N. 1030 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 marzo 2003

Ordinanza   emessa   il   26   marzo   2003   (pervenuta  alla  Corte
costituzionale  il  31 ottobre 2003) dal tribunale di sorveglianza di
Napoli su reclamo proposto da Vadala' Domenico

Ordinamento   penitenziario   -  Regime  carcerario  differenziato  -
  Provvedimenti  ministeriali  di proroga - Condizione: insussistenza
  della capacita' del detenuto o dell'internato di mantenere contatti
  con  associazioni  criminali, terroristiche o eversive - Violazione
  del   principio  di  uguaglianza  (per  la  configurazione  di  una
  specifica tipologia di detenuto basata sulla presunta pericolosita'
  dello   stesso)   -   Carenza   dei  presupposti  di  emergenza  ed
  eccezionalita'  per  l'adozione di tali provvedimenti - Lesione del
  diritto  di  difesa  -  Violazione  del  principio  della finalita'
  rieducativa  della  pena  -  Lesione del principio della necessita'
  della motivazione congrua del provvedimento.
- Legge   26 luglio  1975,  n. 354,  art. 41-bis,  comma 2-bis,  come
  novellato dall'art. 2 della legge 23 dicembre 2002, n. 279.
- Costituzione, artt. 3, 13, 24, 27, 97 e 113.
(GU n.49 del 10-12-2003 )
                    IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA

    Si e' riunito in camera di consiglio per deliberare sulla domanda
di  Vadala' Domenico, nato a Bova Marina il 22 gennaio 1949, detenuto
presso l'istituto C.P.S. Napoli.
    (Oggetto: art. 41-bis e 14-ter l.p.
    Sentito il parere conforme del p.g.;
    Letti gli atti;
    Considerato che il prevenuto proponeva reclamo avverso il decreto
ministeriale  di  sottoposizione all'art. 41-bis l.p. del 18 dicembre
2002  con  efficacia di un anno, notificato in data 28 dicembre 2002,
chiedendo  la  integrale  disapplicazione  dello  stesso,  secondo le
motivazioni meglio specificate in memoria, ovvero in via subordinata,
la disapplicazione di alcune delle disposizioni in esso contenute;
    Premesso  che  Vadala'  Domenico risulta in espiazione della pena
dell'ergastolo  in  riferimento  alla  sentenza 19 gennaio 1999 della
Corte Assise Reggio Calabria, per il delitto di omicidio;
    Preso  atto  che  Vadala'  Domenico  risulta sottoposto al regime
differenziato ex art. 41-bis l.p. dal 1999;
    Rilevato  che  il  tribunale  propone  di  sollevare  ex  officio
l'eccezione  di  incostituzionalita' all'art. 41-bis l.p., cosi' come
modificato  dalla legge n. 279/2002, risoluzione su cui convergono la
richiesta  del  p.g. di udienza nonche' le istanze difensive, come da
verbale di udienza in atti;

                            O s s e r v a

    La  Corte  costituzionale  ha  ribadito  con  ripetute pronunzie,
sentenze n. 349 e 410 del 1993, n.351 del 1995, ord. n. 332 del 1994,
sent.  n. 376  del  1997,  la  sindacabilita'  ad  opera  del giudice
ordinario,   nella   specie   il   Tribunale   di  sorveglianza,  del
provvedimento ministeriale di applicazione dell'art. 41-bis, comma 2,
sia  sotto  il  profilo,  della  esistenza  dei  presupposti per tale
applicazione e della congruita' della relativa motivazione, sia sotto
il  profilo  del  rispetto  dei limiti del potere ministeriale, tanto
quelli  «esterni»,  collegati  al  divieto di incidere sul residuo di
liberta' personale spettante al detenuto, e dunque pure sugli aspetti
dell' esecuzione che toccano la qualita' e la quantita' della pena da
scontare o i presupposti per l'applicazione delle misure alternative,
tanto  quelli  «interni»,  discendenti  dal  necessario  collegamento
funzionale  tra  le  restrizioni  imposte  e  le  finalita' di tutela
dell'ordine   e   della   sicurezza,  cui  devono  essere  rivolti  i
provvedimenti  applicativi  del  regime  differenziato,  nonche'  dal
divieto  di  trattamenti contrari al senso di umanita' e dall'obbligo
di non vanificare la finalita' rieducativa della pena.
    La  medesima Corte ha altrettanto specificatamente confermato che
l'art.  41-bis,  l.p.,  non e' costituzionalmente illegittimo, sempre
che venga interpretato nei sensi dalla stessa Corte precisati.
