N. 1024 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 dicembre 2002

Ordinanze  da  1024  a 1026 - di contenuto sostanzialmente identico -
emesse  il  23  dicembre 2002 (pervenute alla Corte costituzionale il
31 ottobre  2003)  dal Tribunale di Bologna nei procedimenti penali a
carico  di:  Abdela  Mohamed  (R.O. n. 1024/2003); Bettiab Semi (R.O.
1025/2003); Ciokri Hujad (R.O. 1026/2003).

Straniero - Espulsione amministrativa - Reato di trattenimento, senza
  giustificato  motivo,  nel  territorio  dello  Stato  in violazione
  dell'ordine  di  allontanamento, entro il termine di cinque giorni,
  impartito  dal  questore  -  Arresto  obbligatorio  in  flagranza -
  Disparita'  di  trattamento rispetto ad ipotesi di reato analoghe o
  piu' gravi.
- D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5-quinquies, aggiunto
  dalla legge 30 luglio 2002, n. 189.
- Costituzione, art. 3.
(GU n.48 del 3-12-2003 )
                            IL TRIBUNALE

    Sulla  richiesta del pubblico ministero di convalida dell'arresto
di  Abdela Mohamed, nato in Marocco il 24 luglio 1973, alias Abdellah
Mohamed nato 7 marzo 1973, arrestato a Bologna il 21 dicembre 2002 ai
sensi    dall'art. 14,   comma   5-quinquies,   decreto   legislativo
n. 286/1998,   come   modificato   dalla  legge  n. 189/2002  per  la
contravvenzione  prevista  e  punita dall'art. 14, comma 5-ter stessa
legge;
    Premesso  che  l'arresto  e'  stato  colpito  da provvedimento di
espulsione del prefetto di Bologna in data 11 novembre 2002 e in pari
data  il  questore  di  Bologna  gli  ha  ordinato, di allontarsi dal
territorio  dello  Stato entro 5 giorni, ai sensi dell'art. 14, comma
5-bis,  decreto  legislativo n. 286/1998, come modificato dalla legge
n. 189/2002;
    Dato   atto   che   l'arrestato   e'   privo   di   documenti  di
identificazione   validi   ed   e'   stato   sottoposto   a   rilievi
dattiloscopici  per  la  sua  identificazione, in base ai quali si e'
accertato  che lo stesso e' stato solo identificato dalla questura di
Bologna  in  due  occasioni  (una  delle  quali  ha  dato  origine  a
procedimento  per  violazione dell'art 14, d.lgs. n. 286/1998, da cui
il prevenuto e' stato assolto; vd. certificato carichi pendenti della
locale procura);
    Osservato che:
        il   decreto   legislativo   n. 286/1998   come  recentemente
modificato   dalla   legge  n. 189/2002  prevede  l'espulsione  dello
straniero  che sia entrato nel territorio dello stato sottraendosi ai
controlli  di  frontiera  o  vi  si  sia trattenuto senza permesso di
soggiorno valido (art. 13, comma 2, lett. a, b);
        l'espulsione  e'  disposta dal prefetto ed e' sempre eseguita
dal  questore  con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza
pubblica  (art. 13, comma 4), salvo nei casi concernenti lo straniero
il cui permesso di soggiorno sia scaduto da piu' di sessanta giorni e
non  ne  sia  stato  chiesto  il  rinnovo,  per il quale l'espulsione
eseguita  mediante  accompagnamento  alla  frontiera viene sostituita
dall'intimazione a lasciare il territorio dello stato entro 15 giorni
(art. 13, comma 5);
        la  regola  fissata  dal  comma  4  dell'art. 13  puo' essere
derogata   quando   non   e'   possibile  eseguire  con  immediatezza
l'espulsione   mediante  accompagnamento  alla  frontiera  ovvero  il
respingimento, perche' occorre procedere al soccorso dello straniero,
accertamenti   supplementari   in   ordine   alla   sua  identita'  o
nazionalita',  ovvero  all'acquisizione  di documenti per il viaggio,
ovvero  per  l'indisponibilita' di vettore o altro mezzo di trasporto
idoneo (art. 14, comma 1);
        in  tal  caso  il  questore  dispone  che  lo  straniero  sia
trattenuto  per  il tempo strettamente necessario presso il centro di
permanenza temporanea e assistenza piu' vicino;
        come  rimedio  ulteriore  ed  estremo,  qualora non sia stato
possibile   trattenere   lo   straniero  nel  centro,  o  trattenerlo
ulteriormente  (essendo decorso il termine massimo di giorni 30+30 di
cui  al  comma  5 dell'art. 14), il Questore ordina allo straniero di
lasciare  il  territorio  dello  Stato entro 5 giorni (art. 14, comma
5-bis);
    orbene,  implicitamente  confermando che la clandestinita' in se'
non  e'  reato  ma solo l'inottemperanza al relativo provvedimento di
espulsione,   il   legislatore   ha   contemplato   diverse   ipotesi
sanzionatorie per l'inosservanza dei diversi tipi di espulsione;
        la  disobbedienza  che  si  realizzi  per  la prima volta, di
regola,  e'  un illecito contravvenzionale (l'eccezione e' costituita
dalla  trasgressione  all'espulsione disposta dal giudice a titolo di
