N. 1160 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 novembre 2003

Ordinanza  emessa il 13 novembre 2003 dal giudice di pace di Carinola
nel  procedimento  civile  vertente  tra  Gentile  Adele  e Comune di
Francolise

Circolazione  stradale  - Infrazioni al codice della strada - Ricorso
  al  giudice  di  pace - Proponibilita' in alternativa al ricorso al
  Prefetto - Onere per il ricorrente di versare presso la cancelleria
  una  somma  pari  alla  meta'  del  massimo edittale della sanzione
  inflitta  dall'organo accertatore - Discriminazione tra cittadino e
  Pubblica  Amministrazione,  nonche'  tra  cittadini  abbienti e non
  abbienti  -  Contrasto  con il dovere della Repubblica di rimuovere
  gli   ostacoli   economico-sociali   limitativi  della  liberta'  e
  dell'uguaglianza  - Incidenza su diritti inviolabili - Compressione
  della  tutela  giurisdizionale  e  del  diritto dei non abbienti di
  agire  e  difendersi  in  giudizio  -  Contrasto con la liberta' di
  iniziativa  economica - Violazione dei principi del giusto processo
  e della parita' delle parti nel contraddittorio.
- Codice  della  strada (decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285),
  art. 204-bis  [comma  3],  introdotto dall'art. 4, comma 1-septies,
  del  decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151, convertito con modifiche
  nella legge 1° agosto 2003, n. 214.
- Costituzione,  artt. 2,  3,  24, 41, 111 e 113; Convenzione europea
  per la salvaguardia dei diritti dell'uomo (resa esecutiva con legge
  4 agosto 1955, n. 848), artt. 6 e 14.
(GU n.3 del 21-1-2004 )
                         IL GIUDICE DI PACE

    Ha  emesso  la  seguente ordinanza nella causa civile iscritta in
epigrafe.
    Oggetto:  articolo  204-bis Codice della strada - Cauzione a pena
di  inammissibilita'  -  Illegittimita'  costituzionale,  nella causa
avente  ad  oggetto  «opposizione  ad  ingiunzione amministrativa» ex
artt. 22, 23 legge 689-81 tra Gentile Adele elettivamente domiciliata
presso  lo  studio  dell'avv.  Giovanni Morcone, opponente; Comune di
Francolise in persona del sindaco pro-tempore - opposta.

                          Premesso in fatto

    Che  in  data  27  aprile  2003, alle ore 10,46 l'agente Riccardi
Giovanni,  effettivo  in  servizio  presso  la  polizia municipale di
Francolise,  accertava n verbale n. 987-03, a mezzo di strumentazione
elettronica  «autovelox»  che  la  autovettura  Hyundai  Atos targata
BJ220VS,  con  a  bordo  conducente  inidentificato, aveva violato la
norma  del  Codice  della  strada  di  cui  all'art. 142, commi 1 e 8
perche'  il  conducente  del veicolo sopra indicato, circolava ad una
velocita'  di  km  74,  ridotti a 69 ... eccedendo di km 19 il limite
imposto di 50 km all'ora.
    L'agente   Riccardi  non  risulta  aver  ritenuto  di  contestare
immediatamente   la   violazione,  essendo  per  altro  espressamente
specificato  «Nulla»  nello  spazio  riservato alle dichiarazioni del
trasgressore.
    Si  precisa,  infine,  che  tra  le  modalita'  del ricorso viene
indicata  -  nel  modello  prestampato  in uso - la facolta' di adire
«entro  60  giorni  dalla  constatazione  ...  il  Giudice di pace di
Carinola»  ai  fini  del  rimedio  pevisto  ex  artt.  22,  23  legge
n. 689/1981 ed art. 204 C.d.S.
    In  data  5  settembre  2003 la sig.ra Gentile Adele, con rituale
deposito  in  cancelleria  del  ricorso  a firma del procuratore avv.
Morcone,  proponeva  opposizione  avverso  il verbale di accertamento
deducendo vizi formali e sostanziali del p.v. di contravvenzione come
notificato.
