N. 345 SENTENZA 24 - 28 novembre 2003

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Tributi locali - Imposta comunale sugli immobili (ICI) - Agevolazione
  fiscale   -  Riferimento  agli  immobili  di  interesse  storico  o
  artistico  appartenenti  a  «privati  proprietari» e non anche agli
  immobili  appartenenti a enti pubblici o persone giuridiche private
  senza  fini di lucro - Diversita' di trattamento nella destinazione
  del beneficio fiscale - Manifesta irragionevolezza - Illegittimita'
  costituzionale in parte qua.
- D.L.  23 gennaio  1993, n. 16 (convertito, con modificazioni, nella
  legge 24 marzo 1993, n. 75), art. 2, comma 5.
- Costituzione, art. 3.
(GU n.48 del 3-12-2003 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Riccardo CHIEPPA;
  Giudici:  Gustavo  ZAGREBELSKY,  Valerio  ONIDA,  Carlo MEZZANOTTE,
Fernanda   CONTRI,  Guido  NEPPI  MODONA,  Piero  Alberto  CAPOTOSTI,
Annibale   MARINI,  Franco  BILE,  Giovanni  Maria  FLICK,  Francesco
AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA, Paolo MADDALENA
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 5, del
decreto-legge  23 gennaio  1993,  n. 16  (Disposizioni  in materia di
imposte   sui  redditi,  sui  trasferimenti  di  immobili  di  civile
abitazione,  di termini per la definizione agevolata delle situazioni
e  pendenze  tributarie,  per  la  soppressione  della ritenuta sugli
interessi,  premi  ed  altri  frutti  derivanti  da  depositi e conti
correnti   interbancari,   nonche'  altre  disposizioni  tributarie),
convertito,  con  modificazioni,  nella  legge  24 marzo 1993, n. 75,
promosso   con   ordinanza  del  31 gennaio  2003  dalla  Commissione
tributaria  provinciale  di  Genova  sul ricorso proposto dalla Banca
d'Italia  contro il comune di Genova, iscritta al n. 251 del registro
ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 19, 1ª serie speciale, dell'anno 2003.
    Visti  gli atti di costituzione della Banca d'Italia e del comune
di  Genova  nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio
dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  28 ottobre  2003  il  giudice
relatore Annibale Marini;
    Uditi  gli  avvocati  Vincenzo Catapano e Augusto Fantozzi per la
Banca  d'Italia,  Victor  Uckmar  per  il  comune  di  Genova nonche'
l'avvocato   dello  Stato  Giuseppe  Fiengo  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  La  Commissione  tributaria  provinciale  di  Genova,  con
ordinanza  del  22 ottobre  2002,  depositata  il 31 gennaio 2003, ha
sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 2, comma 5, del decreto-legge
23 gennaio  1993,  n. 16  (Disposizioni  in  materia  di  imposte sui
redditi,  sui  trasferimenti  di  immobili  di  civile abitazione, di
termini  per  la  definizione  agevolata  delle  situazionie pendenze
tributarie, per la soppressione della ritenuta sugli interessi, premi
ed  altri frutti derivanti da depositi e conti correnti interbancari,
nonche'    altre    disposizioni    tributarie),    convertito,   con
modificazioni,  nella  legge 24 marzo 1993, n. 75, nella parte in cui
limita  l'agevolazione  fiscale  ai  fini  ICI ivi prevista solo agli
«immobili  di  interesse  storico  o  artistico ai sensi dell'art. 3,
legge 1° giugno 1939, n. 1089, e successive modificazioni».
    Il  giudizio  a quo - avente ad oggetto il ricorso avverso avvisi
di accertamento ICI relativi ad un immobile di proprieta' della Banca
d'Italia  - verte sulla applicabilita' del beneficio fiscale previsto
dal  citato  art. 2,  comma 5, del decreto-legge n. 16 del 1993, agli
immobili  di  interesse  storico  o artistico di cui all'art. 4 della
stessa  legge  (ora  art. 5  del  testo  unico  approvato con decreto
legislativo 29 ottobre 1999, n. 490), appartenenti ad enti pubblici.
    Il  giudice  rimettente  esclude, «alla stregua del chiaro tenore
della  norma  in  esame,  e della giurisprudenza tributaria di merito
esistente in materia», la possibilita' di interpretare estensivamente
la norma stessa. Osserva, peraltro, che essa porta all'individuazione
di  due categorie di immobili di interesse storico o artistico, l'una
avente   diritto  all'agevolazione  fiscale  e  l'altra  no,  che  si
differenzierebbero  esclusivamente per la natura, privata o pubblica,
del soggetto proprietario del bene.
