N. 90 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 5 dicembre 2003
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 5 dicembre 2003 (del Presidente della giunta della Regione Basilicata) Edilizia e urbanistica - Condono edilizio - Condono per le opere abusive ultimate entro il 31 marzo 2003 - Previsione e disciplina - Ricorso della Regione Basilicata - Denunciata lesione delle competenze regionali legislative concorrenti in materia di governo del territorio - Compromissione degli interessi finanziari regionali - Inidoneita' della disciplina del condono, per il suo carattere eccezionale, a configurarsi come insieme di principi fondamentali in materia - Contrasto con i principi di ragionevolezza, di eguaglianza, di buon andamento amministrativo e di tutela ambientale - Richiamo alla sentenza n. 416/1995 della Corte costituzionale. - Decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n. 326), art. 32. - Costituzione, artt. 2, 3, 97, 117, comma terzo, e 119. Edilizia e urbanistica - Condono edilizio - Condono per le opere abusive ultimate entro il 31 marzo 2003 - Opere costruite su aree sottoposte a vincolo - Possibilita' che l'acquisizione del parere delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo avvenga mediante la conferenza dei servizi - Preclusione del rilascio del titolo in caso di motivato dissenso delle amministrazioni partecipanti, ivi inclusa la Sovrintendenza competente - Ricorso della Regione Basilicata - Denunciata attribuzione alla Sovrintendenza, oltre che di un potere di annullamento per motivi di legittimita', anche di una competenza di merito - Violazione delle competenze regionali in materia - Richiamo alla sentenza n. 302/1988 della Corte costituzionale. - Decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n. 326), art. 32, comma 43, sostitutivo dell'art. 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47; [Costituzione, art. 117]. Edilizia e urbanistica - Condono edilizio - Condono per le opere abusive ultimate entro il 31 marzo 2003 - Carattere dettagliato della disciplina - Ricorso della Regione Basilicata - Denunciata incidenza sulla politica di programmazione, di pianificazione e di tutela del territorio della Regione - Violazione del principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni. - Decreto legge 30 settembre 2003, n. 269 (convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n. 326) art. 32. - Costituzione, art. 120.(GU n.3 del 21-1-2004 )
Ricorso del presidente della giunta della Regione Basilicata, on. dott. Filippo Bubbico, rappresentato e difeso, in virtu' di procura a margine del presente atto, giusta delibera di giunta regionale n. 2201 del 28 novembre 2003 dal prof. avv. Angelo Piazza e dall'avv. Maria Carmela Santoro e domiciliato presso lo studio del primo in Roma alla piazza di Spagna n. 35; Nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale ai sensi dell'art. 127 Cost.: del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, recante «Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e la correzione dell'andamento dei conti pubblici» pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 229 del 2 ottobre 2003 supplemento ordinario n. 157, relativamente all'art. 32 («Misure per la riqualificazione urbanistica, ambientale e paesaggistica, per l'incentivazione dell'attivita' di repressione dell'abusivismo edilizio, nonche' per la definizione degli illeciti edilizi e delle occupazione di aree demaniali»); della legge di conversione n. 326 del 24 novembre 2003 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 274 del 25 novembre 2003 - supplemento ordinario n. 181), relativamente all'art. 32. Il decreto-legge del 30 settembre 2003, n. 269 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 229 del 2 ottobre 2003 - supplemento ordinario n. 157/L), e la legge di conversione del 24 novembre 2003, n. 326 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 25 novembre 2003 - supplemento ordinario n. 181), recanti disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici, all'art. 32 formulano una complessa normativa «per la riqualificazione urbanistica, ambientale e paesaggistica, per l'incentivazione dell'attivita' di repressione dell'abusivismo edilizio, nonche' per la definizione degli illeciti edilizi e delle occupazioni di aree demaniali». Tale specifica norma, sia nella formulazione originaria del decreto-legge sia in quella definitiva a seguito della conversione in legge, si pone in contrasto con principi e norme costituzionali. 