N. 1146 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 agosto 2003

Ordinanza  emessa  il  26  agosto  2003  dal tribunale di Vicenza sul
ricorso proposto da Zenulahaj Saip contro Prefetto di Vicenza

Straniero  e apolide - Straniero in posizione irregolare - Espulsione
  amministrativa   -  Denuncia  per  uno  dei  reati  indicati  negli
  artt. 380  e  381  c.p.p.  -  Preclusione dell'applicabilita' della
  normativa   sulla   regolarizzazione   dei  rapporti  di  lavoro  -
  Subordinazione della preclusione stessa ad una pronuncia giudiziale
  costituente   giudicato   di   responsabilita'   (ove   pur   senza
  applicazione  di  pena)  -  Mancata  previsione  -  Violazione  del
  principio  di  presunzione  di  innocenza  fino  alla  sentenza  di
  condanna passata in giudicato.
- Decreto-legge  9 settembre 2002, n. 195, art. 1, comma 8, lett. c),
  convertito, con modificazioni dalla legge 9 ottobre 2002, n. 222.
- Costituzione, art. 27, comma secondo.
(GU n.3 del 21-1-2004 )
                            IL TRIBUNALE

    Visti  gli atti del procedimento n. 1194/2003 R. R., promosso con
ricorso  ai  sensi  dell'art. 13, commi 8 e ss., del d.lgs. 25 luglio
1998  n. 286  depositato  in  data  29 luglio 2003 dal sig. Zenulahaj
Saip,  nato  l'8  novembre  1976  a Lausa (ex Yugoslavia), avverso il
provvedimento  di  espulsione  n. 293/2003  emesso dal Prefetto della
provincia  di  Vicenza  in  data  20 giugno 2003 e notificato in pari
data;
    Sentiti,  in  camera di consiglio, il difensore del ricorrente ed
il funzionario delegato per il Prefetto;
    Lette  le  memorie  delle  parti  ed a scioglimento della riserva
assunta all'udienza dell'8 agosto 2003;

                            O s s e r v a

    Il   ricorrente   -  espulso  dopo  il  rigetto  dell'istanza  di
regolarizzazione,  per  suo  conto  proposta  ai  sensi  della  legge
n. 222/2002,  per la ritenuta sussistenza di precedenti ostativi alla
regolarizzazione  («il  cittadino straniero e' stato denunciato per i
reati rientranti nella posizione normativa dell'art. 381 c.p.p. ed il
relativo   procedimento   non   si  e'  concluso  con  l'accertamento
dell'insussistenza   del   fatto   o   con  la  declaratoria  di  non
responsabilita») - ha impugnato il susseguente decreto di espulsione,
gia'  eseguito  con  accompagnamento coattivo alla frontiera mediante
forza  pubblica,  premettendo:  che  in data 24 settembre 2002 veniva
presentata  istanza  per la sua regolarizzazione ai sensi della legge
n. 222/2002  da  parte  del  proprio  datore di lavoro, presso la cui
ditta  edile egli gia' da prima lavorava come muratore; di non essere
gravato da alcun precedente penale; di essere stato tratto in arresto
il  1° dicembre 2002, mentre si trovava all'interno di un bar ove era
avvenuta   una   rissa;   che   il  giorno  susseguente  all'arresto,
interrogato  dal  pubblico ministero procedente il quale non riteneva
applicabile  alcuna  misura  cautelare  personale,  veniva rimesso in
liberta';  che  in data 26 maggio 2003 gli veniva notificato dal p.m.
avviso  di  chiusura delle indagini ex art. 415-bis c.p.p., dal quale
risultava indagato per i reati previsti dagli artt. 588 e 378 c.p., e
che a tutt'oggi non gli era stato notificato alcun rinvio a giudizio;
che in data 18 giugno 2003 veniva notificato ad esso ricorrente ed al
suo  datore  di lavoro il rigetto dell'istanza di regolarizzazione da
parte  della  Prefettura  di  Vicenza, motivato dalla circostanza che
egli  era  stato  denunciato  per  il reato di cui all'art. 588 c.p.,
rientrante   nella   previsione  dell'art.  380  c.p.p.;  che  veniva
successivamente emesso l'impugnato provvedimento di espulsione. Tanto
premesso,  il  ricorrente  ha dedotto in primo luogo un vizio formale
del  decreto,  in  quanto  il  reato  per  il  quale  egli  era stato
denunciato  (art.  588,  comma  2, c.p.) prevede una reclusione da un
minimo  di  tre  mesi  ad  un  massimo  di  cinque anni, e quindi non
rientrerebbe  nella  previsione dell'art. 1, comma 8, lett. c), della
legge   n. 222/2002,   riferita  all'art.  380  c.p.p.  (disposizione
relativa   ai   reati   per   i   quali  la  legge  prevede  la  pena
dell'ergastolo,  ovvero  della  reclusione non inferiore nel minimo a
cinque  anni e nel massimo a venti anni). Assume inoltre che egli era
semplicemente  «indiziato»  di  reato  e  non  ancora era iniziato il
procedimento  penale  che  ben  poteva  concludersi con una pronuncia
assolutoria  ex art. 530 c.p.p. Ha prospettato infine la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma 8, lett. c), della
legge  n. 222/2002,  per violazione dell'art. 27, comma 2, Cost., che
afferma   il   principio  secondo  cui  l'imputato  non  puo'  essere
considerato colpevole fino alla condanna definitiva.