    Ne   discenderebbe   pertanto   -  pur  tenuto  conto  dell'ampia
discrezionalita'  spettante  al  legislatore nella individuazione dei
fatti  espressivi  di  capacita' contributiva - una palese violazione
del  principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost., tanto piu' ove
si  consideri  che  la  distinzione,  ai  fini  fiscali,  tra beni di
proprieta'  pubblica  e  beni di proprieta' privata sarebbe del tutto
estranea  al  sistema  delineato  dalla  legge  2 agosto 1982, n. 512
(Regime fiscale dei beni di rilevante interesse culturale).
    2.  - Si e' costituita la Banca d'Italia, ricorrente nel giudizio
a quo, concludendo per l'accoglimento della questione di legittimita'
costituzionale  o,  in  subordine,  per  l'adozione  di una pronuncia
interpretativa  intesa  ad  affermare  l'applicabilita' del beneficio
fiscale   anche  agli  immobili  appartenenti  ai  soggetti  indicati
all'art. 4  della  legge  1  giugno 1939,  n. 1089 (Tutela delle cose
d'interesse artistico e storico).
    Sottolinea  la  Banca d'Italia l'irrilevanza - alla stregua della
legislazione   vigente   -   dei   profili  soggettivi  in  punto  di
individuazione  dei beni di interesse storico o artistico tutelati in
attuazione  del  principio  sancito  dall'art. 9  Cost.,  essendo  la
nozione  di  bene  soggetto  a  tutela  «connessa esclusivamente alle
caratteristiche oggettive del bene medesimo». La distinzione tra beni
di  proprieta'  pubblica  e  beni  di  proprieta' privata rileverebbe
esclusivamente   a   fini   procedimentali,  nel  senso  che  i  beni
appartenenti  ad enti pubblici sarebbero automaticamente assoggettati
alle  disposizioni della legge speciale, mentre quelli appartenenti a
privati  lo  diverrebbero  solamente  a  seguito  della  notifica del
provvedimento  ministeriale, appunto previsto dall'art. 3 della legge
n. 1089  del  1939,  che  li  dichiara  «di interesse particolarmente
importante».
    I  beni  culturali di proprieta' pubblica sarebbero in definitiva
caratterizzati  da  un  piu'  elevato livello di tutela, cosicche' la
limitazione  ai  soli  beni  di  proprieta' privata dell'agevolazione
tributaria  di cui si tratta - evidentemente finalizzata a consentire
la  conservazione  ed il miglioramento del patrimonio artistico della
nazione ed a compensare i proprietari dei vincoli imposti dalla legge
- risulterebbe priva di ragionevolezza, in quanto contrastante con la
suddetta  ratio,  oltre  che  lesiva  del  principio  di eguaglianza,
perche'    assoggetterebbe    a    diversa    disciplina   situazioni
sostanzialmente uguali.
    La  stessa  natura  di  imposta  ordinaria sul patrimonio propria
dell'ICI   sarebbe,  sotto  altro  aspetto,  incompatibile,  pena  la
violazione  del  principio di ragionevolezza, con una discriminazione
fondata su profili esclusivamente soggettivi.
    3.  -  Si  e'  costituito  in giudizio anche il comune di Genova,
resistente dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Genova,
concludendo per la declaratoria di inammissibilita' o di infondatezza
della questione.
    Ad  avviso  della  parte,  la  questione  sarebbe  in primo luogo
inammissibile  in  quanto  -  secondo  la giurisprudenza della stessa
Corte  -  non  e'  sindacabile la discrezionalita' del legislatore in
ordine alla concessione di agevolazioni fiscali.
    Nel  merito  sarebbe,  in ogni caso, insussistente la prospettata
violazione  dell'art. 3 Cost. in quanto la norma impugnata troverebbe
giustificazione    nella    piu'   ridotta   capacita'   contributiva
generalmente   propria   dei  soggetti  privati  rispetto  agli  enti
pubblici.
    4.  - E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,   a   sua   volta   concludendo   per   l'inammissibilita'   o
l'infondatezza della questione.
    Ad   avviso   della   parte   pubblica,   il  rimettente  avrebbe
innanzitutto  omesso  di  considerare  che,  secondo  la piu' recente
giurisprudenza  del  Consiglio di Stato, anche i beni appartenenti ad
enti  pubblici  sarebbero  soggetti  al  regime  vincolistico  solo a
seguito  di  una  esplicita  dichiarazione  dell'importante interesse
storico  o artistico da parte del Ministero per i beni e le attivita'
culturali,  con  la  conseguenza  dunque  che anch'essi - per effetto
della  suddetta  dichiarazione  -  potrebbero  godere del trattamento
fiscale agevolato previsto dalla norma impugnata.