    Si  osserva in diritto che per il caso di specie la sanzione, pur
accertata  anteriormente  all'entrata  in  vigore  della  Novella  al
C.d.S.,  ricade  pur  tuttavia  nell'ambito  applicativo  di  cui  al
decreto-legge   27   giugno   2003,   n. 151  recante  «modifiche  ed
integrazioni al Codice della strada» (G.U. n. 149 del 30 giugno 2003,
convertito  in  legge,  con  modifiche  in  data, 1° agosto 2003) che
all'art. 204-bis   testualmente  recita  al  comma  3  «all'atto  del
deposito del ricorso il ricorrente deve versare presso la cancelleria
del  Giudice  di  pace,  a  pena di inammissibilita' del ricorso, una
somma  pari  alla  meta' del massimo edittale della sanzione inflitta
dall'organo  accertatore...  detta somma, in caso di accoglimento del
ricorso, e' restituita al ricorrente».
    La  previsione  letterale  ex  comma  3  del  neo-introdotto art.
204-bis  decreto legislativo n. 258/1992, parrebbe, pero' in evidente
contrasto  con  il  vigente  art. 4  del regio decreto legge 10 marzo
1910,  n. 149  «...  i cancellieri non possono ricevere dalle parti o
dai  loro  procuratori  alcuna  somma in denaro per qualsiasi titolo.
Contravvenendo  a  questa  disposizione,  sono assoggettati alle pene
disciplinari stabilite dalla legge suIl'ordinamento giudiziario».
    Sul   punto   e   intervenuto  il  Ministero  della  giustizia  -
Dipartimento  per  gli affari di giustizia - Direzione generale della
giustizia   civile,   con   circolare   n. 53   del  13  agosto  2003
puntualizzando  che  «poiche', ai sensi dell'art. 4 del regio decreto
10 marzo 1910, n. 149, tutt'ora in vigore, le cancellerie non possono
in  alcun  modo  ricevere  versamenti  in  denaro, e' evidente che la
formulazione letterale del testo ("deve versare presso la cancelleria
... una somma...") deve necessariamente essere interpretata alla luce
della   vigente  normativa,  individuando  modalita'  alternative  di
versamento  presso  altri organismi abilitati a ricevere e gestire il
deposito. Considerate anche le diverse fasi conseguenti al versamento
della  cauzione,  previste  dalla  nuova  formulazione dell'articolo,
questa direzione generale ritiene che lo strumento piu' idoneo per la
gestione   dell'importo   versato,   sia   il  libretto  di  deposito
giudiziario  aperto  presso  l'Ente  Poste.  Tale strumento, infatti,
oltre  ad  assicurare  all'utenza  uniformita' da parte degli uffici,
presenti   sul  territorio,  ha  il  pregio  della  gratuita',  senza
penalizzare  il  ricorrente  relativamente  agli interessi, in quanto
anche  quello postale e' ormai deposito fruttifero. Tale strumento e'
peraltro  individuato  anche  dall'art. 2  del  citato  regio decreto
149/1910,  ("tutti  i depositi in denaro che, secondo le disposizioni
vigenti   in   materia  civile  e  penale  possono  farsi  presso  le
cancellerie  giudiziarie,  compresi  quelli  per cauzione e per spese
giudiziarie,  debbono  essere eseguiti direttamente dalle parti o dai
loro procuratori nell'ufficio postale incaricato")».
    Tutto   cio'   premesso,   esaminati  gli  atti,  questo  Giudice
preliminarmente  rileva  come  il  predetto  ricorso in opposizione a
sanzione amministrativa sia stato depositato in cancelleria in data 5
settembre  2003  (pertanto nella vigenza della piu' recente normativa
entrata in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione in G.U. il
giorno  12  agosto  2003)  senza  il contestuale deposito giudiziario
della  somma  da calcolarsi sulla meta' del massimo edittale previsto
dall'art. 142, commi 1 e 8 C.d.S.
    Il  ricorrente  non ha, pertanto, adempiuto all'obbligo, previsto
all'art. 204-bis  del novellato d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, a pena
di inammissibilita' del ricorso, del versamento presso la cancelleria
del  Giudice  di  pace,  di  una  somma  pari  alla meta' del massimo
edittale della sanzione inflitta dall'organo accertatore.
    In  sede  di  udienza  di  discussione questo giudicante invitava
pertanto  il  procuratore  dell'opponente  a provvedere al necessario
deposito  e  quest'ultimo, all'esito di tale invito, formulava in via
del tutto preliminare, eccezione di illegittimita' costituzionale del
predetto  art. 204-bis  quanto all'aspetto del necessario deposito di
cauzione,  in  riferimento  agli  artt. 2,  3,  24,  113  della Carta
costituzionale.
