N. 1031 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 giugno 2003
Ordinanza emessa il 25 giugno 2003 dal tribunale - sez. per il riesame di Napoli sull'appello proposto da Rea Francesco Processo penale - Misure cautelari personali - Termini di durata - Computo - Pluralita' di ordinanze emesse per piu' reati non legati da connessione qualificata - Decorrenza dei termini dalla prima ordinanza, in caso di accertata sussistenza di idonei indizi di colpevolezza gia' al momento dell'emissione del primo provvedimento cautelare - Mancata previsione - Violazione del principio costituzionale che riserva alla legge la determinazione della durata dei termini di custodia preventiva. - Cod. proc. pen., art. 297, comma 3. - Costituzione, art. 13, comma quinto.(GU n.49 del 10-12-2003 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato, all'esito dell'udienza camerale del 9 giugno 2003, la seguente ordinanza. Sull'appello presentato il 15 settembre 2000 dal difensore di Rea Francesco avverso l'ordinanza emessa dal g.i.p. in sede in data 4 luglio 2000 con la quale veniva rigettata l'istanza di declaratoria d'inefficacia della misura applicata nei confronti del Rea con ordinanza del 16 febbraio 2000 ai sensi dell'art. 297, terzo comma c.p.p., decidendo in sede di rinvio a seguito dell'annullamento da parte della Corte di cassazione, con sentenza del 2 febbraio 2001, dep. 1° marzo 2001, dell'ordinanza di questo tribunale in data 10 ottobre 2000 che aveva, in accoglimento del gravame, dichiarata l'inefficacia della misura ed imposto al Rea il divieto di dimora nelle Province di Napoli, Avellino, Benevento e Caserta; Rilevato che, con la surricordata sentenza di annullamento, la Cassazione ha censurato tale decisione per violazione di legge affermando il principio che «come si desume in modo inequivoco dal tenore letterale e logico della norma richiamata, il divieto della contestazione a catena opera nel caso - (come quello di specie) in cui sia stata disposta con piu' ordinanze la medesima misura cautelare per fatti diversi commessi anteriormente alla emissione della prima ordinanza - sempre che in relazione a tali fatti sussista connessione ai sensi dell'art. 12 comma primo lett. b) e c) c.p.p., limitatamente ai casi di reati commessi per eseguire gli altri e sempre che si tratti di fatti desumibili dagli atti del procedimento prima del rinvio a giudizio disposto per il fatto con il quale sussiste connessione» e rilevando altresi' difetto di motivazione per aver il tribunale omesso «di indicare sulla base di quali concreti elementi e' stato raggiunto il convincimento che l'attivita' di intercettazione fosse sicuramente tale da integrare in se stessa la sussistenza di elementi indiziari gravi e precisi e concordanti in ordine ai fatti tutti oggetto della seconda ordinanza di custodia cautelare ivi compresa la individuazione dei partecipi al clan Veneruso»; che, con ordinanza del 21 agosto 2001, questo tribunale ha ritenuto non manifestamente infondata, in relazione all'art 13, comma quinto della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell' art. 297, terzo comma nella parte in cui non prevede che la norma stessa si applichi anche a fatti diversi, in connessione non qualificata ai sensi dell'art. 12 comma 1, lett. b) e c) c.p.p., oggetto di ordinanze emesse in tempi diversi, sempre che di essi si accerti in modo incontestabile la sussistenza, a disposizione dell'autorita' giudiziaria, di idonei indizi di colpevolezza gia' al momento dell'emissione del primo provvedimento cautelare. che, con ordinanza n. 151/2003 depositata il 9 maggio u.s., la Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta inammissibilita' della questione rilevando che: nelle ipotesi in cui i principi costituzionali vengono invocati dal giudice di rinvio per contrastare il principio di diritto affermato in fase di legittimita' ed evitarne l'applicazione, la motivazione della rilevanza della questione dev'essere particolarmente