    Precisa  la  Corte costituzionale, sentenza n. 349/1993, che «...
le  medesime  ragioni  che  consentono di escludere la illegittimita'
costituzionale della norma in esame, de1imitando l'ambito applicativo
ed  integrandone  il  portato  con  il  richiamo  a principi generali
dell'ordinamento,  conducono  anche  alla  conclusione che taluni dei
rilievi  espressi  dai  giudici remittenti, pur se rivolti avverso la
citata disposizione dell'art. 41-bis, non trovano la loro causa nella
norma  di  legge,  bensi'  nel  solo  provvedimento  ministeriale  di
applicazione».
    La   Corte   nella   sentenza  n. 376/1997,  puntualizza  che  la
riaffermazione  degli  accennati  limiti  «esterni»  ed  «interni» al
potere  ministeriale  consente  di  superare  le censure prospettate,
dando  per  pacifico che le misure adottate non possono consistere in
restrizioni  della liberta' personale ulteriori rispetto a quelle che
sono  gia'  insite  nel  sistema  detentivo  e  dunque esulanti dalla
competenza   della   amministrazione  penitenziaria  in  ordine  alla
esecuzione  della  pena, non potendo il regime differenziato tradursi
in  misure diverse da quelle riconducibili con rapporto di congruita'
alle   finalita'   di   ordine   e   sicurezza  proprie  del  decreto
ministeriale,  e  perche' la stesse non possono, comunque, violare il
divieto  di  trattamenti contrari al senso di umanita' ne' vanificare
la funzione rieducativa della pena.
    Nell'ambito  dei  limiti  imposti  alla  applicazione  del regime
differenziato, la Corte ha piu' volte sottolineato che la genericita'
della   disposizione   normativa,   nel  riferimento  a  «motivi»  ed
«esigenze»  di  ordine  e  sicurezza  pubblica,  va  interpretata nel
doveroso rispetto del vincolo costituzionale quale volta a far fronte
a  specifiche  esigenze  di  ordine  e  di  sicurezza  essenzialmente
discendenti  dalla  necessita'  di impedire collegamenti tra detenuti
appartenenti  ad  organizzazioni  criminali, nonche' tra questi e gli
appartenenti  alle  organizzazioni  criminali  in  stati di liberta',
collegamenti che potrebbero realizzarsi attraverso le opportunita' di
contatti che l'ordinario regime carcerario consente.
    Di  guisa che i provvedimenti applicativi dell'art. 41-bis devono
essere  in  primo  luogo concretamente giustificati in relazione alle
predette  esigenze  di  ordine  e  di sicurezza. Ed ancora, e' valido
ribadire  che  il regime differenziato i fonda non gia' astrattamente
sul  titolo  del  reato  oggetto  della  condanna,  ma sull'effettivo
pericolo  di  permanenza  dei  collegamenti,  di cui i fatti di reato
concretamente  contestati costituiscono soltanto una logica premessa;
cosi'  come  le  restrizioni apportate non possono essere liberamente
determinate,  ma  debbono  essere  - sempre nel limite del divieto di
incidere sulla quantita' e sulla qualita' della pena e di trattamenti
contrari al senso di umanita' - solo quelle congrue con le specifiche
finalita' di ordine e di sicurezza.
    Ed   ancora   la   Corte,   sentenza  n. 376/1997,  «la  mancanza
nell'art. 41-bis di indicazioni in ordine alla durata temporale delle
restrizioni,  non  significa che limiti temporali non, debbano essere
posti,  come  in  effetti  lo sono, dai provvedimenti ministeriali di
applicazione».
    «E  poiche',  ...,  ogni  provvedimento deve essere adeguatamente
motivato,  anche  ogni  provvedimento  di proroga delle misure dovra'
recare  una  autonoma  congrua  motivazione in ordine alla permanenza
attuale  dei  pericoli  per  l'ordine  e  la  sicurezza che le misure
medesime mirano a prevenire; non possono ammettersi semplici proroghe
immotivate  del  regime  differenziato,  ne'  motivazioni apparenti o
stereotipe,  inidonee  a  giustificare  in  termini  di attualita' le
misure disposte».
    Fatte  queste  necessarie  premesse costituzionali, rileggiamo il
quadro normativo attuale.
    La  legge  n. 279/2002  detta  la  nuova  normativa penitenziaria
«modifica  degli  articoli 4-bis e 41-bis della legge 26 luglio 1975,
in materia di trattamento penitenziario».
    La  novella  riscrive  gli  articoli  4-bis  e  41-bis  l.p., nel
tentativo  di ristrutturare complessivamente l'istituto del regime di
massima sicurezza sulla scorta della esperienza finora maturata e nel
rispetto   dei   limiti   individuati  dalle  decisioni  della  Corte
costituzionale.
    La necessita' dell'intervento, si legge nella relazione a disegno
di  legge  n. 1478  presentato  dal  Ministro  della  giustizia, trae
origine  dalla  duplice  esigenza  di  dare  contenuto  ai  vincoli e
limitazioni  che  ne  costituiscono  la  sostanza  e,  dall'altro, di
determinare  con esattezza una sistema di regole di inipugnazione per
individuare   con   certezza  i  soggetti  legittimati  e  ricorrere,
l'autorita'  competente  a  decidere  e  i  poteri che la stessa puo'
esercitare rispetto al provvedimento impugnato.