      Questo  Giudice  ritiene  che i rilievi oralmente formulati dal
procuratore  dell'opponente non siano manifestamente infondati quanto
ad  un  dubbio  di  Costituzionalita'  del  predetto  istituto  della
cauzione cosi' come istituito e, pertanto, in via incidentale, rileva
questione di legittimita' costituzionale, come segue.
    Sulla rilevanza della questione.
    Nel  caso di specie il collegamento giuridico, e non gia' di mero
fatto, tra la res iudicanda e la norma di legge ritenuta in contrasto
con  il  dettato  costituzionale,  e  ictu  oculi  rilevante  ai fini
processuali,  atteso  il rapporto di strumentalita' necessaria fra la
risoluzione della questione e la decisione del giudizio principale.
    Infatti,  ove si ritenesse l'art. 204-bis del decreto legislativo
30 aprile 1992, n. 285, introdotto dalla legge 1° agosto 2003, n. 214
che  ha  convertito  in legge, con modificazioni, il decreto-legge 27
giugno  2003,  n. 151  conforme  a  Costituzione, il ricorso andrebbe
dichiarato   inammissibile   de   plano   senza   previa   fissazione
dell'udienza di discussione con convocazione delle parti (ma solo con
la  semplice  comunicazione  alle stesse della decisione). Viceversa,
ove   si   paventi  -  come  nel  caso  di  specie  -  un  dubbio  di
costituzionalita'  della  predetta norma, e' ovvio che la valutazione
preliminare  debba  investire  il giudizio della Corte costituzionale
all'esito  della  cui  decisione,  dipendera'  poi la possibilita' di
affrontare  nel  merito i punti di doglianza rappresentati in sede di
ricorso.
    Sulla non manifesta infondatezza.
    Violazione degli artt. 2 e 3 Cost.
    La norma in questione, disponendo il versamento di una somma pari
alla  meta'  del  massimo edittale della disposizione di legge che si
ritiene  violata, somma che risulta essere addirittura in alcuni casi
pari al quadruplo di quella che consentirebbe di definire la pendenza
mediante  il  pagamento in misura ridotta, discrimina evidentemente i
cittadini,  consentendo  solo  a  quelli  abbienti  di ricorrere alla
giurisdizione civile, ed impedendolo, di fatto, a quelli che abbienti
non sono.
    Si  consideri,  difatti, che il cosiddetto deposito cauzionale in
questione puo' arrivare a toccare somme ingenti. Basti, a mero titolo
di  esempio,  notare  che  il  ricorso avverso la constatazione della
violazione   all'art. 179,   comma  2-bis,  C.d.S.,  ultimo  periodo,
comporterebbe  la  «cauzione»  di  Euro  3.200,  pari  alla meta' del
massimo  edittale di Euro 6400, mentre il pagamento in misura ridotta
della relativa sanzione andrebbe fissato in Euro 800.
    La  somma  richiesta  a  titolo di cauzione, a ben vedere, appare
addirittura sovrabbondante rispetto alla sanzione che potrebbe essere
determinata  dal  libero convincimento del Giudice, ove si consideri,
ulteriormente,  che  ex  comma 5., in caso di rigetto del ricorso, il
Giudice  di  pace,  nella determinazione dell'importo della sanzione,
assegna,  con sentenza immediatamente eseguibile, all'amministrazione
cui   appartiene   l'organo   accertatore,   la   somma  determinata,
autorizzandone  il prelievo dalla cauzione prestata dal ricorrente in
caso  di  sua capienza; ... omissis ... La eventuale somma residua e'
restituita al ricorrente».
    Appare  da  cio'  evidente  che,  ove  si  ritenesse il novellato
art. 204-bis  del decreto legislativo 30 aprile 1992 n. 285, conforme
al  dettato  costituzionale, si sarebbe costretti ad affermare che la
diversa (e potenzialmente discriminante) posizione che il legislatore
ha  riservato  a  cittadino  e  pubblica amministrazione, oltre che a
cittadino abbiente e cittadino non abbiente, non violi di fatto alcun
precetto costituzionale.
