N. 1008 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 febbraio 2003

Ordinanza   emessa   il   26  febbraio  2003  (pervenuta  alla  Corte
costituzionale  il  28  ottobre  2003)  dal  tribunale di Cosenza nel
procedimento  civile  vertente  tra  Banca  di Credito Cooperativo di
Cosenza  - Soc. coop. a r.l. e Commissario liquidatore della Banca di
Credito Cooperativo di Cosenza, in liquidazione coatta amministrativa
ed altro

Credito  (Istituti  di)  -  Banca  sottoposta  a  liquidazione coatta
  amministrativa  - Accertamento giudiziale dello stato di insolvenza
  non  preventivamente  dichiarato  - Termine decadenziale di un anno
  dalla  data  del  decreto  di  liquidazione  - Mancata previsione -
  Violazione  del  principio  di  eguaglianza  e  di ragionevolezza -
  Indeterminatezza  in  ordine  agli  effetti degli atti compiuti nel
  periodo  sospetto  -  Incertezza nella sfera giuridica di terzi che
  hanno  contrattato  con  l'impresa bancaria - Incidenza sul momento
  consumativo  dei  reati  di  bancarotta  -  Richiamo  alle sentenze
  nn. 66/1999 e 319/2000 della Corte costituzionale.
- Decreto   legislativo   1°  settembre  1993,  n. 385,  art. 82,  in
  combinato  disposto con l'art. 202 del Regio decreto 16 marzo 1942,
  n. 267.
- Costituzione, art. 3.
(GU n.48 del 3-12-2003 )
                              TRIBUNALE

    Ha  pronunciato la seguente ordinanza in ordine alla causa civile
di   1°   grado   iscritta  al  n. 1356/2001  ruolo  generale  affari
contenziosi  civili, assunta in decisione all' udienza collegiale del
5 febbraio 2003 e vertente tra le parti:
    Banca  di  Credito Cooperativo di Cosenza s.c. a r.l., in persona
del  presidente  geom. Attilio Canonaco (avv. Angelo Cesareo del foro
di Cosenza e avv. Gregorio Iannotta del foro di Roma), opponente;
    Contro  Banca  di  Credito  Cooperativo  di Cosenza in l.c.a., in
persona  del  commissario  liquidatore  prof.  avv.  Umberto  Morera,
nonche'  il medesimo commissario liquidatore nella qualita' di legale
rapp.  te  della  Banca  di  Credito Cooperativo di Cosenza in l.c.a.
(avv.  Carla  Celebre  del foro di Cosenza e avv. Gianluca Brancadoro
del foro di Roma), opposta; e Marcello Maggiolini (avv. Alfonso Maria
Cosentino del foro di Cosenza) intervenuto.
    Oggetto:   opposizione   a   sentenza   dichiarativa   di   stato
d'insolvenza   di   impresa  bancaria  (art. 82  d.lgs.  n. 385/1993;
art. 202 regio decreto n. 267/1942).
    Il  Tribunale,  sentita  la  discussione orale svolta all'udienza
collegiale tenuta ai sensi dell' art. 275 comma 2, 3 e 4 c.p.c;
    Letti gli atti e documenti di causa;
    Sentita  la  relazione  del giudice istruttore, dott. Vincenzo Di
Pede;

                            O s s e r v a

    La causa ha ad oggetto la domanda di revoca della sentenza n. 992
del 30 maggio 2001, con la quale il Tribunale di Cosenza, sul ricorso
del  commissario  liquidatore  della  Banca di Credito Cooperativo di
Cosenza  s.c. a r.l., ha dichiarato lo stato d'insolvenza della banca
medesima,  ai  sensi  del  combinato  disposto degli artt. 82 comma 2
d.lgs.  n. 385/1993  (di  seguito:  t.u.l.b.) e 2002 regio decreto 16
marzo 1942 n. 267 (seguito: legge fall.).
    Nel  giudizio si sono costituiti il commissario liquidatore della
banca,  nonche', nella qualita' di interveniente volontario, Marcello
Maggiolini,  gia'  componente  del consiglio di amministrazione della
banca medesima.
    Quest'ultimo,   nel  sostenere  le  ragioni  della  revoca  della
sentenza  dichiarativa  dello stato d' insolvenza, ha preliminarmente
eccepito l'illegittimita' costituzionale del combinato disposto degli
articoli  summenzionati - per contrasto con gli artt. 3, 24, 41, 45 e
47   della  Costituzione  -  nella  parte  in  cui  consente  che  la
dichiarazione   dello   stato  d'  insolvenza  di  un'  impresa  gia'
sottoposta   a   liquidazione   coatta  amministrativa  possa  essere
pronunciata  decorso  un  anno dalla data in cui e' stata disposta la
liquidazione  coatta  ovvero dalla data in cui e' cessato l'esercizio
dell'impresa.
