenti in concorso - sentenza del g.i.p.
del Tribunale di Mantova irrevocabile il 28 febbraio 2001.
    Contro  il  citato  provvedimento  Belghith  Essaied  Ben  Braiek
proponeva  ricorso  avanti  questa sezione, sostenuto da una serie di
motivi  volti,  nella sostanza, a censurare la normativa posta a base
del  rifiuto  sotto  diversi profili di illegittimita' per violazione
degli  artt. 2, 3, 13, 25, comma 3 e 27, comma 3, della Costituzione,
chiedendo  a  questo  giudice  di  sollevare la relativa questione di
legittimita'  costituzionale,  citando,  al  riguardo,  la precedente
ordinanza  della sezione n. 683/2003 del 15 maggio 2003, con la quale
sono state sollevate analoghe questioni.

                            D i r i t t o

    1.  - Va preliminarmente evidenziata la rilevanza della questione
per la decisione dell'odierno ricorso.
    Questo  collegio  in  sede di decisione sull'istanza cautelare di
sospensione del provvedimento impugnato, rilevava:
        che   l'art. 4,  comma  3  del  d.lgs.  286  del  1998,  come
modificato dalla legge n. 189 del 2002, pone, quale elemento ostativo
all'ingresso e alla permanenza in Italia dello straniero, la condanna
per reati inerenti gli stupefacenti;
        che   l'emanazione   del   provvedimento   amministrativo  e'
vincolato  al  principio  tempus  regit actum anche se la domanda sia
stata presentata prima della normativa sopravvenuta;
        che,  nel  caso  in  esame, appare preclusiva, al rinnovo del
premesso  di  soggiorno,  la  condanna  riportata  dal ricorrente per
violazione del d.P.R. n. 309 del 1990;
        che contro l'art. 4, comma 3 del citato d.lgs. 286 del 1998 e
s.m.i.,    il    ricorrente    solleva    molteplici    censure    di
anticostituzionalita'.
    In   ragione  di  quanto  sopra  concedeva  la  richiesta  misura
cautelare  ritenendo che la suddetta disciplina legislativa apparisse
di  dubbia  legittimita' costituzionale non solo con riferimento alle
questioni  gia'  sollevate  con  la  citata ordinanza 683/2003 del 15
maggio  2003,  ma  anche  per ulteriori questioni che sarebbero state
sollevate con separata ordinanza.
    Si deve evidenziare, al riguardo, che la legge n. 205 del 2000 ha
attribuito  al giudice amministrativo l'esercizio di poteri cognitivi
di merito anche in sede cautelare, non solo al fine dell'emissione di
eventuale  sentenza  in  forma  abbreviata  nelle  ipotesi  in cui si
ravvisi   manifesta   fondatezza  ovvero  manifesta  irricevibilita',
inammissibilita',  improcedibilita'  o  infondatezza  del ricorso, ma
anche  al fine della motivazione dello stesso provvedimento cautelare
in  caso di accoglimento dell'istanza. L'art. 21, comma 7 della legge
n. 1034  del 1971, come sostituito dall'art. 3 della legge n. 205 del
2000,  impone,  infatti,  che  l'ordinanza cautelare motivi in ordine
alla  valutazione del pregiudizio allegato e, in particolare, indichi
i  profili  che inducono ad una ragionevole previsione sull'esito del
ricorso.  La  circostanza  che  tale delibazione possa avvenire ad un
«sommario  esame»,  non  esclude  che  il  giudice  possa,  comunque,
effettuare  tutte quelle valutazioni piu' approfondite, imposte dalla
complessita'   delle   questioni   trattate,  al  fine  di  garantire
l'effettiva  «ragionevolezza» della propria previsione sull'esito del
ricorso,  soprattutto  sotto  il  profilo  del fumus che costituisce,
nella  successiva  fase  di  merito, l'oggetto principale di verifica
attesa  l'irrilevanza  del  periculum una volta scongiurato lo stesso
attraverso la misura cautelare.
