N. 332 SENTENZA 27 ottobre - 7 novembre 2003

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Questione  di legittimita' costituzionale - Termini - Possibilita' di
  una duplice lettura - Individuazione dalla esatta portata dell'atto
  di rimessione.
Procedimento   civile  -  Procedimenti  riguardanti  i  magistrati  -
  Competenza  territoriale  -  Deroga - Mancata limitazione alle sole
  cause  nelle quali il magistrato assume la qualita' di indagato, di
  imputato  ovvero  di  persona  offesa  o  danneggiata  dal  reato -
  Prospettata  irragionevolezza  e disparita' di trattamento, nonche'
  lesione  del diritto di azione e difesa e del principio del giudice
  naturale   -   Discrezionalita'   del   legislatore  in  materia  -
  Inammissibilita' della questione.
- Cod.  proc.  civ.,  art. 30-bis  (introdotto dalla legge 2 dicembre
  1998, n. 420).
- Costituzione, artt. 3, 24 e 25.
(GU n.45 del 12-11-2003 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Gustavo ZAGREBELSKY;
  Giudici: Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE, Guido NEPPI MODONA, Piero
Alberto  CAPOTOSTI,  Annibale  MARINI,  Franco  BILE,  Giovanni Maria
FLICK,  Francesco  AMIRANTE,  Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA, Paolo
MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 30-bis del
codice  di  procedura  civile,  introdotto  dall'art. 9  della  legge
2 dicembre  1998, n. 420 (Disposizioni per i procedimenti riguardanti
i  magistrati), promosso con Ordinanza emessa il 17 dicembre 2001 dal
Tribunale  di  Torino  nel procedimento civile vertente tra Francesco
Fassio  e  Cinzia Piasentin ed altri, iscritta al n. 305 del registro
ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 26, 1ª serie speciale, dell'anno 2002.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 9 aprile 2003 il giudice
relatore Franco Bile.

                          Ritenuto in fatto

    1. - Con ordinanza del 17 dicembre 2001, il Tribunale di Torino -
nel corso di un giudizio ex artt. 447-bis e 8 del codice di procedura
civile,  promosso  da  un  magistrato  del  distretto  di Torino, per
ottenere il pagamento di canoni di locazione e spese condominiali nei
confronti  di  un  conduttore  e  dei  suoi  garanti  -  ha sollevato
questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 30-bis del codice
di  procedura  civile  [introdotto dall'art. 9 della legge 2 dicembre
1998,   n. 420   (Disposizioni   per  i  procedimenti  riguardanti  i
magistrati)],  «nella parte in cui non prevede che solamente le cause
in cui sono comunque parti magistrati «in conseguenza di procedimenti
in  cui  un  magistrato  assume  la qualita' di persona sottoposta ad
indagini,  di  imputato  ovvero  di  persona offesa o danneggiata dal
reato»,  che secondo le norme del presente capo [cioe' del Capo I del
Titolo  I  del  Libro  I  del  codice  di procedura civile] sarebbero
attribuite  alla  competenza  di  un ufficio giudiziario compreso nel
distretto di corte d'appello in cui il magistrato esercita le proprie
funzioni,  sono di competenza del giudice, ugualmente competente, che
ha sede nel capoluogo del distretto di Corte d'appello determinato ai
sensi dell'art. 11 del codice di procedura penale».
    1.1. - Il  rimettente ritiene che il legislatore - il quale pure,
con  una scelta ragionevole, avrebbe voluto introdurre il criterio di
competenza  ex  art. 11  cod. proc. pen. nei soli procedimenti civili
conseguenti  a reati in cui fosse imputato o parte lesa un magistrato
-  sarebbe,  invece,  andato  ben  oltre,  estendendo quel criterio a
«quasi tutte le cause civili [...] in cui e' parte un magistrato».
    Cosi'   configurata,  la  norma  determinerebbe  un'irragionevole
disparita'   di   trattamento   in   violazione   dell'art. 3   della
Costituzione,  «uno stravolgimento del principio del giudice naturale
dell'art. 25  Cost.  e un fattivo impedimento del diritto di azione e
di  difesa  e alla formazione della prova (art. 24 Cost.)», in quanto
le   competenze   civili   «sono  molto  articolate  e  non  derivano
semplicemente,  come  per  la  procedura  penale,  dal  criterio  del
commesso reato».