    Conclude   per   la  declaratoria  di  nullita'  del  decreto  di
espulsione e di disapplicazione dei provvedimenti amministrativi.
    Il  Prefetto, in persona del funzionario delegato, a sua volta ha
concluso  per la conferma del provvedimento ed il conseguente rigetto
del  ricorso,  per  le  ragioni  illustrate  nella  memoria difensiva
allegata  agli  atti,  facendo  in sintesi rilevare come l'istanza di
regolarizzazione  fosse  stata  rigettata  (conseguendone l'impugnata
espulsione)   in   quanto,   escludendo  espressamente  la  legge  la
possibilita'  di  regolarizzare  rapporti  di  lavoro  instaurati con
soggetti  denunciati  per  uno  dei reati di cui agli artt. 380 e 381
c.p.p.,  il  ricorrente  era stato a suo tempo denunciato in stato di
arresto  per  il  reato di rissa aggravata (art. 588, comma 2, c.p.),
rientrante  nella previsione dell'art. 381 c.p.p. Ha dedotto altresi'
che  l'errore eccepito dal ricorrente (menzione dell'art. 380 c.p.p.)
da  un  lato  concerneva  non  gia'  il  decreto  di  espulsione, che
correttamente  rinviava  alla previsione dell'art. 381 c.p.p., bensi'
il  decreto  di  rigetto  dell'istanza  di regolarizzazione di lavoro
subordinato,  e  dall'altro,  ad  ogni modo, integrava un mero errore
materiale   (di  battitura)  certo  non  in  grado  di  inficiare  la
legittimita' del provvedimento.
    Cosi'  riassunte  le  posizioni  delle  parti, preliminarmente si
rileva  che,  ad avviso del giudicante, il presente giudizio non pare
possa  essere  definito  prima  della  risoluzione della questione di
costituzionalita'  avente  ad oggetto la disposizione di cui all'art.
1,  comma  8,  lett.  c),  del  decreto-legge 9 settembre 2002 n. 195
(disposizioni   urgenti  in  materia  di  legalizzazione  del  lavoro
irregolare  di  extracomunitari),  convertito con modificazioni dalla
legge  9  ottobre  2002  n. 222, questione che appare rilevante e non
manifestamente infondata.
    Va  infatti  subito rilevato che non puo' trovare accoglimento la
prima  censura,  a carattere formale, sollevata dal ricorrente, a cui
dire l'amministrazione avrebbe emesso un provvedimento illegittimo in
quanto  affetto  dall'erroneo  richiamo alla previsione dell'art. 380
c.p.p.  Tale  errore, invero, da un lato, incide non gia' sul decreto
di  espulsione  in  se'  (che correttamente evoca la causa preclusiva
alla   regolarizzazione   per   intervenuta  denuncia  per  un  reato
rientrante  nella  previsione di cui all'art. 381 c.p.p.), bensi' sul
presupposto  decreto  di  rigetto dell'istanza di regolarizzazione, e
comunque,  e  decisivamente,  integra  un  evidente  errore meramente
materiale,  privo  di  attitudine viziante, che non intacca dunque la
regolarita', formale e sostanziale, dei provvedimenti amministrativi.
    Ne'   potrebbe   accoglierai  allo  stato,  superata  tale  prima
questione posta dalla difesa, l'istanza di disapplicazione degli atti
amministrativi,  che  appaiono attualmente conformi al modello legale
discendente  dalla  legge  ordinaria costituita dalle disposizioni in
materia introdotte dai richiamati decreto legge e successiva legge di
conversione.
    Lo   straniero   (come  risulta  documentalmente  dall'avviso  di
conclusioni delle indagini preliminari acquisito in atti) e' indagato
per  il  delitto  di  rissa  aggravata  (art.  588,  comma  2, c.p.),
rientrante effettivamente - prevedendosi per il suo (presunto) autore
l'arresto  facoltativo  -  nella  previsione  dell'art. 381 c.p.p., e
quindi   per   un   reato   dalla  legge  considerato  ostativo  alla
possibilita' di regolarizzazione.