rigorosa; la Corte di legittimita' aveva censurato la decisione del tribunale sotto l'ulteriore profilo che questa avesse omesso di indagare il rapporto esistente tra i primi delitti e quelli oggetto della seconda contestazione, in particolare la fattispecie associativa; su tale specifico punto, l'ordinanza di rimessione si e' limitata ad affermare, senza motivare, la reciproca autonomia dei delitti di omicidio oggetto della prima e della seconda ordinanza di custodia cautelare, soggiungendo che la la giurisprudenza di legittimita' sarebbe pressocche' concorde nell' escludere i vincolo della connessione qualificata tra il delitto associativo ed i delitti compiuti dagli associati; con quest'ultima affermazione, il remittente si sottrae al dictum della Cassazione che, censurando la mancanza di motivazione sul punto, aveva invece mostrato inequivocabilmente di orientarsi in senso difforme dalla giurisprudenza citata dall'ordinanza di rimessione; poiche', secondo l'interpretazione resa nella specie dal supremo collegio, il divieto di contestazioni «a catena» e indubbiamente operante nel caso di reati legati dal vincolo della connessione qualificata, per dimostrare il carattere concreto di una questione di legittimita' costituzionale tendente ad estendere tale divieto alle ipotesi di unicita' della fonte probatoria (nel caso esaminato, le intercettazioni ambientali) Il remittente avrebbe dovuto esporre le ragioni per le quali, tra il delitto di omicidio oggetto della prima ordinanza e i delitti di omicidio e associazione per delinquere, oggetto della seconda, non sussistesse alcun rapporto di connessione qualificata, cosi' da rendersi necessaria, per conferire effettivita' ai principi espressi dall' art. 13 della Costituzione, una sentenza di accoglimento di questa Corte; O s s e r v a Che e' pertanto necessario che questo tribunale dia compiutamente conto delle ragioni, solo sinteticamente espresse nell' ordinanza del 21 agosto 2001, per le quali la questione di costituzionalita' sollevata appare non solo non manifestamente infondata ma anche rilevante ai fini della decisione del gravame proposto dalla difesa del Rea avverso l'ordinanza del g.i.p. in sede che ha rigettato l'istanza di declaratoria d'inefficacia della misura cautelare imposta allo stesso Rea con ordinanza del 15 febbraio 2000. In proposito, richiamati i passi della motivazione di quest'ultima ordinanza riportati in quella di questo tribunale del 21 agosto 2001, che qui si intende integralmente trascritta, occorre evidenziare, quanto ai rapporti tra i due episodi omicidiari oggetto delle due ordinanze cautelari (l'omicidio Fico Porricelli, avvenuto il 29 gennaio 1997 contestato con la prima e l'omicidio Fucile, avvenuto il 17 gennaio 1997, contestato con la successiva ordinanza) che del primo delitto il Rea e' chiamato a rispondere n qualita' di mandante (essendo stato il fatto commesso dal Mollo, che nel corso di una conversazione intercettata se ne dichiara autore materiale, assumendo di aver agito per dare la dovuta soddisfazione al Rea, posto che il Fico aveva avuto un ruolo nell'attentato, diretto contro lo stesso Rea, eseguito da un contrapposto gruppo camorristico, in cui aveva trovato la morte il fratello del Rea) mentre del secondo - eseguito per punire l'avvicinamento del Fucile a personaggi appartenenti ad un clan avverso - il Rea risponde come autore materiale unitamente al Mollo ed ad altri, di tal che, esclusa la configurabilita' della connessione qualificata di cui all'art. 12 lett. c) nella sola ipotesi rilevante ai fini dell'art. 297, terzo comma c.p.p. (non potendosi neppure ipotizzare che uno dei due delitti sia stato commesso per eseguire l'altro) va pure esclusa la sussitenza del vincolo della continuazione che e' cosa ben diversa dalla riconducibilita' degli omicidi medesimi «nell'ambito di un piano delinquenziale maturato all'interno dell'associazione del clan Veneruso (del quale facevano parte il Mollo ed il Rea)» di cui parla