    Ricorda  comunque  l'Avvocatura  che  le  disposizioni in tema di
agevolazioni  o  benefici fiscali trovano il proprio fondamento nella
discrezionalita' del legislatore tributario, con l'unico limite della
manifesta irragionevolezza o arbitrarieta'. Quanto, poi, all'asserita
violazione  del principio di eguaglianza, assume la stessa Avvocatura
che  il  piu' favorevole trattamento tributario riservato ai soggetti
privati  sarebbe  giustificato  dal  sacrificio che la legge speciale
impone  agli  interessi privatistici, a fini di tutela dell'interesse
pubblico,    laddove    gli    enti    pubblici    sarebbero   invece
istituzionalmente deputati al perseguimento di interessi pubblici.
    5. - Nell'imminenza dell'udienza pubblica tanto la Banca d'Italia
quanto  il  comune  di  Genova hanno depositato memorie illustrative,
insistendo nelle conclusioni rispettivamente assunte.

                       Considerato in diritto

    1. - La Commissione tributaria provinciale di Genova dubita della
legittimita'  costituzionale  dell'art. 2, comma 5, del decreto-legge
23 gennaio  1993,  n. 16  (Disposizioni  in  materia  di  imposte sui
redditi,  sui  trasferimenti  di  immobili  di  civile abitazione, di
termini  per  la  definizione  agevolata  delle situazioni e pendenze
tributarie, per la soppressione della ritenuta sugli interessi, premi
ed  altri frutti derivanti da depositi e conti correnti interbancari,
nonche'    altre    disposizioni    tributarie),    convertito,   con
modificazioni,  nella  legge 24 marzo 1993, n. 75, nella parte in cui
limita  l'agevolazione  fiscale  ai  fini  ICI,  ivi  prevista,  agli
immobili  di  interesse  storico o artistico, appartenenti a «privati
proprietari»,  di  cui all'art. 3 della legge 1° giugno 1939, n. 1089
(Tutela  delle cose d'interesse artistico e storico), sostanzialmente
trasfuso  nell'art. 6 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490
(Testo  unico  delle  disposizioni  legislative  in  materia  di beni
culturali e ambientali, a norma dell'articolo 1 della legge 8 ottobre
1997,  n. 352), con esclusione dunque di quelli, appartenenti ad enti
pubblici  (o  persone giuridiche private senza fine di lucro), di cui
all'art. 4  della stessa legge (ora art. 5 del testo unico n. 490 del
1999).
    2. - La questione e' fondata.
    2.1.   -  La  ratio  della  agevolazione  di  cui  si  tratta  va
individuata  in  una  esigenza  di  equita'  fiscale, derivante dalla
considerazione  della minore utilita' economica che presentano i beni
immobili   di  interesse  storico  o  artistico  in  conseguenza  del
complesso di vincoli e limiti cui la loro proprieta' e' sottoposta.
    In  relazione  a  tale  ratio,  occorre, dunque, verificare se la
distinzione  tra  gli  immobili  di  interesse  storico  o  artistico
appartenenti  a  «privati proprietari», di cui all'art. 3 della legge
n. 1089  del  1939, e quelli di proprieta' di enti pubblici o persone
giuridiche  private senza scopo di lucro, di cui all'art. 4, sia tale
da  giustificare  un  diverso trattamento fiscale, o se invece, sotto
questo  specifico  profilo,  essa  sia  manifestamente  arbitraria e,
quindi,    tale    da   rendere   incostituzionale   la   limitazione
dell'agevolazione fiscale su di essa basata.
    Riguardo agli esatti termini di tale distinzione non si rinviene,
peraltro,    in    giurisprudenza,   uniformita'   di   ricostruzioni
interpretative.  In estrema sintesi, secondo una tesi piu' risalente,
la  differenza  di  disciplina  si  sostanzierebbe essenzialmente nel
fatto  che i beni di interesse storico-artistico appartenenti ad enti
pubblici  e  persone  giuridiche  private  senza  fini  di  lucro,  a
differenza  di  quelli  appartenenti  a  persone  fisiche e societa',
resterebbero  soggetti  ex  lege  alle  disposizioni di tutela, senza
necessita'  di alcuno specifico provvedimento da parte dell'autorita'
competente ed a prescindere anche dalla loro inclusione negli elenchi
previsti  dallo  stesso  art. 4.  Secondo  un  diverso indirizzo, che
appare  prevalente  nella piu' recente giurisprudenza amministrativa,
anche  i  beni  appartenenti  agli  enti  pubblici  (ed  alle persone
giuridiche  private  senza fini di lucro) sarebbero invece sottoposti
alla  legislazione  vincolistica  solo  a seguito dell'adozione di un
atto  formale  da  parte  del  Ministero  per  i  beni e le attivita'
culturali,  differenziandosi  il  procedimento,  nei  due  casi, solo
quanto   alla  necessita',  non  richiesta  per  i  soggetti  di  cui
all'art. 4, di una formale notifica dell'atto amministrativo.