    L'esigenza  di una valutazione sulla base di dati raccolti da una
esperienza di lungo periodo, che consenta costanza ed efficacia degli
interventi   giustifica  la  definitivita'  e  stabilizzazione  della
disciplina  di  cui  all'art. 41-bis  l.p.,  ritenuta piu' garantista
delle   ripetute  proroghe  a  distanza  di  un  decennio  dalla  sua
introduzione,  e  costituisce  la  risposta  ormai  dello  Stato alla
pericolosita'  criminale  di organizzazioni, che agiscono con sistemi
ormai  raffinati e con azioni sempre piu' determinate e violente, che
continuano   spesso  a  trovare  nel  carcere  il  luogo  della  loro
programmazione.
    Finalita'  piu'  che condivisibili, come quella pur esternata, di
non  trasformare  il  carcere  duro  in una afflizione supplementare,
obiettivi  che  difficilmente possono dare origine a dichiarazioni di
inaccettabilita'.
    La  stabilzzazione  della  previsione dell'istituto del regime di
massima  sicurezza in sostituzione delle continue proroghe non sembra
in   verita'   dover  agitare  piu'  di  tanto  o  dover  convogliare
discussione  e concitazione, come pur accaduto negli ultimi tempi. Si
tratta  in  punto  di diritto, di un falso problema legato ad una non
attenta  interpretazione normativa, dal momento che la «anomalia», se
tale  puo'  definirsi,  andava  ritrovata  nella  temporaneita' della
disposizione  e  non  nella  sua definitivita', apparendo quanto meno
poco  opportuno,  se non proprio controproducente, la effettivita' di
una   norma  «  a  tempo»,  sia  per  la  sua  perdita  di  efficacia
intimidatoria,   sia   per   la   implicita   apertura  a  spazi  di,
programmazione calcolata.
    Ossia,  la  stabilizzazione  in  quanto  tale  non ingenera alcun
problema        giuridico       e       oggettivamente,       neppure
socio-politico-culturale,  atteso  che  comunque  l'inserimento della
disposizione   dell'art. 41-bis   nel  quadro  strutturale  ordinario
dell'ordinamento    penitenziario   non   sta   a   significare   che
necessariamente,  sempre e comunque, il decreto di applicazione debba
essere emesso.
    La   messa   a  regime  non  impone  la  emanazione  del  decreto
ministeriale, quello si necessariamente temporaneo.
    La definivita' crea certezza di diritto, ed e' sempre preferibile
alla   precarieta'   o   emergenzialita',   e  integra  comunque  una
qualificazione  della  norma,  che  e'  cosa  ben  diversa  dalla sua
capacita'  applicativa,  che,  in  quanto subordinata alla necessita'
della  verifica  di  terminati  presupposti di legge, e' vincolata al
rispetto dei parametri costituzionali.
    Vale  a  dir che cio' che rileva non e' la disposizione normativa
in  quanto  tale, trattandosi di norma dichiarativa e non impositiva,
bensi'  il  provvedimento  ministeriale  di applicazione ad personam,
quello  si'  direttamente  incidente  sulla  liberta'  personale  del
detenuto.
    In   un'ottica  pedissequamente  costituzionalistica  sono  stati
ridisegnati   i   presupposti   applicativi   del   regime  speciale,
limitandone  gli  spazi  di  riferibilita'  ad  una rosa ristretta di
destinatari,  individuati  nei  «... detenuti o internati per uno dei
delitti  di  cui  al primo periodo del presente comma ...» laddove la
dizione  precedente  prevedeva  la  applicabilita'  ai  detenuti «per
delitti di cui al comma 1 dell'art. 4-bis».
    Congrua la nuova delimitazione della applicabilita' ai condannati
per  i  delitti  di cui al primo periodo del comma 1 dell'art. 4-bis,
pur  sempre ristretta rispetto alla previsione precedente, e relativa
ad  una  serie  di  delitti,  che  il  legislatore  ritiene in questo
particolare momento storico di massimo allarme sociale.
    Va apprezzata la modifica dell'intero primo comma dell'art. 4-bis
nello    sforzo    di   registrazione   dei   molteplici   interventi
costituzionali,  che  nel  corso  degli  anni  avevano  completamente
trasfigurato il dettato normativo originario.
    Risponde, altresi', alla medesima esigenza di puntualizzazione la
autolimitazione  inserita nel nuovo comma 2 dell'art. 41-bis, laddove
si  precisa  che il regime differenziato si applica nei confronti dei
condannati  «...  in relazione ai quali vi siano elementi tali da far
ritenere   la   sussistenza   di   collegamenti  con  un'associazione
criminale, terroristica o eversiva ...».
