N. 1160 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 novembre 2003
Ordinanza emessa il 13 novembre 2003 dal giudice di pace di Carinola nel procedimento civile vertente tra Gentile Adele e Comune di Francolise Circolazione stradale - Infrazioni al codice della strada - Ricorso al giudice di pace - Proponibilita' in alternativa al ricorso al Prefetto - Onere per il ricorrente di versare presso la cancelleria una somma pari alla meta' del massimo edittale della sanzione inflitta dall'organo accertatore - Discriminazione tra cittadino e Pubblica Amministrazione, nonche' tra cittadini abbienti e non abbienti - Contrasto con il dovere della Repubblica di rimuovere gli ostacoli economico-sociali limitativi della liberta' e dell'uguaglianza - Incidenza su diritti inviolabili - Compressione della tutela giurisdizionale e del diritto dei non abbienti di agire e difendersi in giudizio - Contrasto con la liberta' di iniziativa economica - Violazione dei principi del giusto processo e della parita' delle parti nel contraddittorio. - Codice della strada (decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285), art. 204-bis [comma 3], introdotto dall'art. 4, comma 1-septies, del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151, convertito con modifiche nella legge 1° agosto 2003, n. 214. - Costituzione, artt. 2, 3, 24, 41, 111 e 113; Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo (resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848), artt. 6 e 14.(GU n.3 del 21-1-2004 )
IL GIUDICE DI PACE Ha emesso la seguente ordinanza nella causa civile iscritta in epigrafe. Oggetto: articolo 204-bis Codice della strada - Cauzione a pena di inammissibilita' - Illegittimita' costituzionale, nella causa avente ad oggetto «opposizione ad ingiunzione amministrativa» ex artt. 22, 23 legge 689-81 tra Gentile Adele elettivamente domiciliata presso lo studio dell'avv. Giovanni Morcone, opponente; Comune di Francolise in persona del sindaco pro-tempore - opposta. Premesso in fatto Che in data 27 aprile 2003, alle ore 10,46 l'agente Riccardi Giovanni, effettivo in servizio presso la polizia municipale di Francolise, accertava n verbale n. 987-03, a mezzo di strumentazione elettronica «autovelox» che la autovettura Hyundai Atos targata BJ220VS, con a bordo conducente inidentificato, aveva violato la norma del Codice della strada di cui all'art. 142, commi 1 e 8 perche' il conducente del veicolo sopra indicato, circolava ad una velocita' di km 74, ridotti a 69 ... eccedendo di km 19 il limite imposto di 50 km all'ora. L'agente Riccardi non risulta aver ritenuto di contestare immediatamente la violazione, essendo per altro espressamente specificato «Nulla» nello spazio riservato alle dichiarazioni del trasgressore. Si precisa, infine, che tra le modalita' del ricorso viene indicata - nel modello prestampato in uso - la facolta' di adire «entro 60 giorni dalla constatazione ... il Giudice di pace di Carinola» ai fini del rimedio pevisto ex artt. 22, 23 legge n. 689/1981 ed art. 204 C.d.S. In data 5 settembre 2003 la sig.ra Gentile Adele, con rituale deposito in cancelleria del ricorso a firma del procuratore avv. Morcone, proponeva opposizione avverso il verbale di accertamento deducendo vizi formali e sostanziali del p.v. di contravvenzione come notificato. Si osserva in diritto che per il caso di specie la sanzione, pur accertata anteriormente all'entrata in vigore della Novella al C.d.S., ricade pur tuttavia nell'ambito applicativo di cui al decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 recante «modifiche ed integrazioni al Codice della strada» (G.U. n. 149 del 30 giugno 2003, convertito in legge, con modifiche in data, 1° agosto 2003) che all'art. 204-bis testualmente recita al comma 3 «all'atto del deposito del ricorso il ricorrente deve versare presso la cancelleria del Giudice di pace, a pena di inammissibilita' del ricorso, una somma pari alla meta' del massimo edittale della sanzione inflitta dall'organo accertatore... detta somma, in caso di accoglimento del ricorso, e' restituita al ricorrente». La previsione letterale ex comma 3 del neo-introdotto art. 204-bis decreto legislativo n. 258/1992, parrebbe, pero' in evidente contrasto con il vigente art. 4 del regio decreto legge 10 marzo 1910, n. 149 «... i cancellieri non possono ricevere dalle parti o dai loro procuratori alcuna somma in denaro per qualsiasi titolo. Contravvenendo