il g.i.p. posto che altro e' il generico programma dell'associazione (in cui puo' rientrare anche la commissione di omicidi in danno di avversari) altro e' il disegno criminoso di cui all' art. 81 c.p. che richiede la rappresentazione, fin dall' inizio, dei singoli episodi criminosi individuati almeno nelle loro linee essenziali e che e' ravvisabile solo quando risulti che l'autore abbia gia' previsto e deliberato in origine l'iter criminoso da percorrere e i singoli reati avverso cui si snoda (Cass. sez. 1ª, 31 gennaio 2001, CED 218397 che ha ritenuto che la partecipazione ad un'associazione per delinquere non puo' costituire, di per se' sola, prova dell'unicita' del disegno criminoso fra i reati commessi per il perseguimento degli scopi dell'associazione). L'esclusione delta configurabilita' del vincolo delta connessione qualificata o della continuazione tra i due episodi omicidiari contestati al Rea con le due diverse ordinanze cautelari gia' sarebbe sufficiente a dimostrare la rilevanza della sollevata questione di costituzionalita' atteso che la mancanza di tale requisito, ritenuto invece indispensabile dall'interpretazione della norma contenuta nel principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione nella sentenza rescindente, comporterebbe il rigetto dell' appello quanto meno con riferimento all' individuazione della data di decorrenza della custodia cautelare imposta al Rea in relazione all'omicidio Fucile con l'ordinanza del 15 febbraio 2000 pur risultando, come gia' dimostrato nell'ordinanza di questo tribunale del 21 agosto 2001, che gia' al momento dell'emissione del primo titolo custodiale il p.m. procedente aveva a disposizione tutti gli elementi necessari e sufficienti per contestare al Rea anche tale fatto, donde la necessita' da parte di questo giudice del rinvio, di invocare l'intervento della Corte costituzionale per il rispetto del principo di cui all'art. 13, quinto comma della Costituzione con cui il principio di diritto enunciato dalla Corte rescindente si ritiene in contrasto. Ma anche con riguardo all' imputazione associativa ex art. 416-bis, oggetto della seconda ordinanza, deve pervenirsi alla medesima conclusione. Premesso invero che anche in ordine a siffatta imputazione risulta incontestabilmente (cfr. ordinanza del 21 agosto 2001) che il p.m. era in possesso di tutti gli elementi necessari e sufficienti per la contestazione del reato associativo gia' al momento dell'emissione dell'ordinanza cautelare del 16 ottobre 1998 per il duplice omicidio Fico/Porricelli (tant'e' che detto delitto e quelli connessi erano ritenuti aggravati ex art. 7 legge n. 203/1991 per aver il Mollo ed il Rea agito avvalendosi delle condizioni di cui all'art. 416-bis c.p., essendo gli stessi appartenenti ad organizzazione camorristica), va richiamato, per ribadire l'insussitenza della connessione qualificata di cui all' art. 12 lett. c) c.p.p. o del vincolo della continuazione di cui alla lettera b) del medesimo art. 12 c.p.p. tra il delitto associativo e l'omicidio Fico/Porricelli gia' contestato con la prima ordinanza cautelare, l'insegnamento giurisprudenziale assolutamente dominate nella giurisprudenza della Corte di cassazione - dal quale la sentenza rescindente non si e', con il passaggio motivazionale riportato nell'ordinanza della Corte costituzionale, espressamente discostata tanto da vincolare anche sul punto questo giudice del rinvio-secondo cui tra reato associativo e singoli reati fine non e' ravvisabile un vincolo rilevante ai fini della continuazione e, meno ancora, della connessione teleologica, tranne che ricorra l'eccezionale ipotesi in cui risulti che gia' ab inizio, un determinato soggetto abbia individuato, nell'ambito del generico programma criminoso dell'associazione, uno o piu' specifici fatti di reato, da lui commessi (cass. sez. 5ª, 10 gennaio 2002 n. 873 in Guida al Diritto, 2002, 12, 72), ipotesi che certamente e' da escludere con riferimento al duplice omicidio