    Il  collegio  reputa  di  condividere  le ragioni della sollevata
eccezione,  in riferimento al denunciato contrasto con l'art. 3 della
Costituzione,  laddove  le norme di legge impugnate consentono che la
dichiarazione  di insolvenza possa essere pronunciata decorso un anno
dalla   data   in  cui  e'  stata  disposta  la  liquidazione  coatta
amministrativa dell'impresa.
    Sulla rilevanza della questione.
    La  liquidazione  coatta  amministrativa  della  Banca di Credito
Cooperativo di Cosenza e' stata disposta con decreto del Ministro del
tesoro,  del  bilancio e della programmazione economica del 19 maggio
2000  laddove  la  sentenza  dichiarativa dello stato d'insolvenza e'
stata pubblicata in data 30 maggio 2001.
    Ne  consegue  la  rilevanza  della questione, atteso che, qualora
fosse   fondata  la  denuncia  di  incostituzionalita',  la  sentenza
dichiarativa  dello  stato  d'insolvenza  dovrebbe essere revocata in
quanto pronunciata nei confronti di soggetto non piu' assoggettabile,
per  motivi  temporali,  alla declaratoria d' insolvenza. Cio' quando
anche,  sotto  il  profilo  oggettivo,  lo  stato d' insolvenza fosse
esistente.
    Sulla non manifesta infondatezza della questione.
    La   questione  attinge  le  ragioni  della  sua  fondatezza  dal
riassetto  normativo  operato  dal  giudice  delle  leggi  in  ordine
all'applicabilita'  del  termine  di decadenza ex art. 10 legge fall.
alle  ipotesi: a) del socio, illimitatamente responsabile di societa'
di  persone,  defunto  o  comunque  rispetto al quale sia venuta meno
l'appartenenza  alla  compagine  sociale;  b)  della societa' che sia
stata  cancellata  dal registro delle imprese. Piu' puntualmente, con
riferimento  all'  ipotesi  a), la Corte costituzionale, con sentenza
interpretativa  di rigetto della questione del contrasto dell'art. 10
legge  fall.  con  l'art. 3  della  Costituzione, ha affermato che il
citato   art. 10  va  interpretato  nel  senso  che,  a  seguito  del
fallimento   della  societa'  di  persone,  il  fallimento  dei  soci
illimitatamente  responsabili defunti o rispetto ai quali e' comunque
venuta   meno  l'appartenenza  alla  compagine  sociale  puo'  essere
dichiarato  solo  entro il termine, fissato dagli artt. 10 e 11 legge
fall.  di un anno dallo scioglimento del rapporto sociale (sentenza 8
- 12 marzo 1999 n. 66).
    Con  riferimento  all'ipotesi b), la Corte medesima, con sentenza
di  accoglimento  della  questione  del  contrasto dell'art. 10 legge
fall. con l'art. 3 della Costituzione, ha dichiarato l'illegittimita'
costituzionale del citato art. 10, nella parte in cui non prevede che
il  termine di un anno dalla cessazione dell' esercizio dell' impresa
collettiva  per la dichiarazione di fallimento della societa' decorra
dalla  cancellazione della societa' stessa dal registro delle imprese
(sentenza 11 - 21 luglio 2000 n. 319).
    Alla  base delle due decisioni, v'e' l'individuazione della ratio
dell'art. 10 legge (fall. nell'esigenza di salvaguardare il principio
di certezza delle situazioni giuridiche. Certezza che viene vulnerata
dall'inesistenza  di  un limite temporale, normativamente prefissato,
entro  il quale il soggetto che abbia cessato l'attivita' d'impresa -
ovvero, nel caso del socio, che abbia cessato di appartenere all'ente
collettivo  esercente  l'impresa  - deve, a pena di decadenza, essere
dichiarato  fallito. La salvaguardia della certezza delle sistuazioni
giuridiche   si   impone,   secondo   il  ragionamento  della  Corte,
«considerando  le  conseguenze  che  dalla declaratoria di fallimento
discendono  non  solo per chi ne e' colpito, ma anche per i terzi che
con  lui  siano  entrati  in  rapporto»  (cosi'  punto  5 motivazione
sentenza n. 66/1999).
    Orbene,  questo  tribunale  ritiene  che  la logica argomentativa
sottesa  alle  suesposte  decisioni  della Corte costituzionale trovi
aderenza  anche  all'ipotesi dell'accertamento giudiziale dello stato
d'insolvenza   di  impresa  gia'  sottoposta  a  liquidazione  coatta
amministrativa.