    Nel  caso  in  esame,  pertanto,  il  collegio ha ritenuto che il
ricorso volto, nella sostanza, ad ottenere il rinnovo del permesso di
soggiorno per motivi di lavoro quale bene della vita a cui ambisce il
ricorrente,  potesse  essere accolto, garantendo cosi' l'effettivita'
della   tutela   giurisdizionale,   solo   previa   declaratoria   di
illegittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 3 del d.lgs. 286 del
1998,  come  modificato dalla legge n. 189 del 2002, per i motivi che
saranno  di  seguito evidenziati sotto il profilo della non manifesta
infondatezza.
    Come  ha recentemente affermato anche il Consiglio di Stato (Sez.
V,   7   febbraio   2003,   n. 645),   l'effettivita'   della  tutela
giurisdizionale  nel  processo  amministrativo  deve essere garantita
anche attraverso la puntuale applicazione dell'art. 112 del codice di
procedura  civile,  a norma del quale il giudice deve pronunciarsi su
tutta  la domanda. In particolare da tale norma discende il principio
che,  nell'affrontare  le  diverse  questioni prospettate dalla parte
ricorrente, occorre procedere partendo dall'esame di quelle questioni
o  di quei motivi che appaiono idonei a soddisfare piu' pienamente ed
efficacemente  l'interesse  sostanziale  del  ricorrente, per passare
poi,  soltanto  in  caso  di rigetto di tali censure, all'esame degli
ulteriori  motivi  contenuti  in  ricorso che, pur idonei a provocare
l'annullamento  del  provvedimento, evidenziano profili meno radicali
di  illegittimita',  potendo essere sanati con il rinnovo dell'azione
amministrativa.
    2. - Il  Collegio  ritiene,  sotto il profilo della non manifesta
infondatezza,  che  l'art. 4,  comma  3  del  d.lgs.  25 luglio 1998,
n. 286,  come  modificato  dall'art. 4, comma 1 della legge 30 luglio
2002,  n. 189,  applicato  in  correlazione con gli art. 5 e 13 dello
stesso decreto legislativo, si ponga in contrasto con gli artt. 2, 3,
4,  13, 16, 29 e ss. della Costituzione nella parte in cui pone quale
elemento  ostativo  all'ingresso  e  alla  permanenza in Italia dello
straniero  la  mera  condanna  per determinati reati, compresa quella
subita  a  seguito  di applicazione della pena ai sensi dell'art. 444
del  codice  di  procedura  penale  in epoca antecedente l'entrata in
vigore della citata legge n. 189 del 2002.
    2.1.  -  Giova premettere che l'art. 5, comma 5 del d.lgs. n. 286
del  1998  stabilisce che il permesso di soggiorno o suo rinnovo sono
rifiutati e, se il permesso di soggiorno e' stato rilasciato, esso e'
revocato,  quando  mancano  o vengono a mancare i requisiti richiesti
per  l'ingresso  e  il soggiorno dello straniero nel territorio dello
Stato.  A  sua  volta l'art. 4, comma 3 dello stesso d.lgs. nel testo
novellato, stabilisce che non e' ammesso in Italia lo straniero: «...
che risulti condannato, anche a seguito di applicazione della pena su
richiesta  ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale,
per  reati  previsti  dall'articolo  380,  commi  1 e 2 del codice di
procedura  penale  ovvero  per  reati  inerenti  gli stupefacenti, la
liberta'  sessuale,  il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina
verso l'Italia e dell'emigrazione clandestina dall'Italia verso altri
stati  o  per  reati  diretti al reclutamento di persone da destinare
alla  prostituzione  o  allo  sfruttamento  della  prostituzione o di
minori da impiegare in attivita' illecite».
    La  norma  in  esame  considera,  quindi,  la  sola  condanna per
determinati  reati  quale  elemento  ostativo  per  l'ingresso  dello
straniero in Italia e, relativamente allo straniero gia' presente sul
territorio  dello  Stato,  per  il  mancato  rinnovo  o la revoca del
relativo permesso di soggiorno gia' rilasciato.