1. - La normativa censurata viola innanzitutto le competenze legislative regionali concorrenti in materia di governo del territorio stabilite dall'art. 117, terzo comma, della Costituzione e conseguentemente lede anche gli interessi finanziari della stessa, con violazione dell'art. 119 della Costituzione. Infatti il decreto-legge n. 269 del 2 ottobre 2003 prevede e disciplina il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria delle opere esistenti, ultimate entro il 31 marzo 2003, non conformi alla disciplina vigente e stabilisce l'applicazione delle disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e dell'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, alle opere abusive sanabili. L'intervento statale relativo al condono edilizio viene a sovrapporsi in questo modo, per gli aspetti amministrativi legati al condono-sanatoria, alla legislazione regionale, la quale e' l'unica legittimata dalla Costituzione a disciplinare compiutamente la materia edilizia. Sul punto si richiama la recente sentenza 1° ottobre 2003 della Corte costituzionale, in base alla quale: «La materia dei titoli abilitativi ad edificare appartiene storicamente all'urbanistica che, in base all'art. 117 Cost., nel testo previgente, formava oggetto di competenza concorrente. La parola "urbanistica" non compare nel nuovo testo dell'art. 117, ma cio' non autorizza a ritenere che la relativa materia non sia piu' ricompresa nell'elenco del terzo comma: essa fa parte del "governo del territorio". Se si considera che altre materie o funzioni di competenza concorrente, quali porti e aeroporti civili, grandi reti di trasporto e di navigazione, produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia, sono specificamente individuati nello stesso terzo comma dell'art. 117 Cost. e non rientrano quindi nel "governo del territorio", appare del tutto implausibile che dalla competenza statale di principio su questa materia siano stati estromessi aspetti cosi' rilevanti, quali quelli connessi all'urbanistica, e che il "governo del territorio" sia stato ridotto a poco piu' di un guscio vuoto. ... Giova premettere che i principiª della legislazione statale in materia di titoli abilitativi per gli interventi edilizi non sono rimasti, nel tempo, immutati, ma hanno subito sensibili evoluzioni. Dal generale e indifferenziato onere della concessione edilizia (legge n. 10 del 1977) si e' passati all'autorizzazione per gli interventi di manutenzione straordinaria e fra questi al silenzio-assenso quando non siano coinvolti edifici soggetti a disciplina vincolistica (legge n. 457 del 1978). Il silenzio-assenso e' stato successivamente ampliato ed esteso e fatto oggetto di specifiche previsioni procedurali (legge n. 94 del 1982, che ha convertito il decreto-legge n. 9 del 1982). Alle Regioni e' stato poi attribuito (legge n. 47 del 1985) il potere di semplificare le procedure ed accelerare l'esame delle domande di concessione e di autorizzazione edilizia e di consentire, per le sole opere interne agli edifici l'asseverazione del rispetto delle norme di sicurezza e delle norme igienico-sanitarie vigenti, secondo un modello che, in qualche modo, anticipa l'istituto della denuncia di inizio attivita'. Ed ancora (decreto-legge n. 398 del 1993 convertito nella legge n. 493 del 1993) sono state nuovamente regolate le procedure per il rilascio della concessione edilizia, eliminando il silenzio-assenso e prevedendo in sua vece la nomina di un commissario regionale ad acta con il compito di adottare il provvedimento nei casi di inerzia del comune. Si e' giunti quindi alla disciplina sostanziale e procedurale della denuncia di inizio attivita' (DIA) per taluni enumerati interventi edilizi imponendo alle Regioni l'obbligo di adeguare la propria legislazione ai nuovi principi (legge n. 662 del 1996)». E' dunque lungo questa direttrice, in cui lo Stato ha mantenuto la disciplina dei titoli abilitativi come appartenente alla potesta' di dettare i principiª della materia, che avrebbero, se del caso, dovuto muoversi le disposizioni impugnate. Se si considerano l'edilizia e l'urbanistica come afferenti al «governo del territorio», e quindi incluse ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost., tra le materie a competenza concorrente, spetta esclusivamente alla Regione la competenza a legiferare e dettare disciplina di dettaglio, pur nel rispetto dei principi fondamentali contenuti nella legislazione dello Stato. E' evidente, invece, che la disciplina del condono contenuta nell'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003 non costituisce un insieme di principi fondamentali, in quanto, come affermato dalla stessa Corte costituzionale (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 177 del 1988), «non si possono considerare principi fondamentali le norme che non siano espressive di scelte politico-legislative fondamentali o quantomeno, di criteri o modalita' generali tali da costituire un saldo punto di riferimento costante nel tempo ed in grado di orientare l'esercizio del potere legislativo regionale». Non possono, quindi, considerarsi principi fondamentali, anche al di la' di una loro eventuale autoqualificazione, le