    Sembrando dunque destinate ad essere disattese le altre questioni
a base del ricorso (che diversamente, ove accolte, potrebbero rendere
superfluo  l'esame  dell'eccezione di incostituzionalita' eccepita in
via  gradata  dallo  straniero), per definire il presente giudizio si
reputa che assuma diretta rilevanza la questione di costituzionalita'
della  richiamata  norma  di legge ordinaria, in ordine alla quale il
sospetto  di  incostituzionalita' pare assumere i caratteri della non
manifesta infondatezza.
    Ai  sensi  dell'art.  1,  comma  8, lett. c), del decreto-legge 9
settembre   2002,   n. 195   (Disposizioni   urgenti  in  materia  di
legalizzazione  del lavoro irregolare di extracomunitari), convertito
con modificazioni dalla legge 9 ottobre 2002, n. 222, le disposizioni
del  medesimo  art. 1 - circa la possibilita' di regolarizzazione dei
rapporti  di  lavoro  riguardanti lavoratori extracomunitari - non si
applicano  (tra  l'altro  e  per quel che qui interessa) a coloro che
risultino denunciati per uno dei reati indicati negli artt. 380 e 381
del  codice  di procedura penale, salvo che il procedimento penale si
sia  concluso  con un provvedimento che abbia dichiarato che il fatto
non  sussiste  o  non costituisce reato o che l'interessato non lo ha
commesso, ovvero nei casi di archiviazione previsti dall'art. 411 del
codice di procedura penale.
    Una  tale disposizione di legge (che ovviamente l'amministrazione
competente  a  definire le istanze di regolarizzazione deve limitarsi
ad  applicare  senza alcun margine di discrezionalita' interpretativa
in ordine al minore o maggiore grado di fondatezza e di riferibilita'
soggettiva  all'interessato dell'ipotesi di reato per cui e' denuncia
e  che  risulti normativamente ostativa alla regolarizzazione) appare
affetta    da    un    consistente    e   qualificato   sospetto   di
incostituzionalita',  tale  da  integrare  il  presupposto  della non
manifesta  infondatezza  per  probabile  collisione quantomeno con il
principio costituzionale posto dall'art. 27, comma 2, Cost.
    Com'e'  noto,  tale norma costituzionale sancisce il fondamentale
principio  di  civilta'  secondo  cui  l'imputato  non e' considerato
colpevole sino alla condanna definitiva.
    La  norma  di  legge ordinaria, oggetto della presente censura di
costituzionalita'  (gia' evocata in termini analoghi in ricorso dalla
difesa del ricorrente), sembra invece capovolgere questo fondamentale
principio, sancendo un effetto assolutamente pregiudizievole - con la
reiezione  della relativa istanza - per lo straniero interessato alla
regolarizzazione,  a  meno che il medesimo non abbia avuto la ventura
di conseguire - al momento, in cui l'autorita' amministrativa procede
all'esame  della  domanda  di  regolarizzazione - un provvedimento di
archiviazione o una declaratoria di assoluzione (eventi temporalmente
incerti  ed aleatori anche in ragione dei necessari tempi tecnici del
processo penale).
    Con la conseguenza che ogni denuncia (al limite anche quella piu'
strampalata  e  pretestuosa), pur eventualmente destinata a rivelarsi
in  seguito  infondata, viene comunque ad interdire il positivo esito
dell'iter  di  regolarizzazione e determina, come sbocco quasi sempre
ineluttabile,   un   provvedimento   di  espulsione  dello  straniero
irregolare,  con  tutte le relative consegue pregiudizievoli (incluso
il  divieto  di  reingresso  nel  territorio dello Stato per il lungo
periodo di cui ai commi 13 e 14 dell'art. 13 del d.lgs. n. 286/1998).
    Ne'   la   norma  sospettata  d'incostituzionalita'  puo'  essere
ragionevolmente  letta  (a  fronte  della sua inequivoca formulazione
letterale e del contesto di serrati adempimenti procedurali in cui si
pone)  come  implicante  per l'autorita' amministrativa un effetto di
sospensione  dell'esame  della pratica di regolarizzazione, fino alla
definizione   del   procedimento  penale,  ogni  qual  volta  ricorra
un'ipotesi  apparentemente  ostativa,  effetto  estraneo  al  modello
procedimentale  elaborato  dal legislatore ordinario al citato art. 1
come   confermato  peraltro  dalla  prassi  applicativa,  gia'  ormai
consolidatasi, della disposizione in oggetto.
    E'  pur  vero,  va  ulteriormente  rilevato,  che  il sospetto di
incostituzionalita'  della  norma  (norma  la  cui rigidita' peraltro
rende  fragile  anche  un altro principio essenziale, quale quello di
cui  all'art.  24, comma 1, Cost., sul diritto di difesa in giudizio,
che  nell'attuale  disciplina viene privato di effettivita', ben poco
potendo  opporre  l'interessato  ad  un  mero dato di fatto quale una
denuncia  a  proprio  carico) concerne non direttamente il decreto di
espulsione,  oggetto immediato del ricorso a questo Tribunale, bensi'
il    precedente    provvedimento    di   rigetto   dell'istanza   di
regolarizzazione.