    Il  procedimento  amministrativo volto al rinnovo del permesso di
soggiorno  deve  essere  coordinato con il procedimento, disciplinato
dall'art. 13   del  d.lgs.  n. 286  del  1998,  volto  all'espulsione
amministrativa  dello  stesso straniero nell'ipotesi in cui (comma 2,
lett.  b)  il  relativo  permesso  di  soggiorno sia stato revocato o
annullato,  ovvero  risulti  scaduto  da  piu' di 60 giorni e non sia
stato chiesto il rinnovo.
    In  sostanza il procedimento di rinnovo del permesso di soggiorno
costituisce  antecedente  logico  in  forza  del  quale,  in  caso di
rifiuto,  viene  poi avviato il successivo procedimento di espulsione
amministrativa  disposta  dal  prefetto  a  norma del citato art. 13,
comma 2, lett. b) del testo unico sull'immigrazione.
    2.2.   -   La  prima  questione  che  appare  non  manifestamente
infondata,  in  relazione  all'art. 3  della  Costituzione,  letto in
correlazione  con gli artt. 2, 4, 13, 16, 29 e ss. della stessa Carta
fondamentale,  sotto  il  profilo  dell'irragionevolezza della scelta
compiuta dal legislatore riguarda la fase di prima applicazione della
legge  n. 189  del  2002,  nella quale vanno ritenute applicabili, ai
fini  della  non  ammissione  in  Italia  dello  straniero,  anche le
sentenze  di  patteggiamento pronunciate a norma degli articoli 444 e
ss.  del codice di procedura penale in epoca antecedente l'entrata in
vigore  della  stessa,  legge n. 189 del 2002 che ha introdotto detto
elemento  ostativo  novellando  l'art. 4  comma 3, del d.lgs. 286 del
1998.  Con cio' emerge un sostanziale e irragionevole disconoscimento
dell'effetto   premiale  proprio  della  sentenza  di  patteggiamento
operato dalla legge n. 189 del 2002.
    La  Corte  costituzionale,  con sentenza n. 394 del 25.7.2002, ha
dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 10,  comma 1,
della legge 27 marzo 2001, n. 97 (Norme sul rapporto tra procedimento
penale  e  procedimento  disciplinare ed effetti del giudicato penale
nei  confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche), nella
parte  in  cui  prevedeva  che  gli artt. 1 e 2 della stessa legge si
riferivano   anche  alle  sentenze  di  applicazione  della  pena  su
richiesta pronunciate anteriormente alla sua entrata in vigore.
    In tale sede e' stato ritenuto che la componente negoziale insita
nell'istituto del patteggiamento esige una consapevole manifestazione
di  volonta'  dell'imputato,  ed  impone  di preservare la genuinita'
dell'accordo  non  tanto  quando viola una aspettativa generica e non
titolata   di   permanente  vigenza  di  una  determinata  disciplina
legislativa  (aspettativa che, in termini cosi' generali, la Corte ha
sempre  escluso  potesse  essere  tutelata), ma quando invece lede un
affidamento   qualificato  e  costituzionalmente  protetto  (il  caso
trattato   riguardava   l'effettivita'  del  diritto  di  difesa  nel
procedimento disciplinare).
    Nel  caso in esame l'aspettativa che appare rilevante, meritevole
di tutela e di salvaguardia, analogamente al diritto di difesa di cui
all'art. 24   Cost.,   deriva   dai   riflessi  che  la  sentenza  di
patteggiamento  e'  in grado di produrre sulle liberta' dell'uomo, in
particolare  sulla permanenza dello straniero nel territorio italiano
e   sulle  opportunita'  che  essa  offre  in  termini  di  attivita'
lavorative  (art. 4  Cost.),  nonche'  di esercizio di tutte le altre
garanzie  costituzionalmente  riconosciute e protette contenute negli
articoli  della  Costituzione sopra richiamati (artt. 13, 16 e 29 s.)
quali  espressioni di liberta' e di sviluppo della personalita' umana
dell'individuo  sia  come singolo che nelle formazioni sociali in cui
essa si svolge (art. 2 Cost.).