norme che, come quelle contenute nell'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003 in materia di condono edilizio, sono sostanzialmente dotate di una forza autoapplicativa ed hanno una natura sostanzialmente eccezionale e derogatoria della disciplina vigente. Sulla questione si e' espresso con una recentissima ordinanza di rimessione della questione alla Corte costituzionale (la n. 27 del 20 novembre 2003) il TAR Emilia-Romagna - Sez. di Parma, rilevando chiaramente che «... come e' stato ben osservato anche dalla dottrina, con il condono lo Stato non detta principi generali (che sono a lui riservati) ma introduce un'eccezione, invadendo una competenza regionale, anche se ai primi commi dell'art. 32 il d.l. n. 269/2003 si preoccupa di dichiararle salve. Al riguardo ... le statuizioni condonistiche sono estremamente precise e dettagliate, e fissano in modo esaustivo ogni aspetto della materia, per cui il riferimento alla competenza regionale per il «rispetto delle condizioni dei limiti e delle modalita' del rilascio del titolo abilitativo sanante» non puo' che limitarsi di fatto, nonostante la ridondanza dell'espressione, che ad aspetti di semplice dettaglio del procedimento. Sembra pertanto che il legislatore statale abbia esorbitato dalla sua competenza che consiste nella semplice emanazione dei principi fondamentali, che non possono essere di dettaglio o addirittura regolamentari. Ne' puo' fondatamente affermarsi che nella specie si tratta di principi generali dell'ordinamento giuridico e di riforma fondamentale economico-sociale: si tratta invece soltanto di introduzione di un sistema moralmente discutibile per reperire subito e comunque risorse finanziarie». In conseguenza delle suddette violazioni, appare in tutta evidenza come le disposizioni finiscano per incidere sugli interessi finanziari della Regione, con sottrazione di risorse all'ambito regionale e locale, in vantaggio del bilancio dello Stato. Appare chiaro, infatti, che il venir meno dell'applicazione di sanzioni amministrative e la definitiva regolarizzazione di abusi finisce per creare le premesse per ulteriori interventi di riassetto del territorio con utilizzazione di risorse della Regione e degli enti locali, senza che sia previsto in modo esplicito la possibilita' di utilizzare le risorse derivanti dal pagamento degli oneri imposti per la regolarizzazione stessa. In altri termini, lo Stato incassa risorse finanziarie depauperando la Regione e gli enti locali e creando ulteriori dissesti territoriali le cui conseguenze in termini negativi si riverberano direttamente in capo a Regione ed enti locali. Non pare la strada migliore per la corretta applicazione dell'art. 119 della Costituzione. 2. - La normativa censurata viola inoltre i principi di eguaglianza, ragionevolezza, buona amministrazione e di tutela ambientale, articoli 2, 3, 117, terzo comma, e 97 della Costituzione. Il carattere della normativa sul condono e' sicuramente quello di norma del tutto eccezionale. In Italia il condono e' gia' stato varato due volte a distanza di circa otto anni, con la legge n. 47 del 1985 e con la legge n. 724 del 1994. Una ulteriore reiterazione di tale soluzione non trova giustificazione sul piano della ragionevolezza, come gia' affermato dalla Corte costituzionale (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 427 del 1995), in quanto finisce per vanificare del tutto le norme repressive di quei comportamenti ritenuti illegali in quanto contrastanti con la tutela del territorio. Vero e' che, come osservato della stessa Corte costituzionale (cfr. soprattutto le sentenze nn. 369/1988, 169/1994, 416/1995, 427/1995 e 256/1996), le norme sul condono prendono atto di una situazione di illegalita' di massa che si intende ricondurre, per esigenze di carattere economico-sociale e contemporaneamente per esigenze di bilancio che spingono a ricercare spasmodicamente pronte risorse finanziarie, nell'alveo del diritto, con attribuzione ad una fattispecie mediatrice (l'autodenuncia) dell'efficacia di estinzione dell'illiceita'; ma le stesse sentenze sottolineano che tale esercizio del potere di clemenza deve avere carattere di eccezionalita' e di chiusura di un'epoca, perche' in caso contrario non giustificherebbe il contrasto insito nella natura per cosi' dire premiale dell'abusivismo, con il comportamento della maggioranza dei cittadini onesti e osservanti la legge, con conseguente violazione dei principi di eguaglianza, di ragionevolezza e di buona amministrazione. Deve tenersi conto, inoltre, che una rottura del menzionato carattere eccezionale della misura condonistica attenuerebbe le remore della generalita' dei soggetti alla commissione di abusi, per la speranza, ed anzi per la certezza, che in un prossimo futuro tale misura sarebbe senz'altro riadottata e, per altro verso, comporterebbe nei pubblici