    Il  novello  41-bis della nuova legge, n. 229/2002 al comma 2-bis
recita:  «i  provvedimenti  medesimi hanno durata non inferiore ad un
anno  e  non  superiore a due e sono prorogabili - nelle stesse forme
per periodi successivi, ciascuno pari ad un anno, purche' non risulti
che  la capacita' del detenuto o dell'internato di mantenere contatti
con  associazioni  criminali,  terroristiche  o  eversive  sia venuta
meno».
    L'espressione  non  e'  delle  piu'  felici e riporta a pregresse
considerazioni di dubbia costituzionalita'.
    Gia'  la  Corte  costituzionale  nella ormai citatissima sentenza
n. 376/1997  ribadiva che proprio in forza del vincolo costituzionale
era  possibile  una  interpretazione  della  norma, piu' restrittiva,
richiamando sentenze precedenti ed in particolare la n. 349/1993 e la
n. 351/1996,  superando  quel  riferimento  a  generici  «motivi»  ed
«esigenze».
    Il  regime  differenziato e' introdotto nel sistema penitenziario
per  «far  fronte  a  specifiche  esigenze  di  ordine  e  sicurezza,
essenzialmente  discendenti dalla necessita' di prevenire ed impedire
i collegamenti fra detenuti appartenenti ad organizzazioni criminali,
nonche' fra questi e gli appartenenti a tali organizzazioni ancora in
liberta'; collegamenti che potrebbero realizzarsi - come l'esperienza
dimostra  -  attraverso l'utilizzo delle opportunita' di contatti che
l'ordinario  regime  carcerario  consente e in certa misura favorisce
(l'obiettivo   del  reinserimento  sociale  attraverso  contatti  con
l'ambiente esterno)».
    In   particolare,   continua   la   Corte  «...  i  provvedimenti
applicativi  dell'art. 41-bis  l.p.  devono  in  primo  luogo  essere
concretamente  giustificati  in  relazione  alle predette esigenze di
ordine  e  sicurezza»  di guisa che «il regime differenziato si fonda
non  gia' astrattamente sul titolo del reato oggetto della condanna o
dell'imputazione,  ma  sull'effettivo  pericolo  della  permanenza di
collegamenti,  di  cui i fatti di reato contestati costituiscono solo
una logica premessa».
    Orbene  nel  nuovo  testo  di legge deve operarsi una distinzione
netta tra il comma n. 2 e il comma n. 2-bis dell'art. 41-bis.
    Nel  comma  2  si  legge:  «...  nei  confronti  dei detenuti, in
relazione  ai  quali  vi  siano  elementi  tali  da  far  ritenere la
sussistenza    di   collegamenti   con   un'associazione   criminale,
terroristica o eversiva ...».
    Nel  comma  2-bis, nella previsione della possibilita' di proroga
del  regime  differenziato nelle stesse forme per periodi successivi,
ciascuno  pari ad un anno, si precisa «... purche' non risulti che la
capacita'  del  detenuto  o  dell'internato di mantenere contatti con
associazioni criminali, terroristiche o eversive sia venuta meno».
    L'espressione  sembra contrastare con l'art. 3, primo comma della
Costituzione  nel  momento  in  cui  tende alla individuazione di una
specifica    tipologia    di   detenuto,   imputati   e   condannati,
predeterminati  per dettato normativo, suscettibili di sottoposizione
ad  un regime di esecuzione della pena diverso da quello disposto per
la  criminalita'  ordinaria,  fondato  in  esclusiva  sulla  presunta
esistenza  di  una  capacita'  di mantenere contatti con associazioni
criminali.
    Ed  ancora  con  gli  artt. 13,  2 comma, e 27, 2 e 3 comma della
Costituzione,  in  quanto la proroga ripetuta e, di fatto, immotivata
del  decreto  esula  dai  caratteri di urgenza, necessita' e umanita'
costituzionalmente  rilevanti,  e  implica  in  realta' l'adozione di
trattamenti  penali  contrari  al  senso  di umanita', non ispirati a
finalita'  rieducativi  ed,  in  particolare non individualizzati, ma
rivolti  a  condannati  selezionati  solo in base al titolo di reato,
ponendo   sostanzialmente  nel  nulla  un  eventuale  possibile  iter
rieducativo.
    ll  pregiudizio interpretativo sulla sussistenza della «capacita'
del  detenuto  di  mantenere  contatti  con  associazioni criminali»,
comporta  che, mancando l'accertamento aggiornato sulla continuita' e
attualita'  di  tale  capacita', non esisterebbe una sede nella quale
possa manifestarsi il venir meno di tale capacita' di contatto.