    Infatti  il  ricorrente, avendo riportato in data 25 gennaio 2001
condanna  patteggiata  ai sensi dell'art. 444 del codice di procedura
penale,  divenuta  irrevocabile  il  28  febbraio  2001, si vede oggi
rifiutato  il  rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro
subordinato  in  forza  di una norma entrata in vigore nell'anno 2002
dei cui effetti, certamente non secondari per un lavoratore cittadino
extracomunitario, non ha obiettivamente potuto tener conto in sede di
valutazione costi-benefici nella scelta del rito alternativo proposto
dall'ordinamento  italiano.  A  sua  volta  il  mancato  rinnovo  del
permesso  di  soggiorno  comportera' l'espulsione dello straniero dal
territorio nazionale, secondo la sequenza procedimentale descritta al
precedente punto 2.1.
    L'accordo   allora   concluso   tra  Stato  italiano  e  imputato
extracomunitario,   sigillato  con  il  patteggiamento  di  pena,  ha
comportato  benefici  in  capo  ad  entrambe  le  parti, propri di un
rapporto  sinallagmatico  in cui il primo contraente ha conseguito un
risparmio  di  energie  processuali  ed  il secondo ha potuto contare
sulla  permanenza  in Italia, ancorche' penalmente condannato, per lo
svolgimento di attivita' lavorativa.
    Tuttavia,  con  la  legge  n. 189 del 2002 il bilanciamento degli
interessi  raggiunto  con  l'accordo  sulla  pena, compresi tutti gli
ulteriori  effetti  connessi  con  la  sentenza  di  condanna,  viene
irragionevolmente  vanificato  a  vantaggio  di  una  sola  parte che
mantiene  i  propri  benefici  derivanti  dall'accordo a discapito di
quelli  della  controparte  i  quali, tuttavia, non possono ritenersi
secondari  e  cedevoli in forza delle argomentazioni sopra svolte sul
fondamento dell'attuale quadro costituzionale.
    2.3.  -  In  secondo  luogo appare rilevante e non manifestamente
infondata  la  dedotta  questione  di  costituzionalita' dell'art. 4,
comma  3 citato, per violazione degli artt. 3 e 13 della Costituzione
sotto  il profilo della irragionevolezza e disparita' di trattamento,
nella  parte  cui  pone  quale  elemento ostativo all'ingresso e alla
permanenza  in  Italia  dello  straniero  la condanna per determinati
reati  senza  imporre  l'ulteriore  verifica di pericolosita' sociale
dello  stesso.  Si tratta della medesima questione gia' sollevata con
la  citata  ordinanza  n. 683/2003  del  15 maggio  2003  che  appare
necessario  riproporre  in  questa  sede in ottemperanza al principio
dell'autosufficienza  della  motivazione dell'ordinanza di rimessione
alla  Corte costituzionale (ex multis, Corte cost., 28 febbraio 2003,
n. 60),   ponendo   in   evidenza  anche  profili  non  compiutamente
sviluppati in precedenza.
    Giova  rilevare,  al  riguardo, che l'art. 15 dello stesso d.lgs.
286  del  1998,  nel  disciplinare l'espulsione a titolo di misura di
sicurezza,  consente  al  giudice  di  ordinare  la stessa qualora lo
straniero  sia stato condannato per taluno dei delitti previsti degli
articoli  380  e  381  del  codice di procedura penale, sempre che lo
stesso risulti «socialmente pericoloso».
    Sul   punto,   ritiene   il  collegio  che  non  pare  pertinente
l'eventuale   obiezione   che   essendo   distinto  e  successivo  il
procedimento  di  espulsione  rispetto a quello di rinnovo o rilascio
del  permesso  di  soggiorno  e  dovendo  essere  motivato il decreto
espulsivo,  e'  in  tale  sede  che  debba  avvenire  il  giudizio di
pericolosita'  sociale, atteso che apparirebbe illogica la situazione
in  cui  lo straniero, che si trova in Italia privo dei requisiti per
l'ottenimento  del  permesso  di  soggiorno, non possa essere espulso
dallo Stato italiano per carenza di pericolosita' sociale.