    1.2. - Cio'  premesso,  il  rimettente,  pur  dando  atto  che il
presupposto  della  norma  censurata e' che il rapporto di colleganza
tra il magistrato parte del giudizio e quello del distretto in cui il
primo presta le sue funzioni indurrebbe a dubitare dell'imparzialita'
del   giudice,   sostiene   che  sarebbe  difficile  pensare  che  le
controparti possano ritenersi maggiormente tutelate dall'attribuzione
della  controversia  ad  un  collega  del  giudice  operante in altro
distretto.
    La  norma  sarebbe,  dunque,  irragionevole  laddove  «assume  la
terzieta'  del  giudice che opera in un distretto a qualche decina di
chilometri,  ma  [...]  nel  contempo  priva  le parti del diritto di
esercitare le facolta' loro attribuite in tema di competenza», tenuto
conto del carattere dispositivo del processo civile. Essa renderebbe,
inoltre,  piu'  difficile  ed  oneroso  il diritto di difesa a carico
della  controparte  del  magistrato, atteso che detta parte (come del
resto  lo  stesso  giudice adito) puo' non essere a conoscenza che il
contraddittore  e'  un  magistrato  e nella migliore delle ipotesi lo
potrebbe  apprendere  solo  a giudizio instaurato, con la conseguenza
che,  anche  nel  caso  che  non  intenda formulare alcuna eccezione,
dovrebbe  sopportare  i  costi  e  l'aumento  dei tempi del processo,
derivanti dalla successiva declaratoria di incompetenza.
    1.3. - Gli   esposti   rilievi,   secondo   il   rimettente,  non
conforterebbero l'esigenza di garantire il prestigio, la credibilita'
e l'indipendenza dell'ordine giudiziario, che - come emerge dalla sua
relazione  - si prefiggeva il Ministro della Giustizia, proponendo il
disegno   di  legge,  poi  sfociato  nella  legge  n. 420  del  1998.
L'esigenza  di  massima  trasparenza  della funzione giudicante nelle
cause  civili non andrebbe, infatti, ricercata nel foro del capoluogo
di   distretto   confinante,   ma   si  realizzerebbe  con  le  norme
sull'astensione  e  ricusazione  ex artt. 51 e seguenti del codice di
procedura civile.
    Conclusivamente,  il  rimettente  rileva che l'art. 9 della legge
n. 420  del 1998 avrebbe dovuto limitare l'estensione del criterio di
competenza  ex  art. 11  cod.  proc.  pen.  ai soli casi di azioni di
risarcimento  del  danno  conseguente a reato ed afferma la rilevanza
della  questione,  in quanto solo se la stessa fosse ritenuta fondata
potrebbe ritenersi competente sulla controversia.
    2. - E'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,   tramite   l'Avvocatura   generale  dello  Stato,  che  ha
depositato memoria, nella quale ha sostenuto che la questione sarebbe
infondata.
    Il   rimettente  muoverebbe  da  un'inesatta  considerazione  dei
parametri  costituzionali  evocati  - dai quali non sarebbe possibile
inferire un vincolo del legislatore a limitare la portata della norma
censurata  nel  senso  da  lui voluto - nonche' da «considerazioni di
carattere astratto e generale (attinenti a varie regole di competenza
territoriale) del tutto avulse dalla concretezza della fattispecie».
    In   ordine   alla   censura   ex  art. 25  Cost.  il  rimettente
equivocherebbe  sulla  nozione  di  precostituzione  del giudice, che
sarebbe  rispettata ove l'organo giudicante sia istituito dalla legge
sulla  base di criteri generali fissati in anticipo e non in vista di
singole controversie.