a questa disposizione, sono assoggettati alle pene disciplinari stabilite dalla legge suIl'ordinamento giudiziario». Sul punto e intervenuto il Ministero della giustizia - Dipartimento per gli affari di giustizia - Direzione generale della giustizia civile, con circolare n. 53 del 13 agosto 2003 puntualizzando che «poiche', ai sensi dell'art. 4 del regio decreto 10 marzo 1910, n. 149, tutt'ora in vigore, le cancellerie non possono in alcun modo ricevere versamenti in denaro, e' evidente che la formulazione letterale del testo ("deve versare presso la cancelleria ... una somma...") deve necessariamente essere interpretata alla luce della vigente normativa, individuando modalita' alternative di versamento presso altri organismi abilitati a ricevere e gestire il deposito. Considerate anche le diverse fasi conseguenti al versamento della cauzione, previste dalla nuova formulazione dell'articolo, questa direzione generale ritiene che lo strumento piu' idoneo per la gestione dell'importo versato, sia il libretto di deposito giudiziario aperto presso l'Ente Poste. Tale strumento, infatti, oltre ad assicurare all'utenza uniformita' da parte degli uffici, presenti sul territorio, ha il pregio della gratuita', senza penalizzare il ricorrente relativamente agli interessi, in quanto anche quello postale e' ormai deposito fruttifero. Tale strumento e' peraltro individuato anche dall'art. 2 del citato regio decreto 149/1910, ("tutti i depositi in denaro che, secondo le disposizioni vigenti in materia civile e penale possono farsi presso le cancellerie giudiziarie, compresi quelli per cauzione e per spese giudiziarie, debbono essere eseguiti direttamente dalle parti o dai loro procuratori nell'ufficio postale incaricato")». Tutto cio' premesso, esaminati gli atti, questo Giudice preliminarmente rileva come il predetto ricorso in opposizione a sanzione amministrativa sia stato depositato in cancelleria in data 5 settembre 2003 (pertanto nella vigenza della piu' recente normativa entrata in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione in G.U. il giorno 12 agosto 2003) senza il contestuale deposito giudiziario della somma da calcolarsi sulla meta' del massimo edittale previsto dall'art. 142, commi 1 e 8 C.d.S. Il ricorrente non ha, pertanto, adempiuto all'obbligo, previsto all'art. 204-bis del novellato d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, a pena di inammissibilita' del ricorso, del versamento presso la cancelleria del Giudice di pace, di una somma pari alla meta' del massimo edittale della sanzione inflitta dall'organo accertatore. In sede di udienza di discussione questo giudicante invitava pertanto il procuratore dell'opponente a provvedere al necessario deposito e quest'ultimo, all'esito di tale invito, formulava in via del tutto preliminare, eccezione di illegittimita' costituzionale del predetto art. 204-bis quanto all'aspetto del necessario deposito di cauzione, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 113 della Carta costituzionale. Questo Giudice ritiene che i rilievi oralmente formulati dal procuratore dell'opponente non siano manifestamente infondati quanto ad un dubbio di Costituzionalita' del predetto istituto della cauzione cosi' come istituito e, pertanto, in via incidentale, rileva questione di legittimita' costituzionale, come segue. Sulla rilevanza della questione. Nel caso di specie il collegamento giuridico, e non gia' di mero fatto, tra la res iudicanda e la norma di legge ritenuta in contrasto con il dettato costituzionale, e ictu oculi rilevante ai fini processuali, atteso il rapporto di strumentalita' necessaria fra la risoluzione della questione e la decisione del giudizio principale. Infatti, ove si ritenesse l'art. 204-bis del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, introdotto dalla legge 1° agosto 2003, n. 214 che ha convertito in legge, con modificazioni, il decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 conforme a Costituzione, il ricorso andrebbe dichiarato inammissibile de plano senza previa fissazione dell'udienza di discussione con convocazione delle parti (ma solo con la semplice comunicazione alle stesse della decisione). Viceversa, ove si paventi - come nel caso di specie - un dubbio di costituzionalita' della predetta norma, e' ovvio che la valutazione preliminare debba investire il giudizio della Corte costituzionale all'esito della cui decisione, dipendera' poi