    Appare  quindi  coerente  la  conclusione  che,  qualora ritenuto
necessario,  il  giudizio sulla pericolosita' sociale dello straniero
condannato  per  determinati reati debba essere anticipato al momento
in cui l'autorita' amministrativa sia chiamata a valutare i requisiti
per  il  rilascio  o  il  rinnovo  del  permesso  di  soggiorno, non,
potendosi rinviare detta verifica alla fase successiva di espulsione,
la quale segue automaticamente per l'assenza del titolo che legittima
la  permanenza  in Italia dello stesso come evidenziato al precedente
punto 2.1.
    Nel  caso  in  esame  risulta ostativa al rinnovo del permesso di
soggiorno la condanna per il reato di detenzione illecita di sostanze
stupefacenti,  pronunciata  dal g.i.p. presso il Tribunale di Mantova
ai  sensi  dell'art. 444  del  codice  di  procedura penale, divenuta
irrevocabile il 28 febbraio 2001, senza che, al riguardo, l'autorita'
amministrativa   sia   tenuta  a  svolgere  l'ulteriore  giudizio  di
pericolosita' sociale del ricorrente.
    La Corte costituzionale, con sentenza 24 febbraio 1995, n. 58, ha
gia'   avuto   modo   di  dichiarare  costituzionalmente  illegittimo
l'art. 86,  comma  1  del  9  ottobre  1990,  n. 309,  per violazione
dell'art. 3  della  Costituzione,  nella  parte  in  cui obbligava il
giudice  ad  emettere,  senza  l'accertamento  della  sussistenza  in
concreto  della  pericolosita'  sociale,  prevista  in  via  generale
dall'art. 31  della  legge  10  ottobre 1986, n. 663, contestualmente
alla condanna, l'ordine di espulsione dello straniero, condannato per
uno  dei  reati  in  materia  di  stupefacenti e sostanze psicotrope,
previsti  dal  t.u.  stesso,  e  con  conseguente  preclusione  della
sospensione  condizionale  della pena, in quanto per le altre ipotesi
di  espulsione  dello  straniero, previste dagli art. 235 e 312 c.p.,
per  reati  altrettanto gravi, sarebbe stata consentita al giudice la
valutazione   in   concreto   della   pericolosita'  dello  straniero
condannato.
    Come  gia'  evidenziato  in  precedenza,  tale principio e' stato
recepito dall'art. 15 dello stesso d.lgs. 286 del 1998, il quale, nel
disciplinare  l'espulsione  a titolo di misura di sicurezza, consente
al  giudice  di  ordinare  la  stessa  qualora lo straniero sia stato
condannato  per  taluno dei delitti previsti degli articoli 380 e 381
del  codice  di  procedura  penale,  sempre  che  lo  stesso  risulti
«socialmente pericoloso».
    A giudizio del collegio l'art. 4, comma 3 del d.lgs. 286 del 1998
applicato  in  correlazione  con  i successivi artt. 5, comma 5 e 13,
comma  2,  lett.  b)  appare pertanto in contrasto con l'art. 3 della
Costituzione, sotto il profilo della irragionevolezza e disparita' di
trattamento,  poiche'  consentirebbe  all'autorita' amministrativa di
disporre  l'espulsione  dello  straniero  dal  territorio italiano in
presenza  della  sola condanna per determinati reati senza imporre la
valutazione, in concreto, della pericolosita' sociale dell'individuo,
cosa  che  invece e' tenuto a fare il giudice nell'applicazione della
stessa  espulsione  a  titolo  di  misura  di  sicurezza,  risultando
analoghi, nel concreto, i relativi presupposti ed effetti.