    In  riferimento  al parametro dell'art. 24, le considerazioni del
rimettente  sarebbero «generiche, non pertinenti allo specifico della
fattispecie  e  ad  un'effettiva compromissione della tutela (e della
funzione) giurisdizionale», dovendosi tener conto che il legislatore,
ferma  l'osservanza  del  criterio  di  ragionevolezza,  non  sarebbe
costituzionalmente  vincolato  all'adozione  di  un certo elemento di
collegamento fra giudice ed elementi di causa.
    La  questione,  comunque,  sarebbe inammissibile, risolvendosi in
non  consentite  valutazioni su apprezzamenti rimessi alle scelte del
legislatore  nell'attuare  l'esigenza  di  garantire il prestigio, la
credibilita'   e   l'indipendenza   dell'ordine   giudiziario   e  la
trasparenza della relativa funzione.

                       Considerato in diritto

    1. - L'art. 30-bis  del  codice  di  procedura civile, introdotto
dalla  legge 2 dicembre 1998, n. 420 (Disposizioni per i procedimenti
riguardanti  i magistrati), dispone, al primo comma, che «le cause in
cui sono comunque parti magistrati, che secondo le norme del presente
capo  [cioe'  del  Capo I  del  Titolo  I  del  Libro I del codice di
procedura  civile] sarebbero attribuite alla competenza di un ufficio
giudiziario  compreso  nel  distretto  di  Corte  d'appello in cui il
magistrato  esercita  le  proprie  funzioni,  sono  di competenza del
giudice, ugualmente competente per materia, che ha sede nel capoluogo
del    distretto    di   corte   d'appello   determinato   ai   sensi
dell'articolo 11 del codice di procedura penale».
    Il  Tribunale di Torino ha sollevato la questione di legittimita'
costituzionale  di  tale  norma nella parte in cui non prevede che la
regola  di competenza da essa dettata si applichi soltanto alle cause
nelle  quali  sia parte un magistrato, in conseguenza di procedimenti
in  cui  questi assume la qualita' di persona sottoposta ad indagini,
di imputato ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato.
    Secondo  il  rimettente  l'art. 30-bis cod. proc. civ., in quanto
non  limita  la  sua  applicazione alla sola fattispecie indicata, si
pone  in contrasto con l'art. 3 (per irragionevolezza e disparita' di
trattamento),  con  l'art. 24 (per lesione del diritto di azione e di
difesa  della  controparte  del  magistrato)  e  con  l'art. 25 della
Costituzione (per violazione del principio del giudice naturale).
    2. - Circa   l'individuazione  dei  termini  della  questione  di
legittimita'   costituzionale,   l'ordinanza   da'  luogo  a  qualche
incertezza,   essendo   astrattamente  suscettibile  di  una  duplice
lettura.
    Taluni passi della motivazione inducono infatti a ritenere che il
rimettente chieda a questa Corte una sentenza per effetto della quale
il  foro  derogatorio previsto dalla norma impugnata risulti limitato
alle  controversie  aventi  ad  oggetto  il  danno  o le restituzioni
derivanti  da  un  reato  per  il quale un magistrato in servizio nel
distretto  del  giudice  competente rivesta la qualifica - anche solo
potenziale,  e  quindi a prescindere dall'effettiva instaurazione del
relativo procedimento - di indagato, imputato o persona offesa.
    Ma  e'  possibile  anche  attribuire  all'ordinanza  una  portata
diversa  e  minore,  ritenendola volta ad ottenere la limitazione del
foro  derogatorio  in esame alle sole controversie, aventi ad oggetto
il  danno  o  le  restituzioni  derivanti  da  un  reato, conseguenti
all'effettiva  assunzione  da  parte  del  magistrato  di  una  delle
qualita' indicate.
    Questa  seconda lettura risulta maggiormente attendibile, essendo
confortata  dal  dispositivo  dell'ordinanza,  in  cui  il rimettente
enuncia   conclusivamente   i   termini   della   proposta  questione
riferendosi  alle  cause civili conseguenti a «procedimenti in cui un
magistrato  assume  la qualita' di persona sottoposta ad indagini, di
imputato ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato».
    3. - La questione cosi' individuata e' inammissibile.