    Indipendentemente  dall'opinione  che si ritenga al riguardo piu'
corretta,  risulta,  in ogni caso, pacifico che la distinzione tra le
fattispecie di cui agli artt. 3 e 4 della legge n. 1089 del 1939 puo'
eventualmente   riguardare   le  modalita'  attraverso  le  quali  si
perviene,  nei  due  casi,  all'individuazione  dei  beni  oggetto di
tutela,  ma  di  certo  non attiene al regime giuridico cui i beni in
questione  sono assoggettati, in ragione del loro interesse storico o
artistico,  identica essendo, nei due casi, la disciplina finalizzata
alla loro tutela.
    Ed  e' appena il caso di sottolineare che il mancato riferimento,
nella  norma impugnata, ai beni di cui all'art. 4 della legge n. 1089
del  1939  non  puo'  di  certo  trovare  giustificazione  ne' - come
sostiene  il  comune  di  Genova - in una presunta maggiore capacita'
contributiva  degli  enti  pubblici  rispetto  ai  soggetti  privati,
trattandosi  di una presunzione del tutto irragionevole e della quale
comunque  non  vi  e' traccia nell'ordinamento tributario, ne' - come
assume l'Avvocatura - nella considerazione che gli enti pubblici sono
istituzionalmente  chiamati  al  perseguimento di finalita' di ordine
generale,  in  quanto  cio'  naturalmente  non  puo'  significare che
ciascun   ente  pubblico  debba  perseguire,  oltre  ai  propri  fini
istituzionali,    anche    quelli    di    tutela    del   patrimonio
storico-artistico  della  nazione. E cio' a prescindere dal fatto che
l'una e l'altra tesi sembrano completamente trascurare la circostanza
che  l'art. 4 della legge n. 1089 del 1939 non si riferisce solamente
agli  enti  pubblici  ma  anche alle persone giuridiche private senza
fini di lucro.
    Risulta,  pertanto,  evidente  che  la  distinzione tra i beni di
interesse  storico  o  artistico  di cui agli artt. 3 e 4 della legge
n. 1089 del 1939 rappresenta un elemento di discrimine manifestamente
irragionevole  rispetto  all'applicazione di un beneficio fiscale che
trova  -  come  si e' osservato - il suo fondamento oggettivo proprio
nella  peculiarita'  del  regime giuridico dei beni di cui si tratta.
Mentre,  d'altro canto, l'esigenza di certezza nei rapporti tributari
cui assolve il provvedimento formale previsto dall'art. 3 della legge
n. 1089    del   1939   (che,   secondo   un   diffuso   orientamento
interpretativo, potrebbe mancare, come si e' visto, per i beni di cui
all'art. 4) ben puo' essere soddisfatta, per i beni appartenenti agli
enti  pubblici  (o  alle  persone  giuridiche  private  senza fini di
lucro), dalla loro inclusione negli elenchi di cui allo stesso art. 4
della legge ovvero da un atto dell'amministrazione dei beni culturali
ricognitivo dell'interesse storico o artistico del bene.
    Conclusivamente,  la norma impugnata va ricondotta a legittimita'
costituzionale attraverso una pronuncia che ne estenda l'applicazione
agli  immobili  di  interesse  storico  o artistico di cui all'art. 4
della legge 1 giugno 1939, n. 1089.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 2, comma 5,
del  decreto-legge 23 gennaio 1993, n. 16 (Disposizioni in materia di
imposte   sui  redditi,  sui  trasferimenti  di  immobili  di  civile
abitazione,  di termini per la definizione agevolata delle situazioni
e  pendenze  tributarie,  per  la  soppressione  della ritenuta sugli
interessi,  premi  ed  altri  frutti  derivanti  da  depositi e conti
correnti   interbancari,   nonche'  altre  disposizioni  tributarie),
convertito,  con  modificazioni,  nella  legge  24 marzo 1993, n. 75,
nella  parte in cui non si applica agli immobili di interesse storico
o  artistico  di  cui  all'art. 4 della legge 1° giugno 1939, n. 1089
(Tutela  delle  cose d'interesse artistico e storico), ora art. 5 del
decreto  legislativo  29 ottobre  1999,  n. 490  (Testo  unico  delle
disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a
norma dell'art. 1 della legge 8 ottobre 1997, n. 352).
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 24 novembre 2003.
                       Il Presidente: Chieppa
                        Il redattore: Marini
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 28 novembre 2003.
               Il direttore della cancelleria:Di Paola
03C1291