sanzione  sostitutiva o alternativa alla detenzione; art. 16, commi 1
e  5);  le  condotte  sanzionate sono il rientro nel territorio dello
Stato   senza  speciale  autorizzazione  del  Ministero  dell'interno
(art. 13,  comma 13) e il trattenimento ingiustificato nel territorio
dello Stato in violazione dell'ordine impartita dal questore ai sensi
dell'art. 14,  comma  5-bis;  per entrambe le contravvenzioni la pena
prevista  e'  l'arresto  da sei mesi ad un anno ed e' previsto che si
proceda   a  nuova  espulsione  con  accompagnamento  alla  frontiera
(art. 13, comma 13 in fine e art. 14, comma 5-ter in fine);
        la  reiterazione  della  condotta disobbediente (ovverosia il
rientro   dello  straniero  gia'  denunciato  per  il  reato  di  cui
all'art. 13,  comma  13  o il rinvenimento nel territorio dello Stato
dello  straniero espulso ai sensi dell'art. 14, comma 5-ter) realizza
un  delitto,  punito  con la reclusione da 1 a 4 anni (art. 13, comma
13-bis in fine e art. 14, comma 5-quater);
        quanto  agli  aspetti processuali, gli art. 13 e 14 prevedono
per i reati in ciascuno di essi contemplati rispettivamente l'arresto
facoltativo  in  flagranza  (art. 13, comma 13-ter; per le violazione
dell'art. 13-bis  e'  consentito  anche  il  fermo  fuori dei casi di
flagranza)  e  l'arresto  obbligatorio (art. 14, comma 5-quinquies) e
sempre il rito direttissimo;
    Ritenuto che:
        la  questione  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 14,
comma  5-quinquies  nella  parte  in  cui  prevede  come obbligatorio
l'arresto   per   il   reato   di  cui  al  comma  5-ter  appare  non
manifestamente  infondata e rilevante e va sollevata d'ufficio per le
ragioni  che  seguono, con riferimento ai parametri costituzionali di
cui all'art. 3 Cost.;
        i   reati  contravvenzionali  previsti  dagli  art. 13  e  14
rivestono  quanto  meno pari gravita'; infatti sono sanzionati con la
medesima  pena  edittale,  prevedono  identiche conseguenze sul piano
amministrativo  (nuova espulsione con accompagnamento alla frontiera)
e  penale  (lo  straniero  che,  dopo  essere stato denunciato per la
contravvenzione,  viene  nuovamente  colto nel territorio dello Stato
commette  un  delitto punito con la reclusione da 1 a 4 anni) in caso
di reiterazione della condotta;
        in  realta', a ben vedere, la condotta descritta all'art. 14,
comma 5-ter appare meno grave di quella di cui all'art. 13, comma 13;
in quest'ultimo caso lo straniero che, dopo essere stato accompagnato
coattivamente   alla   frontiera  a  mezzo  della  forza  pubblica  e
fisicamente  espulso  dal territorio dello Stato, vi rientra, pone in
essere  una  condotta  attiva  di trasgressione non solo ad un ordine
legalmente  dato  ma  anche ad attivita' che hanno impegnato lo Stato
con  risorse umane e materiali, e ha quindi mostrato un atteggiamento
volitivo particolarmente forte; la condotta di cui all'art. 14, comma
5-ter,  e'  invece  meramente  omissiva,  nel  senso che lo straniero
«intimato»  si  limita  a  non adempiere l'ordine e a non presentarsi
alla frontiera nel termine indicato, atteggiamento che e' compatibile
anche con la semplice colpa;
        se  e' dunque corretto ritenere che la contravvenzione di cui
all'art. 14,  comma  5-ter,  e' di gravita' pari o addirittura minore
rispetto  a  quella  di  cui  all'art. 13, comma 13, non vi e' alcuna
ragione  che giustifichi la previsione di un arresto obbligatorio nel
primo caso e facoltativo nel secondo;
        ma  v'e'  di  piu';  l'art. 13,  comma  13-ter,  prevede come
facoltativo l'arresto anche in caso di commissione di uno dei delitti
previsti  dal  precedente  comma  13-bis;  e fra essi, oltre a quello
dello straniero che, gia' denunciato per la contravvenzione di cui al
comma   13  e  nuovamente  espulso  con  nuovo  accompagnamento  alla
frontiera,  sia  rientrato  nel  territorio  dello Stato, vi e' anche
quello  di  violazione  dell'espulsione disposta dal giudice; orbene,
tale  espulsione  ai  sensi  dell'art. 16  del  decreto  puo'  essere
disposta  con  la sentenza, come sanzione sostitutiva di condanna per
reato  non colposo ad una pena detentiva entro il limite di due anni,
e  quindi anche in relazione a soggetti che hanno dimostrato gia', in
concreto,  di  essere  pericolosi,  tenuto  conto  dell'entita' della
condanna  loro  inflitta;  non  vi  e' alcun dubbio che tali soggetti
debbano  essere  ritenuti  piu'  pericolosi  e il loro reingresso nel
territorio dello Stato piu' allarmante del semplice, permanere di uno
straniero  la  cui unica «colpa» e' quella di avere trasgredito ad un
ordine  del  questore  che gli intimava di uscire dallo Stato entro 5