la possibilita' di affrontare nel merito i punti di doglianza rappresentati in sede di ricorso. Sulla non manifesta infondatezza. Violazione degli artt. 2 e 3 Cost. La norma in questione, disponendo il versamento di una somma pari alla meta' del massimo edittale della disposizione di legge che si ritiene violata, somma che risulta essere addirittura in alcuni casi pari al quadruplo di quella che consentirebbe di definire la pendenza mediante il pagamento in misura ridotta, discrimina evidentemente i cittadini, consentendo solo a quelli abbienti di ricorrere alla giurisdizione civile, ed impedendolo, di fatto, a quelli che abbienti non sono. Si consideri, difatti, che il cosiddetto deposito cauzionale in questione puo' arrivare a toccare somme ingenti. Basti, a mero titolo di esempio, notare che il ricorso avverso la constatazione della violazione all'art. 179, comma 2-bis, C.d.S., ultimo periodo, comporterebbe la «cauzione» di Euro 3.200, pari alla meta' del massimo edittale di Euro 6400, mentre il pagamento in misura ridotta della relativa sanzione andrebbe fissato in Euro 800. La somma richiesta a titolo di cauzione, a ben vedere, appare addirittura sovrabbondante rispetto alla sanzione che potrebbe essere determinata dal libero convincimento del Giudice, ove si consideri, ulteriormente, che ex comma 5., in caso di rigetto del ricorso, il Giudice di pace, nella determinazione dell'importo della sanzione, assegna, con sentenza immediatamente eseguibile, all'amministrazione cui appartiene l'organo accertatore, la somma determinata, autorizzandone il prelievo dalla cauzione prestata dal ricorrente in caso di sua capienza; ... omissis ... La eventuale somma residua e' restituita al ricorrente». Appare da cio' evidente che, ove si ritenesse il novellato art. 204-bis del decreto legislativo 30 aprile 1992 n. 285, conforme al dettato costituzionale, si sarebbe costretti ad affermare che la diversa (e potenzialmente discriminante) posizione che il legislatore ha riservato a cittadino e pubblica amministrazione, oltre che a cittadino abbiente e cittadino non abbiente, non violi di fatto alcun precetto costituzionale. Del tutto evidente, alla luce di quanto sopra, come il disposto che si paventa incostituzionale si presti a tale censura in quanto l'art 3 della Costituzione della Repubblica italiana prevede che compito della Repubblica e' rimuovere, non gia' creare, ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la liberta' e l'uguaglianza dei cittadini, impediscano il pieno sviluppo della persona umana. Peraltro, il disposto della cui costituzionalita' si dubita lede altresi' l'art. 2 della Costituzione che sancisce il valore assoluto della persona umana, frustrando uno dei diritti fondamentali dell'individuo. Violazione dell'art. 24 della Costituzione. La norma in questione, nell'imporre al cittadino che voglia ricorrere in sede giurisdizionale nel confronti di un verbale di contravvenzione al novellato Codice della strada una cauzione, appare altresi' in contrasto, a parere di questo Giudice, con l'art 24 della Costituzione. Difatti, l'art. 24, assicura ai non abbienti i mezzi per agire e difendersi dinnanzi ad ogni giurisdizione, mentre l'art. 204-bis del nuovo C.d.S. va in direzione del tutto opposta. Si consideri, altresi', il fatto che prima della «riforma» di cui si discute il ricorso al Giudice di pace era del tutto gratuito in siffatta materia, ed il cittadino era ammesso a stare in giudizio da solo, non essendo obbligatoria Ia difesa tecnica. Non vi e' dubbio che, a seguito dell'imposizione della cauzione che, a ben vedere altro non e' che una vera e propria nuova tassa sui ricorsi giurisdizionali, il sistema e' totalmente cambiato, ponendosi in netto contrasto con il dettato costituzionale. Ne' vale l'obiezione che il ricorso al Prefetto continua ad essere gratuito, in quanto si tratta del ricorso gerarchico e non di tutela giurisdizionale. Peraltro, si e' venuta a creare la paradossale situazione per cui l'eventuale opposizione dinnanzi alla giurisdizione ordinaria avverso l'ordinanza ingiunzione emessa dal Prefetto a seguito del mancato pagamento della sanzione successiva al rigetto del ricorso, non sarebbe soggetta ad alcuna cauzione. Questo, giudicante non puo', altresi', non rammentare in primo luogo a se stesso che la Corte costituzionale si e' gia' pronunciata, sia pure in materia di cautio pro expensis, con sentenza n. 