poteri un senso di sfiducia, di inutilita' delle misure repressive e di inammissibile lassismo, a sua volta generatore di ulteriori illeciti urbanistico-edilizi. In particolare la Corte, con la sentenza n. 416 del 1995, non ha legittimato l'equazione fra carenza di controllo e nuova necessita' di condono, preannunciando sostanzialmente un eventuale giudizio di incostituzionalita' qualora in futuro fosse stata emanata una nuova legge al riguardo, soprattutto (come di fatto e' ora avvenuto) nella forma della mera riapertura dei termini precedentemente scaduti. Infatti, la Corte ha osservato che sarebbe stato inevitabile un giudizio negativo nel caso di altra reiterazione della norma sul condono, soprattutto con ulteriore e persistente spostamento dei termini temporali di riferimento del commesso abuso edilizio, anche perche' la gestione del territorio sarebbe stata certamente compromessa sul piano della ragionevolezza da una ciclica o ricorrente possibilita' di condono in sanatoria con conseguente convinzione di impunita'. In particolare la suddetta pronuncia sottolinea come: «... Ingiusto e discriminatorio sarebbe, altresi', il nuovo condono per il futuro, attesoche' esso tenderebbe a fuoriuscire dalla eccezionalita' e singolarita' che caratterizza il condono della legge n. 47 del 1985 ed a farsi sistema. Un sistema che precluderebbe l'applicazione anche in futuro delle sanzioni previste dalla legislazione urbanistica e che, scardinando con la sua reiterazione il sistema della legalita', violerebbe il principio di uguaglianza dei cittadini producendo, nel contempo, le condizioni per un ulteriore degrado ambientale e amministrativo. In proposito si richiama la sentenza n. 369 del 1988 di questa Corte, con la quale si afferma che «il condono puo' giustificarsi in circostanze eccezionali, quando il legislatore intenda imprimere un nuovo orientamento alla disciplina di una materia e sia percio' quasi "necessitato" nel cancellare il passato, ad incidere sulle sanzioni penali poste a rafforzamento di quelle extra-penali». Nulla di tutto questo sarebbe riscontrabile nel nuovo condono. Infatti se il condono della legge n. 47 del 1985 pote' considerarsi legittimo solo in quanto «eccezionale» e «singolare», cio' non potrebbe certo valere per il nuovo condono che contraddirebbe, senza mutare sul piano generale, i principi e i valori della normativa urbanistica, convertendosi in norma di in giustificato privilegio e insieme strumento di produzione di risorse statali sostitutive della imposizione fiscale, tale essendo secondo la ricorrente, il principio informatore stesso del condono edilizio. Ne deriverebbe la lesione dei principi costituzionali surricordati (artt. 3, 97 e 117 della Costituzione) nonche' la lesione dei principi fondamentali dello Stato di diritto. La gestione del territorio sulla base di una necessaria programmazione sarebbe certamente compromessa sul piano della ragionevolezza da una ciclica o ricorrente possibilita' di condono-sanatoria con conseguente convinzione di impunita', tanto piu' che l'abusivismo edilizio comporta effetti permanenti (qualora non segua la demolizione o la rimessa in pristino), di modo che il semplice pagamento di oblazione non restaura mai l'ordine giuridico violato, qualora non comporti la perdita del bene abusivo o del suo equivalente almeno approssimativo sul piano patrimoniale». Un'eccezione non puo' quindi risolversi in un principio. Inoltre, rilevante e' la considerazione - come sopra accennato - che il condono realizza un sistema ingiusto e discriminatorio proprio nei confronti dei cittadini rispettosi delle leggi, che si vedono privare di quei beni che anch'essi avrebbero potuto costruire violando le norme, e che dall'altro sarebbero costretti, soprattutto in mancanza delle specifiche situazioni di diritto soggettivo, esse sole salvaguardate dalla legislazione condonistica, a subire il degrado urbanistico prodotto dall'illegalita' edilizia, riemersa con ostentazione e legalizzata con rischio che in futuro si producano le condizioni per un ulteriore degrado. Infine, sembra indubbio che il condono (come nel caso qui in esame) introduce di fatto deroghe, e quindi limitate varianti, ai piani regolatori, sanando costruzioni del tutto contrarie alle disposizioni in essi contenuti, con invasione, anche sotto tale profilo, delle competenze al riguardo del legislatore regionale e degli enti locali, e creando conseguentemente un vulnus alla disciplina urbanistica dettata dalla Regione. 