giorni;
        sembra  pertanto indiscutibile che nel sistema degli articoli
13  e 14 il legislatore abbia trattato in maniera difforme situazioni
quanto   meno   uguali  (prevedendo  l'arresto  obbligatorio  per  la
contravvenzione   di   cui   all'  art. 14,  comma  5-ter,  e  quello
facoltativo  per  la  contravvenzione di cui all'art. 13, comma 13) e
maniera  piu'  grave  reati di minore gravita' (la contravvenzione di
cui all'art. 14, comma 5-ter, rispetto ai delitti di cui all'art. 13,
comma 13-bis);
        peraltro   l'arresto   obbligatorio  e'  istituto  riservato,
nell'attuale  ordinamento,  solo  ai  delitti  e  fra  essi  a quelli
particolarmente   gravi   indicati   nell'art. 380   c.p.p.;  nessuna
contravvenzione  prevede  l'arresto  obbligatorio e solo una (art. 6,
d.l.  n. 122/1993  convertito  in legge n. 205/1993) lo consente come
facolta';  anche  in  tale  ultima  ipotesi, inoltre, la condotta che
viene  sanzionata  in  via  preprocessuale con l'arresto in flagranza
appare  di  notevole  pericolosita'  sociale  (porto  nelle pubbliche
riunioni  di  armi  o  strumenti  atti ad offendere e porto di armi o
strumenti  atti  ad  offendere  per  ragioni di odio razziale, etnico
ecc.)  in confronto alla condotta di chi contravviene all'obbligo del
questore di lasciare il territorio dello Stato entro 5 giorni;
        ne'  la  disparita'  di  trattamento  sembra  trovare  alcuna
giustificazione di natura processuale o di politica criminale;
        infatti  da  un  lato,  poiche'  nel  nostro  ordinamento  e'
consentito  procedere  nella  contumacia  dell'imputato,  non  appare
necessario  garantirne  fisicamente la presenza di fronte al giudice,
ne'  l'obbligatorieta'  dell'arresto  e' necessariamente collegata al
rito  processuale  adottabile (rito direttissimo), giacche' lo stesso
decreto   legislativo   n. 286/1998   prevede  il  rito  direttissimo
obbligatorio  anche  per  i  reati di cui all'art. 13, commi 13-bis e
13-ter,  per  i quali - come detto - l'arresto e' facoltativo, in tal
modo  introducendo  una  deroga  al  generale  principio  secondo cui
l'adozione   del   rito   direttissimo   e'   generalmente  collegata
all'arresto (peraltro gia' il comma 5 dell'art. 449 c.p.p prevede una
ipotesi  diversa  di  rito  direttissimo,  collegato alla confessione
dell'imputato e non all'avvenuto arresto; analogamente l'art. 12-bis,
d.l.  8 giugno 1992, n. 302 stabilisce che per i reati concernenti le
armi  e  gli  esplosivi  il  pubblico  ministero  procede al giudizio
direttissimo  anche  fuori  dei  casi  previsti  dagli art. 449 e 558
c.p.p.);
        per   quanto   concerne  le  eventuali  ragioni  di  politica
criminale  perseguite  dal  legislatore,  va  rammentato che la ratio
della norma incriminatrice e' quella di sanzionare un soggetto che si
e'  sottratto  all'esecuzione volontaria di un ordine dell'autorita',
ordine  che  e'  stato  emanato  perche'  egli si trova bensi' in una
condizione soggettiva particolare (senza documenti di identificazione
e  dunque  non  passibile  di  espulsione coatta verso un determinato
stato) ma in se' non illecita, non integrando alcuna ipotesi di reato
l'essere clandestino e non identificato; inoltre, scegliendo il reato
di   natura  contravvenzionale  (del  resto  conformemente  ad  altre
fattispecie analoghe; vd. art. 650 c.p. e art. 2, legge n. 1423/1956)
lo stesso legislatore ha qualificato la condotta in termini di minore
gravita',  rendendo  anche impossibile l'adozione di qualunque misura
cautelare;  e'  ben  vero  che  nella  sfera  della  discrezionalita'
legislativa  rientrano  le  scelte  sulla  qualita' e quantita' delle
sanzioni e sui presupposti di applicabilita' delle misure cautelari e
precautelari, ma e' altrettanto vero che l'uso della discrezionalita'
legislativa puo' essere censurato sotto il profilo della legittimita'
costituzionale  nei  casi  in  cui non sia stato rispettato il limite
della   ragionevolezza   (crf.   sentenze  Corte  cost.  nn. 26/1979,
103/1982,  409/1989, 341/1994; secondo Corte cost. n. 53/1958 «non si
compiono  valutazioni di natura politica e nemmeno si controlla l'uso
del  potere  discrezionale  del  legislatore  se  si  dichiara che il
principio   dell'uguaglianza   e'   violato   quando  il  legislatore
assoggetta  ad  una  indiscriminata  disciplina  situazioni  che esso
stesso considera e dichiara diverse»);
        ne'   puo'   dubitarsi   che  il  principio  di  uguaglianza,
nonostante il riferimento letterale dell'art. 3 Cost. ai «cittadini»,
debba  ritenersi  esteso  anche  agli  stranieri, allorche' si tratti
della   tutela   dei   diritti  inviolabili  dell'uomo  (Corte  cost.