    4. - L'art. 11  cod.  proc. pen., nel testo originario, prevedeva
al  primo  comma  che  «i procedimenti in cui un magistrato assume la
qualita'  di  imputato  ovvero  di  persona  offesa o danneggiata dal
reato»,  che  secondo  le regole ordinarie «sarebbero attribuiti alla
competenza di un ufficio giudiziario compreso nel distretto in cui il
magistrato  esercita  le sue funzioni ovvero le esercitava al momento
del  fatto, sono di competenza del giudice, ugualmente competente per
materia,  che ha sede nel capoluogo del distretto di Corte di appello
piu' vicino».
    Mancando per il processo civile una regola di competenza analoga,
vennero   proposte   questioni  di  legittimita'  costituzionale  per
ottenere   -  in  via  principale  -  l'estensione  del  criterio  di
competenza territoriale previsto dall'art. 11 cod. proc. pen. a tutte
le  controversie  civili  promosse da o contro magistrati in servizio
nel  distretto del giudice adito, e - in via gradatamente subordinata
-  la  sua  estensione ai giudizi civili relativi a danni derivati da
fatti   di  rilevanza  penale,  per  i  quali  magistrati  in  quella
situazione fossero indicati come autori, persone offese o danneggiate
(in ogni caso o almeno per la diffamazione a mezzo della stampa).
    Le  questioni  sono  state  tutte  dichiarate inammissibili dalla
sentenza  n. 51  del  1998,  secondo  la  quale  -  attesa  la  netta
distinzione  fra  processo  civile  e  processo penale, specie per la
disomogeneita'  degli interessi coinvolti nel primo in relazione alla
varieta'  delle  situazioni  giuridiche che di volta in volta ne sono
oggetto  -  spetta al legislatore stabilire, nell'esercizio della sua
discrezionalita',  quando  in  relazione  al  processo civile ricorra
un'identita'  di  ratio  giustificativa  dell'estensione della regola
dell'art. 11 cod. proc. pen. e quando invece tale esigenza ricorra in
modo  diverso  o  non  ricorra affatto, «cosi' da evitare che vengano
sacrificati  altri  interessi e valori costituzionalmente rilevanti»,
come  il  diritto di agire e di difendersi in giudizio; ed a tal fine
il  medesimo legislatore deve procedere (secondo ragionevolezza e nel
rispetto   dei   principi   costituzionali)  ad  una  valutazione  di
bilanciamento fra l'interesse alla imparzialita-terzieta' del giudice
civile   e   quello   alla  pienezza  ed  effettivita'  della  tutela
giurisdizionale,  con  riguardo  non  al processo civile in genere ma
alle sue singole tipologie.
    In  seguito  e'  intervenuta  la  legge  n. 420  del 1998, che ha
disciplinato   la   competenza   territoriale   per   i  procedimenti
riguardanti   i   magistrati  sia  in  materia  penale  (tra  l'altro
modificando  nell'art. 11 cod. proc. pen. i criteri di individuazione
della  gia'  prevista  competenza derogatoria), sia in materia civile
(introducendo  -  con  l'art. 9  -  nel  codice  di  procedura civile
l'art. 30-bis).
    Di  tale nuova disciplina e' stata posta in dubbio la conformita'
alla  Costituzione,  ed in particolare e' stata proposta questione di
legittimita'  costituzionale  del citato art. 30-bis, in quanto norma
regolatrice  della competenza territoriale nei procedimenti esecutivi
promossi da o contro magistrati in servizio nel distretto del giudice
competente secondo le regole ordinarie.
    Sul  punto  questa  Corte - preso atto che con l'art. 30-bis cod.
proc.    civ.    il   legislatore   aveva   esercitato   la   propria
discrezionalita'  estendendo la regola dell'art. 11 cod. proc. pen. a
tutte le controversie civili riguardanti magistrati di quel distretto
-   ha   ritenuto   che   la  norma,  nella  parte  in  cui  comporta
l'applicazione  di  tale  regola  al foro dell'esecuzione forzata, ha
leso  gli  artt. 3  e  24 della Costituzione, non avendo proceduto al
necessario  bilanciamento  tra  i  due  interessi prima ricordati, in
relazione  alle  specifiche particolarita' del procedimento esecutivo
(sentenza n. 444 del 2002).