3. - Nel testo dell'art. 32 conseguente alla conversione vi e' una ulteriore innovazione, che, apparentemente, mira alla semplificazione, ma, nella sostanza, e' foriera di contenuti che vanno anche in questo caso contro l'indicazione della Corte costituzionale (sentenza n. 302 del 9-10 marzo 1988) sul riparto di competenze in materia paesistica. Si tratta del comma 43 che ha modificato l'art. 32 della legge n. 47 del 1985, di fatto stabilendo la possibilita' di pervenire alla formulazione dei pareri, fra cui quello paesistico, mediante la conferenza dei servizi. La disposizione stabilisce anche che in tal caso il motivato dissenso di una sola delle amministrazioni partecipanti, compresa la soprintendenza competente, preclude il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria. Si tratta di disposizione che innova in maniera inaspettata e contraddittoria. Finora era in vigore un assetto dei poteri e delle competenze secondo cui, anche alla luce dell'art. 12 della legge n. 68/1988, che aveva recepito il contenuto della citata sentenza della Corte costituzionale, la competenza ad emanare i pareri paesistici di cui all'art. 32 era delle Regioni (o degli enti territoriali da queste subdelegati), mentre al Ministero ed ai suoi uffici centrali e periferici era attribuita la potesta' di annullamento dei provvedimenti emanati dall'autorita' delegata e subdelagata, alla stregua delle nuove autorizzazioni paesistiche. Sulle modalita' di esercizio di tali funzioni e sulla estensione della potesta' di annullamento ministeriale si e' andata consolidando una giurisprudenza, secondo cui la potesta' di annullamento attiene ai profili di legittimita', senza mai estendersi al merito, non potendosi mai verificare che l'Autorita' statale sostituisca un proprio giudizio di merito a quello emanato dall'autorita' delegata o subdelegata (in tal senso Cons. Stato, A.p. 4 settembre 2001, n. 9; da ultimo Cons. Stato, Sez. VI, 16 giugno 2003, n. 3398). Orbene la nuova formulazione dell'art. 32 della legge n. 47/1985, introdotta dall'art. 32 del decreto-legge n. 269/2003, finisce per distruggere l'equilibrio fra le attribuzioni di competenze, riattribuendo alla Soprintendenza una competenza di merito, e non di solo annullamento per motivi di legittimita', atteso che nella conferenza di servizi essa potrebbe esprimere il proprio motivato dissenso, idoneo a provocare il rigetto della istanza, senza alcuna possibilita' di una riformulazione del parere. Come dire che, con una disposizione apparentemente innocua e presentata come finalizzata alla semplificazione del procedimento (conferenza dei servizi) lo Stato si e' riappropriato di una competenza di merito che la Corte costituzionale e la giurisprudenza avevano inequivocabilmente ritenuto spettante alle Regioni. 4. - Infine deve rilevarsi che con la normativa censurata il Governo ha violato il principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni, principio che implica il «contemperamento dei rispettivi interessi», e che e' stato espressamente costituzionalizzato con la riforma dell'art. 120 Cost. operata dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. La giurisprudenza, diffusa, della Corte costituzionale ha delimitato il principio di leale collaborazione (a volte facendo riferimento ad un concetto di collaborazione «concordata» tra i diversi livelli di Governo) facendo richiamo all'art. 5 della Cost. (decisione n. 151 del 1986, n. 482 del 1995, n. 341 del 1996, n. 242 del 1997, n. 19 del 1997, n. 55 del 2001). Tra l'altro, detto principio era gia' presente nella giurisprudenza comunitaria, naturalmente con applicazione tra gli organismi comunitari e quelli degli Stati membri (Corte giustizia Comunita' europee, 4 luglio 1996, n. 50/94/1996; Corte giustizia Comunita' europee, 10 giugno 1993, n. 183/91/1993). Il principio appare violato dalle numerose disposizioni di dettaglio contenute nell'art. 32 oggetto del ricorso che introducono una disciplina di singoli istituti inerenti il condono e gli effetti di esso sul territorio e la sua gestione senza che la Regione abbia espresso un parere positivo o abbia partecipato in altro modo al procedimento di formazione della volonta' legislativa. Anzi, dette disposizioni finiscono, indipendentemente se intese di dettaglio o di principio, per mortificare ogni politica di programmazione, pianificazione e tutela del territorio da parte della Regione, minando l'azione pubblica diretta al perseguimento di interessi territoriali e paesistici che non sono nella disponibilita' esclusiva di nessun livello di Governo, ma che pretendono la funzionalizzazione di ogni intervento normativo ed amministrativo di qualsiasi livello in un quadro di coerenza e condivisione di obiettivi. Nella fattispecie tutto cio' non e' stato, rimanendo la disciplina contestata incoerente e resa senza alcuna forma di partecipazione o contributo da parte delle regioni.
P. Q. M. Il presidente della giunta della Regione Basilicata conclude chiedendo che la Corte dichiari la illegittimita' costituzionale dell'art. 32 del decreto-legge e della legge di conversione indicati in epigrafe. Roma, addi' 27 novembre 2003 Avv. prof. Angelo Piazza - Avv. M. Carmela Santoro 03C1348