n. 104/1969);
        nella  fattispecie  concreta la questione e' anche rilevante;
infatti Abdela e' stato privato della liberta' personale a seguito di
arresto  obbligatorio,  a  prescindere  da  qualunque  valutazione di
pericolosita'   personale  (che  nella  fattispecie  non  sussisteva,
trattandosi  di  soggetto  privo  di  pregiudizi),  per la violazione
dell'art. 14,  comma  5-ter  e  condotto  avanti  al  giudice  per la
convalida   dell'arresto   e   il   giudizio  direttissimo  ai  sensi
dell'art. 558 c.p.p.;
        la  circostanza  che  la  mancata  convalida dell'arresto del
prevenuto  nel  termine  previsto  dagli  art. 558 e 391 u.co. c.p.p.
determinera'  la  caducazione  della  misura, non puo' influire sulla
rilevanza   della   questione   di  legittimita',  come  puntualmente
osservato  dalla  Corte  cost. con sentenza n. 54/1993 nella quale si
legge  «il  provvedimento  di  liberazione dell'arrestato era imposto
dalla  disposizione  dell'art. 391,  settimo  comma, ultima parte del
codice di rito ..., poiche' tale disposizione ricollega la perdita di
efficacia  dell'arresto  alla  carenza,  per qualsiasi ragione, di un
provvedimento  positivo  di  convalida nello stesso termine, e' ovvio
che  l'impossibilita' di rispettarlo conseguente all'elevazione della
questione  comportava  (o  avrebbe  di  li'  a  poco  ineludibilmente
comportato)  l`intervento di tale autonoma causa di carenza di valido
titolo di detenzione, a prescindere dall'esaurimento del procedimento
di  convalida,  che  ...  era  stato  contestualmente  sospeso.  Tale
procedimento  non  puo'  percio'  ritenersi  esaurito,  ne' di esso i
giudici  si  sono  spogliati:  e  la  sua  persistenza  nonostante la
liberazione  trova  ragione  nell'interesse generale ad una pronuncia
sulla  legittimita'  dell'arresto,  che ha pur sempre determinato una
privazione  della  liberta'.  La  rilevanza  della questione, dunque,
permane,  trattandosi  di  stabilire se la liberazione dell'arrestata
debba   considerarsi   conseguente   all'applicazione  dell'art. 391,
settimo  comma,  ovvero,  piu'  radicalmente,  alla  caducazione  con
effetto retroattivo della disposizione in base alla quale gli arresti
furono eseguiti».
    Sulla  base  delle  considerazioni fin qui svolte la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 14, comma 5-quinquies, d.lgs.
n. 286/1998  come  modificato dalla legge n. 189/2002, nella parte in
cui  prevede  come  obbligatorio  l'arresto per il reato previsto dal
comma  5-ter,  in  relazione  all'art. 3  della  costituzione  appare
infondata e rilevante.
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23, legge 87/1953;
    Dichiara  non  manifestamente  infondata e rilevante nel presente
giudizio  la  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 14,
comma  5-quinquies,  d.lgs.  n. 286/1998  come modificato dalla legge
n. 189/2002 per contrasto con l'art. 3 della Costituzione;
    Sospende il giudizio in corso;
    Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Dispone  che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia
notificata  al  Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai
Presidenti delle due Camere del Parlamento.
        Bologna, addi' 23 dicembre 2002
                         Il giudice: Zavatti
03C1247