    Del  tutto  evidente, alla luce di quanto sopra, come il disposto
che  si  paventa  incostituzionale si presti a tale censura in quanto
l'art  3  della  Costituzione  della  Repubblica italiana prevede che
compito  della  Repubblica e' rimuovere, non gia' creare, ostacoli di
ordine  economico  e  sociale  che,  limitando di fatto la liberta' e
l'uguaglianza  dei  cittadini,  impediscano  il  pieno sviluppo della
persona umana.
    Peraltro,  il disposto della cui costituzionalita' si dubita lede
altresi'  l'art. 2 della Costituzione che sancisce il valore assoluto
della   persona   umana,  frustrando  uno  dei  diritti  fondamentali
dell'individuo.
    Violazione dell'art. 24 della Costituzione.
    La  norma  in  questione,  nell'imporre  al  cittadino che voglia
ricorrere  in  sede  giurisdizionale  nel  confronti di un verbale di
contravvenzione al novellato Codice della strada una cauzione, appare
altresi' in contrasto, a parere di questo Giudice, con l'art 24 della
Costituzione.  Difatti,  l'art. 24,  assicura ai non abbienti i mezzi
per  agire  e  difendersi  dinnanzi  ad  ogni  giurisdizione,  mentre
l'art. 204-bis del nuovo C.d.S. va in direzione del tutto opposta. Si
consideri,  altresi',  il  fatto  che prima della «riforma» di cui si
discute  il  ricorso  al  Giudice  di  pace era del tutto gratuito in
siffatta  materia, ed il cittadino era ammesso a stare in giudizio da
solo, non essendo obbligatoria Ia difesa tecnica.
    Non  vi  e' dubbio che, a seguito dell'imposizione della cauzione
che, a ben vedere altro non e' che una vera e propria nuova tassa sui
ricorsi giurisdizionali, il sistema e' totalmente cambiato, ponendosi
in netto contrasto con il dettato costituzionale.
    Ne'  vale  l'obiezione  che  il  ricorso  al Prefetto continua ad
essere  gratuito, in quanto si tratta del ricorso gerarchico e non di
tutela giurisdizionale.
    Peraltro, si e' venuta a creare la paradossale situazione per cui
l'eventuale opposizione dinnanzi alla giurisdizione ordinaria avverso
l'ordinanza  ingiunzione  emessa  dal  Prefetto a seguito del mancato
pagamento  della  sanzione  successiva  al  rigetto  del ricorso, non
sarebbe soggetta ad alcuna cauzione.
    Questo,  giudicante  non  puo', altresi', non rammentare in primo
luogo a se stesso che la Corte costituzionale si e' gia' pronunciata,
sia pure in materia di cautio pro expensis, con sentenza n. 67 decisa
in  data  23 novembre 1960 e depositata il 29 novembre 1960, ad esito
di  pubblica  udienza,  dichiarando  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 98  c.p.c., con i parametri costituzionali ex artt. 3 e 24,
poiche' «dalla combinazione fra le norme contenute negli artt. 3 e 24
della  Costituzione,  si  deduce  che  il principio, secondo il quale
tutti  possono  agire  in giudizio per la tutela dei propri diritti e
interessi  legittimi e la difesa e' diritto inviolabile in ogni stato
del    procedimento,    deve    provare   applicazione   per   tutti,
indipendentemente  da  ogni  differenza  di  condizioni  personali  e
sociali.
    E'  chiaro come il principio secondo il quale tutti possono agire
in  giudizio  per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi
deve  trovare  attuazione  uguale per tutti indipendentemente da ogni
differenza  di  condizioni  personali  e  sociali. Ed e' pacifico che
l'art. 204-bis C.d.S. ricollega l'istituto alle condizioni economiche
dell'attore,  e  quindi  proprio  a  quelle  condizioni  soggettive e
personali  o sociali che l'art. 3 impone di considerare non influenti
ai fini della tutela della eguaglianza giuridica.
    Cio'   anche   tenuto   conto  delle  gravi  conseguenze  (legate
all'inibizione  dell'azione  in  caso  di  mancato  versamento  della
cauzione)  rispetto  all'esercizio dei diritti che l'art. 24 proclama
inviolabili,  nonche'  del  fatto  che  la  disparita' di trattamento
fondata  sulle condizioni economiche non e' necessariamente eliminata
dall'esclusione  dell'applicazione  dell'istituto nell'ipotesi in cui
l'attore  sia  ammesso  al beneficio dell'assistenza giudiziaria, tal
beneficio  essendo  subordinato  alla  dimostrazione  dello  stato di
poverta'.