    Si tratta peraltro di atti inseriti in una sequela procedimentale
e  logico  -  giuridica  teleologicamente connessa, nell'ambito della
quale   il   decreto   di   espulsione   presuppone  espressamente  e
sostanzialmente  l'atto  di  diniego della regolarizzazione, che allo
stato  costituirebbe  l'unico  istituto idoneo ad evitare la sanzione
espulsiva   (altrimenti   inevitabile,   data   la   non   contestata
irregolarita'     della     pregressa     permanenza     in    Italia
dell'extracomunitario).
    Un'eventuale  declaratoria  di incostituzionalita' della norma in
esame   consentirebbe  pertanto  quanto  meno  di  procedere  ad  una
disapplicazione   dell'atto  amministrativo  presupposto  di  diniego
dell'accesso  alla  regolarizzazione,  non  piu'  conforme al modello
legale  emendato  del  ritenuto  vizio  di  incostituzionalita',  con
diretto  riflesso  sia  sulla  sorte  del  decreto di espulsione (che
verrebbe   a  perdere  il  presupposto  logico  -  giuridico  su  cui
essenzialmente  si fonda), sia per la stessa autorita' amministrativa
competente,  verosimilmente  investita del dovere di riconsiderare la
posizione  dell'istante in un quadro normativo ormai modificato dalla
pronuncia di incostituzionalita'.
    In   definitiva,   deve   essere   dichiarata   rilevante  e  non
manifestamente  infondata,  per l'ipotizzato contrasto con l'art. 27,
comma  2,  Costituzione,  la questione di legittimita' costituzionale
all'art.  1,  comma  8, lett. c), del decreto-legge 9 settembre 2002,
n. 195  (Disposizioni urgenti in materia di legalizzazione del lavoro
irregolare  di  extracomunitari),  convertito con modificazioni dalla
legge  9  ottobre  2002,  n. 222,  nella  parte in cui prevede che la
semplice  denuncia  (salvo che il procedimento penale si sia concluso
con un provvedimento che abbia dichiarato che il fatto non sussiste o
non  costituisce reato o che l'interessato non lo ha commesso, ovvero
nei  casi  di  archiviazione  previsti  dall'art.  411  del codice di
procedura  penale)  per  uno dei reati indicati negli artt. 380 e 381
del codice di procedura penale, e non invece una pronuncia giudiziale
integrante  giudicato di responsabilita' (ove pure senza applicazione
di   pena,   come  per  es.  per  l'ipotesi  di  proscioglimento  per
prescrizione)  per  gli  stessi  reati,  costituisca  causa  ostativa
all'applicabilita'  ai  rapporti  di  lavoro  riguardanti  lavoratori
extracomunitari    delle    disposizioni    dello   stesso   art.   1
(legalizzazione di lavoro irregolare).
                              P. Q. M.
    Visto l'art 23 legge 11 marzo 1958 n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale  all'art.  1,  comma  8,  lett.  c), del
decreto-legge  9  settembre  2002,  n. 195  (Disposizioni  urgenti in
materia  di legalizzazione del lavoro irregolare di extracomunitari),
convertito  con  modifiazioni  dalla legge 9 ottobre 2002 n. 222, per
contrasto  con l'art. 27, comma 2, della Costituzione, nella parte in
cui  prevede  che  la  semplice  denuncia  (salvo che il procedimento
penale  si sia concluso con un provvedimento che abbia dichiarato che
il fatto non sussiste o non costituisce reato o che l'interessato non
lo  ha  commesso, ovvero nei casi di archiviazione previsti dall'art.
411  del codice di procedura penale) per uno dei reati indicati negli
artt. 380  e  381  del  codice  di procedura penale, e non invece una
pronuncia  giudiziale  costituente  giudicato di responsabilita' (ove
pure  senza  applicazione  di  pena,  come  per  es. per l'ipotesi di
proscioglimento  per  prescrizione) per i medesimi reati, costituisca
causa  ostativa  all'applicabilita' ai rapporti di lavoro riguardanti
lavoratori  extracomunitari  delle  disposizioni  dello stesso art. 1
(legalizzazione di lavoro irregolare).
    Sospende  il  giudizio  in  corso e dispone la trasmissione degli
atti alla Corte costituzionale.
    Dispone  altresi'  che,  a  cura  della  cancelleria, la presente
ordinanza  sia notificata alle parti, al Presidente del Consiglio dei
ministri  e  sia comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e
del Senato della Repubblica.
        Vicenza, addi' 5 agosto 2003
                         Il giudice: Picardi
04C0027