    Infatti, pur essendo diverse le situazioni e i procedimenti sopra
descritti  (amministrativo  l'uno  e giurisdizionale l'altro), appare
necessario,  al  fine  di  garantire  il  rispetto  dell'art. 3 della
Costituzione,   attribuire   la   medesima   rilevanza   allo  stesso
provvedimento  (condanna  per  determinati reati) che costituisce, in
ultima  analisi,  presupposto  dell'espulsione, indipendentemente dal
fatto  che  la  stessa  venga disposta nella sede amministrativa o in
quella  giurisdizionale  poiche',  in  entrambi  i contesti, identici
risultano  i  conseguenti  risultati, consistenti nell'allontanamento
dello   straniero   dal   territorio   italiano   e   la  conseguente
impossibilita' di esercitare i diritti e godere delle liberta' che la
Carta  costituzionale  riconosce  all'individuo  (art. 13  citato, ma
anche  quelli  di  cui  agli  artt. 2,  4, 16, 29 ss.). La violazione
dell'art. 3      della     Costituzione,     sotto     il     profilo
dell'irragionevolezza  e della disparita' di trattamento in relazione
a  quanto  sopra  illustrato, risulta altresi' evidente col fatto che
l'art. 445 del codice di procedura penale non consente l'applicazione
di  misure  di  sicurezza  per  le  sentenze pronunciate a seguito di
patteggiamento,  stante  il  carattere  di premialita' attribuito dal
legislatore a tale rito, come contropartita alla economia processuale
che  la  scelta delle parti consente. Nel caso in esame, pertanto, il
ricorrente,   essendo   stato   condannato  per  reati  inerenti  gli
stupefacenti  con  sentenza  pronunciata  ai  sensi dell'art. 444 del
codice di procedura penale, non potrebbe subire, in sede giudiziaria,
l'applicazione   della   misura   di  sicurezza  dell'espulsione  dal
territorio  dello Stato, mentre potrebbe subirla, ancorche' assistita
dalle garanzie di cui si censura l'assenza, nella sede amministrativa
a  seguito  di  diniego  del  rinnovo  del  permesso di soggiorno, in
applicazione  dell'art. 13  comma  2 lettera b) del d.lgs. n. 286 del
1998,  vanificando  cosi'  l'effetto  premiale  riconosciuto  in sede
giudiziaria.   Trattandosi   di  misura  che  incide  sulla  liberta'
personale   dell'individuo,   sia   l'espulsione   disposta   in  via
amministrativa,  che  l'espulsione  disposta  dal giudice a titolo di
misura di sicurezza, non assistite dal previo giudizio generale sulla
pericolosita'   sociale,   risulterebbero   in  contrasto  anche  con
l'art. 13  della  Costituzione  applicabile  a  tutti  gli  individui
cittadini  e  non  cittadini  come  riconosciuto  dalla  stessa Corte
costituzionale (sent. n. 62 del 1994).
    2.4.  -  Sotto  altro  aspetto  la  violazione  dell'art. 3 della
Costituzione   appare   non  manifestamente  infondata  in  relazione
all'irragionevolezza  ed  alla sproporzione della scelta compiuta dal
legislatore   che  intende,  nella  sede  amministrativa,  sanzionare
automaticamente  con  il diniego di rinnovo o il rifiuto del permesso
di  soggiorno  e,  in ultima istanza, con l'espulsione dal territorio
dello  Stato,  anche  fatti  di lieve e lievissima entita', ancorche'
penalmente rilevanti ed ascrivibili ai reati di cui all'art. 4, comma
3  del d.lgs. n. 286 del 1998 nel testo modificato dalla legge n. 189
del 2002, che non sono stati ritenuti meritevoli di analoga misura in
quest'ultima  sede  in  cui,  addirittura,  potrebbero aver goduto di
attenuanti   oltre   alla   sola   sanzione  pecuniaria,  in  quanto.
comportanti  un  minore  allarme  sociale  che  non giustifica misure
repressive  che  incidono  su  diritti  costituzionalmente  garantiti
espressione,  piu'  in generale, dei diritti dell'uomo riconosciuti a
livello sovranazionale.