    E'   noto  come,  nella  liquidazione  coatta  amministrativa,  a
differenza   del  fallimento,  gli  effetti  tipici  del  concorso  -
unitariamente  discipilinati  nel  capo III del titolo II della legge
fall.  -  non siano tutti immediatamente conseguenti al provvedimento
amministrativo che apre la procedura concorsuale.
    La legge, infatti, opera la distinzione tra effetti nei confronti
dell'imprenditore,  dei  creditori  e  sui rapporti pendenti, i quali
effetti conseguono al provvedimento di liquidazione coatta (artt. 200
e  201 legge fall.; per le banche art. 83 t.u.l.b.), ed effetti sugli
atti    pregiudizievoli    ai    creditori,    i   quali   conseguono
all'accertamento   giudiziale  dello  stato  d'insolvenza,  sia  esso
precedente  o  successivo  al  provvedimento  di  liquidazione coatta
(art. 203 legge fall.; per le banche art. 82 comma 3 t.u.l.b.).
    In  base  al diritto vigente, nel caso in cui sia posta in l.c.a.
un'impresa che versi in situazione di decozione, non vi e' un termine
di  decadenza  oltre  il  quale  si  consumi  il  potere dei soggetti
legittimati   (commissario   liquidatore   e   p.m.)   a   richiedere
l'accertamento giudiziale dello stato d'insolvenza.
    Conseguentemente, potendo lo stato d'insolvenza essere dichiarato
in  ogni  tempo  e  finquando sia aperta la procedura di liquidazione
coatta,  v'e'  indeterminatezza  in  ordine  al  tempo  in  cui sara'
operativa  la  disciplina degli effetti degli atti pregiudizievoli ai
creditori.
    Tale indeterminatezza temporale genera incertezza nella sfera dei
terzi  che  hanno  posto  in  essere  atti con l'impresa poi posta in
l.c.a.  (ovvero con il socio illimitatamente responsabile, qualora si
tratti di impresa collettiva), i quali non sanno, nel caso in cui gli
atti  medesimi siano aggredibili dall'azione revocatoria fallimentare
(67  legge fall.), quando l'atto avra' consolidato i suoi effetti. Al
riguardo,  va  considerato che l'azione revocatoria fallimentare, nel
caso di liquidazione coatta amministrativa, vede decorrere il termine
quinquennale  di  prescrizione  dalla  data  della  sentenza  che  ha
dichiarato  lo  stato  d' insolvenza, in ossequio alla regola secondo
cui  «la  prescrizione  comincia  a  decorrere  dal  giorno in cui il
diritto  puo' essere fatto valere» (art. 2935 c.c.; v. Tribunale Alba
27  aprile  2000).  Ne  consegue  che,  mentre  nel fallimento l'atto
compiuto  nel c.d. «periodo sospetto» (due ovvero un anno prima della
dichiarazione  di fallimento, a seconda che si versi nelle ipotesi di
cui  al  comma  1  o  2 dell'art. 67) consolida i suoi effetti con il
decorso  del  termine  quinquennale  di  prescrizione  dalla data del
fallimento, senza che il curatore abbia esperito l'azione; viceversa,
nella liquidazione coatta amministrativa l'atto compiuto nel «periodo
sospetto»  che precede il decreto di l.c.a., consolida i suoi effetti
con  riferimento  ad  un  termine prescrizionale il cui dies a quo e'
incerto finquando dura la procedura concorsuale.
    Tale  incertezza  della  sfera  giuridica  dei  terzi  che  hanno
contrattato  con  l'imprenditore  (o  con  il socio illimitatatamente
responsabile  dell'  imprenditore  collettivo) non appare tollerabile
alla  luce  di  quanto  espresso  dalla Corte costituzionale circa la
ratio  dell'art. 10  legge  fall., la quale implica la tutela non del
solo  imprenditore  ma  anche  dei «terzi che con lui sono entrati in
rapporto» (v. passo della motivazione di Corte cost. n. 66/1999, gia'
citato sopra).
    Ne'  puo'  sostenersi che tali terzi siano immeritevoli di tutela
in  quanto  hanno posto in essere atti pregiudizievoli ai creditori».
E'  ormai assodato, infatti, l'indirizzo interpretativo che qualifica
l'atto  assoggetabile  ad  azione revocatoria in termini di liceita',
nel  senso  che la sua eventuale illiceita' deriva da profili diversi
da  quelli  che ne giustificano l'aggredibilita' con il rimedio dell'
azione   revocatoria   (Cass.  S.U.  13.6.1996  n. 5443;  Cass.  S.U.