67 decisa in data 23 novembre 1960 e depositata il 29 novembre 1960, ad esito di pubblica udienza, dichiarando l'illegittimita' costituzionale dell'art. 98 c.p.c., con i parametri costituzionali ex artt. 3 e 24, poiche' «dalla combinazione fra le norme contenute negli artt. 3 e 24 della Costituzione, si deduce che il principio, secondo il quale tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi e la difesa e' diritto inviolabile in ogni stato del procedimento, deve provare applicazione per tutti, indipendentemente da ogni differenza di condizioni personali e sociali. E' chiaro come il principio secondo il quale tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi deve trovare attuazione uguale per tutti indipendentemente da ogni differenza di condizioni personali e sociali. Ed e' pacifico che l'art. 204-bis C.d.S. ricollega l'istituto alle condizioni economiche dell'attore, e quindi proprio a quelle condizioni soggettive e personali o sociali che l'art. 3 impone di considerare non influenti ai fini della tutela della eguaglianza giuridica. Cio' anche tenuto conto delle gravi conseguenze (legate all'inibizione dell'azione in caso di mancato versamento della cauzione) rispetto all'esercizio dei diritti che l'art. 24 proclama inviolabili, nonche' del fatto che la disparita' di trattamento fondata sulle condizioni economiche non e' necessariamente eliminata dall'esclusione dell'applicazione dell'istituto nell'ipotesi in cui l'attore sia ammesso al beneficio dell'assistenza giudiziaria, tal beneficio essendo subordinato alla dimostrazione dello stato di poverta'. Ma non si possono neppure ignorane le garanzie di cui agli artt. 6 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo adottata a Roma il 4 novembre 1950; resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 ed entrata in vigore per l'Italia il 26 ottobre 1955. Laddove l'art. 6, par. 1, garantisce ad ogni persona un'equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole, davanti ad un tribunale indipendente ed imparziale costituito per legge, al fine della determinazione dei suoi diritti e doveri di carattere civile; e' quello che viene solitamente chiamato il diritto ad un equo processo. Elemento essenziale di tale garanzia e' il diritto di adire i tribunali. Certo, tale diritto puo' esser oggetto di una regolamentazione, purche' questa abbia per scopo la buona amministrazione della giustizia; l'accesso ai tribunali deve pero essere effettivo, e non reso illusorio da ostacoli di fatto o di diritto. Cio' significa che, in determinati casi, il costo elevato di una procedura, sia per spese giudiziali che per l'obbligo di prestare cauzione processuale, puo' costituire, per delle persone non abbienti, un ostacolo che rende concretamente illusorio il diritto di adire i tribunali. Ma allora come non esser perplessi innanzi all'art 204-bis d.lgs. n. 285/1992 che opera una discriminazione, nel porre una condizione al diritto di adire i tribunali, fondata de facto proprio sulla situazione economica dell'attore? Pare, infine, non essenziale rammentare anche che la legge 18 ottobre 1977, n. 793 recante Abolizione del deposito per soccombenza nel processo civile ha abrogato gli artt. 364, 381 e 651 c.p.c. in limine con la pronuncia di incostituzionalita'. L'assurdita' della norma dell'art. 204-bis d.lgs. . 285/1992 e', per altro, ben evidente atteso che nessun procedimento giurisdizionale e' subordinato alla cautio iudicatum solvi. Talche' neppure nel contenzioso tributario, ove in caso del ricorso contro l'atto di accertamento, le imposte o le maggiori imposte, unitamente ai relativi interessi e alle sanzioni, sono - a cura dell'amministrazione finanziaria - iscritte a ruolo (c.d. «riscossione a titolo provvisorio»), e' richiesto alcun deposito al ricorrente a pena di inammissibilita'. Ne' questa rileva, o peggio e' rilevabile de plano (come nel caso che ci occupa), nel caso l'amministrazione finanziaria - accogliendo l'istanza del ricorrente - sospenda la predetta iscrizione ruolo. Violazione dell'art. 41 della Costituzione. Il primo comma del vigente art. 2 del regio decreto-legge 10 marzo 1910, n. 149, recita «Tutti i depositi di denaro, che secondo le disposizioni vigenti in materia civile e penale possono farsi presso le cancellerie giudiziarie, compresi quelli per cauzione e per spese giudiziarie, debbono essere eseguiti direttamente dalle parti o dai loro procuratori