    Di   guisa  che  il  convincimento  che  per  quella  determinata
tipologia  di  detenuto l'esecuzione della pena debba rispondere alla
esigenza  di  prevenzione  della  sicurezza  sociale,  prima che alla
finalita'  rieducativi  del  reo,  e quindi rispondere essenzialmente
alla  funzione  di  contenimento prima che di rieducazione, contrasta
con  l'art. 27, terzo comma della Costituzione, che impone di attuare
o almeno proporre l'osservazione e il trattamento anche nei confronti
di   soggetti   gravemente  compromessi  con  la  criminalita'  e  di
realizzare la conoscenza individualizzata di tali soggetti.
    Ed  ancora con il diritto alla difesa tutelato dall'art. 24 della
Costituzione,  laddove  introduce  la previsione della prova negativa
del  venire  meno  della  capacita'  di  mantenere  contatti  con  le
organizzazioni criminali.
    In  caso  di  proroga, cosi' come dal dettato del comma 2-bis del
nuovo  art. 41-bis,  la  impossibilita'  soggettiva e oggettiva della
prova  negativa sul venir meno della capacita' di mantere contatti da
parte  del detenuto, integra una ipotesi di intervento amministrativo
apodittico   del   tutto  indipendente  da  situazioni  accertate  di
emergenza  ed  eccezionalita',  dettagliatamente motivate secondo una
verifica  costante  degli  sviluppi  della  situazione,  in contrasto
altresi',  con gli artt. 97, primo comma e 113 primo e secondo comma,
laddove  la  carenza  di una esauriente motivazione del provvedimento
applicativo  del  piu'  rigoroso regime penitenziario non consente al
destinatario  la  possibilita'  di  tutelare  in modo adeguato i suoi
diritti in sede giurisdizionale.
    In  verita' c'e' da precisare che la Corte costituzionale ha gia'
risposto  in  parte  a tale eccezione di incostituzionalita', laddove
nella  sentenza  n. 376/1997  precisava  che «la riaffermazione degli
accennati  limiti  "esterni"  ed  "interni"  al  potere  ministeriale
consente  di superare altresi' le censure di violazione dell'art. 13,
secondo  comma,  della  Costituzione,  poiche' le misure adottate non
possono  consistere in restrizioni della liberta' personale ulteriori
rispetto  a  quelle che sono gia' insite nello stato di detenzione, e
dunque  esulanti  dalla competenza dell'amministrazione penitenziaria
in  ordine  alla  esecuzione  della  pena;  dell'art. 3, primo comma,
Cost.,  poiche'  il  regime differenziato non puo' constare di misure
diverse  da  quelle  riconducibili  con  rapporto  di congruita' alle
finalita'   di   ordine   pubblico   e   proprie   del  provvedimento
ministeriale;  dell'art. 27, terzo comma, della Costituzione, poiche'
le  misure  disposte  non  possono  comunque  violare  il  divieto di
trattamenti contrari al senso di umanita' ne' vanificare la finalita'
rieducativa della pena».
    Ed  ancora  la  Corte  nella  medesima  sentenza n. 376/1997: «Di
conseguenza,  da  un  lato, il regime differenziato si fonda non gia'
astrattamente   sul   titolo  del  reato  oggetto  della  condanna  o
dell'imputazione,  ma  sull'effettivo  pericolo  della  permanenza di
collegamenti,  di  cui  i  fatti  di  reato  concretamente contestati
costituiscono solo una logica premessa.
    Non  vi e' dunque una categoria di detenuti, individuati a priori
in  base  al titolo del reato, sottoposti ad un regime differenziato,
ma  solo  singoli  detenuti  o  imputati  per delitti di criminalita'
organizzata,  che l'amministrazione ritenga, motivatamente e sotto il
controllo  dei  Tribunali  di  sorveglianza, in grado di partecipare,
attraverso i loro collegamenti interni ed esterni alle organizzazioni
criminali e alle loro attivita».
    E'  poiche'  -  come  questa  Corte  ha  gia'  chiarito (sentenza
n. 349/1993) - ogni provvedimento deve essere adeguatamente motivato,
anche   ogni  provvedimento  di  proroga  deve  essere  adeguatamente
motivato  in ordine alla permanenza attuale dei pericoli per l'ordine
pubblico e la sicurezza che le misure medesime mirano a prevenire non
possono   ammettersi   semplici   proroghe   immotivate   del  regime
differenziato,  ne'  motivazioni  apparenti  o stereotipe, inidonee a
giustificare in termini di attualita' le misure disposte».
    Orbene  il  nuovo testo dell'art. 41-bis comma 2-bis ripropone il
problema  che  la  Corte  aveva in parte superato, reintroducendo nel
sistema  la  prova  negativa  sul  venir meno di quella capacita' del
detenuto  di mantenere contatti con associazioni criminali; capacita'
che  continua  ad  esistere nel convincimento dell'amministrazione, e
che  si  presume strettamente correlata alla particolare tipologia di
detenuto e di reato commesso.