oggetto della prima ordinanza cautelare posto che l'esecuzione dei coniugi Fico/Porricelli - seguita quasi immediatamente alle dichiarazioni rese nel dicembre 96 da Fico Domenico con le quali, per scagionare il figlio, ammise di aver segnalato agli assassini gli spostamenti della vittima designata, cioe' il Rea Francesco, favorendo in tal modo invece l'uccisione del di lui fratello Giuseppe) e' il frutto d'una iniziativa criminale presa dal Mollo per dare soddisfazione al Rea, suo sodale e pertanto, per quanto utile a dimostrare il vincolo associativo esistente tra i due, non presenta alcun vincolo di connessione teleologica o continuazione con reato associativo, posto che nulla induce a ritenere che il Mollo o il Rea avessero sin dall' inizio della loro condotta associativa (che risulta contestata come ancora in atto senza indicazione di una data iniziale) previsto e deliberato, anche se solo nelle linee essenziali il duplice omicidio di cui trattasi. Deve dunque concludersi che anche con riferimento all' ipotesi associativa il principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione imporrebbe a questo giudice di rinvio il rigetto del gravame proposto dalla difesa del Rea che andrebbe invece accolto ove si seguisse l'interpretazione dell'art. 297, terzo comma ritenuta costituzionalmente conforme, donde la necessita' di rimettere nuovamente la questione all'esame della Corte costituzionale. Invero l'applicazione del principio di diritto enunciato dalla sentenza rescindente della Corte di cassazione - che limita ai soli casi di reati legati dal vincolo di connessione qualificata l'applicabilita' della disciplina dell'art. 297, terzo comma c.p.p. pur nell'ipotesi che anche per essi l'A.G. disponesse degli elementi necessari e sufficienti per procedere alla contestazione gia' prima dell'emissione del primo provvedimento restrittivo - impone a questo giudice di rinvio, obbligato a rispettarlo, un'interpretazione della norma in contrasto con il dettato costituzionale (art. 13, quinto comma della Costituzione) che riserva alla legge la durata dei termini di custodia, giacche' lascerebbe arbitro il p.m., gia' in possesso degli elementi sufficienti alla contestazione di reati non legati da connessione qualificata con quello oggetto della prima ordinanza, di procrastinarne la contestazione cosi' prolungando a sua discrezione il termine, certo ed invalicabile, di custodia stabilito dalla legge (come e' avvenuto nel caso di specie in cui l'ordinanza cautelare per il reato associativo e per l'altro episodio omicidiario - in relazione ai quali si e' accertato incontestabilmente che l'A.G. era in possesso degli elementi necessari ad integrare le condizioni di cui all'art. 273 c.p.p. gia' prima dell'emissione della primo provvedimento cautelare - e' stata emessa un anno e quattro mesi dopo la prima ordinanza relativa all'omicidio Fico/Porricelli).
P. Q. M. Letto l'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione all'art. 13, comma 5, della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 297, terzo comma c.p.p. nella parte in cui non prevede che la norma stessa si applichi anche a fatti diversi, in connessione non qualificata ai sensi dell'art. 12 comma 1 lett. b) e c) c.p.p. oggetto di ordinanze emesse nei confronti dello stesso soggetto in tempi diversi, sempre che di essi si accerti in modo incontestabile la sussistenza, a disposizione dell'autorita' giudiziaria, di idonei indizi di colpevolezza gia' al momento dell'emissione del primo provvedimento cautelare. Sospende il giudizio relativo all'appello proposto nell'interesse di Rea Francesco avverso l'ordinanza del g.i.p. presso il Tribunale di Napoli in epigrafe indicata e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio dei ministri nonche' comunicata ai Presidenti delle due del Parlamento. Manda alla cancelleria per i prescritti adempimenti e comunicazioni. Cosi' deciso in Napoli, il 9 giugno 2003 Il Presidente estensore: Cariello 03C1265