    5. - Il    giudice   rimettente   si   sofferma   ad   illustrare
analiticamente  molteplici profili di incostituzionalita' della norma
impugnata  che  -  irragionevolmente  assoggettando  ad  una medesima
regola  di  competenza tutte, indistintamente, le cause civili in cui
sia  parte  un  magistrato  in  servizio  nel  distretto  del giudice
competente  secondo  i  criteri ordinari - comporterebbe a suo avviso
rilevanti  limitazioni  al diritto di difesa, con ripercussioni anche
sulla  ragionevole  durata  del  processo,  tanto  se la qualifica di
magistrato sia rivestita dalla parte attrice, quanto se essa riguardi
invece la parte convenuta.
    In  realta'  che  l'indiscriminata  estensione  a  tutte le cause
civili  del criterio di competenza introdotto dall'art. 11 cod. proc.
pen.  sia  suscettibile  di  risolversi  -  con riferimento a singole
tipologie  di  controversie - nel «sacrificio» di «interessi e valori
costituzionalmente  rilevanti»  e'  stato  puntualmente  avvertito da
questa Corte, sia prima dell'introduzione dell'art. 30-bis cod. proc.
civ.,  sia  dopo  di essa (rispettivamente, sentenze n. 51 del 1998 e
n. 444 del 2002, prima citate).
    6. - Peraltro  il  giudice  rimettente  - chiamato a decidere una
controversia  promossa da un magistrato in servizio nel distretto per
ottenere  da  un suo conduttore il pagamento di canoni di locazione e
il  rimborso  di  spese  condominiali - chiede a questa Corte non una
sentenza  dichiarativa dell'illegittimita' costituzionale della norma
impugnata   nella  parte  in  cui  pone  una  particolare  regola  di
competenza  per  le  controversie  in  materia  locatizia, bensi' una
pronuncia   additiva   che   restringa   radicalmente   l'ambito   di
applicabilita'  della  regola  in  esame, limitandola alle sole cause
civili  conseguenti  a procedimenti in cui un magistrato, in servizio
nel  distretto,  abbia  assunto effettivamente la qualita' di persona
sottoposta  ad  indagini,  di  imputato  ovvero  di  persona offesa o
danneggiata da un reato.
    I   termini   della   questione   risultano  quindi  parzialmente
coincidenti con quelli prospettati in via subordinata nel caso deciso
dalla ricordata sentenza n. 51 del 1998.
    E  percio'  la  questione  -  al  di  la'  dell'inconferenza  del
riferimento  all'art. 25  della Costituzione - presenta un profilo di
inammissibilita' non dissimile da quello da tale sentenza ravvisato.
    7. - Infatti  -  pur  in  presenza  di una norma con gli indicati
caratteri  -  non e' compito di questa Corte decidere che la ratio di
cui  all'art. 11  cod.  proc.  pen.  ricorre  unicamente per le cause
civili  conseguenti  a  procedimenti  penali in cui un magistrato (in
servizio  nel  distretto  del  giudice  competente  secondo le regole
ordinarie) abbia assunto una delle qualita' prima indicate.
    Potrebbero  esistere  altri  casi  in  cui  quella  ratio ricorra
ugualmente:   ma   la   loro   identificazione   resta  riservata  al
legislatore, nel rispetto della ragionevolezza e degli altri principi
costituzionali.
    Conseguentemente  la  questione  di legittimita' costituzionale -
cosi' come e' posta - e' inammissibile.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara    inammissibile    la    questione    di   legittimita'
costituzionale  dell'art. 30-bis  del  codice  di  procedura  civile,
sollevata dal Tribunale di Torino, in riferimento agli articoli 3, 24
e 25 della Costituzione, con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 27 ottobre 2003.
                     Il Presidente: Zagrebelsky
                         Il redattore: Bile
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 7 novembre 2003.
               Il direttore della cancelleria:Di Paola
03C1204