    Ritorna  la  individuazione  dei  destinatari  dei  provvedimenti
restrittivi, ex art. 41-bis, operata sulla base del titolo del reato,
che comporta la presunzione della esistenza della capacita' di tenere
contatti con associazioni criminali, anche dall'interno dell'istituto
carcerario.
    Precisava  la  Corte  nella sentenza n. 349/1993. «Deve ritenersi
implicito,  anche  in assenza di una espressa previsione della norma,
che i provvedimenti ministeriali debbano comunque recare una puntuale
motivazione  per  ciascuno  dei detenuti cui sono rivolti (in modo da
consentire poi all'interessato una effettiva tutela giurisdizionale),
che  non  possano disporre trattamenti contrari al senso di umanita',
e,  infine,  che debbano dar conto dei motivi di una eventuale deroga
del  trattamento  rispetto  alle  finalita'  rieducative  della della
pena».
    Trattasi  di  una esperienza legislativa gia' vissuta e superata,
attraverso     interventi     giurisdizionali    di    denunzie    di
incostituzionalita',  che  anche senza confluire in una dichiarazione
di   illegittimita'   costituzionale,   hanno   avuto  il  merito  di
influenzare le successive novelle legislative.
    Sul   punto,  in  particolare,  ricordiamo  la  primaria  dizione
dell'art. 4-bis  cosi'  come  introdotto  dalla legge 203/1991, nella
parte  in  cui  prevedeva  che  le  istanze di misure alternative dei
condannati   per   determinati   gravi   delitti   potessero  trovare
accoglimento  solo  fossero  stati  acquisiti  elementi  tali  da far
escludere   l'attualita'   di   collegamenti   con   la  criminalita'
organizzata o eversiva.
    La  eccezione  di  incostituzionalita' venne sollevata sulla base
della  esistenza  di  un  verosimile  contrasto  con  l'art. 24 della
Costituzione,  per  impossibilita'  della  difesa  di  dare  la prova
negativa  della  esclusione  dell'attualita'  di  collegamenti con la
criminalita' organizzata.
    La  successiva legge n. 356/1992 interviene a far luce sul dubbio
dettato   normativo,  determinando  quella  che  ancora  oggi  e'  la
disposizione  vigente,  ossia  che  «...  i benefici suddetti possono
essere  concessi solo se non vi sono elementi tali da far ritenere la
sussistenza   di  collegamenti  con  la  criminalita'  organizzata  o
eversiva»..
    Resta   da   precisare   che   al   di   la'   della  contiguita'
interpretative, comunque le due posizioni esaminate, ex artt. 4-bis e
41-bis  l.p.,  si  fondano  su  presupposti  logistici  e procedurali
differenti.
    Nell'ipotesi richiamata, di cui all'art. 4-bis l.p. siamo in sede
di  procedimento  giurisdizionale dinanzi all'autorita' giudiziaria e
quindi  la  formazione  della  prova  risponde  ai canoni procedurali
propri  del  procedimento penale, quand'anche in sede di procedimento
in camera di consiglio, ai sensi degli artt. 127, 666 e 678 c.p.p.
    Nel  caso in oggetto, invece, l'esame riflette l'emanazione di un
provvedimento amministrativo, il decreto ministeriale emesso ai sensi
dell'art. 41-bis  l.p.,  che  deve  rispondere  a  precisi e puntuali
requisiti  di  logicita', ragionevolezza e costituzionalita', tali da
superare   il   vaglio   di   legittimita'   in   sede   del  ricorso
giurisdizionale   presentato  dal  detenuto  interessato  innanzi  il
tribunale di sorveglianza competente.
    Il   provvedimento   ministeriale   di  applicazione  del  regime
differenziato  ex  art. 41-bis  deve  essere motivato, lo ha ribadito
piu'  volte  la  Corte  costituzionale,  cosi'  come  adeguatamente e
opportunamente  motivati  devono  essere  anche  i  provvedimenti  di
proroga del regime differenziato ex art. 41-bis l.p.
    Evidentemente  l'amministrazione  ha  le sue fonti di conoscenza,
tra  le  quali  il  legislatore  del 2002 ha voluto inserire anche il
pubblico  ministero  presso  il giudice che procede, come dal dettato
del comma 2 bis dell'art. 41-bis.
    Evidentemente  le  motivazioni riportate nei decreti ministeriali
si  fondano sulle informazioni fornite da tali fonti di conoscenza, e
traggono  elementi  di  valutazione  negativa della pericolosita' del
detenuto da quelle medesime fonti.
    Rebus  sic  stantibus, appare inverosimile che le stesse fonti di
prova   che   forniscono  gli  «elementi  tali  da  far  ritenere  la
sussistenza  di  collegamenti  con un'associazione criminale ...». di
cui  al  punto  2  dell'art. 41-bis,  quegli  elementi necessari alla
primaria emissione del provvedimento, possano, in sede di proroga del
provvedimento  ex  art. 41-bis  l.p., fornire elementi da cui risulti
che  ...  «la  capacita'  del  detenuto  di  mantenere  contatti  con
associazioni criminali sia venuta meno».