nell'ufficio postale incaricato del servizio dei depositi giudiziari». A prescindere da considerazioni, sulle garanzie di libera concorrenza e mercato - che non interessano in questa sede, pur dovendsi osservare una evidente compressione per lo meno della liberta' del ricorrente di utilizzare un istituto bancario (addirittura quello di propria fiducia, che, parafrasando la circolare n. 53 del 13 agosto 2003 del Ministero della giustizia D.G. Giustizia civile e' certo un «organismo abilitato a ricevere e gestire il deposito al pari della S.p.a. Poste italiane - non puo' non rilevarsi un palese contrasto innanzitutto con la liberta' di iniziativa economica, laddove viene disposto l'esclusivo utilizzo dell'Ente Poste, attesa la privatizzazione del servizio postale con la trasformazione dal 28 febbraio 1998 dell'Ente pubblico economico Poste - come precedentemente configurato, e come erroneamente denominato nella predetta circ. 53/2003 del Ministero della giustizia - in «azienda Poste italiane S.p.a.», come dalla stessa pubblicizzato, con una missione di natura decisamente privatistica. Da cio' la evidente incostituzionalita' del combinato esposto di cui agli artt. 2 e 4 del regio decreto-legge n. 149/1910 e del novellato art. 204-bis d.lgs. n. 285/1992. Violazione degli artt. 111, 113 della Costituzione. Per quanto sopra riportato, l'imposizione della piu' volte richiamata cauzione di cui all'art. 204-bis C.d.S. citato, costituisce ostacolo ovvero limitazione, almeno nei confronti dei cittadini meno abbienti, della tutela giurisdizionale. E cio' e' in aperto e palese contrasto con il secondo comma dell'art 113 della Carta costituzionale. Neppure puo' essere ignorato il principio contenutistico espresso da ultimo a seguito dell'entrata in vigore della legge costituzionale n. 2/1999 la quale, introducendo nella Carta costituzionale il c.d. «giusto processo» ha stabilito che ogni procedimento giurisdizionale deve svolgersi nel contraddittorio delle parti in condizioni di parita'...; orbene, il novellato art. 204-bis impone al cittadino, a fronte di una pretesa amministrativa unilaterale, di versare una somma al solo fine di richiedere giustizia (pur volendo ritenere, cosi' come la norma gli consente, che egli possa in concreto difendersi in proprio senza l'ausilio di assistenza tecnica del difensore), mentre - sempre nell'ambito del neo-istituito testo di modifica al C.d.S. si legge, all'art. 1-octies, che ... il Prefetto, legittimato passivo nel giudizio di opposizione, puo' delegare la tutela giudiziaria all'amministrazione a cui appartiene l'organo accertatore... Ne deriva che in concreto le parti processuali non sono effettivamente poste su un piano di parita', cosi' come impone il dettato costituzionale. Si ritiene, quindi, la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale e la rilevanza nel procedimento che non puo' essere deciso indipendentemente dalla risoluzione della predetta questione, per la quale appare necessario adire il Giudice delle leggi.
P. Q. M. Il Giudice di pace di Carinola, visti gli artt. 1 legge n. 1/1948 e 23 legge n. 87/1953, nonche' l'art. 134 Cost. accoglie l'eccezione di illegittimita' costituzionale avanzata da parte ricorrente e dichiara non manifestamente infondata e rilevante ai fini del giudizio la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 204-bis del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, introdotto dalla legge 1° agosto 2003, n. 214, che ha convertito in legge, con modificazioni, il decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151, nei sensi di cui in motivazione, per contrasto con gli artt. 2, 3, 24, 41, 111 e 113 della Costituzione nella parte in cui prevede che all'atto del deposito del ricorso il ricorrente debba versare presso la cancelleria del Giudice di pace, a pena di inammissibilita' del ricorso stesso, una somma pari alla meta' del massimo edittale della sanzione inflitta dall'organo accertatore; Sospende il presente giudizio, n. 1270-03 del Ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2003; Sospende, conseguentemente, l'efficacia esecutiva della sanzione irrogata al ricorrente; Ordina la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che copia della presente ordinanza, a cura della cancelleria, sia notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti del Senato e della Camera. Carinola, addi' 13 novembre 2003 Il Giudice di pace: Tudino 03C0061