    Ma  non  si  possono  neppure  ignorane  le  garanzie di cui agli
artt. 6 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo adottata
a  Roma  il  4 novembre 1950; resa esecutiva con legge 4 agosto 1955,
n. 848  ed entrata in vigore per l'Italia il 26 ottobre 1955. Laddove
l'art. 6,  par.  1,  garantisce  ad  ogni  persona un'equa e pubblica
udienza  entro  un  termine  ragionevole,  davanti  ad  un  tribunale
indipendente  ed  imparziale  costituito  per  legge,  al  fine della
determinazione  dei  suoi  diritti  e  doveri di carattere civile; e'
quello che viene solitamente chiamato il diritto ad un equo processo.
Elemento  essenziale  di  tale  garanzia  e'  il  diritto  di adire i
tribunali.
    Certo,  tale  diritto puo' esser oggetto di una regolamentazione,
purche'  questa  abbia  per  scopo  la  buona  amministrazione  della
giustizia;  l'accesso  ai tribunali deve pero essere effettivo, e non
reso illusorio da ostacoli di fatto o di diritto.
    Cio'  significa che, in determinati casi, il costo elevato di una
procedura,  sia  per  spese  giudiziali che per l'obbligo di prestare
cauzione   processuale,   puo'  costituire,  per  delle  persone  non
abbienti, un ostacolo che rende concretamente illusorio il diritto di
adire i tribunali.
    Ma allora come non esser perplessi innanzi all'art 204-bis d.lgs.
n. 285/1992  che  opera una discriminazione, nel porre una condizione
al  diritto  di  adire  i  tribunali,  fondata de facto proprio sulla
situazione economica dell'attore?
    Pare,  infine,  non  essenziale  rammentare anche che la legge 18
ottobre  1977, n. 793 recante Abolizione del deposito per soccombenza
nel  processo  civile  ha abrogato gli artt. 364, 381 e 651 c.p.c. in
limine  con  la  pronuncia di incostituzionalita'. L'assurdita' della
norma dell'art. 204-bis d.lgs. . 285/1992 e', per altro, ben evidente
atteso  che  nessun  procedimento giurisdizionale e' subordinato alla
cautio  iudicatum  solvi. Talche' neppure nel contenzioso tributario,
ove  in  caso del ricorso contro l'atto di accertamento, le imposte o
le   maggiori  imposte,  unitamente  ai  relativi  interessi  e  alle
sanzioni, sono - a cura dell'amministrazione finanziaria - iscritte a
ruolo  (c.d.  «riscossione a titolo provvisorio»), e' richiesto alcun
deposito al ricorrente a pena di inammissibilita'. Ne' questa rileva,
o  peggio  e'  rilevabile de plano (come nel caso che ci occupa), nel
caso   l'amministrazione  finanziaria  -  accogliendo  l'istanza  del
ricorrente - sospenda la predetta iscrizione ruolo.
    Violazione dell'art. 41 della Costituzione.
    Il  primo  comma  del  vigente  art. 2 del regio decreto-legge 10
marzo  1910,  n. 149, recita «Tutti i depositi di denaro, che secondo
le  disposizioni  vigenti  in  materia  civile e penale possono farsi
presso le cancellerie giudiziarie, compresi quelli per cauzione e per
spese giudiziarie, debbono essere eseguiti direttamente dalle parti o
dai loro procuratori nell'ufficio postale incaricato del servizio dei
depositi giudiziari».
    A   prescindere  da  considerazioni,  sulle  garanzie  di  libera
concorrenza  e  mercato  -  che  non  interessano in questa sede, pur
dovendsi  osservare  una  evidente  compressione  per  lo  meno della
liberta'   del   ricorrente   di   utilizzare  un  istituto  bancario
(addirittura   quello   di  propria  fiducia,  che,  parafrasando  la
circolare n. 53 del 13 agosto 2003 del Ministero della giustizia D.G.
Giustizia  civile  e'  certo  un  «organismo  abilitato  a ricevere e
gestire  il  deposito  al pari della S.p.a. Poste italiane - non puo'
non  rilevarsi  un  palese  contrasto innanzitutto con la liberta' di
iniziativa  economica,  laddove  viene  disposto l'esclusivo utilizzo
dell'Ente  Poste,  attesa la privatizzazione del servizio postale con
la  trasformazione  dal 28 febbraio 1998 dell'Ente pubblico economico
Poste   -  come  precedentemente  configurato,  e  come  erroneamente
denominato nella predetta circ. 53/2003 del Ministero della giustizia
-   in   «azienda   Poste   italiane   S.p.a.»,   come  dalla  stessa
pubblicizzato, con una missione di natura decisamente privatistica.