    Nella   fase  di  formazione  e  promanazione  del  provvedimento
restrittivo,  ancora non e' presente la parte interessata che compare
solo  in sede del ricorso al tribunale di sorveglianza, e solo allora
potra'  far  valere  il  proprio  diritto  di  difesa  e la sua prova
processuale.
    Nella    fase   strettamente   amministrativa,   l'unico   limite
all'attivita'    amministrativa    e'    proprio    quella   esigenza
costituzionale  piu'  volte  richiamata  dalla Corte sulla necessita'
della  motivazione  del  provvedimento,  motivazione  congrua  e  non
apparente,  in  rispondenza alle esigenze cotituzionali salvaguardate
dagli  artt. 97  e  113 della Costituzione, che nel caso di specie si
integrano  direttamente  con  le  tutele  costituzionali  di cui agli
artt. 3,  24  e  27  della  Costituzione, laddove a fronte del potere
dell'amministrazione,  fondato sulle ragioni di sicurezza inerenti la
vita  carceraria,  e  pur  non  opponendovisi  un diritto di liberta'
personale,  gia'  compresso dallo stato di detenzione, stanno in ogni
caso  precisi  ed  violabili  diritti della personalita' spettanti al
detenuto;  e  le  misure  di  attuazione del regime carcerario devono
essere in ogni caso rispettose dei diritti del detenuto.
    Paradossalmente,   il   nuovo  dettato  legislativo  finisce  per
l'instaurare  un  sistema  diabolico, in base al quale l'applicazione
del regime differenziato finisce con l'essere prorogabile che a mezzo
un  decreto ministeriale privo della parte documentale, relativa alla
motivazione  sulla  sussistenza  di  collegamenti con un'associazione
criminale,  atteso  che  per  la  proroga, il dettato legislativo non
prescrive idonea motivazione, in positivo, comprovante l'esistenza di
una realta', certa, concreta ed essenziale ai fini dell'emissione del
provvedimento.
    L'espressione normativa e' fin troppo puntuale, laddove prescrive
che  i  provvedimenti sono prorogabili nelle stesse forme per periodi
successivi  ...,  purche' non risulti che la capacita' del detenuto o
dell'internato  di  mantenere contatti con associazioni criminali sia
venuta meno.
    Viene   cristallizzata  la  proroga  ripetuta  e  immotivata  del
decreto,  di  fatto scardinata dalla necessita' di idonea e opportuna
motivazione,  stante la materiale nonche' giuridica impossibilita' di
fornire  la  prova  del  «venir  meno»  della  capacita' di mantenere
contatti con associazioni criminali.
    Fino  alla  vigenza  del precedente dettato normativo, in sede di
giudizio  di  legittimita'  del provvedimento ministeriale innanzi il
tribunale  di sorveglianza, venivano presi in considerazioni assoluta
tutti gli elementi di novita', di attualizzazione della pericolosita'
del  del  detenuto, che nel decreto ministeriale venivano evidenziati
come supporto giuridico della proroga del regime differenziato.
    Paradossalmente, nei nuovi giudizi di legittimita' innanzi questo
giudice, in sede di proroga del regime ex art. 41-bis l.p., si dovra'
e si potra' soprassedere da qualunque valutazione inerente la nuova e
aggiornata  motivazione,  atteso  che  la norma stessa non ne fa piu'
richiesta.
    La novella disposizione introduce un regime differenziato che, in
sede di proroga, opera indipendentemente e al di la' di situazioni di
eccezionalita'  o  emergenza,  ne'  risulta ancorato ad atteggiamenti
particolarmente  significativi  del  detenuto, comunque riconducibili
alla sua pericolosita' sociale, alla sua capacita' a delinquere, alla
condotta intramuraria ovvero ai suoi rapporti con il mondo esterno.
    Ritorna  attraverso  il  dettato  normativo  la  tipizzazione del
detenuto,  «speciale», in quanto imputato o condannato per uno o piu'
reati  indicati  nell'artt.  4-bis l.p., tipizzazione che, al limite;
potrebbe  trovare  una  sua  «ratio»  nella particolare pericolosita'
sociale   dimostrata  da  taluni  soggetti,  refrattari  a  qualsiasi
trattamento  rieducativo, e cosi' spiccatamente pericolosi da rendere
indispensabile  l'adozione  di un regime carcerario differenziato nei
loro  confronti, ma che in quanto tale, pero', trova spazio e ragione
giuridica  solo  se  ancorata a precisi e predeterminati parametri di
eccezionalita',  oggettiva  e  soggettiva  comunque  riversati in una
severa  e  dettagliata motivazione sulla verifica costante e continua
della sussistenza della pericolosita' del soggetto.