15.4.2000 n. 437).
    Un  ulteriore  argomento  a sostegno dell' irragionevolezza delle
norme  di  legge  denunciate  attiene  al  profilo  penalistico della
disciplina    della    liquidazione   coatta   amministrativa.   Piu'
puntualmente,  attiene  alla circostanza che la sentenza dichiarativa
dell' insolvenza - al pari della sentenza di fallimento - e' elemento
costitutivo  dei reati latu sensu di bancarotta commessi in relazione
all'  impresa  assoggettata  a  l.c.a.  (art. 237  legge  fall.  come
sostituito  dall'art. 99  d.lgs.  8  luglio 1999 n. 270; Cass. sez. V
pen. 23 febbraio 2000 n. 2136).
    Ebbene,  l'assenza  di  un termine entro il quale deve, a pena di
decadenza,   intervenire   la  sentenza  accertativa  dell'insolvenza
comporta  che  il  momento  consumativo  del  reato  possa  avere una
collocazione  temporale  anomalmente  distante  dal  tempo  in cui la
condotta materiale del reo e l'offesa al bene giuridico tutelato sono
stati  posti  in  essere.  Anche sotto tale profilo, pertanto, emerge
l'irragionevolezza  delle  norme  de  quibus, le quali subordinano il
quando  dell'azione  penale  all'arbitrio  dei soggetti - commissario
liquidatore  e  p.m.  - legittimati a richiedere l'accertamento dello
stato d'insolvenza dell'impresa in l.c.a.
    Da quanto illustrato, si evincono, con specifico riferimento alla
causa  in oggetto, il contrasto del combinato disposto degli artt. 82
comma  2  d.lgs. n. 385/1993 e 202 regio decreto 16 marzo 1942 n. 267
con  il  principio  di  eguaglianza e di ragionevolezza (art. 3 della
Costituzione)    e    la    necessita'    della    declaratoria    di
incostituzionalita'  dei detti articoli, nella parte in cui prevedono
che  la  dichiarazione giudiziale dello stato d'insolvenza successiva
al  provvedimento  di  l.c.a.  di  una banca possa essere pronunciata
decorso  un  anno  dalla  data  in  cui e' stato emesso il decreto di
liquidazione coatta amministrativa.
    L'individuazione del termine di decadenza nella misura di un anno
e'  conforme  alla  portata  generale riconosciuta dalla stessa Corte
costituzionale agli artt. 10 e 11 legge fall. (v. punto 6 motivazione
sentenza  n. 66/1999:  «l'ammissibilita' del fallimento dell'ex socio
deve  essere  circoscritta entro un rigoroso limite temporale proprio
al  fine  di  non pregiudicare ... l'interesse generale alla certezza
delle  situazioni  giuridiche. Tale limite ..., deve essere rinvenuto
all'interno   del   sistema   della   stessa   legge  fallimentare  e
precisamente  nella  stessa norma dettata dagli artt. 10 e 11 che, in
considerazione della sua ratio, assume una portata generale»).
    D'altro  canto, sotto il profilo pratico, esso appare decisamente
sufficiente   allo   svolgimento   dell'istruttoria   camerale  volta
all'accertamento  dello  stato  d'insolvenza,  ove  si  consideri  il
presumibile comportamento collaborativo del commissario liquidatore -
il  quale  e' pubblico ufficiale (art. 199 legge fall.) - nel fornire
al  tribunale  gli  elementi  probatori  necessari alla decisione (in
particolare,  le scritture contabili dell'impresa, di cui commissario
medesimo   e'   in   possesso  quale  amministratore  del  patrimonio
dell'impresa).
                              P. Q. M.
    Visti  gli artt. 134 della Costituzione e 23, legge 11 marzo 1953
n. 87;
    Visto l'art. 295 c.p.c.;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
illegittimita'   costituzionale   degli   artt. 82  comma  2,  d.lgs.
n. 385/1993 e 202, regio decreto 16 marzo 1942 n. 267, in riferimento
all'art. 3 della Costituzione;
    Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Dispone la sospensione del giudizio.
    Si  notifichi  l'ordinanza per esteso al Presidente del Consiglio
dei ministri.
    Si  comunichi  altresi' il dispositivo ai Presidenti delle Camere
del Parlamento e ai procuratori delle parti.
    Cosi'  deciso  in  Cosenza,  nella  camera  di  consiglio  del 26
febbraio 2003.
                                                 Il Presidente: Madeo
                    Il giudice relatore: Di Pede
03C1233