    Da  cio' la evidente incostituzionalita' del combinato esposto di
cui  agli  artt. 2  e  4  del  regio  decreto-legge n. 149/1910 e del
novellato art. 204-bis d.lgs. n. 285/1992.
    Violazione degli artt. 111, 113 della Costituzione.
    Per  quanto  sopra  riportato,  l'imposizione  della  piu'  volte
richiamata   cauzione   di   cui   all'art. 204-bis   C.d.S.  citato,
costituisce  ostacolo  ovvero  limitazione,  almeno nei confronti dei
cittadini meno abbienti, della tutela giurisdizionale.
    E  cio'  e'  in  aperto  e  palese contrasto con il secondo comma
dell'art 113 della Carta costituzionale.
    Neppure puo' essere ignorato il principio contenutistico espresso
da ultimo a seguito dell'entrata in vigore della legge costituzionale
n. 2/1999  la  quale, introducendo nella Carta costituzionale il c.d.
«giusto  processo» ha stabilito che ogni procedimento giurisdizionale
deve  svolgersi  nel  contraddittorio  delle  parti  in condizioni di
parita'...;  orbene, il novellato art. 204-bis impone al cittadino, a
fronte  di  una  pretesa  amministrativa  unilaterale, di versare una
somma  al  solo  fine  di richiedere giustizia (pur volendo ritenere,
cosi'  come  la  norma  gli  consente,  che  egli  possa  in concreto
difendersi  in  proprio  senza  l'ausilio  di  assistenza tecnica del
difensore),  mentre  -  sempre nell'ambito del neo-istituito testo di
modifica  al C.d.S. si legge, all'art. 1-octies, che ... il Prefetto,
legittimato  passivo  nel  giudizio  di opposizione, puo' delegare la
tutela  giudiziaria  all'amministrazione  a  cui  appartiene l'organo
accertatore...  Ne  deriva  che  in concreto le parti processuali non
sono  effettivamente  poste su un piano di parita', cosi' come impone
il dettato costituzionale.
    Si ritiene, quindi, la non manifesta infondatezza della questione
di  legittimita'  costituzionale  e la rilevanza nel procedimento che
non  puo'  essere  deciso  indipendentemente  dalla risoluzione della
predetta  questione,  per la quale appare necessario adire il Giudice
delle leggi.
                              P. Q. M.
    Il Giudice di pace di Carinola, visti gli artt. 1 legge n. 1/1948
e  23 legge n. 87/1953, nonche' l'art. 134 Cost. accoglie l'eccezione
di  illegittimita'  costituzionale  avanzata  da  parte  ricorrente e
dichiara  non  manifestamente  infondata  e  rilevante  ai  fini  del
giudizio     la     questione    di    legittimita'    costituzionale
dell'art. 204-bis  del  decreto  legislativo  30 aprile 1992, n. 285,
introdotto  dalla  legge 1° agosto 2003, n. 214, che ha convertito in
legge,  con  modificazioni,  il decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151,
nei  sensi  di  cui in motivazione, per contrasto con gli artt. 2, 3,
24,  41,  111 e 113 della Costituzione nella parte in cui prevede che
all'atto  del deposito del ricorso il ricorrente debba versare presso
la  cancelleria  del  Giudice di pace, a pena di inammissibilita' del
ricorso  stesso, una somma pari alla meta' del massimo edittale della
sanzione inflitta dall'organo accertatore;
    Sospende  il presente giudizio, n. 1270-03 del Ruolo generale per
gli affari contenziosi dell'anno 2003;
    Sospende,  conseguentemente, l'efficacia esecutiva della sanzione
irrogata al ricorrente;
    Ordina   la   immediata   trasmissione   degli  atti  alla  Corte
costituzionale;
    Dispone   che  copia  della  presente  ordinanza,  a  cura  della
cancelleria, sia notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio
dei ministri e comunicata ai Presidenti del Senato e della Camera.
        Carinola, addi' 13 novembre 2003
                     Il Giudice di pace: Tudino
03C0061