    Ritorna  quel  concetto  di pericolosita' sociale presunta che il
legislatore  aveva  voluto  allontanare dal quadro giudiziario con la
introduzione  nell'ambito dell'ordinamento penitenziario dell'art. 31
della  1.  663/1986,  nella  parte  in  cui  richiedeva  prima  della
esecuzione  di  una  misura  di sicurezza la pronunzia del giudice di
sorveglianza  sull'accertamento  dell'attualita'  della pericolosita'
sociale.
    Ne'  la  riconosciuta  possibilita'  di  impugnazione del decreto
dinanzi al giudice ordinario, nel rispetto dell'art. 113, primo comma
Costituzione, e' sufficiente a colmare il disagio legislativo.
    La   situazione   creata  dalla  proroga  immotivata  del  regime
differenziato,  infatti,  non  puo'  non  creare seri ostacoli a quel
diritto  di  difesa,  sancito come «inviolabile in ogni stato e grado
del procedimento» dall'art. 24 Costituzione.
    Difesa  che,  ne'  in diritto ne' in fatto, trova possibilita' di
esplicazione  di  fronte  al  ripetersi,  monotono  e  immotivato  di
contestazioni  consolidate nella loro storicita', di fronte a decreti
ministeriali  in  cui  l'unico  elemento  innovativo  risulta  essere
l'adeguamento alle ultime novelle legislative.
    Da  cio', la conclusione che le limitazioni imposte alla liberta'
personale   «residua»,  conseguente  alla  gia'  vissuta  reclusione,
derivino  esclusivamente  e  direttamente dalla necessita' di evitare
che  le  opportunita'  trattamentali  e  gli  altri istituti previsti
dall'ordinamento  penitenziario  possano  essere  utilizzati  per  il
mantenimento  di  rapporti  con  l'esterno  e per la comunicazione di
notizie e messaggi.
    Pertanto  la  lettera  del  nuovo  art. 41-bis  l.p.,  cosi' come
novellato  dalla  legge  n. 279/2002, appare chiaramente in contrasto
con   molti   dei   principi  richiamati  ripetutamente  dalla  Corte
costituzionale,  sia  in  ordine all'attualita' delle circostanze che
inducono  alla  emissione del decreto ministeriale sia in ordine alle
motivazioni  che accompagnano l'emissione stessa. Nel caso di specie,
atteso  che  Vadala'  Domenico  risulta  essere  sottoposto al regime
differenziato  ai sensi dell'art. 41-bis l.p. dal 1999, appare quanto
meno  pretestuoso  leggere  che  le  limitazioni imposte sono dettate
dalla   necessita'   di   evitare   l'utilizzazione   degli  istituti
trattamentali   per   mantenere   rapporti   con  l'esterno,  laddove
contemporaneamente  si  contesta  la  sussistenza  e l'attualita' dei
collegamenti  con  l'esterno  e  con gruppi malavitosi, nonostante il
regime differenziato.
    Delle  due  l'una:  o  non  e'  ipotizzabile il collegamento o la
sottoposizione al regime ex art. 41-bis l.p. non sortisce gli effetti
desiderati.
    Sul  punto, cosi' come sugli altri richiamati, la motivazione del
decreto  impugnato  e'  del tutto inesistente, mentre, invece, rileva
l'indebolimento  progressivo delle circostanze poste a sostegno degli
ultimi decreti di proroga del regime restrittivo.
    Per  questi  motivi  l'art. 41-bis,  comma  2-bis, come novellati
dalla  legge  n. .279/2002,  appare  in  contrasto con gli artt. 3, 1
comma,  13, 1 e 2 comma, 24, 2 comma, 27, 3 comma, 97, 1 comma e 113,
1 e 2 comma, Costituzione.
    Sentito il conforme parere del p.g.
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87:
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
illegittimita'  costituzionale per contrasto con gli artt. 3, 13, 24,
27, 97 e 113 della Costituzione, dell'art. 41-bis, comma 2-bis, l.p.,
come  novellato  dall'art. 2  della  legge  23  Dicembre 2002 n. 279,
laddove   prescrive   che  i  provvedimenti  di  proroga  del  regime
differenziato  ex  art. 41-bis  l.p.  sono  prorogabili, «purche' non
risulti  che  la capacita' del detenuto o dell'internato di mantenere
contatti  con  associazioni  criminali,  terroristiche o eversive sia
venuta meno.».
    Sospende la procedura in corso.
    Dispone  trasmettersi  gli  atti alla Corte costituzionale previa
comunicazione ai Presidenti delle due Camere del Parlamento e rituali
notifiche e comunicazioni.
    Manda alla cancelleria per adempimenti.
        Napoli addi', 17 marzo 2003
                Il Presidente estensore: Di Giovanni
03C1264