    In  assenza  di  un ragionevole giudizio di pericolosita' sociale
quale  necessario  momento  di  valutazione  e di applicazione di una
misura proporzionale alla gravita' dei fatti commessi, anche fatti di
lieve   o  lievissima  entita'  possono  cosi'  incidere  nella  sede
amministrativa,  al  pari  delle  sanzioni  penali  e delle misure di
sicurezza,  sulla  sfera  soggettiva  dell'individuo,  che vede cosi'
compromessi  i  propri  diritti  costituzionalmente  garantiti  quali
diritti inviolabili dell'uomo che la Repubblica intende riconoscere e
garantire  a  norma dell'art. 2 della Costituzione e, in particolare,
il  diritto  al  lavoro (art. 4), alla libera circolazione (art. 16),
all'unita'  familiare  (artt. 2  e 29 ss.) ed alla liberta' personale
(art. 13).
    Ed e' proprio dalla giurisprudenza della Corte costituzionale che
si  rileva  il principio secondo cui, di fronte all'incisione di beni
di tal pregio, il controllo di costituzionalita' delle norme di legge
contestate deve avvenire in modo da garantire che il sacrificio della
liberta'  sia  giustificato  dall'effettiva  realizzazione  di  altri
valori  costituzionali  o non vada incontro a ostacoli insormontabili
costituiti  dalla  protezione  di altri valori costituzionali (sentt.
nn. 63  del  1994, 81 del 1993, 368 del 1992, 366 del 1991 richiamate
dalla  sentenza  24  febbraio  1995  n. 58  citata) riconosciuti, con
riferimento  al  caso  in  esame,  dagli artt. 2, 4, 13, 16, 29 e ss.
della Costituzione.
    2.5.  -  Quest'ultimo  aspetto,  concernente  la  violazione  dei
principi  di  ragionevolezza  e  proporzionalita'  in  ragione  della
gravita'  dei  fatti  commessi,  appare,  inoltre, non manifestamente
infondato  anche  valutato  in correlazione con quanto evidenziato al
precedente  punto  2.2., circa la valenza inibitoria, al rinnovo o al
rilascio  del  permesso  di  soggiorno, delle sentenze pronunciate ai
sensi  dell'art. 444  del  c.p.p.  in  epoca antecedente l'entrata in
vigore della legge n. 189 del 2002.
    La  scelta  compiuta  in  sede  legislativa,  volta  a vanificare
unilateralmente, da parte dello Stato italiano, gli effetti negoziali
caratteristici   della   sentenza  patteggiata,  appare  ancora  piu'
irragionevole  e  sproporzionata  ogni  qual  volta  cio'  avvenga in
presenza  di  fatti,  ancorche'  penalmente  rilevanti,  di  lieve  e
lievissima  entita', che vengono cosi' sanzionati, in ultima analisi,
con   l'espulsione  amministrativa  dello  straniero  dal  territorio
nazionale  senza  che lo stesso abbia potuto valutare la possibilita'
di  escludere  il  rito  alternativo  in  ragione  di  questi effetti
pregiudizievoli;  irragionevolezza e sproporzione ancora piu' marcate
quando  l'alterazione  del  quadro  negoziale, e quindi l'espulsione,
avvenga   automaticamente,  senza  che  sia  svolto  un  giudizio  di
pericolosita'  sociale  dell'individuo come evidenziato al precedente
punto 2.3.
                              P. Q. M.
    Visto  l'art. 23  della  legge  11 marzo  1953,  n. 87,  dichiara
rilevante  e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 2,
3,  4,  13,  16,  29  e  ss.  della  Costituzione,  la  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 4,  comma 3, d.lgs. 25 luglio
1998,  n. 286,  come  sostituito  dall'art. 4, comma 1 della legge 30
luglio  2002  n. 189,  applicato  in  correlazione  con  i successivi
articoli  5,  comma  5  e  13, comma 2, lett. b), nei sensi di cui in
motivazione.  Ordina  la  sospensione  del  presente  giudizio  e  la
rimessione  degli atti alla Corte costituzionale, nonche' la notifica
della  presente  ordinanza  alle  parti in causa ed al Presidente del
Consiglio   dei   ministri  e  la  comunicazione  della  medesima  ai
Presidenti dei due rami del Parlamento.
    Cosi'  deciso  in Brescia, il giorno 11 luglio 2003, in camera di
consiglio.
                       Il Presidente: Mariuzzo
Il giudice relatore estensore: Morri
03C1155